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Giurisdizione delle Commissioni tributarie

In materia di giurisdizione delle Commissioni tributarie assume notevole importanza la sentenza n. 28 del 10 Marzo 2008 della Corte costituzionale, la quale ha sancito l’illegittimità; costituzionale dell’attribuzione a tale organo delle cause, in merito al canone per l’occupazione di aree pubbliche (cosap), di cui si nega la matrice propriamente tributaria.

La sentenza in esame ha dato la possibilità alla Corte di legittimità di porsi in termini generali la questione della compatibilità delle Commisiioni tributarie con la Costituzione; in particolare la Consulta ha statuito come sia legittimo modificare la disciplina di questi plessi giurisdizionali, anteriori alla Costituzione, purché non venga snaturata l’originaria natura delle Commissioni tributarie medesime.

La Consulta asserisce, inoltre, che la giurisdizione delle Commissioni tributarie, ove modificata, rimane compatibile con la Costituzione repubblicana, solo ove la stessa giurisdizione sia mantenuta nell’ambito, appunto, tributario. Appare, sotto tale aspetto, vale a dire ai fini della definizione di una controversia come tributaria, non decisivo il "nomen iuris", attribuito a una certa questione giuridica dalle parti, dovendosi tener presente come parametro l’art. 53 Cost. Secondo la Consulta, è tributario il prelievo coattivo, che si colleghi a una manifestazione di capacità contributiva, quando il prelievo sia vincolato al soddisfacimento di spese pubbliche.

La ragion d’essere di siffatta presa di posizione della Consulta può ricollegarsi al progressivo allargamento delle funzioni, attribuite alle Commissioni tributarie, che ha determinato una situazione caotica. Riguardo alla nozione di tributo, già la sentenza 26-1982 della Consulta ha stabilito che elemento peculiare del tributo è l’ablazione di una somma, per soddisfare esigenze del’ente impositore.

In ogni caso, il giudizio innanzi alle Commissioni tributarie ha carattere impugnatorio, in quanto si traduce nell’impugnazione di un provvedimento amministrativo. Da ciò segue la particolare fisionomia della domanda nel processo tributario, che è delimitata da quanto disposto dall’atto impugnato. Gli atti impugnabili secondo l’art. 19 del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546 sono solo quelli, indicati esplicitamente dalla citata disciplina e , in tal modo, viene segnato anche una linea di confine, rispetto all’ambito della giurisdizione del Giudice ordinario. peraltro, va aggiunto che agli atti autonomamente impugnabili, tassativamente indicati dall’elencazione legislativa, vanno aggiunti anche gli atti "innominati", che possono essere impugnati in via differita. L’interprete dovrà individuare, fra gli atti innominati, quelli impugnabili e quelli non impugnabili.

E’ stato confermato dalla dottrina che il limite esterno della c.d. "giurisdizione tributaria" è dato dall’indicazione degli atti impugnabili, senza alcuna incidenza, riguardante la situazione soggettiva, che viene in considerazione, con la conseguenza che la dicotomia interesse legittimo-diritto soggettivo non spiega alcun rilievo, nella delimitazione nella potestà giurisdizionale del Giudice tributario. Il limite interno della giurisdizione in parola è dato dall’elencazione degli atti impugnabili, senza che la peculiarità della singola posizione soggettiva eserciti una qualche incidenza. Ciò non confligge neanche con il disposto dell’art. 103 Cost., laddove esso dispone che gli organi giurisdizionali amministrativi possono pronunciarsi in materia d’interessi legittimi, in quanto i medesimi, in determinati casi, possono conoscere anche di diritti soggettivi. E’ impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie "il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti" (art. 19, 1° c. lett. g), D. lgs. n. 546-1992). Gli atti dell’esecuzione forzata tributaria sono impugnabili presso il Giudice ordinario.

Si tende a ritenere che, di fronte a un atto d’imposizione, la posizione soggettiva del contribuente sia di diritto soggettivo, anche se non può negarsi che, nell’esercizio della potestà tributaria, residuino margini di discrezionalità, in riferimento all’autorità impositrice, da cui derivano profili di interesse legittimo. E’ noto come la distinzione interesse legittimo-diritto soggettivo sia attualmente oggetto di rielaborazione, a seguito di una ridiscussione dei parametri, intorno ai quali la medesima era precedentemente fondata, con la conseguente necessità di rivisitare anche la tralaticia affermazione, secondo cui le commissioni tributarie possano occuparsi solo di tutela di diritti soggettivi.

