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La responsabilità della P.A. per i danni al cittadino

Sia in dottrina che in giurisprudenza, da circa un secolo si discute circa l’astratta configurabilità di una responsabilità civile della pubblica amministrazione.

Nello specifico, quando si faceva questione dell’ammissibilità di una responsabilità della

p.a., si alludeva alla responsabilità extracontrattuale, non essendo mai stata sollevata alcuna

contestazione in ordine alla configurabilità di una responsabilità contrattuale dell’amministrazione, e ciò per due ragioni principali: la prima di carattere teorico, relativa all’idea che la p.a., nell’ambito della attività contrattuale, operasse non come soggetto

di diritto pubblico ma come soggetto di diritto privato, trovandosi quindi su un piano paritario con i singoli; l’altra di carattere pratico, in quanto nessun privato avrebbe contrattato con l’amministrazione se nell’ ipotesi di inadempimento del contratto, gli fosse preclusa la possibilità di convenire in giudizio il soggetto pubblico al fine di esperire i rimedi all’uopo previsti dalla disciplina civilistica in materia di obbligazioni e contratti[1].

Mentre si ammetteva comunemente una responsabilità contrattuale, in dottrina e giurisprudenza l’astratta ammissibilità di una responsabilità extracontrattuale della pubblica

amministrazione trovava forti resistenze e opinioni discordanti[2]: non era affatto pacifico – e da più parti era espressamente escluso - la configurabilità di un dovere giuridico in capo alla p.a. di risarcire il danno eventualmente cagionato ai privati nello svolgimento delle sue attività.

L’argomentazione principale a sostegno di tale ideologia era costituita dalla natura sovrana

dello Stato, natura che non consentirebbe un’affermazione di responsabilità a carico della p.a., “ritenendosi la sovranità e la responsabilità concetti antitetici inconciliabili, in quanto

che la sovranità presupporrebbe la superiorità e l’imperio, e la responsabilità la sottomissione o quanto meno l’eguaglianza”[3].

Tale impostazione si reggeva su una distorta concezione della sovranità dello Stato,

una sovranità erroneamente ritenuta incompatibile con ogni forma di limitazione, restrizione

o obbligo. Invero, autorevole dottrina rileva che “se repugnano effettivamente con la sovranità restrizioni o limitazioni promananti dal di fuori, da soggetti estranei, non repugnano invece autolimitazioni della sovranità, limitazioni cioè promananti dallo Stato stesso, limitazioni cui il principio fondamentale della divisione dei poteri conferisce carattere giuridico: conferisce, cioè, rilevanza per il diritto e quindi rilevabilità per i cittadini che da tali limitazioni sono avvantaggiati”. In altre parle, proprio il principio liberale della separazione dei poteri, in ragione del quale lo Stato si presenta nei tre distinti

momenti della produzione normativa, dell’applicazione coattiva delle norme giuridiche e della cura degli interessi collettivi, consente di rendere concepibile che lo Stato, nell’esplicazione delle sue funzioni e – più in generale – nell’ambito della propria azione,

sia limitato dalle disposizioni normative che dallo stesso promanano. Poiché tali autolimitazioni circoscrivono una sfera giuridica dei singoli nei confronti dello Stato stesso, qualora quest’ultimo, nell’esercizio della propria azione, violi la detta sfera giuridica, è concepibile che in capo ad esso sia configurabile una responsabilità extracontrattuale. Questo costituisce il fondamento della moderna concezione dello Stato di diritto, ossia dello Stato che si sottopone al diritto e di questo assicura l’osservanza anche riguardo a sé stesso.

L’argomento della natura sovrana dello Stato, oltre ad altri di pari consistenza[4], erano quindi sorretti per negare l’astratta configurabilità di una responsabilità extracontrattuale della p.a.; tuttavia, come detto, tali argomenti hanno perso di spessore già nei primi decenni del novecento, sino all’unanime riconoscimento in dottrina e in giurisprudenza dell’ammissibilità della responsabilità della p.a. anche per illecito aquiliano, riconoscendovi un duplice fondamento.

Un primo fondamento teorico, costituito dalla soggezione dello Stato a quel diritto che da esso stesso promana e che da esso stesso viene coattivamente applicato , in osservanza ai principi della separazione dei poteri e dello Stato di diritto, cui si è accennato: in ragione di tale costruzione, lo Stato che violi la sfera giuridica dei singoli, delimitata dalle norme giuridiche dallo stesso prodotte, non può che essere assoggettato alla sanzione del risarcimento del danno.

