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Il Piano Paesaggistico va assoggettato a valutazione ambientale strategica

Nota a T.A.R. Sicilia, Catania – Sezione Prima, Sentenza 12 maggio 2011, n. 2146 (Presidente Campanella; Estensore Barone; Ricorrente Comune di Ragusa, in persona del Sindaco pro tempore)
Con la sentenza che si commenta la prima sezione del T.A.R. Sicilia-Catania ha affermato un importante principio in tema di procedimento di approvazione del piano paesaggistico, stabilendo che l’approvazione del piano paesistico deve essere assoggettata a preventiva valutazione ambientale strategica.

Il Tribunale afferma questo principio basandosi sul dato strettamente letterale contenuto nell’articolo 7 del D.Lgs. 152/2006, il quale dispone che «la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale».

Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Il successivo comma 4, inoltre, elenca espressamente i piani e i programmi esclusi dal campo di applicazione delle norme del codice dell’ambiente, e quindi anche della V.A.S., e tra questi non rientrano i piani paesaggistici.

Come detto, il solo dato letterale sarebbe già sufficiente per ritenere che il piano paesaggistico va sottoposto a V.A.S.

Fatta questa constatazione, il T.A.R. investito della questione considera necessaria la valutazione ambientale strategica del piano paesistico sul presupposto che le prescrizioni del piano possono essere così rilevanti ed incisive sul territorio, tanto da rendersi necessaria una generale valutazione dell’impatto che esse potranno avere sull’ambiente, nonché sul tessuto economico-sociale delle zone interessate.

Appare determinante, inoltre, la circostanza che la valutazione ambientale strategica, quale strumento di tutela dell’ambiente, va effettuata in tutti i casi in cui i piani abbiano «impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale»[1].

La Valutazione ambientale strategica, introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE, è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi, finalizzata all’assunzione, attraverso la valutazione di tutte le possibili alternative pianificatorie, di determinazioni integrate e sistematiche di considerazioni di carattere ambientale, territoriale, sociale ed economico.

La V.A.S. si realizza in fase di elaborazione del piano mediante la redazione di un rapporto ambientale che deve considerare lo stato dell’ambiente attuale del territorio interessato e le sue alterazioni in presenza e non del provvedimento da valutare, confrontato anche con possibili alternative strategiche, localizzative e tecnologiche. Invero, «l’impatto significativo» non è solo quello caratterizzato da connotazioni negative in termini di alterazioni delle valenze ambientali, ma è anche quello ricavabile dalla definizione di impatto ambientale contenuto alla lett. c) del’articolo 5 del D.Lgs 152/2006 quale «alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici e naturalistici», per cui la valutazione ambientale strategica va eseguita in tutti i casi di interazione, anche positiva, tra l’attività pianificatoria e le componenti ambientali.

Del resto, la V.A.S. è solo uno strumento rispetto al fine che è la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione ed indirizzo che guidano la trasformazione del territorio. In particolare, la valutazione di tipo strategico si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento.

A parere di chi scrive, questa sentenza ha posto l’attenzione sulla circostanza che il piano paesaggistico non può più essere considerato un atto conservativo, con mere finalità di mantenimento dell’integrità ambientale ma, per la straordinaria potenzialità conformativa e modificativa del territorio che gli è stata attribuita dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, quali, ad esempio, la capacità di incidere sullo sviluppo sostenibile della Nazione contribuendo alla definizione di piani e programmi di recupero e di sviluppo sostenibile[2], esso deve essere assoggettato necessariamente ad una valutazione ambientale strategica suscettibile di governare ed indirizzare le modificazioni e gli interventi propositivi previsti dal piano.

Invero, è opinione ormai pacifica che i piani paesistici hanno assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa sempre più ampia, affidandosi ad essi il compito di dettare una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale.

Questo processo è stato portato a compimento con il Codice dei Beni culturali, attraverso il quale la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica sull’intero territorio, venendo a disciplinare anche immobili non soggetti a vincolo paesaggistico. Non pare esservi dubbio, infatti, che le concrete attività attraverso le quali si estrinseca la funzione di valorizzazione siano da ricondurre all’attività di pianificazione del paesaggio e, nell’ambito di questa, nell’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze di tutela[3].

La pianificazione paesistica, per le grandi potenzialità che le sono state attribuite, non deve quindi porsi solo in termini prescrittivi e riduttivi, ma deve proporre attività e progetti diretti alla incentivazione ed al recupero dei valori paesaggistici smarriti o compromessi. In questi termini, attraverso lo svolgimento delle funzioni tese alla valorizzazione del paesaggio integrale, siccome concepito alla luce della Convenzione europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali, la nuova pianificazione dovrebbe poter aggiungere utilità e prospettive di sviluppo culturale ed economico per i consociati.

Sarebbe infatti impensabile immobilizzare a tempo indeterminato le modificazioni del suolo vincolato con l’approvazione di piano statici e privi di iniziative virtuose, poiché si rischierebbe di paralizzare settori nevralgici e lo sviluppo delle infrastrutture, rischiando di compromettere la stessa economia nazionale. Non più, dunque, una disciplina paesaggistica statica ed improduttiva, che tende solo a conservare senza valorizzare e sviluppare ma, vista l’importanza attribuita al piano paesaggistico, è necessario potenziare la dimensione paesaggistica del territorio in termini di produzione di ricchezza.