Non manca una ricostruzione, nel senso che, di fronte ad atti di contenuto generale e anche di fronte ad atti d’imposizione, il contribuente assume il ruolo di titolare di un interesse legittimo, con la conseguenza che il processo tributario assume la fisionomia di processo costitutivo, avente come scopo il sindacato sull’atto impugnato.

Vale la pena esaminare un caso concreto, analizzato dalla Cassazione, per sondare l’ambito della giurisdizione delle Commissioni tributarie. Un soggetto impugna un atto di preavviso di fermo di un’autovettura dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale, che si pronuncia in senso favorevole per il ricorrente. Il concessionario di riscossione impugna la pronuncia della Commissione tributaria, invocando il difetto di giurisdizione della medesima. Tale tesi è accolta dalla Commissione tributaria regionale, la quale rinvia al Giudice ordinario.

Nel ricorso per cassazione, presentato dal contribuente, si sostiene che il credito, in relazione al quale si è invocata tutela, non trae origine da una fonte totalmente extratributaria; pertanto, va disatteso il provvedimento del Giudice tributario, che si è dichiarato totalmente privo di giurisdizione sulla questione.

Occorre muovere dalla constatazione che, quando una controversia tributaria nasca dalla violazione di un atto impositivo (cartella esattoriale o preavviso di fermo), il nucleo essenziale della controversia è di origine tributaria ed eventuali profili extratributari vengono assorbiti nella giurisdizione della Commissione tributaria. Sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione a SS.UU, si è pronunciata in modo univoco, nel senso sopra esposto (v. Cass SS. UU. 10672/2009, 11087/2010). In questi termini, da ultimo si è uniformata al precedente indirizzo anche la sentenza di Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 2 agosto 2011, n. 16858.

Un’ordinanza a Sezioni Unite della Cassazione (n. 10672 dell’11 Maggio del 2009) ha statuito, in particolare, che il preavviso di fermo amministrativo è atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una pretesa dell’Amministrazione tributaria, in rapporto alla quale sorge, in capo al medesimo contribuente, un interesse ad agire, per verificare la fondatezza della pretesa (art. 100 c.p.c.) Con tale presa di posizione del 2009, la Cassazione ha ribaltato un precedente indirizzo, che ha ritenuto inammissibile l’impugnazione di un preavviso di fermo, per assenza di interesse ad agire, in quanto il medesimo preavviso non pregiudica in via immediata l’interesse del privato, il quale può continuare a utilizzare il proprio veicolo (cfr. Cass. 8890-2009, 20301-2008). Nel ribaltare tale orientamento, le Sezioni Unite ritengono che la circostanza che il preavviso di fermo non compaia fra gli atti impugnabili, di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546 del 1992 non determina la non impugnabilità del medesimo provvedimento (si tratta di un’interpretazione, che appare diversa da quella sopra sostenuta, a meno che si spieghi la medesima come ricorso all’applicazione analogica. del 10 marzo 2008 della Corte costituzionale, in quanto l’elenco, contenuto in tale disposizione è meramente indicativo e non tassativo e va considerato impugnabile qualunque atto possa determinare la conoscenza, in capo al contribuente della pretesa tributaria. Le ragioni a sostegno di questa posizione si ricollegano essenzialmente a un principio di buon andamento della attività; della Pubblica amministrazione, nonché di tutela del contribuente.

La circostanza che la giurisdizione su un atto impositivo, riguardante un’obbligazione tributaria, rientri nella giurisdizione delle Commissioni tributarie si spiega con la particolare natura dell’obbligazione tributaria, da cui trae la sua ragion d’essere l’esistenza medesima di tale plesso giurisdizionale.

L’obbligazione tributaria si sostanzia nella pretesa dell’autorità amministrativa al versamento di una somma di denaro, per consentire la partecipazione, da parte degli amministrati,alle spese pubbliche. Proprio la specialità dell’imposizione tributaria, che differisce dai provvedimento espropriativi e da quelli, che impongono sanzioni patrimoniali e si collega in modo immediato con la capacità contributiva dei singoli rende necessario che su di essa si pronunci un organo giurisdizionale "specializzato".

Nella sentenza 11087-2010, le Sezioni Unite fanno espressa menzione di talune decisioni, che si sono espresse nel senso della non impugnabilità del fermo amministrativo, affermando che non ignora il Collegio che taluni arresti, anche recenti (Cass. Sez. 2, 20301/2008, 8890/2009) hanno escluso la impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse, ma tale indirizzo deve ritenersi superato dall’intervento di queste SS. UU., le quali estendono la tesi dell’impugnabilità, anche quando il preavviso di fermo riguardi anche pretese extratributarie.

