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Dalla Colonia Tarquinios alla colonia di Cencelle

Ho scoperto con grande sorpresa e piacere che il prof. Stefano Del Lungo ha realizzato un’ampia dissertazione[1] su un argomento che è fortemente connesso con quello a cui io stesso ho dedicato un articolo uscito, tra l’altro, in perfetta contemporaneità[2].

Il punto di partenza di entrambi è il dato storico della realizzazione di una “colonia Tarquinios” tramandataci dai “Gromatici Veteres”[3] che entrambi collochiamo nell’ampia area territoriale contrassegnata dalla presenza del bacino del fiume Mignone e dai Monti della Tolfa.

Il secondo aspetto rilevante affrontato da Del Lungo nel predetto lavoro[4] è quello della permanenza, la resistenza, in epoca medievale, di un’organizzazione amministrativa e giuridica unitaria di quei territori che furono imputabili alla predetta colonia. Anche questo elemento è perfettamente congruente con la mia impostazione, che non poteva che essere quella dello storico del diritto romano, quale sono.

Il mio punto di partenza è infatti basato sullo studio del substrato socio-economico che sta alla base della realizzazione di quella Colonia da parte di Tiberio Gracco.

Secondo un notissimo resoconto di viaggio, fu mentre attraversava l’Etruria, sulla strada per imbarcarsi da Porto Ercole per la volta dell’Iberica Numanzia, che Tiberio Gracco notò la scarsezza di abitanti liberi cittadini Romani, e che coloro che coltivavano la terra o guardavano le greggi erano schiavi stranieri. Fu a causa di queste constatazioni, di campi lasciati all’abbandono e alla povertà, asserì Caio, che più tardi suo fratello Tiberio decise di intraprendere la sua carriera politica rivoluzionaria che conosciamo. Caio più tardi, in un suo libro[5], testimoniò questi fatti, e asserì che suo fratello da essi trasse ispirazione per procedere alla sua riforma. Tra gli obiettivi raggiunti dalla riforma, di cui ricorderemo i tratti salienti di qui a poco, vi fu proprio la deduzione della predetta “colonia Tarquinios”, cioè di una entità giuridico-amministrativa, che viene qualificata come “colonia”, in un’area che più avanti ubicheremo e delimiteremo.

Il programma politico di Tiberio Gracco fu a favore di una classe di romani impoveriti e, probabilmente, di piccoli agricoltori autoctoni, che avevano fame di terra. Quella stessa terra che rimaneva non di rado incolta e abbandonata, per lo più adibita ad ager publicus, ma occupata dalle grandi aziende di familiae senatoriali, a volte di origine etrusca[6].

L’aristocrazia romana era divenuta, in effetti, una realtà allargata a potenti familiae etrusco-italiche che mantenevano intatti certi aspetti sociologici[7] di origine “arcaica”. Queste ultime, infatti, avevano al loro seguito un coacervo di asserviti, che potevano avere la veste di varie forme giuridiche nel diritto romano.

In sostanza, ai tempi di Tiberio Gracco la popolazione delle campagne etrusche si riduceva sempre di più ad agricoltori impoveriti, sottoposti, subordinati, alcuni semplici braccianti, altri affittuari di terreni. Questo coacervo di subordinati erano i nuovi abitanti che avevano sostituito i vecchi, per lo più piccoli proprietari, considerati il nerbo dell’esercito romano, letteralmente scacciati dalle loro case, non di rado con la violenza, dai servi dei ricchi possidenti. Il processo fu graduale e in pieno corso al tempo dei Gracchi. Ci è noto che i mezzi per accaparrare terra furono i più subdoli: i servi e i pastori dei ricchi possidenti frodavano sulla vera ubicazione dei confini dei terreni sottraendo terra, a poco a poco, mediante lo spostamento della collocazione dei cippi[8], i segnacoli di confine che dividevano e circoscrivevano sia i fondi privati che l’ager publicus. Un’azione, questa, effettuata occultamente ogni anno, piano, piano, che aveva l’effetto di rendere incerte le dimensioni di molti terreni[9] a discapito di altri che “misteriosamente” aumentavano le loro dimensioni in iugera.

Invece di un popolo di agricoltori che poteva divenire un esercito organizzato, all’occorrenza, un principio affermato nella Repubblica Romana ormai da tempo, Tiberio vide che la base degli strati più infimi e di coloro che erano senza terra, con unica proprietà quella dei figli, diveniva sempre più ampia: in sostanza aumentavano i poveri braccianti stagionali senza terra fissa, e spesso migranti stagionali si spostavano per i tratturi che ancora oggi si possono trovare in cima alle alture.

Si trattava di quei “pauperculi cum sua progenie[10]”, ovvero poveretti con tutta la famiglia, e i figli, anche minori, al seguito, che andavano a cercare lavoro per sfamarsi, e lavoravano quando le stagioni come la fienagione e mietitura richiedevano manodopera ulteriore nelle grandi aziende[11].

Alla luce di quanto abbiamo detto, quindi, è ragionevole ritenere che quei campi erano visibilmente popolati da frotte di uomini, alcuni braccianti senza “nome”, altri anche armati e capitanati da una figura, il “magister pecoris[12]”, che accudivano agli armenti, quasi sempre schiavi stranieri. Gente straniera che era aumentata nella fine del II sec. a.C., malvista dai piccoli proprietari anche perché girava in armi.

Il pacchetto di riforme proposte da Tiberio Gracco nacque in reazione a questo quadro.

A tal proposito, come non ricordare il passo di Plutarco in cui Tiberio, a detta di alcuni[13] sintetizzò con una mirabile orazione intrisa di veemenza e indignazione quella visione di abbandono, di miseria, di un popolo frustrato, percepita proprio durante quel famoso viaggio: « Gi animali selvaggi che vivono in Italia hanno ciascuna una tana,un covo, un rifugio, mentre coloro che combattono e muoiono per l’Italia non hanno nient’altro che l’aria e la luce e vagano con i figli e con le mogli, senza casa e senza fissa dimora; i generali mentono quando, nelle battaglie, esortano i soldati a combattere i nemici in difesa delle tombe e dei santuari, poiché fra tanti Romani, nessuno ha un altare famigliare né un sepolcro degli antenati, ma combattono e muoiono per il lusso e la ricchezza altrui e, mentre sono chiamati padroni del mondo, non hanno una sola zolla di terra che sia di loro proprietà»[14].

In seguito a questa visione egli maturò il convincimento profondo che bisognava rigenerare quella classe politica di piccoli-medio agricoltori che andavano scemando, o entrando nelle maglie di quelle classi di grandi imprenditori agricoli. In questo senso, tra le importanti iniziative politiche propugnate ed in parte realizzate da parte del fratello Caio, deve annoverarsi la legge “de coloniis deducendis” volta allo sfollamento dalla capitale dei proletari e dalle campagne dei braccianti disoccupati, mediante la fondazione e deduzione di colonie[15]. Le assegnazioni furono affidate ad un triunvirato di cui vi è testimonianza anche nelle fonti epigrafiche dei cippi[16].

La colonia fu uno strumento politico per sollevare una massa di diseredati dalla condizione che versavano, e forse, nel contempo, limitare il potere delle grandi aziende agrarie che si estendevano a dismisura a discapito dei fondi dei piccoli-medi proprietari, come abbiamo visto. Detto tutto ciò, si deve ritenere che la Colonia Tarquinios fu tra le prime nuove colonie, che venne dedotta, presumibilmente, proprio in quel territorio dell’Etruria Meridionale, che molto colpì l’immaginazione di Tiberio.

Dunque, ad essere “rivitalizzati” da nuove assegnazioni di terre, devono essere stati quei terreni dell’Etruria che nel memorabile viaggio a Tiberio apparvero in quelle condizioni sopra descritte. Ma dove collocare la “Colonia Tarquinios” ?

Certamente in quelle terre che si trovavano tra Caere e Tarquinii. Infatti alla luce di un esame storico-archeologico molto plausibile[17], non vi può esser dubbio che Tiberio vide proprio quell’ager di Tarquinii durante il suo viaggio, in quanto la via Aurelia,che passava in quei territori, era la più comoda da intraprendere per imbarcarsi sulla nave che avrebbe salpato da Porto Ercole. Nel viaggiare alla volta della Spagna, Tiberio aveva tre possibilità nello scegliere le vie che gli si aprivano innanzi: la via Flaminia, Cassia ed Aurelia[18]. Indubbiamente le prime due non erano le strade migliori da intraprendere dal punto di vista della comodità[19]. Quindi, fu proprio lo spettacolo dei campi attraversati dall’Aurelia che impressionò Tiberio.

