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Il silenzio-assenso e la comunicazione dei motivi che ostano al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica alla luce delle novità introdotte al procedimento autorizzatorio dal Decreto Sviluppo 13 maggio del 2011, n. 70

La questione sulla necessità o meno di far precedere il provvedimento ministeriale di annullamento della autorizzazione paesaggistica dalla comunicazione di avvio del procedimento è stata assai dibattuta in passato, ed ha rappresentato un argomento di studio per dottrina, giurisprudenza e tecnici degli enti locali.

A sostegno della non necessità di tale comunicazione ha sempre deposto la natura di procedimento ad istanza di parte della procedura di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Infatti, tale procedimento era considerato in modo unitario dalla maggior parte dei commentatori, sebbene costituito di una fase propriamente autorizzatoria e di una seconda fase di riesame ad opera dell’organo ministeriale, ossia della Soprintendenza.

Questo procedimento poteva concludersi con l’annullamento dell’autorizzazione già concessa, ovvero con la conferma delle conclusioni espresse dall’ente preposto. In ogni caso il privato interessato, con la ricezione della comunicazione predetta, veniva messo in condizione di interloquire con l’amministrazione, assicurandosi in tal modo la partecipazione procedimentale del privato alle decisioni della P.A.

La delicata questione torna in questo momento all’attenzione degli addetti ai lavori, stante l’introduzione ad opera del Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70 dell’obbligo per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il pre-diniego alla concessione della autorizzazione paesaggistica. Il suesposto problema appariva definitivamente risolto grazie ad un consolidato orientamento giurisprudenziale il quale aveva affermato, in sostanza, che il procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente organo statale non richiedeva la previa comunicazione di avvio ex art. 7, legge 7 agosto 1990, n. 241[1].

Questa soluzione si basava sulla lettera della legge, e, in particolare, sull’art. 159, comma 2 del Codice dei beni culturali, secondo cui la comunicazione alla Soprintendenza relativa all’avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell’ente a ciò preposto «è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241». Del resto, la necessità di comunicazione di avvio del procedimento, originariamente prevista nell’ambito dell’art. 4 del d.m. 13 giugno 1994, n. 495, recante norme di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 241/1990, fu espressamente esclusa dal d.m. 19 giugno 2002, n. 165, che non prevedeva la detta comunicazione per i procedimenti avviati ad istanza di parte[2].

Infatti, una volta rilasciata l’autorizzazione da parte della Regione o dall’ente delegato, la successiva fase di riesame del nulla osta da parte della Soprintendenza, oggi eliminata per effetto della unificazione del procedimento in un’unica fase complessa in cui la Soprintendenza partecipa sin dall’inizio, poteva essere descritta come una fase necessaria e non autonoma di un unitario e complesso procedimento volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi, avviato dall’ente che ha rilasciato l’autorizzazione e non già attivato ad istanza della parte che ha richiesto il nulla osta.

Sul punto fu chiarito in modo deciso che l’obbligo di comunicare i motivi che ostano alla concessione di un provvedimento, prima della formale adozione dello stesso, c.d. pre-diniego o preavviso di rigetto, sussiste solo per i procedimenti avviati ad istanza di parte, e non anche per quelli avviati da altri soggetti che pure partecipano necessariamente al procedimento[3].

Il procedimento finalizzato al rilascio del nulla osta paesaggistico si configurava in passato come un procedimento complesso, caratterizzato da una prima fase avviata ad istanza di parte e da una fase successiva attivata d’ufficio: il succitato procedimento è stato definito a «struttura bifasica»[4] dalla giurisprudenza, e questa sua caratteristica non è priva di riflessi per quanto concerne l’obbligatorietà della comunicazione dell’avvio del procedimento di annullamento, a tenore dell’art. 7 della legge 241/1990.

In generale, se si fosse trattato di un unico procedimento i motivi ostativi avrebbero dovuto essere comunicati agli istanti sia prima di negare il rilascio che prima di procedere all’annullamento del nulla-osta già rilasciato. Viceversa, considerando i due procedimenti distinti, l’unica amministrazione tenuta all’obbligo di comunicazione è quella che rigetta la domanda di rilascio[5].

È anche vero però, che l’eventuale inosservanza di detto obbligo, in teoria, avrebbe determinato il vizio del provvedimento finale per violazione di legge[6]. Circostanza questa che, in tema di comunicazione dei motivi ostativi alla concessione dell’autorizzazione paesaggistica da parte delle Soprintendenza si era verificata moltissime volte.