In materia di giurisdizione delle Commissioni tributarie assume notevole importanza la sentenza n. 28 del 10 Marzo 2008 della Corte costituzionale, la quale ha sancito l’illegittimità; costituzionale dell’attribuzione a tale organo delle cause, in merito al canone per l’occupazione di aree pubbliche (cosap), di cui si nega la matrice propriamente tributaria.

La sentenza in esame ha dato la possibilità alla Corte di legittimità di porsi in termini generali la questione della compatibilità delle Commisiioni tributarie con la Costituzione; in particolare la Consulta ha statuito come sia legittimo modificare la disciplina di questi plessi giurisdizionali, anteriori alla Costituzione, purché non venga snaturata l’originaria natura delle Commissioni tributarie medesime.

La Consulta asserisce, inoltre, che la giurisdizione delle Commissioni tributarie, ove modificata, rimane compatibile con la Costituzione repubblicana, solo ove la stessa giurisdizione sia mantenuta nell’ambito, appunto, tributario. Appare, sotto tale aspetto, vale a dire ai fini della definizione di una controversia come tributaria, non decisivo il "nomen iuris", attribuito a una certa questione giuridica dalle parti, dovendosi tener presente come parametro l’art. 53 Cost. Secondo la Consulta, è tributario il prelievo coattivo, che si colleghi a una manifestazione di capacità contributiva, quando il prelievo sia vincolato al soddisfacimento di spese pubbliche.

La ragion d’essere di siffatta presa di posizione della Consulta può ricollegarsi al progressivo allargamento delle funzioni, attribuite alle Commissioni tributarie, che ha determinato una situazione caotica. Riguardo alla nozione di tributo, già la sentenza 26-1982 della Consulta ha stabilito che elemento peculiare del tributo è l’ablazione di una somma, per soddisfare esigenze del’ente impositore.

In ogni caso, il giudizio innanzi alle Commissioni tributarie ha carattere impugnatorio, in quanto si traduce nell’impugnazione di un provvedimento amministrativo. Da ciò segue la particolare fisionomia della domanda nel processo tributario, che è delimitata da quanto disposto dall’atto impugnato. Gli atti impugnabili secondo l’art. 19 del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546 sono solo quelli, indicati esplicitamente dalla citata disciplina e , in tal modo, viene segnato anche una linea di confine, rispetto all’ambito della giurisdizione del Giudice ordinario. peraltro, va aggiunto che agli atti autonomamente impugnabili, tassativamente indicati dall’elencazione legislativa, vanno aggiunti anche gli atti "innominati", che possono essere impugnati in via differita. L’interprete dovrà individuare, fra gli atti innominati, quelli impugnabili e quelli non impugnabili.

E’ stato confermato dalla dottrina che il limite esterno della c.d. "giurisdizione tributaria" è dato dall’indicazione degli atti impugnabili, senza alcuna incidenza, riguardante la situazione soggettiva, che viene in considerazione, con la conseguenza che la dicotomia interesse legittimo-diritto soggettivo non spiega alcun rilievo, nella delimitazione nella potestà giurisdizionale del Giudice tributario. Il limite interno della giurisdizione in parola è dato dall’elencazione degli atti impugnabili, senza che la peculiarità della singola posizione soggettiva eserciti una qualche incidenza. Ciò non confligge neanche con il disposto dell’art. 103 Cost., laddove esso dispone che gli organi giurisdizionali amministrativi possono pronunciarsi in materia d’interessi legittimi, in quanto i medesimi, in determinati casi, possono conoscere anche di diritti soggettivi. E’ impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie "il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti" (art. 19, 1° c. lett. g), D. lgs. n. 546-1992). Gli atti dell’esecuzione forzata tributaria sono impugnabili presso il Giudice ordinario.

Si tende a ritenere che, di fronte a un atto d’imposizione, la posizione soggettiva del contribuente sia di diritto soggettivo, anche se non può negarsi che, nell’esercizio della potestà tributaria, residuino margini di discrezionalità, in riferimento all’autorità impositrice, da cui derivano profili di interesse legittimo. E’ noto come la distinzione interesse legittimo-diritto soggettivo sia attualmente oggetto di rielaborazione, a seguito di una ridiscussione dei parametri, intorno ai quali la medesima era precedentemente fondata, con la conseguente necessità di rivisitare anche la tralaticia affermazione, secondo cui le commissioni tributarie possano occuparsi solo di tutela di diritti soggettivi.