Tuttavia, alcuni hanno eccepito che le fonti archeologiche ci disegnano un quadro che ci dimostra un ricco popolamento che è in netto contrasto con il resoconto Graccano. Alcuni dati, invece, sono perfettamente concordi con il medesimo: si tratta di fonti epigrafiche di Cerveteri che ci parlano di una discreta quantità di schiavi ellenistici importati[20] riferibili alla fine del II sec.a.C. Ora i dati, la fonte storiografica, solo apparentemente sembrano discordare con questa realtà, in quanto nelle familiae etrusche abbiamo quel “mondo” disegnato sopra. Tuttavia una realtà schiavistica molto sviluppata esiste con certezza a Caere solo con Nerone, nel fondo di Columella dove tuttavia ancora resistono credenze cultuali autoctone [21].

Di sicuro vi fu un impoverimento, quello dei piccoli agricoltori, che venne visto anche nelle campagne dell’Ager Tarquiniensis e che spinse Tiberio all’intrapresa di quel pacchetto di riforme che contraddistinse la sua azione politica, interrotta prematuramente dalla sua morte in un tumulto dove, assalito alle spalle, fu finito con un piede di legno di una sedia da uno dei suoi avversari politici. Forse non fu un caso che le riforme dei Gracchi presero le mosse da quella classe politica che diede esponenti come un Tribuno della Plebe, Q.Munio o forse Minucius Augurinus [22], augure di famiglia ricca e potente d’origine etrusca, che deve essere stato forse il medesimo che ci ha tramandato Aulo Gellio, come il tribuno irrogante una multa a Scipione Emiliano, che non aveva rispettato i limiti stabiliti dalla legge per il possesso di terreni[23] in un periodo antecedente all’attività politica dei Gracchi, in quanto questi erano ancora troppo giovani.

Nella rivoluzione di Tiberio Gracco, l’Augurino, ebbe fondamentale importanza.

E’, infatti, opinione comune che grazie ad un tribuno, Q. Mucio o Minucio Augurino, da identificarsi con il nostro, si devono le stesse prime riforme attuate da Tiberio Gracco, che fu augure egli stesso[24]. Anzi per meglio dire, si ebbe il primo successo d’ordine politico dei solidali dei Gracchi, in quanto grazie alla stessa nomina a tribuno dell’Augurino, venne dimissionato un altro tribuno, un tale Ottavio, acerrimo oppositore delle riforme volute dai Gracchi, espressione del potere senatorio, ricco possidente di estese terre[25]. Fervente oppositore della legge agraria proposta da Tiberio Gracco, usò il suo potere di veto per impedire, avvalendosi dei poteri di tribuno, che la legge venisse votata, così (secondo l’opinione dello stesso Tiberio) abusando della carica stessa[26]. La tesi di quest’ultimo fu largamente condivisa: il tribunato, infatti, era una carica investita del potere di apporre il veto alle leggi solo a garanzia dei plebei, non contro il loro interesse[27]. Ma il cambiamento di quella che oggi chiamiamo la “costituzione materiale”, ovvero il modo di intendere la “Res Publica”, da parte degli uomini vicini ai Gracchi, lo costrinsero alle inevitabili dimissioni. Tanta fu l’avversione del popolo per Ottavio che fu costretto a sfuggire alla folla inferocita dei plebei[28], dimettendosi, come si è detto, dalla carica stessa. E, allora, ad esso si surrogò quell’uomo chiave di cui poc’anzi si è detto, con grandi tradizioni etrusche d’origine antichissima.

Il substrato economico-sociale, il maggiore sostegno delle riforme dei Gracchi, che ebbero l’avvio grazie ad un esponente di una famiglia etrusca, devono ricondursi forse a quegli agricoltori medio-piccoli che anche nelle campagne etrusche attendevano delle riforme che potessero costituire un argine alla voracità delle grandi familiae di cui sopra.

Ipoteticamente dall’Augurino - esponente di una classe di agricoltori d’origine etrusca di orientamento riformatore- partì, presumibilmente, la spinta a dedurre una “nuova” Tarquinii che si affiancava alla vecchia, per far fronte a quella realtà in cui andava scomparendo il piccolo agricoltore.

Il problema maggiore da risolvere è quello relativo al luogo dove collocare la colonia.

Se ci volessimo addentrare nella ricerca della colonia dedotta “lege Sempronia”, potremmo partire dai Gromatici Veteres che la descrivono in modo accurato nelle sue dimensioni, precisando la sua estensione.

Essa doveva interessare un’area montana e una costiera, come un quadrilatero che doveva avere nel mare uno dei confini[29]. Inoltre tale “colonia” doveva, sotto il profilo amministrativo, riguardare una variegata morfologia di territori, da quello montano a quello pianeggiante, fino ad arrivare a quello marittimo. Aspetto molto importante era costituito dal fatto che si trattava di un’area circoscritta da cippi silicei.

Per dare una risposta alla collocazione geografica dobbiamo fare innanzi tutto dei rilievi a carattere storico. Un dato di questa vicenda non deve sottovalutarsi: vi fu uno spostamento di popolo, di classi sociali depresse da una Tarquinii “antica”, sorgente sull’omonimo colle, oggi “Pian della Civita,” ad una Tarquinii nuova. Alla visione di impoverimento la risposta fu uno spostamento di forze presso un altro luogo, la “nuova” Tarquinii, appunto. Una migrazione di elementi appartenenti ad un populus a cui venivano attribuiti nuovi terreni da dissodare.

Ora, se escludiamo il sito di Tarquinii della tradizione etrusco-arcaica, che ebbe dopo la sua conquista dignità di municipio[30], vi deve essere stata un’altra area che venne ritenuta di una certa importanza strategica, e che, per il fatto di essere occupata per lo più da etruschi oriundi di Tarquinia, quegli impoveriti che i Gracchi aiutarono con la deduzione della colonia medesima, prese il nome di Tarquinii.

Quale fu la sua ubicazione?

Innanzi tutto non deve essere stato un esodo da un luogo ad un altro del suolo italico, bensì la nuova realtà giuridico-amministrativa deve aver visto la luce in un’area non molto lontana da quella che era stata la sede precedente di quel popolo. Si tratta di un’osservazione di carattere logistico. Ciò, inoltre, si ricava dal Liber Coloniarum dei Gromatici Veteres che colloca la Colonia Tarquinios tra quelle dell’Etruria (Tuscia), annoverandola, nella elencazione, immediatamente prima di quella realizzata successivamente da Augusto, ed ubicata in quella porzione di area corrispondente a Gravisca (Colonia Graviscos)[31]. Tale colonia fu realizzata sulla costa, nell’area portuale di quella che fu l’etrusca Tarquinii.

Da ultimo ci vengono in aiuto dei dati archeologici per collocare topograficamente la colonia graccana. L’aspetto rilevantissimo è che la geografia che si ricava dai Gromatici Veteres di una colonia delimitata da cippi silicei ha un raffronto con una realtà archeologica molto rilevante. Si tratta di eccezionali segnacoli in pietra locale con epigrafi, che sono dislocati in località poste all’interno di un vero e proprio utero naturale, disegnato da una voluta del percorso del fiume Mignone. Sono cippi dislocati in luoghi di un certo fascino: sono le località di Grasceta dei Cavallari, Grasceta Tittarella, Piantangeli, Sasso della Strega, che fin dall’epoca etrusca sono sottoposti ad una frequentazione cultuale come accade nel primo toponimo citato o presso Ripa Maiale, ad esempio. In queste aree, frequentate fin da epoca preistorica, si collocano i suddetti cippi, che sembrano avere una collocazione in relazione goniometrica, in diretto riferimento al fiume Mignone[32].

Non possiamo con certezza ricondurre questi cippi gromatici a quelli arcinoti, che portano i nomi dei Gracchi o della commissione istituita “ Lege Sempronia”[33] che sono costituiti da pietre elaborate, smussate, a volte di marmo. Dalle pietre di cui stiamo discutendo, invece, non si ricava alcun dato a favore, purtroppo, di una loro riconduzione all’assegnazione di terra operata dai Gracchi, fatta eccezione per le interessanti similitudini che emergono dalla posizione delle lettere e la conformazione degli angoli goniometrici su essi apposti. Le “epigrafi” che si trovano nei cippi c.d. “Graccani” sono più “loquaci”[34],e sembrano avere un intento celebrativo. Mentre per i nostri si può solo rilevare che l’uso della pietra vergine nasconda l’intento di continuare a mantenere lo stato dei luoghi “intatto”, senza aggiunte architettoniche esterne, forse perché quei luoghi erano avvolti da una sorta di sacralità.

Al di là di tutto abbiamo individuato un’area in cui ci sono dei cippi silicei, come nella descrizione dei Gromatici Veteres, ma esiste una realtà urbana a cui poter ricondurre questi cippi? Esiste cioè una realtà archeologica di insediamenti abitativi che possono essere annoverati nella definizione di “colonia”?