Un secondo fondamento di diritto positivo, rappresentato dall’applicazione anche alla p.a. della disciplina di cui agli artt. 2043 e ss. c.c., in assenza di un principio o di una disposizione derogatoria a favore degli enti pubblici; ciò in considerazione del fatto che il principio del neminem laedere, su cui è costruita la disciplina in materia di illecito aquiliano ,costituisce uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto, come tale dotato di applicazione generalizzata anche con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico[5].

L’affermazione di una responsabilità extracontrattuale della p.a. è confermata anche da un lato dagli artt. 2 e 4 della L. 2248/1865 all. E, ove è previsto che la p.a. possa essere

convenuta in giudizio dinanzi al g.o. nelle ipotesi in cui “la controversia cada sopra un

diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa”;dall’altro dal disposto costituzionale di cui all’art. 113, nella parte in cui garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della p.a., nonché dall’art. 28 Cost. che estende la responsabilità civile allo Stato e gli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti dai propri funzionari e dipendenti[6].

Superato il cd. “dogma dell’irresponsabilità dello Stato e degli enti pubblici”, e quindi affermata l’astratta ammissibilità di una responsabilità sia contrattuale, questa mai messa in discussione, che extracontrattuale della p.a., si impone ora di trattare il tema centrale se anche nei confronti dell’amministrazione possa configurarsi una responsabilità precontrattuale.

Per delimitare l’ambito di indagine, è opportuno precisare che, secondo autorevole dottrina[7], particolari problemi in ordine all’ammissibilità della responsabilità precontrattuale della p.a. possono sorgere solo con riferimento a quelle amministrazioni e a quei contratti soggetti alla normativa di contabilità pubblica[8], ossia con riferimento ai cd. contratti ad evidenza pubblica[9], ascrivibili, come noto, al genus dell’attività amministrativa di diritto privato[10].

Questa difficoltà derviva, in particolare, dalla peculiarità strutturale e funzionale di tali tipi contrattuali, peculiarità da cui deriva una commistione tra diritto pubblico e diritto privato rilevante – tra l’altro – sotto il profilo del regime giuridico applicabile e delle posizioni giuridiche soggettive di diversa natura e diversamente tutelabili.

Contrariamente a quanto rilevato con riferimento ai contratti ad evidenza pubblica, secondo

la medesima dottrina[11], con riferimento ai contratti posti in essere da amministrazioni non

assoggettate alla normativa di contabilità pubblica, nonché a quelli stipulati da enti pubblici

pur tenuti all’applicazione della detta disciplina ma in quei settori o in quei casi in cui essa non deve essere applicata, non si pongono particolari problemi in ordine alla astratta ammissibilità di una responsabilità precontrattuale.

In questi casi, infatti, si è in presenza di contratti interamente regolati dal diritto comune, e anche le amministrazioni che li concludono assumono la veste di soggetti di diritto comune, con la conseguenza che per esse la responsabilità precontrattuale si pone come per qualsiasi altro soggetto.

Parte della dottrina[12], comunque, ha una posizione critica circa la fondatezza della posizione assunta da alcuni Autori secondo la quale limiterebbe la problematica della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. ai soli contratti ad evidenza pubblica.

In osservanza alla teoria bipartita dell’attività amministrativa, si rileva che la caratteristica fondamentale dell’attività posta in essere dalla p.a. iure privatorum, sia secondo i moduli dell’evidenza pubblica che mediante la stipulazione di ogni altro tipo di contratto di diritto comune, è che essa è pur sempre attività sostanzialmente amministrativa: l’attività iure privatorum, infatti, pur laddove disciplinata da regole di diritto privato,rappresenta un’attività finalizzata[13] al perseguimento dell’ interesse pubblico, sicché l’amministrazione non perde la propria connotazione pubblicistica nemmeno in tale frazione privatistica del suo agire.