L’affermazione della necessità di effettuare una V.A.S. sancita dal Tribunale Amministrativo, con tutti i benefici che comporta in punto di analisi e monitoraggio dell’impatto sull’ambiente e sul territorio che potranno avere le disposizioni del piano, è tesa a favorire le trasformazioni, la valorizzazione ed il recupero del paesaggio compromesso, compatibilmente con le esigenze di tutela del paesaggio ed in funzione dello sviluppo sostenibile.

Il valore del piano paesaggistico si coglie analizzando le definizioni utilizzate dal Codice per affermare la sua prevalenza sugli altri strumenti di pianificazione, e si sostanzia nello sviluppo degli effetti di cui esso è capace: immediata prevalenza su disposizioni difformi degli strumenti urbanistici; previsione di norme di salvaguardia; vincolatività per gli interventi settoriali. In questo senso, non sembra azzardato affermare che il piano paesaggistico rappresenta uno strumento contenente indicazioni e criteri direttivi cui gli altri soggetti detentori a diverso titolo del potere di pianificare devono necessariamente conformarsi, al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità paesaggistica. Questi obiettivi comportano che la tutela e la valorizzazione del paesaggio non si risolvano in mere attività di conservazione e salvaguardia, ma si estendano alla regolazione di ogni intervento destinato ad incidere sul paesaggio. In tale ottica, lo strumento principale con cui ogni intervento viene correttamente orientato rispetto ai profili paesaggistici è la pianificazione. Il piano paesistico diviene così uno strumento di effettivo governo dello sviluppo sostenibile delle aree paesaggisticamente rilevanti[4], e come tale va messo al servizio degli obiettivi di modernizzazione e sviluppo presi di mira dal legislatore. Questi dati trovano, peraltro, riscontro nella lettera della legge e, in particolare, nell’articolo 145, comma 3 del Codice dove si legge che «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli strumenti settoriali».

L’articolo 145 del Codice evidenzia che il piano paesaggistico si presenta come un provvedimento che è in grado di coordinare altri atti pianificatori, ed a cui questi devono in qualche modo subordinarsi.

Proprio alla luce dell’importanza della pianificazione paesaggistica, il Tribunale siciliano ha fermamente rigettato le deduzioni dell’amministrazione resistente secondo cui il piano paesaggistico non doveva essere sottoposto a VAS perché non ha un’incidenza ambientale, propria dei piani urbanistico - territoriali, ma sarebbe diretto soltanto ad un’individuazione di beni oggetto del patrimonio paesaggistico.

Questa visione statica del paesaggio è da considerare ormai superata, e si è osservato che le disposizioni del piano paesaggistico possono orientare le scelte pianificatorie degli enti locali. Infatti «i piani paesaggistici dettano misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale di settore, nonché con gli strumenti regionali e territoriali per lo sviluppo economico; è coerente con tale impostazione la previsione del piano ambientale che imponga agli strumenti urbanistici di prevedere un intervento concertativo della Soprintendenza nella fase della progettazione di un piano attuativo di iniziativa privata»[5]. A questo proposito, il Tribunale ha rilevato l’infondatezza delle censure riguardanti la presunta illogicità delle scelte di piano sotto il profilo dell’eccessiva estensione delle zone soggette a tutela.

Sotto questo profilo, per vero, le finalità del piano approvato dall’amministrazione resistente sembrano coincidere perfettamente con quelli che sono gli obiettivi di qualità paesaggistica che, appunto, il piano paesistico deve predefinire: stabilizzazione del contesto ambientale mediante la difesa del suolo e della biodiversità, soprattutto dove esistono particolari situazioni di rischio e di criticità; valorizzazione dell’identità e della peculiarità del paesaggio, sia nel suo insieme unitario sia nelle sue diverse specifiche configurazioni; miglioramento della fruibilità sociale del patrimonio ambientale.

In più, rileva il Tribunale, il piano ragusano contiene una serie di azioni concrete per il perseguimento di tali obiettivi, tra cui: il sostegno e la rivalutazione dell’agricoltura tradizionale locale; la gestione controllata delle coltivazioni in ambiente protetto, delle attività di pascolo e dei processi di abbandono agricolo; la promozione dell’inserimento di elementi di biodiversità; la gestione oculata del suolo e delle risorse idriche; la riduzione di emissioni di gas serra.

Tutti questi elementi smentiscono l’illogicità o l’irragionevolezza compiuta dall’Amministrazione, mentre le censure della parte ricorrente su questo punto sono sembrate, secondo il Giudicante, rivolte piuttosto a sollecitare un sindacato sulle scelte di merito, teso a sostituire alle attendibili valutazioni compiute dall’Amministrazione in sede di approvazione del piano, una diversa - ed inammissibile - valutazione compiuta in sede giurisdizionale.