Un’area “indiziata”, a cui forse fanno riferimento i cippi, potrebbe essere l’ubicazione topografica dell’“Aretta”[35],vicino la medievale “Cencelle”, dove si può riscontrare una realtà di fondi d’epoca romana, con fattorie molto vicine, tanto da far pensare ad una sorta di abitato pseudo-urbano, secondo Antonio Maffei[36]. Queste strutture sono abitazioni con una pars produttiva, e quindi anche sotto il profilo economico sono distinte. Si tratta, probabilmente, di un complesso di edifici riconducibili, sotto il profilo giuridico-amministrativo, ad un vicus[37].

Ma tutto il territorio circostante intorno il bacino naturale del Mignone è in quest’area caratterizzato da fattorie romane, per lo più a gestione unifamiliare, che potremmo definire solo approssimativamente “villae”[38].

Si tratta di presenza molto articolata di realtà produttive e fondiarie, le cui dimensioni catastali e produttive non trovano obliterazione ancora nel 939, anno in cui delle strutture fondiarie ed aziendali vengono fatte oggetto di un contratto[39] da cui ricaviamo, tra l’altro, straordinarie reminiscenze paleo-topografiche ed archeologiche nel territorio che consideriamo. Senza parlare che nel IX secolo in questa area viene dedotta la colonia di Cencelle ad opera di Leone IV. Si tratta di un territorio che doveva essere caratterizzato da una ampia rete catastale unitaria sotto il profilo amministrativo. Esso si estende da un lato delimitato dal fiume Mignone, da un altro da alcune realtà montane e pedemontane, (in cui per lo più insistono i cippi di cui sopra), e scende in un rapido declivio verso la zone pianeggianti, fino a raggiungere il mare.

In tutto il territorio che è caratterizzato da questa ansa del fiume Mignone vi sono insediamenti romani, molti dei quali occupati ancora in età graccana; si tratta di fattorie romane, ovvero di realtà produttive autonome. Da rilevare che il territorio montuoso avvolto da questa voluta del fiume devolve rapidamente verso la pianura, per poi raggiungere il mare. Come nella descrizione del territorio della colonia da parte dei Gromatici Veteres .

Ora questa articolazione dell’urbanizzazione del territorio si può definire colonia nel senso del passo dei Gromatici Veteres ? Si deve ritenere che tale “colonia” non dovette necessariamente avere le caratteristiche di un centro urbano delimitato da mura, ma poté consistere in una urbanizzazione del territorio caratterizzata da un’ampia delineazione di lotti assegnati a singoli agricoltori, capi famiglia. D’altro canto la delimitazione dei Gromatici Veteres è la descrizione non di un abitato ma di una realtà più complessa sotto il profilo geografico, come a dire che la realtà amministrativa costituita da una “colonia” fosse coincidente con un territorio caratterizzato da vari fondi assegnati a numerosi individui.

Ritornando a tutti gli elementi rilevati, vi è anche una spinta ideologica di Tiberio Gracco e di una sorta di pietas nei confronti di quel popolo che vaga nelle campagne, spogliato perfino delle loro case, e la troviamo in quel famoso e riportato discorso. Non è da escludere che Tiberio pensasse proprio a quegli etruschi, diventati cittadini romani, ma che erano stati impoveriti dal fenomeno sopra descritto. Allora la realizzazione della “Colonia Tarquinios”, forse, deve essere stata accompagnata dall’immagine di questi cittadini romani (che erano d’origine etrusca), che, finalmente, potevano avere quella casa di cui erano stati spogliati. Alla luce di quello che ho detto, nella ricostruzione storica della realtà della deduzione della più volte citata colonia graccana, vi è un vero e proprio trasferimento di una classe sociale, costituita da diseredati e impoveriti, da un luogo ad un altro. Si tratta di un elemento che ricorre nella vicenda della fondazione della nuova Tarquinii.

A questo punto un’altra importante coincidenza si inserisce nella mia analisi.

L’esodo di un popolo oppresso, in sostanza, è il mito che sta alla base ideologica di un altro importante passo a noi noto, si tratta di quello relativo alla fondazione della colonia medioevale Cencelle in cui gli abitanti della città costiera, oppressi anche loro dalla presenza dei Saraceni sulla costa, vengono descritti come delle belve, delle fiere che vagano per le campagne e per i boschi, eleggendo essi a loro dimora. Si tratta dell’immagine dove gli abitanti della antica Centum Cellae romana «….more bestiarum, relictis sedibus propriis ob timorem Saracenorum, per opaca silvarum montesque incognitos sua domicilia populus dedicavit…»[40].

Non c’è dubbio che il famoso sogno mitico del papa che fonda Cencelle si sia riferito ad un topos retorico, indubbiamente risalente e di epoca romana, come è stato giustamente rilevato dal prof. Giovanni Insolera [41], il quale fa il parallelo con il “De rerum Natura” di Lucrezio. Anche l’accostamento con il suddetto discorso dei Gracchi si inserisce nel medesimo filone. Tuttavia il “more bestiarum” potrebbe andare oltre il senso di un semplice topos retorico, e lascia lo spazio ad una ipotesi . Essa nasce dalla suggestione che Leone IV, si sia atteggiato ad una sorta di nuovo Tiberio Gracco, egli infatti, come quest’ultimo, dava una casa ad una massa di diseredati che erano ridotti ad adibire a propria abitazione i monti e le selve come delle bestie, e che questa casa era costituita dalla colonia di Cencelle.

La colonia di Cencelle nasceva per accogliere gli abitanti della Centum Cellae romana, sconvolta dalle scorrerie saracene. La nuova realtà urbana prendeva il nome medesimo di quella antica, per sottolineare che si trattava del medesimo populus.

Tuttavia anche questo potrebbe essere stato attinto, semplicemente, dalla storia romana; anche il dare il medesimo nome della città da cui era derivato il gruppo sociale che va ad occupare il nuovo sito, potrebbe ricalcare questo modus operandi: la colonia di Cencelle dalla romana Centum Cellae, colonia Tarquinios da Tarquinii.

Tuttavia anche questi elementi rappresentano un dato importante. Ma la coincidenza più interessante è costituita dal fatto che la colonia di Cencelle sorgeva nel territorio in cui dovette sorgere la graccana colonia.

Allora potrebbe essere stato utilizzato un medesimo mito per la fondazione di entrambe le città. Leone IV ha attinto ad un mito di fondazione che ricalcava quello che era stato alla base della nascita della Colonia Tarquinios? Un mito di fondazione persistente ancora in quei luoghi nonostante il trascorso di tanti secoli? Si tratta solo di una ipotesi, ma ricca di suggestioni topografiche, storiche ed archeologiche.



[1] Stefano Del Lungo, Colonia Tarquinios: popolamento e viabilità in finibus Maritimae nell’Alto Medioevo, in: Atti del convegno di studio, Corneto medievale:territorio, società, economia e istituzioni religiose, a cura di Alfio Cortonesi, Anna Esposito, Letizia Pani Ermini, Bollettino 2007, Società Tarquiniese d’Arte e Storia,Tarquinia, pp.9-67.

[2] Vincenzo Allegrezza, L’itinerario di Tiberio Gracco, quello (mistico) di Leone IV e l’itinerario dei poveri, Bollettino Maggio 2008, Società Storica Civitavecchiese, pp.5-15.

[3] Gromatici Veteres ex recensione Caroli Lachmanni,voll.Duo,I,Berlin,1848,passo del“Liber Coloniarum I,Tuscia”, p.219,1-10; sulla attendibilità di Gromatici Veteres in tema della deduzione di tali colonie GRACCANE,vedi Francesco De Martino, Gromatici e questioni graccane in SODALITAS: Scritti in onore di Antonio Guarino, vol. 7, Napoli, 1984, Iovine Editore, pp.3125 e ss.

[4] S. Del Lungo,Colonia..,op.cit., p.39.

[5] Plutarcus (da qui in poi Plut.),Vitae,Tiberius Graccus,(da qui in poi Tib.Grac.),VIII,10, il libro è quello “Ad Pomponium?”,v. Francesco De Martino, Storia della Costituzione Romana,II, seconda edizione,Napoli,1973,p.463, nota n.9.

[6] Vedi ad es. Varro, Marcus Terentius (da qui in poi Varr.), De Re Rustica (da ora in poi R.r.),I,16,5; I.186.5, cfr.Vincenzo Allegrezza, “Oliveti e produzione olearia tra repubblica e principato nell’arco del Mignone: proposta interpretativa della relazione tra la villa catoniana e la fattoria a conduzione familiare”,Bollettino della Società Tarquiniese di Arte Storia,XXXIII,2004,p.49 e ss.

[7] Antonio Mazzarino,Sociologia del Mondo Etrusco e problemi della tarda antichità, Historia VI,1957,p.98-122.