Non manca una ricostruzione, nel senso che, di fronte ad atti di contenuto generale e anche di fronte ad atti d’imposizione, il contribuente assume il ruolo di titolare di un interesse legittimo, con la conseguenza che il processo tributario assume la fisionomia di processo costitutivo, avente come scopo il sindacato sull’atto impugnato.

Vale la pena esaminare un caso concreto, analizzato dalla Cassazione, per sondare l’ambito della giurisdizione delle Commissioni tributarie. Un soggetto impugna un atto di preavviso di fermo di un’autovettura dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale, che si pronuncia in senso favorevole per il ricorrente. Il concessionario di riscossione impugna la pronuncia della Commissione tributaria, invocando il difetto di giurisdizione della medesima. Tale tesi è accolta dalla Commissione tributaria regionale, la quale rinvia al Giudice ordinario.

Nel ricorso per cassazione, presentato dal contribuente, si sostiene che il credito, in relazione al quale si è invocata tutela, non trae origine da una fonte totalmente extratributaria; pertanto, va disatteso il provvedimento del Giudice tributario, che si è dichiarato totalmente privo di giurisdizione sulla questione.

Occorre muovere dalla constatazione che, quando una controversia tributaria nasca dalla violazione di un atto impositivo (cartella esattoriale o preavviso di fermo), il nucleo essenziale della controversia è di origine tributaria ed eventuali profili extratributari vengono assorbiti nella giurisdizione della Commissione tributaria. Sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione a SS.UU, si è pronunciata in modo univoco, nel senso sopra esposto (v. Cass SS. UU. 10672/2009, 11087/2010). In questi termini, da ultimo si è uniformata al precedente indirizzo anche la sentenza di Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 2 agosto 2011, n. 16858.

Un’ordinanza a Sezioni Unite della Cassazione (n. 10672 dell’11 Maggio del 2009) ha statuito, in particolare, che il preavviso di fermo amministrativo è atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una pretesa dell’Amministrazione tributaria, in rapporto alla quale sorge, in capo al medesimo contribuente, un interesse ad agire, per verificare la fondatezza della pretesa (art. 100 c.p.c.) Con tale presa di posizione del 2009, la Cassazione ha ribaltato un precedente indirizzo, che ha ritenuto inammissibile l’impugnazione di un preavviso di fermo, per assenza di interesse ad agire, in quanto il medesimo preavviso non pregiudica in via immediata l’interesse del privato, il quale può continuare a utilizzare il proprio veicolo (cfr. Cass. 8890-2009, 20301-2008). Nel ribaltare tale orientamento, le Sezioni Unite ritengono che la circostanza che il preavviso di fermo non compaia fra gli atti impugnabili, di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546 del 1992 non determina la non impugnabilità del medesimo provvedimento (si tratta di un’interpretazione, che appare diversa da quella sopra sostenuta, a meno che si spieghi la medesima come ricorso all’applicazione analogica. del 10 marzo 2008 della Corte costituzionale, in quanto l’elenco, contenuto in tale disposizione è meramente indicativo e non tassativo e va considerato impugnabile qualunque atto possa determinare la conoscenza, in capo al contribuente della pretesa tributaria. Le ragioni a sostegno di questa posizione si ricollegano essenzialmente a un principio di buon andamento della attività; della Pubblica amministrazione, nonché di tutela del contribuente.

La circostanza che la giurisdizione su un atto impositivo, riguardante un’obbligazione tributaria, rientri nella giurisdizione delle Commissioni tributarie si spiega con la particolare natura dell’obbligazione tributaria, da cui trae la sua ragion d’essere l’esistenza medesima di tale plesso giurisdizionale.

L’obbligazione tributaria si sostanzia nella pretesa dell’autorità amministrativa al versamento di una somma di denaro, per consentire la partecipazione, da parte degli amministrati,alle spese pubbliche. Proprio la specialità dell’imposizione tributaria, che differisce dai provvedimento espropriativi e da quelli, che impongono sanzioni patrimoniali e si collega in modo immediato con la capacità contributiva dei singoli rende necessario che su di essa si pronunci un organo giurisdizionale "specializzato".

Nella sentenza 11087-2010, le Sezioni Unite fanno espressa menzione di talune decisioni, che si sono espresse nel senso della non impugnabilità del fermo amministrativo, affermando che non ignora il Collegio che taluni arresti, anche recenti (Cass. Sez. 2, 20301/2008, 8890/2009) hanno escluso la impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse, ma tale indirizzo deve ritenersi superato dall’intervento di queste SS. UU., le quali estendono la tesi dell’impugnabilità, anche quando il preavviso di fermo riguardi anche pretese extratributarie.