Analizzato il contenuto del piano paesistico, che secondo il Tribunale risponde ai canoni contenuti nel Codice dei Beni culturali, si passa allo scrutinio dell’omessa sottoposizione a valutazione ambientale strategia del piano impugnato. Sul punto l’amministrazione regionale sostiene che il piano non andava sottoposto alla valutazione ambientale strategica, trattandosi non di un piano urbanistico – territoriale (che quindi prende in considerazione le linee di sviluppo urbanistico del territorio e le linee economiche di sviluppo), ma di un piano paesaggistico in senso stretto, limitato alla tutela conservativa dei valori del paesaggio. Su questa fondamentale questione, invece, il Tribunale ha rigettato le deduzioni dell’Assessorato regionale ai Beni culturali della Sicilia poiché il piano paesistico, per le caratteristiche che possiede e che abbiamo analizzato in precedenza necessita di V.A.S.

Pertanto, a prescindere dalla qualificazione dell’atto di pianificazione in termini di piano urbanistico-territoriale o di piano paesaggistico, esso va comunque previamente assoggettato a valutazione ambientale strategica. Infine, la tesi difensiva sostenuta dall’amministrazione regionale secondo la quale il piano in questione non determina alcun impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio culturale essendo «preordinato a dettare un quadro conoscitivo e una normativa di riferimento per l’attività di tutela, eminentemente conservativa dei valori paesaggistici», non appare condivisibile, alla luce di un provvedimento che è invece imperniato sulla «rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio, sul parziale superamento della concezione solo conservativa del paesaggio e sul riconoscimento del paesaggio come risorsa per lo sviluppo».

Peraltro, ammettere che un piano preordinato alla tutela e allo sviluppo dei valori dell’ambiente e del paesaggio (e che quindi necessariamente impone forme di tutela che incidono sull’assetto del territorio) non debba essere preceduto dalla verifica ambientale finirebbe per vanificare, afferma il T.A.R., «la finalità della disciplina sulla V.A.S. e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello «sviluppo sostenibile», espressamente enunciato all’articolo 1 della direttiva».

Da ciò, il Tribunale ha rilevato che il piano paesaggistico deve essere assoggettato a valutazione ambientale strategica in quanto l’obiettivo della valutazione consiste proprio nel voler analizzare dettagliatamente quali siano nel presente e nel futuro gli influssi che le prescrizioni del piano potranno avere sui segmenti di territorio che si pianificano.

Sulla base di tanto, la decisione del Tribunale siciliano deve essere considerata in maniera assolutamente positiva poiché, da un lato ha rafforzato la grande importanza del piano paesistico nel panorama degli atti pianificatori del nostro territorio, già peraltro affermata dalla costante giurisprudenza[6] e, dall’altro, ha statuito che le prescrizioni ed i contenuti propositivi del piano paesistico vanno sottoposti a V.A.S. perché devono essere misurati e calibrati con gli effetti che il piano può avere sui territori interessati. La procedura di V.A.S. del piano paesistico, lungi dall’essere considerata come un inutile appesantimento della procedura pianificatoria che ostacola la salvaguardia del contesto paesaggistico considerato, si inserisce a pieno titolo in un metodo di sviluppo del paesaggio che può concorrere a definire in modo opportuno e prudente gli effetti che le prescrizioni e le definizioni contenute nel piano comporteranno per il territorio interessato.

In una visione dinamica del paesaggio, detta valutazione e la partecipazione al processo pianificatorio di tutte le istanze economiche e sociali presenti sul territorio, possono contribuire in modo decisivo a rappresentare le modalità con cui il paesaggio dovrà essere tutelato, valorizzato, modificato e restituito alle popolazioni che vi sono insediate, considerando che il paesaggio può essere saggiamente utilizzato anche per finalità di sviluppo economico e sociale.



[1] Cfr. Art. 7, comma 1 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

[2] Cfr. Articolo 143, D.lgs. 42/2004, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: Piano paesaggistico, ove si dispone che «l’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: e) individuazione di eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all’articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo;g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela; h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate; i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell’articolo 135, comma 3».

[3] Cfr. F. Magnosi, Il diritto al paesaggio. Tutela, valorizzazione, vincolo ed autorizzazione, Exeoedizioni, Padova, 2011. Infatti, «deve essere superata la concezione meramente conservativa e monumentale che è riconnessa alla funzione di tutela, inserendo la disciplina paesaggistica all’interno dei processi sociali ed economici attraverso le attività di valorizzazione e di promozione del paesaggio».

[4] Cfr. F. Magnosi, op. cit.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4244.

[6] Cfr. TAR Lazio, sez. II-quater Roma, 22 novembre 2010, n. 33741, in www.urbium.it, secondo cui «la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico-edilizie locali. In definitiva dunque, nella gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali il paesaggio prevale, in linea di principio, sugli altri strumenti urbanistici»[6].

Con la sentenza che si commenta la prima sezione del T.A.R. Sicilia-Catania ha affermato un importante principio in tema di procedimento di approvazione del piano paesaggistico, stabilendo che l’approvazione del piano paesistico deve essere assoggettata a preventiva valutazione ambientale strategica.

Il Tribunale afferma questo principio basandosi sul dato strettamente letterale contenuto nell’articolo 7 del D.Lgs. 152/2006, il quale dispone che «la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale».

Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Il successivo comma 4, inoltre, elenca espressamente i piani e i programmi esclusi dal campo di applicazione delle norme del codice dell’ambiente, e quindi anche della V.A.S., e tra questi non rientrano i piani paesaggistici.