[8] Sugli aspetti giuridici e sociali del divieto di spostare i cippi vedi Gromatici Veteres,op.cit.,pp.348-350 L, commentati in opera monografica di Alfredo Valvo, La profezia della Ninfa Vegoia, proprietà fondiaria e aruspicina in Etruria nel I sec.a.C., Pisa ,1983 e catalogo della mostra realizzata a Venezia,a cura di Mario Torelli: “Gli Etruschi”, Bompiani editore, Venezia, 2000,p.270-271.

[9] Su questo tema, per la realtà riferibile al diritto romano v. Digesta Iustiniani Augusti 10.1.0, par. “Finium regundorum”.

[10] Varr.R.r.1,17.

[11] Vedi V.Allegrezza,Le fattorie romane nell’Arco del Mignone, un sistema territoriale economicamente organizzato (IV sec. a.C-III sec.a.C.), Rivista di Storia dell’Agricoltura, Anno XLVII,Accademia dei Georgofili,Società Editrice Fiorentina,Firenze,2008,pp.80-81.

[12]Columella, Lucius Iunius Moderatus (da ora in poi Col.),De Re Rustica (da ora in poi R.R.),VII.6.9, Varr.R.r.II.10.7.Per maggiori considerazioni ed approfondimenti vedi W.Scheidel, Fedarbeit von Frauen in der Antiken Landwirtschaft,Gimnasium, 97 (1990),pp. 405-431,spec.pp.410-411. I pastori, che giravano armati per le campagne, furono considerati un vero e proprio pericolo, Cicero, Marcus Tullius, (da qui in poi Cic.), Actio secunda in Verrem,II.5.17.

[13]Vedi l’osservazione interessantissima di Catherine Salles,I bassifondi dell’Antichità, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,1994, p. 217.

[14] Plut. Tib. Grac.,IX,3, la traduzione è tratta da “Classici Greci”,collezione diretta da Italo Lana, Vite di Plutarco,Volume V°,a cura di Gabriele Marasco,p. 907.

[15] V. su ciò, Francesco De Martino, Storia della..,op.cit. ,p.507,contro le leggi coloniarie si accese in modo particolare la lotta degli Ottimati, ovvero la classe senatoriale. Il territorio etrusco tardo ellenistico intorno Capua fu oggetto di particolare attenzione da parte dei Gracchi, oltre una assegnazione di terreni a Volterra, v. Gromatici Veteres. Liber Coloniarum, op.cit., p.214, ivi troviamo anche una colonia a Capua , per la assegnazione di lotti di terreni dell’ager relativo, il più fertile del suolo italico:Velleius Paterculu, Historia Romana,I,14,3;II,44,4; Plut. Tib. Gr.,VIII,3;Appianus Alexandrinus (da ora in poi App.), Bellum Civile (da ora in poi Bell.Civ), I, 23,98.

[16] Vedi infra,nota 33 per la fonti epigrafiche.

[17] D. Brendan Nagle, The Etruscan Journey of Tiberio Gracchus, in Historia, 25,1975,pp.487-489.

[18] Cosa, colonia del 273 a.C., mediante l’Aurelia, fu collegata a Roma probabilmente già a partire dal 241 a.C.. L’Appia, la Latina, la Tiburtina e la Valeria, la Salaria, la Flaminia, l’Emilia, la Postumia, l’Aurelia, la Cassia, la Clodia e le due Popiliae furono le strade che giocarono un ruolo di primo piano nell’unificazione della penisola da parte dei romani (su ciò vedi L. Quilici, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio, Roma, 1990, p. 17). Da notare che una Legge Sempronia Viaria, promossa proprio da C.Gracco, in qualità di tribuno della plebe (Plut.Vitae,Caius Graccus,7 e anche App. Bell.Civ. I, 23,), autorizzò la costruzione di strade, uno dei pochi casi attestati nelle fonti.

[19] Talora i percorsi proprio per questo si allungavano notevolmente. Piccoli erano i raggi di curvatura consentiti e questo anche a causa delle caratteristiche di funzionamento meccanico dei carri . Su ciò v. L. Quilici, Le strade …,op.cit., p. 20 e ss.

[20] Sono le note epigrafi di liberti ellenistici, CIL XI 3698,CIL XI 3693 , CIL XI 3694.V. Sulla gens etrusca dei Tarxna-tarquitii di Caere vedi “L.Tarquitius.”,in T. Mirenda , Caere : Dal V sec. a.C. alla prima età imperiale,in Caere ed il suo territorio, da Agylla a Centum Cellae, Libreria dello Stato , Istituto Poligrafico e Zecca dello stato, Roma 1990,p.53.

[21] Col.R.r.III.9,6, cfr. F.Enei, Cerveteri. Ricognizioni archeologiche nel territorio di una città etrusca,Gruppo Archeologico Romano,1993, pp.43,e ss..e il recente Progetto Ager Caeretanus, il litorale di Alsium, S.Marinella, 2001,p.217.

[22] App. Bell. Civ.,3,54,e 14,60 cita Munnius; Plut.Tib.Grac., XXII, 2;  XVIII, 1, parla di Mucius, che si ritrova in una importante moneta d’argento, in cui si trova una Columna Minucia, (decorata con tintinnabula e supportante una statua) che , in qualche modo sembrerebbe commemorare un antenato che si contraddistinse nella sua liberalità nel distribuire derrate al popolo. Inoltre , vi si trova l’interessante simbolo sacerdotale del lituo.

[23] Gellius, Aulus, Noctes Atticae, L. VI, XIX.

[24] Pluth.Tib.4,1.“Tiberio dunque, appena uscito dalla fanciullezza, aveva una tale reputazione che fu ritenuto degno del sacerdozio detto degli Auguri , più per la sua virtù che per nascita”.Traduz. Italo Lana, op.cit.

[25] Plu. Tib. Gr. X. 7.

[26] App. Bell. Civil. I, 12, 48.

[27] Plut. Tib. Grac. X, 8;

[28] App. Bell. Civ I,12,49-50.

[29]Il passo dei Gromatici veteres,op.cit.,p.219,9-10.

[30] Le epigrafi attestano che Tarquinii divenne municipio retto da quatuorviri (CIL, XI, 3367; 3375; 3379; 3381; ecc.). Cicerone (Pro Cecina, 4, 10) ci parla della città come municipio.

[31]Gromatici Veteres, Liber Coloniarum…,op.cit.,p.220,1-7.

[32] Enrico Angelo Stanco, in Caere ed…,op.cit.,con disegni, p.124.

[33]CIL I-2,639, 640 ,641,642,643,644,645.

[34] De Martino, Gromatici…, op. cit., p. 3133. I nostri sembrano più evidenziare una loro utilità meramente gromatica piuttosto che celebrativa, in quanto le lettere sono impresse sulla pietra locale, mentre quelli che abbiamo preso come termine di paragone sono ben più elaborati e celebrativi. Tuttavia entrambe le tipologie di cippi, quando disvelano la loro funzione gromatica hanno una forte somiglianza, come l’angolo goniometrico, con al fianco delle lettere, di cui al CIL I-2,645. I nostri di cippi hanno una peculiarità che li differenzia da quelli in CIL, I-2, p.511, per essere forse riferibili ad un territorio fittamente abitato da “casae”.

[35] Vedi M. Incitti, Alcuni aspetti economici dell’area dei Monti della Tolfa,in Da Agylla a Caere..,op.cit.,pp.120-125., S. Fontana, La villa romana in località Farnesiana e la villa di Casale Aretta, ibidem, pp. 119-121.

[36] A. Maffei, Civitavecchia ed il suo entroterra dal V secolo all’inizio del IX , nel catalogo della mostra “Civitavecchia ed il suo entroterra durante il medioevo”, Civitavecchia, 1986, pp.46 e ss. che commenta Reg. Farf. Vol.II p.85 doc.92. (Ma vedi ancora Reg. Farf., doc. 273, 328, 404, 438, commentati in C. Calisse, Storia di CIvitavecchia, ed. 1936, p. 83).

[37] Vedi V. Allegrezza, Il viaggio di Tiberio…, p.11.

[38] Vedi V. Allegrezza, Le fattorie.., op.cit, p.59

[39] Vedi Maffei in Civitavecchia…, op.cit., 1986, pp.49 e ss., che commenta Reg. Farf. vol.III, pag.54 doc.352.

[40] Vedi Le Liber pontificalis, Texte, introduction et commentare, L’Abbe L.Duchesne, Tomo Second, Paris, Ernest Thorin,Editur,1892,pp. 131, XCIX,548 e ss., riportato in C.Calisse Storia di Civitavecchia, Firenze,1936, p.732 APP.IX; Odoardo Toti in Appendice I, di Storia di Civitavecchia , vol.III , Civitavecchia, 1997.

[41] Giovanni Insolera, Iscrizioni e stemmi pontifici nella storia di Civitavecchia ,Associazione Archeologica Centumcellae, p.15,che richiama Lucretius, Titus, Caro, De Rerum Natura, V, 932; V,955.