Per tali motivi, la giurisprudenza amministrativa ha cercato in ogni modo di fare salva la legittimità dei dinieghi o delle autorizzazioni concesse in violazione dell’art. 10-bis in un’ottica di economia procedimentale e che, quindi, si è evitato di procedere all’annullamento del provvedimento non preceduto dal preavviso di rigetto ogniqualvolta si è appurato che, a prescindere da tale formalità, il contraddittorio si fosse egualmente sviluppato in modo adeguato anche sui motivi ostativi, o che comunque il contenuto del provvedimento finale non sarebbe stato modificato pur all’esito di una effettiva partecipazione dell’interessato.

Sulla base dei numerosi rilievi emersi, la giurisprudenza prevalente ritenne così di stabilire l’inapplicabilità dell’art. 10-bis della legge 241/1990 alle vicende del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica del previgente regime, osservando tra l’altro che il procedimento volto alla verifica di legittimità dell’autorizzazione paesaggistica non è attivato su istanza del soggetto che ha formulato la richiesta di autorizzazione, ma dall’ente locale che l’ha rilasciata, il quale ne domanda la verifica di legittimità alla Soprintendenza[7].

Tra l’altro, nel regime che prevedeva una doppia fase, cioè quella autorizzatoria e quella successiva che poteva sfociare nell’annullamento all’esito della verifica da parte della Soprintendenza, si osservò che il privato era già edotto in virtù di apposita norma di legge che il procedimento contemplasse una fase successiva a quella comunale, dove egli avrebbe potuto partecipare attivamente con osservazioni tese anche ad eliminare elementi che potevano apparire in contrasto con le esigenze di tutela paesistica fatte proprie dall’amministrazione, e dunque sembrò superfluo prevedere l’obbligatorietà della comunicazione.

A sgomberare il campo dai residui problemi interpretativi posti dall’applicazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 al procedimento di autorizzazione paesaggistica, che resta un procedimento avviato ad istanza dell’interessato al rilascio, interviene ora il Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, che ha introdotto rilevanti novità in merito alla tutela dei beni culturali e paesaggistici e, in particolare, ha introdotto l’obbligo per la Soprintendenza di comunicare il preavviso di rigetto dell’autorizzazione paesaggistica, ripristinando con legge la funzionalità difensiva e collaborativa dell’art. 10-bis della legge 241/1990, che, all’interno della vicenda autorizzatoria in relazione ai beni paesaggistici mira a consentire una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire.

L’art. 10-bis è, invero, una norma diretta ad instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino al fine sia di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira, sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire[8].

Alcune modifiche apportate al Codice dei beni culturali e del paesaggio dal D.L. 70/2011 riguardano proprio il procedimento di autorizzazione paesaggistica, che vanno ad aggiungersi alla fondamentale modifica al procedimento autorizzatorio introdotta a partire dal 1 gennaio 2010, ed applicabile alle domande non evase alla data del 31 dicembre 2009. Detta ultima modifica, in un’ottica di snellimento complessivo della procedura, ha previsto che le Soprintendenze possano esercitare nei confronti delle proposte di autorizzazione pervenute agli enti locali e ad esse trasmesse un sindacato pieno e che si esprime sin dall’inizio della procedura e che può estendersi al merito delle valutazioni espresse dagli enti locali[9].

L’annullamento ex-post aveva creato, infatti, non pochi problemi di stabilità dei provvedimenti emessi, che spesso venivano annullati dalla Soprintendenza dopo che il privato aveva dato inizio ai lavori sul bene paesaggistico, dando corso ad inaccettabili violazioni del diritto al legittimo affidamento del privato verso i provvedimenti autorizzatori della P.A.

Le rilevanti novità introdotte nel maggio 2011 sono invece due: la prima, introducendo una forma di silenzio-assenso alla procedura di autorizzazione paesaggistica, semplifica la procedura quando le previsioni del piano paesaggistico sono recepite dagli strumenti urbanistici locali; la seconda aggiunge per la Soprintendenza, come detto, una nuova incombenza che consiste nel comunicare il preavviso di parere negativo all’interessato ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa. Si osservi che questa nuova funzione attribuita alla Soprintendenza si inserisce nel complessivo progetto del legislatore avviato sin dal 1 gennaio 2010 con l’introduzione della nuova procedura di autorizzazione paesaggistica, ed inteso ad accrescere il ruolo dell’organo ministeriale nella gestione del vincolo paesaggistico, che attraverso l’autorizzazione si realizza con la massima intensità.