Come detto, il solo dato letterale sarebbe già sufficiente per ritenere che il piano paesaggistico va sottoposto a V.A.S.

Fatta questa constatazione, il T.A.R. investito della questione considera necessaria la valutazione ambientale strategica del piano paesistico sul presupposto che le prescrizioni del piano possono essere così rilevanti ed incisive sul territorio, tanto da rendersi necessaria una generale valutazione dell’impatto che esse potranno avere sull’ambiente, nonché sul tessuto economico-sociale delle zone interessate.

Appare determinante, inoltre, la circostanza che la valutazione ambientale strategica, quale strumento di tutela dell’ambiente, va effettuata in tutti i casi in cui i piani abbiano «impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale»[1].

La Valutazione ambientale strategica, introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE, è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi, finalizzata all’assunzione, attraverso la valutazione di tutte le possibili alternative pianificatorie, di determinazioni integrate e sistematiche di considerazioni di carattere ambientale, territoriale, sociale ed economico.

La V.A.S. si realizza in fase di elaborazione del piano mediante la redazione di un rapporto ambientale che deve considerare lo stato dell’ambiente attuale del territorio interessato e le sue alterazioni in presenza e non del provvedimento da valutare, confrontato anche con possibili alternative strategiche, localizzative e tecnologiche. Invero, «l’impatto significativo» non è solo quello caratterizzato da connotazioni negative in termini di alterazioni delle valenze ambientali, ma è anche quello ricavabile dalla definizione di impatto ambientale contenuto alla lett. c) del’articolo 5 del D.Lgs 152/2006 quale «alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici e naturalistici», per cui la valutazione ambientale strategica va eseguita in tutti i casi di interazione, anche positiva, tra l’attività pianificatoria e le componenti ambientali.

Del resto, la V.A.S. è solo uno strumento rispetto al fine che è la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione ed indirizzo che guidano la trasformazione del territorio. In particolare, la valutazione di tipo strategico si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento.

A parere di chi scrive, questa sentenza ha posto l’attenzione sulla circostanza che il piano paesaggistico non può più essere considerato un atto conservativo, con mere finalità di mantenimento dell’integrità ambientale ma, per la straordinaria potenzialità conformativa e modificativa del territorio che gli è stata attribuita dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, quali, ad esempio, la capacità di incidere sullo sviluppo sostenibile della Nazione contribuendo alla definizione di piani e programmi di recupero e di sviluppo sostenibile[2], esso deve essere assoggettato necessariamente ad una valutazione ambientale strategica suscettibile di governare ed indirizzare le modificazioni e gli interventi propositivi previsti dal piano.

Invero, è opinione ormai pacifica che i piani paesistici hanno assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa sempre più ampia, affidandosi ad essi il compito di dettare una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale.

Questo processo è stato portato a compimento con il Codice dei Beni culturali, attraverso il quale la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica sull’intero territorio, venendo a disciplinare anche immobili non soggetti a vincolo paesaggistico. Non pare esservi dubbio, infatti, che le concrete attività attraverso le quali si estrinseca la funzione di valorizzazione siano da ricondurre all’attività di pianificazione del paesaggio e, nell’ambito di questa, nell’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze di tutela[3].

La pianificazione paesistica, per le grandi potenzialità che le sono state attribuite, non deve quindi porsi solo in termini prescrittivi e riduttivi, ma deve proporre attività e progetti diretti alla incentivazione ed al recupero dei valori paesaggistici smarriti o compromessi. In questi termini, attraverso lo svolgimento delle funzioni tese alla valorizzazione del paesaggio integrale, siccome concepito alla luce della Convenzione europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali, la nuova pianificazione dovrebbe poter aggiungere utilità e prospettive di sviluppo culturale ed economico per i consociati.

Sarebbe infatti impensabile immobilizzare a tempo indeterminato le modificazioni del suolo vincolato con l’approvazione di piano statici e privi di iniziative virtuose, poiché si rischierebbe di paralizzare settori nevralgici e lo sviluppo delle infrastrutture, rischiando di compromettere la stessa economia nazionale. Non più, dunque, una disciplina paesaggistica statica ed improduttiva, che tende solo a conservare senza valorizzare e sviluppare ma, vista l’importanza attribuita al piano paesaggistico, è necessario potenziare la dimensione paesaggistica del territorio in termini di produzione di ricchezza.

L’affermazione della necessità di effettuare una V.A.S. sancita dal Tribunale Amministrativo, con tutti i benefici che comporta in punto di analisi e monitoraggio dell’impatto sull’ambiente e sul territorio che potranno avere le disposizioni del piano, è tesa a favorire le trasformazioni, la valorizzazione ed il recupero del paesaggio compromesso, compatibilmente con le esigenze di tutela del paesaggio ed in funzione dello sviluppo sostenibile.