Ho scoperto con grande sorpresa e piacere che il prof. Stefano Del Lungo ha realizzato un’ampia dissertazione[1] su un argomento che è fortemente connesso con quello a cui io stesso ho dedicato un articolo uscito, tra l’altro, in perfetta contemporaneità[2].

Il punto di partenza di entrambi è il dato storico della realizzazione di una “colonia Tarquinios” tramandataci dai “Gromatici Veteres”[3] che entrambi collochiamo nell’ampia area territoriale contrassegnata dalla presenza del bacino del fiume Mignone e dai Monti della Tolfa.

Il secondo aspetto rilevante affrontato da Del Lungo nel predetto lavoro[4] è quello della permanenza, la resistenza, in epoca medievale, di un’organizzazione amministrativa e giuridica unitaria di quei territori che furono imputabili alla predetta colonia. Anche questo elemento è perfettamente congruente con la mia impostazione, che non poteva che essere quella dello storico del diritto romano, quale sono.

Il mio punto di partenza è infatti basato sullo studio del substrato socio-economico che sta alla base della realizzazione di quella Colonia da parte di Tiberio Gracco.

Secondo un notissimo resoconto di viaggio, fu mentre attraversava l’Etruria, sulla strada per imbarcarsi da Porto Ercole per la volta dell’Iberica Numanzia, che Tiberio Gracco notò la scarsezza di abitanti liberi cittadini Romani, e che coloro che coltivavano la terra o guardavano le greggi erano schiavi stranieri. Fu a causa di queste constatazioni, di campi lasciati all’abbandono e alla povertà, asserì Caio, che più tardi suo fratello Tiberio decise di intraprendere la sua carriera politica rivoluzionaria che conosciamo. Caio più tardi, in un suo libro[5], testimoniò questi fatti, e asserì che suo fratello da essi trasse ispirazione per procedere alla sua riforma. Tra gli obiettivi raggiunti dalla riforma, di cui ricorderemo i tratti salienti di qui a poco, vi fu proprio la deduzione della predetta “colonia Tarquinios”, cioè di una entità giuridico-amministrativa, che viene qualificata come “colonia”, in un’area che più avanti ubicheremo e delimiteremo.

Il programma politico di Tiberio Gracco fu a favore di una classe di romani impoveriti e, probabilmente, di piccoli agricoltori autoctoni, che avevano fame di terra. Quella stessa terra che rimaneva non di rado incolta e abbandonata, per lo più adibita ad ager publicus, ma occupata dalle grandi aziende di familiae senatoriali, a volte di origine etrusca[6].

L’aristocrazia romana era divenuta, in effetti, una realtà allargata a potenti familiae etrusco-italiche che mantenevano intatti certi aspetti sociologici[7] di origine “arcaica”. Queste ultime, infatti, avevano al loro seguito un coacervo di asserviti, che potevano avere la veste di varie forme giuridiche nel diritto romano.

In sostanza, ai tempi di Tiberio Gracco la popolazione delle campagne etrusche si riduceva sempre di più ad agricoltori impoveriti, sottoposti, subordinati, alcuni semplici braccianti, altri affittuari di terreni. Questo coacervo di subordinati erano i nuovi abitanti che avevano sostituito i vecchi, per lo più piccoli proprietari, considerati il nerbo dell’esercito romano, letteralmente scacciati dalle loro case, non di rado con la violenza, dai servi dei ricchi possidenti. Il processo fu graduale e in pieno corso al tempo dei Gracchi. Ci è noto che i mezzi per accaparrare terra furono i più subdoli: i servi e i pastori dei ricchi possidenti frodavano sulla vera ubicazione dei confini dei terreni sottraendo terra, a poco a poco, mediante lo spostamento della collocazione dei cippi[8], i segnacoli di confine che dividevano e circoscrivevano sia i fondi privati che l’ager publicus. Un’azione, questa, effettuata occultamente ogni anno, piano, piano, che aveva l’effetto di rendere incerte le dimensioni di molti terreni[9] a discapito di altri che “misteriosamente” aumentavano le loro dimensioni in iugera.

Invece di un popolo di agricoltori che poteva divenire un esercito organizzato, all’occorrenza, un principio affermato nella Repubblica Romana ormai da tempo, Tiberio vide che la base degli strati più infimi e di coloro che erano senza terra, con unica proprietà quella dei figli, diveniva sempre più ampia: in sostanza aumentavano i poveri braccianti stagionali senza terra fissa, e spesso migranti stagionali si spostavano per i tratturi che ancora oggi si possono trovare in cima alle alture.

Si trattava di quei “pauperculi cum sua progenie[10]”, ovvero poveretti con tutta la famiglia, e i figli, anche minori, al seguito, che andavano a cercare lavoro per sfamarsi, e lavoravano quando le stagioni come la fienagione e mietitura richiedevano manodopera ulteriore nelle grandi aziende[11].

Alla luce di quanto abbiamo detto, quindi, è ragionevole ritenere che quei campi erano visibilmente popolati da frotte di uomini, alcuni braccianti senza “nome”, altri anche armati e capitanati da una figura, il “magister pecoris[12]”, che accudivano agli armenti, quasi sempre schiavi stranieri. Gente straniera che era aumentata nella fine del II sec. a.C., malvista dai piccoli proprietari anche perché girava in armi.

Il pacchetto di riforme proposte da Tiberio Gracco nacque in reazione a questo quadro.

A tal proposito, come non ricordare il passo di Plutarco in cui Tiberio, a detta di alcuni[13] sintetizzò con una mirabile orazione intrisa di veemenza e indignazione quella visione di abbandono, di miseria, di un popolo frustrato, percepita proprio durante quel famoso viaggio: « Gi animali selvaggi che vivono in Italia hanno ciascuna una tana,un covo, un rifugio, mentre coloro che combattono e muoiono per l’Italia non hanno nient’altro che l’aria e la luce e vagano con i figli e con le mogli, senza casa e senza fissa dimora; i generali mentono quando, nelle battaglie, esortano i soldati a combattere i nemici in difesa delle tombe e dei santuari, poiché fra tanti Romani, nessuno ha un altare famigliare né un sepolcro degli antenati, ma combattono e muoiono per il lusso e la ricchezza altrui e, mentre sono chiamati padroni del mondo, non hanno una sola zolla di terra che sia di loro proprietà»[14].

In seguito a questa visione egli maturò il convincimento profondo che bisognava rigenerare quella classe politica di piccoli-medio agricoltori che andavano scemando, o entrando nelle maglie di quelle classi di grandi imprenditori agricoli. In questo senso, tra le importanti iniziative politiche propugnate ed in parte realizzate da parte del fratello Caio, deve annoverarsi la legge “de coloniis deducendis” volta allo sfollamento dalla capitale dei proletari e dalle campagne dei braccianti disoccupati, mediante la fondazione e deduzione di colonie[15]. Le assegnazioni furono affidate ad un triunvirato di cui vi è testimonianza anche nelle fonti epigrafiche dei cippi[16].

La colonia fu uno strumento politico per sollevare una massa di diseredati dalla condizione che versavano, e forse, nel contempo, limitare il potere delle grandi aziende agrarie che si estendevano a dismisura a discapito dei fondi dei piccoli-medi proprietari, come abbiamo visto. Detto tutto ciò, si deve ritenere che la Colonia Tarquinios fu tra le prime nuove colonie, che venne dedotta, presumibilmente, proprio in quel territorio dell’Etruria Meridionale, che molto colpì l’immaginazione di Tiberio.

Dunque, ad essere “rivitalizzati” da nuove assegnazioni di terre, devono essere stati quei terreni dell’Etruria che nel memorabile viaggio a Tiberio apparvero in quelle condizioni sopra descritte. Ma dove collocare la “Colonia Tarquinios” ?

Certamente in quelle terre che si trovavano tra Caere e Tarquinii. Infatti alla luce di un esame storico-archeologico molto plausibile[17], non vi può esser dubbio che Tiberio vide proprio quell’ager di Tarquinii durante il suo viaggio, in quanto la via Aurelia,che passava in quei territori, era la più comoda da intraprendere per imbarcarsi sulla nave che avrebbe salpato da Porto Ercole. Nel viaggiare alla volta della Spagna, Tiberio aveva tre possibilità nello scegliere le vie che gli si aprivano innanzi: la via Flaminia, Cassia ed Aurelia[18]. Indubbiamente le prime due non erano le strade migliori da intraprendere dal punto di vista della comodità[19]. Quindi, fu proprio lo spettacolo dei campi attraversati dall’Aurelia che impressionò Tiberio.