Infatti, il ruolo di vigilanza e verifica in materia ambientale e paesaggistica della Soprintendenza nella nuova procedura di autorizzazione si sviluppa sin dall’avvio del procedimento e non già alla fine dello stesso o successivamente, con l’espressione di un parere obbligatorio e vincolante, che, per razionalizzare, diviene solo obbligatorio nel caso in cui il piano paesaggistico sia stato il risultato di una approvazione congiunta tra Ministero e Regione interessata, ed i piani urbanistici territoriali si siano adeguati al piano paesaggistico.

L’altra importante innovazione adottata dal Decreto 70/2011 consiste nella previsione di una forma di silenzio-assenso per la definizione della procedura di autorizzazione paesistica.

Infatti, una volta approvati i piani paesaggistici, aggiornati ed uniformati i piani urbanistici alle prescrizioni in esso contenute e valutati tali adeguamenti in maniera positiva da parte del Ministero dei beni culturali, il parere del Soprintendente rimane obbligatorio ma non vincolante.

Inoltre, se esso non viene reso entro 90 giorni dal ricevimento della documentazione inviata al Soprintendente dall’autorità competente al rilascio del nulla osta paesaggistico, scatta il silenzio-assenso ed il parere è da considerarsi favorevole o sfavorevole tenendo conto esclusivamente delle conclusioni cui è giunto l’organo preposto al rilascio dell’autorizzazione, che di norma è il Comune che viene delegato dalla Regione.

Salva, ovviamente, la facoltà di indire una conferenza di servizi da parte dell’ente locale a mente dell’art. 14 della legge 241/1990, cui il Soprintendente partecipa o fa pervenire un parere scritto. In ogni caso, se il Soprintendente non si è espresso decorsi ulteriori 60 giorni dal ricevimento della documentazione, l’ente locale rilascia o rigetta la domanda di autorizzazione sulla base delle proprie conclusioni.

Un’ulteriore innovazione riguarda l’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica: con la modifica del comma 11 dell’art. 146 del Codice il provvedimento avrà efficacia immediata, per cui non bisognerà più attendere i 30 giorni fino ad ora previsti per la sua validità e per dare corso alle opere autorizzate.

Riassumendo, con le recentissime modifiche apportate al Codice dei beni culturali con il D.L. del maggio 2011 il legislatore ha introdotto, da un lato, con l’obbligo della comunicazione da parte della Soprintendenza dei motivi che ostano alla concessione del nulla osta paesistico, degli elementi di apparente aggravamento ad una procedura che già si presentava per molti versi complicata, ma con la lodevole aspirazione di valorizzare la trasparenza amministrativa.

D’altro lato, tuttavia, l’introduzione del silenzio-assenso che si forma nei 90 giorni dal ricevimento della documentazione relativa alla domanda di autorizzazione e l’acquisizione immediata dell’efficacia del provvedimento in caso di concessione, hanno favorito la velocizzazione del rilascio in tutti quei casi in cui i progetti rivolti alla modifica dei beni vincolati siano conformi ai valori paesaggistici presenti in una determinata zona, e la valutazione dell’impatto delle modifiche sul paesaggio vincolato sia in linea con il mantenimento dell’equilibrio paesaggistico di quelle aree e risponda ai canoni indicati dalla Regione e dal Ministero in sede di approvazione congiunta del piano paesistico.

Questa conclusione appare del tutto coerente con il sistema di tutela del paesaggio previsto dal nostro ordinamento.

A parere di chi scrive, infatti, si stima del tutto superflua e dilatoria una ulteriore deliberazione della Soprintendenza, in tutti quei casi in cui il piano paesistico sia il frutto di approvazione congiunta tra Ministero e Regione, e dunque l’organo statale ha partecipato attivamente alla definizione delle linee di salvaguardia da predisporre e si è previsto dove e come si può o non si può costruire o modificare l’assetto territorial-paesaggistico.

È corretto invece mantenere l’obbligatorietà e la vincolatività del parere statale ove non vi sia stata la necessaria cooperazione tra amministrazioni nella previsione ed approvazione del piano paesaggistico, e nell’adattamento a questo degli strumenti urbanistici sottordinati.

Tornando, poi, all’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis della legge 241/1990 applicato dal Decreto 70/2011 alle vicende del procedimento paesistico esso potrà, inoltre, assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento.

Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.

In conclusione, alla luce di queste ultime osservazioni, si devono a mio avviso accogliere con favore le innovazioni del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che si inseriscono in un complessivo progetto di snellimento delle azioni tese alla sua salvaguardia in tempi adeguati, e tenendo conto della specificità delle posizioni dei soggetti pubblici e privati ivi coinvolti.

In particolare, l’introduzione della obbligatorietà per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il preavviso di rigetto dell’autorizzazione a tenore dell’articolo 10-bis della legge 241/1990, assicurerà il dialogo permanente tra cittadino ed amministrazione, e contribuirà ad evitare il ricorso alla tutela giurisdizionale poiché l’interessato avrà la possibilità di far confluire nel procedimento, ed entro 10 giorni dalla comunicazione, tutte le sue osservazioni in merito al prospettato rigetto da parte dell’organo ministeriale, sottraendo il provvedimento finale alle lungaggini di un contenzioso amministrativo che può essere evitato se si osservano le norme sul procedimento.

Inoltre, la previsione dell’obbligo di comunicazione costituisce un importante estensione dell’istituto della partecipazione procedimentale, in base al principio che la decisione amministrativa deve essere sempre il risultato di una dialettica tra le parti interessate[10].

Infine, il coinvolgimento effettivo dell’interessato al procedimento autorizzatorio, per l’importanza che assume l’interesse pubblico paesistico nel nostro ordinamento, può altresì consentire il superamento di dubbi e difficoltà che ove non chiariti possono condurre ad apprestare una tutela affievolita e superficiale al bene paesaggistico ed all’emanazione di provvedimenti imperfetti ed inidonei alla salvaguardia dell’interesse paesistico.



[1] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5980 e, nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5874, in www.giutiziaamministrativa.it.

[2] Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. I, 7 giugno 2006, n. 3288, dove si è affermato, tra l’altro, che «in tema di annullamento da parte della Soprintendenza del nulla osta paesistico rilasciato dell’ente locale ex articolo 159 del Codice, l’articolo 21-bis della legge 241/1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, non ha comportato il superamento del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della documentazione completa da parte della Soprintendenza, l’Autorità statale debba soltanto adottare l’atto e non anche comunicarlo all’interessato; infatti, anche a voler ritenere che si tratti di un c.d. “atto recettizio a comunicazione individuale”, non può trascurarsi l’inequivoco disposto dell’articolo 159 del Codice secondo il quale entro il termine di legge l’amministrazione è tenuta ad adottare un atto perfetto, ben potendo la comunicazione nei confronti dell’interessato intervenire in un secondo momento, secondo il consolidato approccio bifasico in tema di atti recettizi in base al quale le vicende relative all’adozione ed all’acquisto di efficacia di atti giuridici possono essere prodotte in tempi diversi».

[3] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2010, n. 3837, in www.lexitalia.it.

[4] Cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 10 marzo 2008, n. 387.

[5] Cfr. Antoniol M., L’art. 10 della L. 241/1990. La comunicazione dei motivi ostativi, Exeo, Padova, 2011.

[6] Cfr. Crisafulli A. Istituzioni di diritto amministrativo, Maggioli, Bologna, 2007.

[7] Cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 11 febbraio 2011, n. 904, secondo cui «l’articolo 10-bis della legge 241/1990 non è applicabile al procedimento statale di verifica della legittimità dell’autorizzazione paesaggistica, sia perché tale procedimento non è attivato su istanza di parte, bensì su richiesta dell’amministrazione che ha rilasciato tale autorizzazione, sia perché la comunicazione di cui all’articolo 10-bis ha ad oggetto “i motivi che ostano all’accoglimento della domanda”, mentre la funzione esercitata dalla Soprintendenza nell’esercizio del potere di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica non è quella di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti il rilascio del provvedimento, bensì quella di scrutinare la legittimità dell’autorizzazione comunale».

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007 n. 4828 e Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2452. L’articolo 10-bis della legge 241/1990 è stata considerata una norma molto opportuna, che costituisce una garanzia ulteriore per il cittadino dal punto di vista della trasparenza ed un vantaggio per l’amministrazione nell’ottica della deflazione del contenzioso e di un complessivo alleggerimento delle incombenze burocratiche.

[9] Sia consentito il rinvio a Magnosi F., Il diritto al paesaggio. Tutela, valorizzazione, vincolo ed autorizzazione, Exeo, Padova, 2011.