Il valore del piano paesaggistico si coglie analizzando le definizioni utilizzate dal Codice per affermare la sua prevalenza sugli altri strumenti di pianificazione, e si sostanzia nello sviluppo degli effetti di cui esso è capace: immediata prevalenza su disposizioni difformi degli strumenti urbanistici; previsione di norme di salvaguardia; vincolatività per gli interventi settoriali. In questo senso, non sembra azzardato affermare che il piano paesaggistico rappresenta uno strumento contenente indicazioni e criteri direttivi cui gli altri soggetti detentori a diverso titolo del potere di pianificare devono necessariamente conformarsi, al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità paesaggistica. Questi obiettivi comportano che la tutela e la valorizzazione del paesaggio non si risolvano in mere attività di conservazione e salvaguardia, ma si estendano alla regolazione di ogni intervento destinato ad incidere sul paesaggio. In tale ottica, lo strumento principale con cui ogni intervento viene correttamente orientato rispetto ai profili paesaggistici è la pianificazione. Il piano paesistico diviene così uno strumento di effettivo governo dello sviluppo sostenibile delle aree paesaggisticamente rilevanti[4], e come tale va messo al servizio degli obiettivi di modernizzazione e sviluppo presi di mira dal legislatore. Questi dati trovano, peraltro, riscontro nella lettera della legge e, in particolare, nell’articolo 145, comma 3 del Codice dove si legge che «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli strumenti settoriali».

L’articolo 145 del Codice evidenzia che il piano paesaggistico si presenta come un provvedimento che è in grado di coordinare altri atti pianificatori, ed a cui questi devono in qualche modo subordinarsi.

Proprio alla luce dell’importanza della pianificazione paesaggistica, il Tribunale siciliano ha fermamente rigettato le deduzioni dell’amministrazione resistente secondo cui il piano paesaggistico non doveva essere sottoposto a VAS perché non ha un’incidenza ambientale, propria dei piani urbanistico - territoriali, ma sarebbe diretto soltanto ad un’individuazione di beni oggetto del patrimonio paesaggistico.

Questa visione statica del paesaggio è da considerare ormai superata, e si è osservato che le disposizioni del piano paesaggistico possono orientare le scelte pianificatorie degli enti locali. Infatti «i piani paesaggistici dettano misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale di settore, nonché con gli strumenti regionali e territoriali per lo sviluppo economico; è coerente con tale impostazione la previsione del piano ambientale che imponga agli strumenti urbanistici di prevedere un intervento concertativo della Soprintendenza nella fase della progettazione di un piano attuativo di iniziativa privata»[5]. A questo proposito, il Tribunale ha rilevato l’infondatezza delle censure riguardanti la presunta illogicità delle scelte di piano sotto il profilo dell’eccessiva estensione delle zone soggette a tutela.

Sotto questo profilo, per vero, le finalità del piano approvato dall’amministrazione resistente sembrano coincidere perfettamente con quelli che sono gli obiettivi di qualità paesaggistica che, appunto, il piano paesistico deve predefinire: stabilizzazione del contesto ambientale mediante la difesa del suolo e della biodiversità, soprattutto dove esistono particolari situazioni di rischio e di criticità; valorizzazione dell’identità e della peculiarità del paesaggio, sia nel suo insieme unitario sia nelle sue diverse specifiche configurazioni; miglioramento della fruibilità sociale del patrimonio ambientale.

In più, rileva il Tribunale, il piano ragusano contiene una serie di azioni concrete per il perseguimento di tali obiettivi, tra cui: il sostegno e la rivalutazione dell’agricoltura tradizionale locale; la gestione controllata delle coltivazioni in ambiente protetto, delle attività di pascolo e dei processi di abbandono agricolo; la promozione dell’inserimento di elementi di biodiversità; la gestione oculata del suolo e delle risorse idriche; la riduzione di emissioni di gas serra.

Tutti questi elementi smentiscono l’illogicità o l’irragionevolezza compiuta dall’Amministrazione, mentre le censure della parte ricorrente su questo punto sono sembrate, secondo il Giudicante, rivolte piuttosto a sollecitare un sindacato sulle scelte di merito, teso a sostituire alle attendibili valutazioni compiute dall’Amministrazione in sede di approvazione del piano, una diversa - ed inammissibile - valutazione compiuta in sede giurisdizionale.

Analizzato il contenuto del piano paesistico, che secondo il Tribunale risponde ai canoni contenuti nel Codice dei Beni culturali, si passa allo scrutinio dell’omessa sottoposizione a valutazione ambientale strategia del piano impugnato. Sul punto l’amministrazione regionale sostiene che il piano non andava sottoposto alla valutazione ambientale strategica, trattandosi non di un piano urbanistico – territoriale (che quindi prende in considerazione le linee di sviluppo urbanistico del territorio e le linee economiche di sviluppo), ma di un piano paesaggistico in senso stretto, limitato alla tutela conservativa dei valori del paesaggio. Su questa fondamentale questione, invece, il Tribunale ha rigettato le deduzioni dell’Assessorato regionale ai Beni culturali della Sicilia poiché il piano paesistico, per le caratteristiche che possiede e che abbiamo analizzato in precedenza necessita di V.A.S.

Pertanto, a prescindere dalla qualificazione dell’atto di pianificazione in termini di piano urbanistico-territoriale o di piano paesaggistico, esso va comunque previamente assoggettato a valutazione ambientale strategica. Infine, la tesi difensiva sostenuta dall’amministrazione regionale secondo la quale il piano in questione non determina alcun impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio culturale essendo «preordinato a dettare un quadro conoscitivo e una normativa di riferimento per l’attività di tutela, eminentemente conservativa dei valori paesaggistici», non appare condivisibile, alla luce di un provvedimento che è invece imperniato sulla «rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio, sul parziale superamento della concezione solo conservativa del paesaggio e sul riconoscimento del paesaggio come risorsa per lo sviluppo».