Tuttavia, alcuni hanno eccepito che le fonti archeologiche ci disegnano un quadro che ci dimostra un ricco popolamento che è in netto contrasto con il resoconto Graccano. Alcuni dati, invece, sono perfettamente concordi con il medesimo: si tratta di fonti epigrafiche di Cerveteri che ci parlano di una discreta quantità di schiavi ellenistici importati[20] riferibili alla fine del II sec.a.C. Ora i dati, la fonte storiografica, solo apparentemente sembrano discordare con questa realtà, in quanto nelle familiae etrusche abbiamo quel “mondo” disegnato sopra. Tuttavia una realtà schiavistica molto sviluppata esiste con certezza a Caere solo con Nerone, nel fondo di Columella dove tuttavia ancora resistono credenze cultuali autoctone [21].

Di sicuro vi fu un impoverimento, quello dei piccoli agricoltori, che venne visto anche nelle campagne dell’Ager Tarquiniensis e che spinse Tiberio all’intrapresa di quel pacchetto di riforme che contraddistinse la sua azione politica, interrotta prematuramente dalla sua morte in un tumulto dove, assalito alle spalle, fu finito con un piede di legno di una sedia da uno dei suoi avversari politici. Forse non fu un caso che le riforme dei Gracchi presero le mosse da quella classe politica che diede esponenti come un Tribuno della Plebe, Q.Munio o forse Minucius Augurinus [22], augure di famiglia ricca e potente d’origine etrusca, che deve essere stato forse il medesimo che ci ha tramandato Aulo Gellio, come il tribuno irrogante una multa a Scipione Emiliano, che non aveva rispettato i limiti stabiliti dalla legge per il possesso di terreni[23] in un periodo antecedente all’attività politica dei Gracchi, in quanto questi erano ancora troppo giovani.

Nella rivoluzione di Tiberio Gracco, l’Augurino, ebbe fondamentale importanza.

E’, infatti, opinione comune che grazie ad un tribuno, Q. Mucio o Minucio Augurino, da identificarsi con il nostro, si devono le stesse prime riforme attuate da Tiberio Gracco, che fu augure egli stesso[24]. Anzi per meglio dire, si ebbe il primo successo d’ordine politico dei solidali dei Gracchi, in quanto grazie alla stessa nomina a tribuno dell’Augurino, venne dimissionato un altro tribuno, un tale Ottavio, acerrimo oppositore delle riforme volute dai Gracchi, espressione del potere senatorio, ricco possidente di estese terre[25]. Fervente oppositore della legge agraria proposta da Tiberio Gracco, usò il suo potere di veto per impedire, avvalendosi dei poteri di tribuno, che la legge venisse votata, così (secondo l’opinione dello stesso Tiberio) abusando della carica stessa[26]. La tesi di quest’ultimo fu largamente condivisa: il tribunato, infatti, era una carica investita del potere di apporre il veto alle leggi solo a garanzia dei plebei, non contro il loro interesse[27]. Ma il cambiamento di quella che oggi chiamiamo la “costituzione materiale”, ovvero il modo di intendere la “Res Publica”, da parte degli uomini vicini ai Gracchi, lo costrinsero alle inevitabili dimissioni. Tanta fu l’avversione del popolo per Ottavio che fu costretto a sfuggire alla folla inferocita dei plebei[28], dimettendosi, come si è detto, dalla carica stessa. E, allora, ad esso si surrogò quell’uomo chiave di cui poc’anzi si è detto, con grandi tradizioni etrusche d’origine antichissima.

Il substrato economico-sociale, il maggiore sostegno delle riforme dei Gracchi, che ebbero l’avvio grazie ad un esponente di una famiglia etrusca, devono ricondursi forse a quegli agricoltori medio-piccoli che anche nelle campagne etrusche attendevano delle riforme che potessero costituire un argine alla voracità delle grandi familiae di cui sopra.

Ipoteticamente dall’Augurino - esponente di una classe di agricoltori d’origine etrusca di orientamento riformatore- partì, presumibilmente, la spinta a dedurre una “nuova” Tarquinii che si affiancava alla vecchia, per far fronte a quella realtà in cui andava scomparendo il piccolo agricoltore.

Il problema maggiore da risolvere è quello relativo al luogo dove collocare la colonia.

Se ci volessimo addentrare nella ricerca della colonia dedotta “lege Sempronia”, potremmo partire dai Gromatici Veteres che la descrivono in modo accurato nelle sue dimensioni, precisando la sua estensione.

Essa doveva interessare un’area montana e una costiera, come un quadrilatero che doveva avere nel mare uno dei confini[29]. Inoltre tale “colonia” doveva, sotto il profilo amministrativo, riguardare una variegata morfologia di territori, da quello montano a quello pianeggiante, fino ad arrivare a quello marittimo. Aspetto molto importante era costituito dal fatto che si trattava di un’area circoscritta da cippi silicei.

Per dare una risposta alla collocazione geografica dobbiamo fare innanzi tutto dei rilievi a carattere storico. Un dato di questa vicenda non deve sottovalutarsi: vi fu uno spostamento di popolo, di classi sociali depresse da una Tarquinii “antica”, sorgente sull’omonimo colle, oggi “Pian della Civita,” ad una Tarquinii nuova. Alla visione di impoverimento la risposta fu uno spostamento di forze presso un altro luogo, la “nuova” Tarquinii, appunto. Una migrazione di elementi appartenenti ad un populus a cui venivano attribuiti nuovi terreni da dissodare.

Ora, se escludiamo il sito di Tarquinii della tradizione etrusco-arcaica, che ebbe dopo la sua conquista dignità di municipio[30], vi deve essere stata un’altra area che venne ritenuta di una certa importanza strategica, e che, per il fatto di essere occupata per lo più da etruschi oriundi di Tarquinia, quegli impoveriti che i Gracchi aiutarono con la deduzione della colonia medesima, prese il nome di Tarquinii.

Quale fu la sua ubicazione?

Innanzi tutto non deve essere stato un esodo da un luogo ad un altro del suolo italico, bensì la nuova realtà giuridico-amministrativa deve aver visto la luce in un’area non molto lontana da quella che era stata la sede precedente di quel popolo. Si tratta di un’osservazione di carattere logistico. Ciò, inoltre, si ricava dal Liber Coloniarum dei Gromatici Veteres che colloca la Colonia Tarquinios tra quelle dell’Etruria (Tuscia), annoverandola, nella elencazione, immediatamente prima di quella realizzata successivamente da Augusto, ed ubicata in quella porzione di area corrispondente a Gravisca (Colonia Graviscos)[31]. Tale colonia fu realizzata sulla costa, nell’area portuale di quella che fu l’etrusca Tarquinii.

Da ultimo ci vengono in aiuto dei dati archeologici per collocare topograficamente la colonia graccana. L’aspetto rilevantissimo è che la geografia che si ricava dai Gromatici Veteres di una colonia delimitata da cippi silicei ha un raffronto con una realtà archeologica molto rilevante. Si tratta di eccezionali segnacoli in pietra locale con epigrafi, che sono dislocati in località poste all’interno di un vero e proprio utero naturale, disegnato da una voluta del percorso del fiume Mignone. Sono cippi dislocati in luoghi di un certo fascino: sono le località di Grasceta dei Cavallari, Grasceta Tittarella, Piantangeli, Sasso della Strega, che fin dall’epoca etrusca sono sottoposti ad una frequentazione cultuale come accade nel primo toponimo citato o presso Ripa Maiale, ad esempio. In queste aree, frequentate fin da epoca preistorica, si collocano i suddetti cippi, che sembrano avere una collocazione in relazione goniometrica, in diretto riferimento al fiume Mignone[32].

Non possiamo con certezza ricondurre questi cippi gromatici a quelli arcinoti, che portano i nomi dei Gracchi o della commissione istituita “ Lege Sempronia”[33] che sono costituiti da pietre elaborate, smussate, a volte di marmo. Dalle pietre di cui stiamo discutendo, invece, non si ricava alcun dato a favore, purtroppo, di una loro riconduzione all’assegnazione di terra operata dai Gracchi, fatta eccezione per le interessanti similitudini che emergono dalla posizione delle lettere e la conformazione degli angoli goniometrici su essi apposti. Le “epigrafi” che si trovano nei cippi c.d. “Graccani” sono più “loquaci”[34],e sembrano avere un intento celebrativo. Mentre per i nostri si può solo rilevare che l’uso della pietra vergine nasconda l’intento di continuare a mantenere lo stato dei luoghi “intatto”, senza aggiunte architettoniche esterne, forse perché quei luoghi erano avvolti da una sorta di sacralità.

Al di là di tutto abbiamo individuato un’area in cui ci sono dei cippi silicei, come nella descrizione dei Gromatici Veteres, ma esiste una realtà urbana a cui poter ricondurre questi cippi? Esiste cioè una realtà archeologica di insediamenti abitativi che possono essere annoverati nella definizione di “colonia”?