[10] Cfr. Cerulli Irelli V., Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2006.

La questione sulla necessità o meno di far precedere il provvedimento ministeriale di annullamento della autorizzazione paesaggistica dalla comunicazione di avvio del procedimento è stata assai dibattuta in passato, ed ha rappresentato un argomento di studio per dottrina, giurisprudenza e tecnici degli enti locali.

A sostegno della non necessità di tale comunicazione ha sempre deposto la natura di procedimento ad istanza di parte della procedura di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Infatti, tale procedimento era considerato in modo unitario dalla maggior parte dei commentatori, sebbene costituito di una fase propriamente autorizzatoria e di una seconda fase di riesame ad opera dell’organo ministeriale, ossia della Soprintendenza.

Questo procedimento poteva concludersi con l’annullamento dell’autorizzazione già concessa, ovvero con la conferma delle conclusioni espresse dall’ente preposto. In ogni caso il privato interessato, con la ricezione della comunicazione predetta, veniva messo in condizione di interloquire con l’amministrazione, assicurandosi in tal modo la partecipazione procedimentale del privato alle decisioni della P.A.

La delicata questione torna in questo momento all’attenzione degli addetti ai lavori, stante l’introduzione ad opera del Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70 dell’obbligo per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il pre-diniego alla concessione della autorizzazione paesaggistica. Il suesposto problema appariva definitivamente risolto grazie ad un consolidato orientamento giurisprudenziale il quale aveva affermato, in sostanza, che il procedimento finalizzato all’annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente organo statale non richiedeva la previa comunicazione di avvio ex art. 7, legge 7 agosto 1990, n. 241[1].

Questa soluzione si basava sulla lettera della legge, e, in particolare, sull’art. 159, comma 2 del Codice dei beni culturali, secondo cui la comunicazione alla Soprintendenza relativa all’avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell’ente a ciò preposto «è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241». Del resto, la necessità di comunicazione di avvio del procedimento, originariamente prevista nell’ambito dell’art. 4 del d.m. 13 giugno 1994, n. 495, recante norme di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 241/1990, fu espressamente esclusa dal d.m. 19 giugno 2002, n. 165, che non prevedeva la detta comunicazione per i procedimenti avviati ad istanza di parte[2].

Infatti, una volta rilasciata l’autorizzazione da parte della Regione o dall’ente delegato, la successiva fase di riesame del nulla osta da parte della Soprintendenza, oggi eliminata per effetto della unificazione del procedimento in un’unica fase complessa in cui la Soprintendenza partecipa sin dall’inizio, poteva essere descritta come una fase necessaria e non autonoma di un unitario e complesso procedimento volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi, avviato dall’ente che ha rilasciato l’autorizzazione e non già attivato ad istanza della parte che ha richiesto il nulla osta.

Sul punto fu chiarito in modo deciso che l’obbligo di comunicare i motivi che ostano alla concessione di un provvedimento, prima della formale adozione dello stesso, c.d. pre-diniego o preavviso di rigetto, sussiste solo per i procedimenti avviati ad istanza di parte, e non anche per quelli avviati da altri soggetti che pure partecipano necessariamente al procedimento[3].

Il procedimento finalizzato al rilascio del nulla osta paesaggistico si configurava in passato come un procedimento complesso, caratterizzato da una prima fase avviata ad istanza di parte e da una fase successiva attivata d’ufficio: il succitato procedimento è stato definito a «struttura bifasica»[4] dalla giurisprudenza, e questa sua caratteristica non è priva di riflessi per quanto concerne l’obbligatorietà della comunicazione dell’avvio del procedimento di annullamento, a tenore dell’art. 7 della legge 241/1990.

In generale, se si fosse trattato di un unico procedimento i motivi ostativi avrebbero dovuto essere comunicati agli istanti sia prima di negare il rilascio che prima di procedere all’annullamento del nulla-osta già rilasciato. Viceversa, considerando i due procedimenti distinti, l’unica amministrazione tenuta all’obbligo di comunicazione è quella che rigetta la domanda di rilascio[5].

È anche vero però, che l’eventuale inosservanza di detto obbligo, in teoria, avrebbe determinato il vizio del provvedimento finale per violazione di legge[6]. Circostanza questa che, in tema di comunicazione dei motivi ostativi alla concessione dell’autorizzazione paesaggistica da parte delle Soprintendenza si era verificata moltissime volte.