Peraltro, ammettere che un piano preordinato alla tutela e allo sviluppo dei valori dell’ambiente e del paesaggio (e che quindi necessariamente impone forme di tutela che incidono sull’assetto del territorio) non debba essere preceduto dalla verifica ambientale finirebbe per vanificare, afferma il T.A.R., «la finalità della disciplina sulla V.A.S. e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello «sviluppo sostenibile», espressamente enunciato all’articolo 1 della direttiva».

Da ciò, il Tribunale ha rilevato che il piano paesaggistico deve essere assoggettato a valutazione ambientale strategica in quanto l’obiettivo della valutazione consiste proprio nel voler analizzare dettagliatamente quali siano nel presente e nel futuro gli influssi che le prescrizioni del piano potranno avere sui segmenti di territorio che si pianificano. >Con la sentenza che si commenta la prima sezione del T.A.R. Sicilia-Catania ha affermato un importante principio in tema di procedimento di approvazione del piano paesaggistico, stabilendo che l’approvazione del piano paesistico deve essere assoggettata a preventiva valutazione ambientale strategica.

Il Tribunale afferma questo principio basandosi sul dato strettamente letterale contenuto nell’articolo 7 del D.Lgs. 152/2006, il quale dispone che «la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale».

Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. Il successivo comma 4, inoltre, elenca espressamente i piani e i programmi esclusi dal campo di applicazione delle norme del codice dell’ambiente, e quindi anche della V.A.S., e tra questi non rientrano i piani paesaggistici.

Come detto, il solo dato letterale sarebbe già sufficiente per ritenere che il piano paesaggistico va sottoposto a V.A.S.

Fatta questa constatazione, il T.A.R. investito della questione considera necessaria la valutazione ambientale strategica del piano paesistico sul presupposto che le prescrizioni del piano possono essere così rilevanti ed incisive sul territorio, tanto da rendersi necessaria una generale valutazione dell’impatto che esse potranno avere sull’ambiente, nonché sul tessuto economico-sociale delle zone interessate.

Appare determinante, inoltre, la circostanza che la valutazione ambientale strategica, quale strumento di tutela dell’ambiente, va effettuata in tutti i casi in cui i piani abbiano «impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale»[1].

La Valutazione ambientale strategica, introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE, è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi, finalizzata all’assunzione, attraverso la valutazione di tutte le possibili alternative pianificatorie, di determinazioni integrate e sistematiche di considerazioni di carattere ambientale, territoriale, sociale ed economico.

La V.A.S. si realizza in fase di elaborazione del piano mediante la redazione di un rapporto ambientale che deve considerare lo stato dell’ambiente attuale del territorio interessato e le sue alterazioni in presenza e non del provvedimento da valutare, confrontato anche con possibili alternative strategiche, localizzative e tecnologiche. Invero, «l’impatto significativo» non è solo quello caratterizzato da connotazioni negative in termini di alterazioni delle valenze ambientali, ma è anche quello ricavabile dalla definizione di impatto ambientale contenuto alla lett. c) del’articolo 5 del D.Lgs 152/2006 quale «alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici e naturalistici», per cui la valutazione ambientale strategica va eseguita in tutti i casi di interazione, anche positiva, tra l’attività pianificatoria e le componenti ambientali.

Del resto, la V.A.S. è solo uno strumento rispetto al fine che è la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione ed indirizzo che guidano la trasformazione del territorio. In particolare, la valutazione di tipo strategico si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento.

A parere di chi scrive, questa sentenza ha posto l’attenzione sulla circostanza che il piano paesaggistico non può più essere considerato un atto conservativo, con mere finalità di mantenimento dell’integrità ambientale ma, per la straordinaria potenzialità conformativa e modificativa del territorio che gli è stata attribuita dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, quali, ad esempio, la capacità di incidere sullo sviluppo sostenibile della Nazione contribuendo alla definizione di piani e programmi di recupero e di sviluppo sostenibile[2], esso deve essere assoggettato necessariamente ad una valutazione ambientale strategica suscettibile di governare ed indirizzare le modificazioni e gli interventi propositivi previsti dal piano.

Invero, è opinione ormai pacifica che i piani paesistici hanno assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa sempre più ampia, affidandosi ad essi il compito di dettare una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale.

Questo processo è stato portato a compimento con il Codice dei Beni culturali, attraverso il quale la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica sull’intero territorio, venendo a disciplinare anche immobili non soggetti a vincolo paesaggistico. Non pare esservi dubbio, infatti, che le concrete attività attraverso le quali si estrinseca la funzione di valorizzazione siano da ricondurre all’attività di pianificazione del paesaggio e, nell’ambito di questa, nell’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze di tutela[3].

La pianificazione paesistica, per le grandi potenzialità che le sono state attribuite, non deve quindi porsi solo in termini prescrittivi e riduttivi, ma deve proporre attività e progetti diretti alla incentivazione ed al recupero dei valori paesaggistici smarriti o compromessi. In questi termini, attraverso lo svolgimento delle funzioni tese alla valorizzazione del paesaggio integrale, siccome concepito alla luce della Convenzione europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali, la nuova pianificazione dovrebbe poter aggiungere utilità e prospettive di sviluppo culturale ed economico per i consociati.