Un’area “indiziata”, a cui forse fanno riferimento i cippi, potrebbe essere l’ubicazione topografica dell’“Aretta”[35],vicino la medievale “Cencelle”, dove si può riscontrare una realtà di fondi d’epoca romana, con fattorie molto vicine, tanto da far pensare ad una sorta di abitato pseudo-urbano, secondo Antonio Maffei[36]. Queste strutture sono abitazioni con una pars produttiva, e quindi anche sotto il profilo economico sono distinte. Si tratta, probabilmente, di un complesso di edifici riconducibili, sotto il profilo giuridico-amministrativo, ad un vicus[37].

Ma tutto il territorio circostante intorno il bacino naturale del Mignone è in quest’area caratterizzato da fattorie romane, per lo più a gestione unifamiliare, che potremmo definire solo approssimativamente “villae”[38].

Si tratta di presenza molto articolata di realtà produttive e fondiarie, le cui dimensioni catastali e produttive non trovano obliterazione ancora nel 939, anno in cui delle strutture fondiarie ed aziendali vengono fatte oggetto di un contratto[39] da cui ricaviamo, tra l’altro, straordinarie reminiscenze paleo-topografiche ed archeologiche nel territorio che consideriamo. Senza parlare che nel IX secolo in questa area viene dedotta la colonia di Cencelle ad opera di Leone IV. Si tratta di un territorio che doveva essere caratterizzato da una ampia rete catastale unitaria sotto il profilo amministrativo. Esso si estende da un lato delimitato dal fiume Mignone, da un altro da alcune realtà montane e pedemontane, (in cui per lo più insistono i cippi di cui sopra), e scende in un rapido declivio verso la zone pianeggianti, fino a raggiungere il mare.

In tutto il territorio che è caratterizzato da questa ansa del fiume Mignone vi sono insediamenti romani, molti dei quali occupati ancora in età graccana; si tratta di fattorie romane, ovvero di realtà produttive autonome. Da rilevare che il territorio montuoso avvolto da questa voluta del fiume devolve rapidamente verso la pianura, per poi raggiungere il mare. Come nella descrizione del territorio della colonia da parte dei Gromatici Veteres .

Ora questa articolazione dell’urbanizzazione del territorio si può definire colonia nel senso del passo dei Gromatici Veteres ? Si deve ritenere che tale “colonia” non dovette necessariamente avere le caratteristiche di un centro urbano delimitato da mura, ma poté consistere in una urbanizzazione del territorio caratterizzata da un’ampia delineazione di lotti assegnati a singoli agricoltori, capi famiglia. D’altro canto la delimitazione dei Gromatici Veteres è la descrizione non di un abitato ma di una realtà più complessa sotto il profilo geografico, come a dire che la realtà amministrativa costituita da una “colonia” fosse coincidente con un territorio caratterizzato da vari fondi assegnati a numerosi individui.

Ritornando a tutti gli elementi rilevati, vi è anche una spinta ideologica di Tiberio Gracco e di una sorta di pietas nei confronti di quel popolo che vaga nelle campagne, spogliato perfino delle loro case, e la troviamo in quel famoso e riportato discorso. Non è da escludere che Tiberio pensasse proprio a quegli etruschi, diventati cittadini romani, ma che erano stati impoveriti dal fenomeno sopra descritto. Allora la realizzazione della “Colonia Tarquinios”, forse, deve essere stata accompagnata dall’immagine di questi cittadini romani (che erano d’origine etrusca), che, finalmente, potevano avere quella casa di cui erano stati spogliati. Alla luce di quello che ho detto, nella ricostruzione storica della realtà della deduzione della più volte citata colonia graccana, vi è un vero e proprio trasferimento di una classe sociale, costituita da diseredati e impoveriti, da un luogo ad un altro. Si tratta di un elemento che ricorre nella vicenda della fondazione della nuova Tarquinii.

A questo punto un’altra importante coincidenza si inserisce nella mia analisi.

L’esodo di un popolo oppresso, in sostanza, è il mito che sta alla base ideologica di un altro importante passo a noi noto, si tratta di quello relativo alla fondazione della colonia medioevale Cencelle in cui gli abitanti della città costiera, oppressi anche loro dalla presenza dei Saraceni sulla costa, vengono descritti come delle belve, delle fiere che vagano per le campagne e per i boschi, eleggendo essi a loro dimora. Si tratta dell’immagine dove gli abitanti della antica Centum Cellae romana «….more bestiarum, relictis sedibus propriis ob timorem Saracenorum, per opaca silvarum montesque incognitos sua domicilia populus dedicavit…»[40].

Non c’è dubbio che il famoso sogno mitico del papa che fonda Cencelle si sia riferito ad un topos retorico, indubbiamente risalente e di epoca romana, come è stato giustamente rilevato dal prof. Giovanni Insolera [41], il quale fa il parallelo con il “De rerum Natura” di Lucrezio. Anche l’accostamento con il suddetto discorso dei Gracchi si inserisce nel medesimo filone. Tuttavia il “more bestiarum” potrebbe andare oltre il senso di un semplice topos retorico, e lascia lo spazio ad una ipotesi . Essa nasce dalla suggestione che Leone IV, si sia atteggiato ad una sorta di nuovo Tiberio Gracco, egli infatti, come quest’ultimo, dava una casa ad una massa di diseredati che erano ridotti ad adibire a propria abitazione i monti e le selve come delle bestie, e che questa casa era costituita dalla colonia di Cencelle.

La colonia di Cencelle nasceva per accogliere gli abitanti della Centum Cellae romana, sconvolta dalle scorrerie saracene. La nuova realtà urbana prendeva il nome medesimo di quella antica, per sottolineare che si trattava del medesimo populus.

Tuttavia anche questo potrebbe essere stato attinto, semplicemente, dalla storia romana; anche il dare il medesimo nome della città da cui era derivato il gruppo sociale che va ad occupare il nuovo sito, potrebbe ricalcare questo modus operandi: la colonia di Cencelle dalla romana Centum Cellae, colonia Tarquinios da Tarquinii.

Tuttavia anche questi elementi rappresentano un dato importante. Ma la coincidenza più interessante è costituita dal fatto che la colonia di Cencelle sorgeva nel territorio in cui dovette sorgere la graccana colonia.

Allora potrebbe essere stato utilizzato un medesimo mito per la fondazione di entrambe le città. Leone IV ha attinto ad un mito di fondazione che ricalcava quello che era stato alla base della nascita della Colonia Tarquinios? Un mito di fondazione persistente ancora in quei luoghi nonostante il trascorso di tanti secoli? Si tratta solo di una ipotesi, ma ricca di suggestioni topografiche, storiche ed archeologiche.



[1] Stefano Del Lungo, Colonia Tarquinios: popolamento e viabilità in finibus Maritimae nell’Alto Medioevo, in: Atti del convegno di studio, Corneto medievale:territorio, società, economia e istituzioni religiose, a cura di Alfio Cortonesi, Anna Esposito, Letizia Pani Ermini, Bollettino 2007, Società Tarquiniese d’Arte e Storia,Tarquinia, pp.9-67.

[2] Vincenzo Allegrezza, L’itinerario di Tiberio Gracco, quello (mistico) di Leone IV e l’itinerario dei poveri, Bollettino Maggio 2008, Società Storica Civitavecchiese, pp.5-15.

[3] Gromatici Veteres ex recensione Caroli Lachmanni,voll.Duo,I,Berlin,1848,passo del“Liber Coloniarum I,Tuscia”, p.219,1-10; sulla attendibilità di Gromatici Veteres in tema della deduzione di tali colonie GRACCANE,vedi Francesco De Martino, Gromatici e questioni graccane in SODALITAS: Scritti in onore di Antonio Guarino, vol. 7, Napoli, 1984, Iovine Editore, pp.3125 e ss.

[4] S. Del Lungo,Colonia..,op.cit., p.39.

[5] Plutarcus (da qui in poi Plut.),Vitae,Tiberius Graccus,(da qui in poi Tib.Grac.),VIII,10, il libro è quello “Ad Pomponium?”,v. Francesco De Martino, Storia della Costituzione Romana,II, seconda edizione,Napoli,1973,p.463, nota n.9.

[6] Vedi ad es. Varro, Marcus Terentius (da qui in poi Varr.), De Re Rustica (da ora in poi R.r.),I,16,5; I.186.5, cfr.Vincenzo Allegrezza, “Oliveti e produzione olearia tra repubblica e principato nell’arco del Mignone: proposta interpretativa della relazione tra la villa catoniana e la fattoria a conduzione familiare”,Bollettino della Società Tarquiniese di Arte Storia,XXXIII,2004,p.49 e ss.

[7] Antonio Mazzarino,Sociologia del Mondo Etrusco e problemi della tarda antichità, Historia VI,1957,p.98-122.