Per tali motivi, la giurisprudenza amministrativa ha cercato in ogni modo di fare salva la legittimità dei dinieghi o delle autorizzazioni concesse in violazione dell’art. 10-bis in un’ottica di economia procedimentale e che, quindi, si è evitato di procedere all’annullamento del provvedimento non preceduto dal preavviso di rigetto ogniqualvolta si è appurato che, a prescindere da tale formalità, il contraddittorio si fosse egualmente sviluppato in modo adeguato anche sui motivi ostativi, o che comunque il contenuto del provvedimento finale non sarebbe stato modificato pur all’esito di una effettiva partecipazione dell’interessato.

Sulla base dei numerosi rilievi emersi, la giurisprudenza prevalente ritenne così di stabilire l’inapplicabilità dell’art. 10-bis della legge 241/1990 alle vicende del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica del previgente regime, osservando tra l’altro che il procedimento volto alla verifica di legittimità dell’autorizzazione paesaggistica non è attivato su istanza del soggetto che ha formulato la richiesta di autorizzazione, ma dall’ente locale che l’ha rilasciata, il quale ne domanda la verifica di legittimità alla Soprintendenza[7].

Tra l’altro, nel regime che prevedeva una doppia fase, cioè quella autorizzatoria e quella successiva che poteva sfociare nell’annullamento all’esito della verifica da parte della Soprintendenza, si osservò che il privato era già edotto in virtù di apposita norma di legge che il procedimento contemplasse una fase successiva a quella comunale, dove egli avrebbe potuto partecipare attivamente con osservazioni tese anche ad eliminare elementi che potevano apparire in contrasto con le esigenze di tutela paesistica fatte proprie dall’amministrazione, e dunque sembrò superfluo prevedere l’obbligatorietà della comunicazione.

A sgomberare il campo dai residui problemi interpretativi posti dall’applicazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 al procedimento di autorizzazione paesaggistica, che resta un procedimento avviato ad istanza dell’interessato al rilascio, interviene ora il Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, che ha introdotto rilevanti novità in merito alla tutela dei beni culturali e paesaggistici e, in particolare, ha introdotto l’obbligo per la Soprintendenza di comunicare il preavviso di rigetto dell’autorizzazione paesaggistica, ripristinando con legge la funzionalità difensiva e collaborativa dell’art. 10-bis della legge 241/1990, che, all’interno della vicenda autorizzatoria in relazione ai beni paesaggistici mira a consentire una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire.

L’art. 10-bis è, invero, una norma diretta ad instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino al fine sia di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira, sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire[8].

Alcune modifiche apportate al Codice dei beni culturali e del paesaggio dal D.L. 70/2011 riguardano proprio il procedimento di autorizzazione paesaggistica, che vanno ad aggiungersi alla fondamentale modifica al procedimento autorizzatorio introdotta a partire dal 1 gennaio 2010, ed applicabile alle domande non evase alla data del 31 dicembre 2009. Detta ultima modifica, in un’ottica di snellimento complessivo della procedura, ha previsto che le Soprintendenze possano esercitare nei confronti delle proposte di autorizzazione pervenute agli enti locali e ad esse trasmesse un sindacato pieno e che si esprime sin dall’inizio della procedura e che può estendersi al merito delle valutazioni espresse dagli enti locali[9].

L’annullamento ex-post aveva creato, infatti, non pochi problemi di stabilità dei provvedimenti emessi, che spesso venivano annullati dalla Soprintendenza dopo che il privato aveva dato inizio ai lavori sul bene paesaggistico, dando corso ad inaccettabili violazioni del diritto al legittimo affidamento del privato verso i provvedimenti autorizzatori della P.A.

Le rilevanti novità introdotte nel maggio 2011 sono invece due: la prima, introducendo una forma di silenzio-assenso alla procedura di autorizzazione paesaggistica, semplifica la procedura quando le previsioni del piano paesaggistico sono recepite dagli strumenti urbanistici locali; la seconda aggiunge per la Soprintendenza, come detto, una nuova incombenza che consiste nel comunicare il preavviso di parere negativo all’interessato ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa. Si osservi che questa nuova funzione attribuita alla Soprintendenza si inserisce nel complessivo progetto del legislatore avviato sin dal 1 gennaio 2010 con l’introduzione della nuova procedura di autorizzazione paesaggistica, ed inteso ad accrescere il ruolo dell’organo ministeriale nella gestione del vincolo paesaggistico, che attraverso l’autorizzazione si realizza con la massima intensità.