Sarebbe infatti impensabile immobilizzare a tempo indeterminato le modificazioni del suolo vincolato con l’approvazione di piano statici e privi di iniziative virtuose, poiché si rischierebbe di paralizzare settori nevralgici e lo sviluppo delle infrastrutture, rischiando di compromettere la stessa economia nazionale. Non più, dunque, una disciplina paesaggistica statica ed improduttiva, che tende solo a conservare senza valorizzare e sviluppare ma, vista l’importanza attribuita al piano paesaggistico, è necessario potenziare la dimensione paesaggistica del territorio in termini di produzione di ricchezza.

L’affermazione della necessità di effettuare una V.A.S. sancita dal Tribunale Amministrativo, con tutti i benefici che comporta in punto di analisi e monitoraggio dell’impatto sull’ambiente e sul territorio che potranno avere le disposizioni del piano, è tesa a favorire le trasformazioni, la valorizzazione ed il recupero del paesaggio compromesso, compatibilmente con le esigenze di tutela del paesaggio ed in funzione dello sviluppo sostenibile.

Il valore del piano paesaggistico si coglie analizzando le definizioni utilizzate dal Codice per affermare la sua prevalenza sugli altri strumenti di pianificazione, e si sostanzia nello sviluppo degli effetti di cui esso è capace: immediata prevalenza su disposizioni difformi degli strumenti urbanistici; previsione di norme di salvaguardia; vincolatività per gli interventi settoriali. In questo senso, non sembra azzardato affermare che il piano paesaggistico rappresenta uno strumento contenente indicazioni e criteri direttivi cui gli altri soggetti detentori a diverso titolo del potere di pianificare devono necessariamente conformarsi, al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità paesaggistica. Questi obiettivi comportano che la tutela e la valorizzazione del paesaggio non si risolvano in mere attività di conservazione e salvaguardia, ma si estendano alla regolazione di ogni intervento destinato ad incidere sul paesaggio. In tale ottica, lo strumento principale con cui ogni intervento viene correttamente orientato rispetto ai profili paesaggistici è la pianificazione. Il piano paesistico diviene così uno strumento di effettivo governo dello sviluppo sostenibile delle aree paesaggisticamente rilevanti[4], e come tale va messo al servizio degli obiettivi di modernizzazione e sviluppo presi di mira dal legislatore. Questi dati trovano, peraltro, riscontro nella lettera della legge e, in particolare, nell’articolo 145, comma 3 del Codice dove si legge che «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli strumenti settoriali».

L’articolo 145 del Codice evidenzia che il piano paesaggistico si presenta come un provvedimento che è in grado di coordinare altri atti pianificatori, ed a cui questi devono in qualche modo subordinarsi.

Proprio alla luce dell’importanza della pianificazione paesaggistica, il Tribunale siciliano ha fermamente rigettato le deduzioni dell’amministrazione resistente secondo cui il piano paesaggistico non doveva essere sottoposto a VAS perché non ha un’incidenza ambientale, propria dei piani urbanistico - territoriali, ma sarebbe diretto soltanto ad un’individuazione di beni oggetto del patrimonio paesaggistico.

Questa visione statica del paesaggio è da considerare ormai superata, e si è osservato che le disposizioni del piano paesaggistico possono orientare le scelte pianificatorie degli enti locali. Infatti «i piani paesaggistici dettano misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale di settore, nonché con gli strumenti regionali e territoriali per lo sviluppo economico; è coerente con tale impostazione la previsione del piano ambientale che imponga agli strumenti urbanistici di prevedere un intervento concertativo della Soprintendenza nella fase della progettazione di un piano attuativo di iniziativa privata»[5]. A questo proposito, il Tribunale ha rilevato l’infondatezza delle censure riguardanti la presunta illogicità delle scelte di piano sotto il profilo dell’eccessiva estensione delle zone soggette a tutela.

Sotto questo profilo, per vero, le finalità del piano approvato dall’amministrazione resistente sembrano coincidere perfettamente con quelli che sono gli obiettivi di qualità paesaggistica che, appunto, il piano paesistico deve predefinire: stabilizzazione del contesto ambientale mediante la difesa del suolo e della biodiversità, soprattutto dove esistono particolari situazioni di rischio e di criticità; valorizzazione dell’identità e della peculiarità del paesaggio, sia nel suo insieme unitario sia nelle sue diverse specifiche configurazioni; miglioramento della fruibilità sociale del patrimonio ambientale.

In più, rileva il Tribunale, il piano ragusano contiene una serie di azioni concrete per il perseguimento di tali obiettivi, tra cui: il sostegno e la rivalutazione dell’agricoltura tradizionale locale; la gestione controllata delle coltivazioni in ambiente protetto, delle attività di pascolo e dei processi di abbandono agricolo; la promozione dell’inserimento di elementi di biodiversità; la gestione oculata del suolo e delle risorse idriche; la riduzione di emissioni di gas serra.