[8] Sugli aspetti giuridici e sociali del divieto di spostare i cippi vedi Gromatici Veteres,op.cit.,pp.348-350 L, commentati in opera monografica di Alfredo Valvo, La profezia della Ninfa Vegoia, proprietà fondiaria e aruspicina in Etruria nel I sec.a.C., Pisa ,1983 e catalogo della mostra realizzata a Venezia,a cura di Mario Torelli: “Gli Etruschi”, Bompiani editore, Venezia, 2000,p.270-271.

[9] Su questo tema, per la realtà riferibile al diritto romano v. Digesta Iustiniani Augusti 10.1.0, par. “Finium regundorum”.

[10] Varr.R.r.1,17.

[11] Vedi V.Allegrezza,Le fattorie romane nell’Arco del Mignone, un sistema territoriale economicamente organizzato (IV sec. a.C-III sec.a.C.), Rivista di Storia dell’Agricoltura, Anno XLVII,Accademia dei Georgofili,Società Editrice Fiorentina,Firenze,2008,pp.80-81.

[12]Columella, Lucius Iunius Moderatus (da ora in poi Col.),De Re Rustica (da ora in poi R.R.),VII.6.9, Varr.R.r.II.10.7.Per maggiori considerazioni ed approfondimenti vedi W.Scheidel, Fedarbeit von Frauen in der Antiken Landwirtschaft,Gimnasium, 97 (1990),pp. 405-431,spec.pp.410-411. I pastori, che giravano armati per le campagne, furono considerati un vero e proprio pericolo, Cicero, Marcus Tullius, (da qui in poi Cic.), Actio secunda in Verrem,II.5.17.

[13]Vedi l’osservazione interessantissima di Catherine Salles,I bassifondi dell’Antichità, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,1994, p. 217.

[14] Plut. Tib. Grac.,IX,3, la traduzione è tratta da “Classici Greci”,collezione diretta da Italo Lana, Vite di Plutarco,Volume V°,a cura di Gabriele Marasco,p. 907.

[15] V. su ciò, Francesco De Martino, Storia della..,op.cit. ,p.507,contro le leggi coloniarie si accese in modo particolare la lotta degli Ottimati, ovvero la classe senatoriale. Il territorio etrusco tardo ellenistico intorno Capua fu oggetto di particolare attenzione da parte dei Gracchi, oltre una assegnazione di terreni a Volterra, v. Gromatici Veteres. Liber Coloniarum, op.cit., p.214, ivi troviamo anche una colonia a Capua , per la assegnazione di lotti di terreni dell’ager relativo, il più fertile del suolo italico:Velleius Paterculu, Historia Romana,I,14,3;II,44,4; Plut. Tib. Gr.,VIII,3;Appianus Alexandrinus (da ora in poi App.), Bellum Civile (da ora in poi Bell.Civ), I, 23,98.

[16] Vedi infra,nota 33 per la fonti epigrafiche.

[17] D. Brendan Nagle, The Etruscan Journey of Tiberio Gracchus, in Historia, 25,1975,pp.487-489.

[18] Cosa, colonia del 273 a.C., mediante l’Aurelia, fu collegata a Roma probabilmente già a partire dal 241 a.C.. L’Appia, la Latina, la Tiburtina e la Valeria, la Salaria, la Flaminia, l’Emilia, la Postumia, l’Aurelia, la Cassia, la Clodia e le due Popiliae furono le strade che giocarono un ruolo di primo piano nell’unificazione della penisola da parte dei romani (su ciò vedi L. Quilici, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio, Roma, 1990, p. 17). Da notare che una Legge Sempronia Viaria, promossa proprio da C.Gracco, in qualità di tribuno della plebe (Plut.Vitae,Caius Graccus,7 e anche App. Bell.Civ. I, 23,), autorizzò la costruzione di strade, uno dei pochi casi attestati nelle fonti.

[19] Talora i percorsi proprio per questo si allungavano notevolmente. Piccoli erano i raggi di curvatura consentiti e questo anche a causa delle caratteristiche di funzionamento meccanico dei carri . Su ciò v. L. Quilici, Le strade …,op.cit., p. 20 e ss.

[20] Sono le note epigrafi di liberti ellenistici, CIL XI 3698,CIL XI 3693 , CIL XI 3694.V. Sulla gens etrusca dei Tarxna-tarquitii di Caere vedi “L.Tarquitius.”,in T. Mirenda , Caere : Dal V sec. a.C. alla prima età imperiale,in Caere ed il suo territorio, da Agylla a Centum Cellae, Libreria dello Stato , Istituto Poligrafico e Zecca dello stato, Roma 1990,p.53.

[21] Col.R.r.III.9,6, cfr. F.Enei, Cerveteri. Ricognizioni archeologiche nel territorio di una città etrusca,Gruppo Archeologico Romano,1993, pp.43,e ss..e il recente Progetto Ager Caeretanus, il litorale di Alsium, S.Marinella, 2001,p.217.

[22] App. Bell. Civ.,3,54,e 14,60 cita Munnius; Plut.Tib.Grac., XXII, 2;  XVIII, 1, parla di Mucius, che si ritrova in una importante moneta d’argento, in cui si trova una Columna Minucia, (decorata con tintinnabula e supportante una statua) che , in qualche modo sembrerebbe commemorare un antenato che si contraddistinse nella sua liberalità nel distribuire derrate al popolo. Inoltre , vi si trova l’interessante simbolo sacerdotale del lituo.

[23] Gellius, Aulus, Noctes Atticae, L. VI, XIX.

[24] Pluth.Tib.4,1.“Tiberio dunque, appena uscito dalla fanciullezza, aveva una tale reputazione che fu ritenuto degno del sacerdozio detto degli Auguri , più per la sua virtù che per nascita”.Traduz. Italo Lana, op.cit.

[25] Plu. Tib. Gr. X. 7.

[26] App. Bell. Civil. I, 12, 48.

[27] Plut. Tib. Grac. X, 8;

[28] App. Bell. Civ I,12,49-50.

[29]Il passo dei Gromatici veteres,op.cit.,p.219,9-10.

[30] Le epigrafi attestano che Tarquinii divenne municipio retto da quatuorviri (CIL, XI, 3367; 3375; 3379; 3381; ecc.). Cicerone (Pro Cecina, 4, 10) ci parla della città come municipio.

[31]Gromatici Veteres, Liber Coloniarum…,op.cit.,p.220,1-7.

[32] Enrico Angelo Stanco, in Caere ed…,op.cit.,con disegni, p.124.

[33]CIL I-2,639, 640 ,641,642,643,644,645.

[34] De Martino, Gromatici…, op. cit., p. 3133. I nostri sembrano più evidenziare una loro utilità meramente gromatica piuttosto che celebrativa, in quanto le lettere sono impresse sulla pietra locale, mentre quelli che abbiamo preso come termine di paragone sono ben più elaborati e celebrativi. Tuttavia entrambe le tipologie di cippi, quando disvelano la loro funzione gromatica hanno una forte somiglianza, come l’angolo goniometrico, con al fianco delle lettere, di cui al CIL I-2,645. I nostri di cippi hanno una peculiarità che li differenzia da quelli in CIL, I-2, p.511, per essere forse riferibili ad un territorio fittamente abitato da “casae”.

[35] Vedi M. Incitti, Alcuni aspetti economici dell’area dei Monti della Tolfa,in Da Agylla a Caere..,op.cit.,pp.120-125., S. Fontana, La villa romana in località Farnesiana e la villa di Casale Aretta, ibidem, pp. 119-121.

[36] A. Maffei, Civitavecchia ed il suo entroterra dal V secolo all’inizio del IX , nel catalogo della mostra “Civitavecchia ed il suo entroterra durante il medioevo”, Civitavecchia, 1986, pp.46 e ss. che commenta Reg. Farf. Vol.II p.85 doc.92. (Ma vedi ancora Reg. Farf., doc. 273, 328, 404, 438, commentati in C. Calisse, Storia di CIvitavecchia, ed. 1936, p. 83).

[37] Vedi V. Allegrezza, Il viaggio di Tiberio…, p.11.

[38] Vedi V. Allegrezza, Le fattorie.., op.cit, p.59

[39] Vedi Maffei in Civitavecchia…, op.cit., 1986, pp.49 e ss., che commenta Reg. Farf. vol.III, pag.54 doc.352.

[40] Vedi Le Liber pontificalis, Texte, introduction et commentare, L’Abbe L.Duchesne, Tomo Second, Paris, Ernest Thorin,Editur,1892,pp. 131, XCIX,548 e ss., riportato in C.Calisse Storia di Civitavecchia, Firenze,1936, p.732 APP.IX; Odoardo Toti in Appendice I, di Storia di Civitavecchia , vol.III , Civitavecchia, 1997.

[41] Giovanni Insolera, Iscrizioni e stemmi pontifici nella storia di Civitavecchia ,Associazione Archeologica Centumcellae, p.15,che richiama Lucretius, Titus, Caro, De Rerum Natura, V, 932; V,955.