Infatti, il ruolo di vigilanza e verifica in materia ambientale e paesaggistica della Soprintendenza nella nuova procedura di autorizzazione si sviluppa sin dall’avvio del procedimento e non già alla fine dello stesso o successivamente, con l’espressione di un parere obbligatorio e vincolante, che, per razionalizzare, diviene solo obbligatorio nel caso in cui il piano paesaggistico sia stato il risultato di una approvazione congiunta tra Ministero e Regione interessata, ed i piani urbanistici territoriali si siano adeguati al piano paesaggistico.

L’altra importante innovazione adottata dal Decreto 70/2011 consiste nella previsione di una forma di silenzio-assenso per la definizione della procedura di autorizzazione paesistica.

Infatti, una volta approvati i piani paesaggistici, aggiornati ed uniformati i piani urbanistici alle prescrizioni in esso contenute e valutati tali adeguamenti in maniera positiva da parte del Ministero dei beni culturali, il parere del Soprintendente rimane obbligatorio ma non vincolante.

Inoltre, se esso non viene reso entro 90 giorni dal ricevimento della documentazione inviata al Soprintendente dall’autorità competente al rilascio del nulla osta paesaggistico, scatta il silenzio-assenso ed il parere è da considerarsi favorevole o sfavorevole tenendo conto esclusivamente delle conclusioni cui è giunto l’organo preposto al rilascio dell’autorizzazione, che di norma è il Comune che viene delegato dalla Regione.

Salva, ovviamente, la facoltà di indire una conferenza di servizi da parte dell’ente locale a mente dell’art. 14 della legge 241/1990, cui il Soprintendente partecipa o fa pervenire un parere scritto. In ogni caso, se il Soprintendente non si è espresso decorsi ulteriori 60 giorni dal ricevimento della documentazione, l’ente locale rilascia o rigetta la domanda di autorizzazione sulla base delle proprie conclusioni.

Un’ulteriore innovazione riguarda l’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica: con la modifica del comma 11 dell’art. 146 del Codice il provvedimento avrà efficacia immediata, per cui non bisognerà più attendere i 30 giorni fino ad ora previsti per la sua validità e per dare corso alle opere autorizzate.

Riassumendo, con le recentissime modifiche apportate al Codice dei beni culturali con il D.L. del maggio 2011 il legislatore ha introdotto, da un lato, con l’obbligo della comunicazione da parte della Soprintendenza dei motivi che ostano alla concessione del nulla osta paesistico, degli elementi di apparente aggravamento ad una procedura che già si presentava per molti versi complicata, ma con la lodevole aspirazione di valorizzare la trasparenza amministrativa.

D’altro lato, tuttavia, l’introduzione del silenzio-assenso che si forma nei 90 giorni dal ricevimento della documentazione relativa alla domanda di autorizzazione e l’acquisizione immediata dell’efficacia del provvedimento in caso di concessione, hanno favorito la velocizzazione del rilascio in tutti quei casi in cui i progetti rivolti alla modifica dei beni vincolati siano conformi ai valori paesaggistici presenti in una determinata zona, e la valutazione dell’impatto delle modifiche sul paesaggio vincolato sia in linea con il mantenimento dell’equilibrio paesaggistico di quelle aree e risponda ai canoni indicati dalla Regione e dal Ministero in sede di approvazione congiunta del piano paesistico.

Questa conclusione appare del tutto coerente con il sistema di tutela del paesaggio previsto dal nostro ordinamento.

A parere di chi scrive, infatti, si stima del tutto superflua e dilatoria una ulteriore deliberazione della Soprintendenza, in tutti quei casi in cui il piano paesistico sia il frutto di approvazione congiunta tra Ministero e Regione, e dunque l’organo statale ha partecipato attivamente alla definizione delle linee di salvaguardia da predisporre e si è previsto dove e come si può o non si può costruire o modificare l’assetto territorial-paesaggistico.

È corretto invece mantenere l’obbligatorietà e la vincolatività del parere statale ove non vi sia stata la necessaria cooperazione tra amministrazioni nella previsione ed approvazione del piano paesaggistico, e nell’adattamento a questo degli strumenti urbanistici sottordinati.

Tornando, poi, all’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis della legge 241/1990 applicato dal Decreto 70/2011 alle vicende del procedimento paesistico esso potrà, inoltre, assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento.

Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.