Tutti questi elementi smentiscono l’illogicità o l’irragionevolezza compiuta dall’Amministrazione, mentre le censure della parte ricorrente su questo punto sono sembrate, secondo il Giudicante, rivolte piuttosto a sollecitare un sindacato sulle scelte di merito, teso a sostituire alle attendibili valutazioni compiute dall’Amministrazione in sede di approvazione del piano, una diversa - ed inammissibile - valutazione compiuta in sede giurisdizionale.

Analizzato il contenuto del piano paesistico, che secondo il Tribunale risponde ai canoni contenuti nel Codice dei Beni culturali, si passa allo scrutinio dell’omessa sottoposizione a valutazione ambientale strategia del piano impugnato. Sul punto l’amministrazione regionale sostiene che il piano non andava sottoposto alla valutazione ambientale strategica, trattandosi non di un piano urbanistico – territoriale (che quindi prende in considerazione le linee di sviluppo urbanistico del territorio e le linee economiche di sviluppo), ma di un piano paesaggistico in senso stretto, limitato alla tutela conservativa dei valori del paesaggio. Su questa fondamentale questione, invece, il Tribunale ha rigettato le deduzioni dell’Assessorato regionale ai Beni culturali della Sicilia poiché il piano paesistico, per le caratteristiche che possiede e che abbiamo analizzato in precedenza necessita di V.A.S.

Pertanto, a prescindere dalla qualificazione dell’atto di pianificazione in termini di piano urbanistico-territoriale o di piano paesaggistico, esso va comunque previamente assoggettato a valutazione ambientale strategica. Infine, la tesi difensiva sostenuta dall’amministrazione regionale secondo la quale il piano in questione non determina alcun impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio culturale essendo «preordinato a dettare un quadro conoscitivo e una normativa di riferimento per l’attività di tutela, eminentemente conservativa dei valori paesaggistici», non appare condivisibile, alla luce di un provvedimento che è invece imperniato sulla «rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio, sul parziale superamento della concezione solo conservativa del paesaggio e sul riconoscimento del paesaggio come risorsa per lo sviluppo».

Peraltro, ammettere che un piano preordinato alla tutela e allo sviluppo dei valori dell’ambiente e del paesaggio (e che quindi necessariamente impone forme di tutela che incidono sull’assetto del territorio) non debba essere preceduto dalla verifica ambientale finirebbe per vanificare, afferma il T.A.R., «la finalità della disciplina sulla V.A.S. e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello «sviluppo sostenibile», espressamente enunciato all’articolo 1 della direttiva».

Da ciò, il Tribunale ha rilevato che il piano paesaggistico deve essere assoggettato a valutazione ambientale strategica in quanto l’obiettivo della valutazione consiste proprio nel voler analizzare dettagliatamente quali siano nel presente e nel futuro gli influssi che le prescrizioni del piano potranno avere sui segmenti di territorio che si pianificano.

Sulla base di tanto, la decisione del Tribunale siciliano deve essere considerata in maniera assolutamente positiva poiché, da un lato ha rafforzato la grande importanza del piano paesistico nel panorama degli atti pianificatori del nostro territorio, già peraltro affermata dalla costante giurisprudenza[6] e, dall’altro, ha statuito che le prescrizioni ed i contenuti propositivi del piano paesistico vanno sottoposti a V.A.S. perché devono essere misurati e calibrati con gli effetti che il piano può avere sui territori interessati. La procedura di V.A.S. del piano paesistico, lungi dall’essere considerata come un inutile appesantimento della procedura pianificatoria che ostacola la salvaguardia del contesto paesaggistico considerato, si inserisce a pieno titolo in un metodo di sviluppo del paesaggio che può concorrere a definire in modo opportuno e prudente gli effetti che le prescrizioni e le definizioni contenute nel piano comporteranno per il territorio interessato.

In una visione dinamica del paesaggio, detta valutazione e la partecipazione al processo pianificatorio di tutte le istanze economiche e sociali presenti sul territorio, possono contribuire in modo decisivo a rappresentare le modalità con cui il paesaggio dovrà essere tutelato, valorizzato, modificato e restituito alle popolazioni che vi sono insediate, considerando che il paesaggio può essere saggiamente utilizzato anche per finalità di sviluppo economico e sociale.



[1] Cfr. Art. 7, comma 1 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

[2] Cfr. Articolo 143, D.lgs. 42/2004, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: Piano paesaggistico, ove si dispone che «l’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: e) individuazione di eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all’articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo;g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela; h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate; i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell’articolo 135, comma 3».

[3] Cfr. F. Magnosi, Il diritto al paesaggio. Tutela, valorizzazione, vincolo ed autorizzazione, Exeoedizioni, Padova, 2011. Infatti, «deve essere superata la concezione meramente conservativa e monumentale che è riconnessa alla funzione di tutela, inserendo la disciplina paesaggistica all’interno dei processi sociali ed economici attraverso le attività di valorizzazione e di promozione del paesaggio».

[4] Cfr. F. Magnosi, op. cit.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4244.

[6] Cfr. TAR Lazio, sez. II-quater Roma, 22 novembre 2010, n. 33741, in www.urbium.it, secondo cui «la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico-edilizie locali. In definitiva dunque, nella gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali il paesaggio prevale, in linea di principio, sugli altri strumenti urbanistici»[6].