In conclusione, alla luce di queste ultime osservazioni, si devono a mio avviso accogliere con favore le innovazioni del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che si inseriscono in un complessivo progetto di snellimento delle azioni tese alla sua salvaguardia in tempi adeguati, e tenendo conto della specificità delle posizioni dei soggetti pubblici e privati ivi coinvolti.

In particolare, l’introduzione della obbligatorietà per la Soprintendenza di comunicare agli interessati il preavviso di rigetto dell’autorizzazione a tenore dell’articolo 10-bis della legge 241/1990, assicurerà il dialogo permanente tra cittadino ed amministrazione, e contribuirà ad evitare il ricorso alla tutela giurisdizionale poiché l’interessato avrà la possibilità di far confluire nel procedimento, ed entro 10 giorni dalla comunicazione, tutte le sue osservazioni in merito al prospettato rigetto da parte dell’organo ministeriale, sottraendo il provvedimento finale alle lungaggini di un contenzioso amministrativo che può essere evitato se si osservano le norme sul procedimento.

Inoltre, la previsione dell’obbligo di comunicazione costituisce un importante estensione dell’istituto della partecipazione procedimentale, in base al principio che la decisione amministrativa deve essere sempre il risultato di una dialettica tra le parti interessate[10].

Infine, il coinvolgimento effettivo dell’interessato al procedimento autorizzatorio, per l’importanza che assume l’interesse pubblico paesistico nel nostro ordinamento, può altresì consentire il superamento di dubbi e difficoltà che ove non chiariti possono condurre ad apprestare una tutela affievolita e superficiale al bene paesaggistico ed all’emanazione di provvedimenti imperfetti ed inidonei alla salvaguardia dell’interesse paesistico.



[1] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5980 e, nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5874, in www.giutiziaamministrativa.it.

[2] Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. I, 7 giugno 2006, n. 3288, dove si è affermato, tra l’altro, che «in tema di annullamento da parte della Soprintendenza del nulla osta paesistico rilasciato dell’ente locale ex articolo 159 del Codice, l’articolo 21-bis della legge 241/1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, non ha comportato il superamento del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della documentazione completa da parte della Soprintendenza, l’Autorità statale debba soltanto adottare l’atto e non anche comunicarlo all’interessato; infatti, anche a voler ritenere che si tratti di un c.d. “atto recettizio a comunicazione individuale”, non può trascurarsi l’inequivoco disposto dell’articolo 159 del Codice secondo il quale entro il termine di legge l’amministrazione è tenuta ad adottare un atto perfetto, ben potendo la comunicazione nei confronti dell’interessato intervenire in un secondo momento, secondo il consolidato approccio bifasico in tema di atti recettizi in base al quale le vicende relative all’adozione ed all’acquisto di efficacia di atti giuridici possono essere prodotte in tempi diversi».

[3] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2010, n. 3837, in www.lexitalia.it.

[4] Cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 10 marzo 2008, n. 387.

[5] Cfr. Antoniol M., L’art. 10 della L. 241/1990. La comunicazione dei motivi ostativi, Exeo, Padova, 2011.

[6] Cfr. Crisafulli A. Istituzioni di diritto amministrativo, Maggioli, Bologna, 2007.

[7] Cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 11 febbraio 2011, n. 904, secondo cui «l’articolo 10-bis della legge 241/1990 non è applicabile al procedimento statale di verifica della legittimità dell’autorizzazione paesaggistica, sia perché tale procedimento non è attivato su istanza di parte, bensì su richiesta dell’amministrazione che ha rilasciato tale autorizzazione, sia perché la comunicazione di cui all’articolo 10-bis ha ad oggetto “i motivi che ostano all’accoglimento della domanda”, mentre la funzione esercitata dalla Soprintendenza nell’esercizio del potere di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica non è quella di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti il rilascio del provvedimento, bensì quella di scrutinare la legittimità dell’autorizzazione comunale».

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007 n. 4828 e Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2452. L’articolo 10-bis della legge 241/1990 è stata considerata una norma molto opportuna, che costituisce una garanzia ulteriore per il cittadino dal punto di vista della trasparenza ed un vantaggio per l’amministrazione nell’ottica della deflazione del contenzioso e di un complessivo alleggerimento delle incombenze burocratiche.

[9] Sia consentito il rinvio a Magnosi F., Il diritto al paesaggio. Tutela, valorizzazione, vincolo ed autorizzazione, Exeo, Padova, 2011.

[10] Cfr. Cerulli Irelli V., Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2006.