Ciò anche in considerazione del fatto che “ciò che vale, dunque, per qualificare un ente come pubblico o come privato è la natura degli interessi che cura; per cui, una volta stabilita la natura pubblicistica degli interessi affidati alle amministrazioni pubbliche, la natura giuridica di esse è solo ed esclusivamente pubblica. Il fatto che le stesse operino in concreto anche con negozi di diritto privato non fa certamente perdere alle medesime la propria specifica natura giuridica di tipo pubblicistico, ma è un’evenienza che si colloca al di fuori della stessa qualificazione dell’ente, e che si atteggia come un fatto di utilizzazione degli strumenti negoziali predisposti dall’ordinamento per tutti i soggetti giuridici”[14]: in altre parole, non risulta sostenibile che le p.a. assumano la veste di soggetti di diritto comune in conseguenza dell’agire mediante moduli di diritto privato, essendo la loro attività sostanzialmente preordinata al perseguimento del fine pubblico.

In conclusione, secondo tale orientamento, un problema di assoggettabilità alla disciplina della responsabilità precontrattuale non si pone solamente per i contratti ad evidenza pubblica, ma anche per ogni altro tipo di contratto di diritto comune posto in essere dalla P.A., quale soggetto di diritto pubblico la cui attività – sempre di connotazione pubblicistica finalizzata al perseguimento dei pubblici interessi. Consegue che il problema della responsabilità precontrattuale della P.A. abbia ragion d’essere con riguardo ad entrambe le predette categorie di contratti.

Quanto sostenuto risulta confermato dal fatto che le principali obiezioni prospettate da parte delle meno recenti dottrina e giurisprudenza contro l’ammissibilità della responsabilità per culpa in contrahendo della p.a. si fondano sulla natura pubblica del soggetto, sul correlativo esercizio in sede di trattative e formazione del contratto di un potere discrezionale, sull’insindacabilità da parte del g.o. dell’uso di tale potere, ad un’analisi prima facie, risulta evidente che tali obiezioni sono astrattamente riferibili tanto ai contratti ad evidenza pubblica, quanto ad ogni altro contratto concluso dalla p.a. in esclusivo regime di diritto privato.

Tuttavia, anche laddove si intenda aderire a quell’orientamento della dottrina che estende la problematica della configurabilità della responsabilità precontrattuale ad ogni tipo di contratto concluso dalla p.a. pare non contestabile che la particolarità strutturale dei contratti ad evidenza pubblica in cui il contratto di diritto privato ha come presupposto un vero e proprio procedimento amministrativo, per esempio nella scelta del contraente, abbia in sè problematiche giuridico applicative del tutto particolari in ordine alla configurabilità e all’applicabilità dell’istituto della responsabilità precontrattuale.



[1] Cfr. ALESSI R., La responsabilità della pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 1955, p. 27.

[2] Cfr. MANTELLINI G., Lo Stato e il codice civile,I, Barberà, Firenze, 1880, pp. 56 – 89.

[3] ALESSI, La responsabilità della pubblica Amministrazione, op. cit., p. 28.

[4] Un altro argomento prospettato per negare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione si basava sull’asserita inapplicabilità dell’art. 1153 c.c. 1865 (ora art. 2049), che disciplinava – tra l’altro - la responsabilità indiretta di padroni e committenti per i danni cagionati dai loro domestici e commessi, ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo, in quanto tra lo Stato e i propri funzionari e dipendenti non sarebbe configurabile una relazione qualificabile alla stregua di “rapporto di commissione”, quest’ultimo costituente il presupposto di applicabilità della disciplina ex art. 1153 c.c.; in secondo luogo, la responsabilità di cui alla citata disposizione si fonderebbe – sotto il profilo soggettivo – su di una culpa in eligendo (ossia su di un difetto di diligenza nello scegliere i propri commessi) e in vigilando (consistente in un difetto di diligenza nel vigilare sul corretto adempimento delle incombenze cui i commessi sono adibiti), elementi inconcepibili con riferimento allo Stato, che presceglie e controlla i propri agenti con le cautele previste dalla legge, con la conseguenza che sarebbe in configurabile un difetto di diligenza in eligendo o in vigilando.

[5] Dal riconoscimento della responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 2043 c.c., ne deriva che gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano della p.a. sono da individuarsi nella condotta attiva od omissiva (posta in essere dal funzionario o dipendente), nel danno ingiusto, nel nesso di causalità tra condotta e danno, nell’elemento psicologico del dolo o della colpa (generica o specifica), posto che sull’individuazione e sulla consistenza di ciascuno di essi si sono aperte numerose questioni interpretative, di cui si intende dar conto solo sommariamente a meri fini di completezza.

[6] Come noto, ulteriore questione attiene alla riferibilità alla p.a. dell’attività (e, per quanto in tal sede rileva, dell’illecito) posta in essere dall’agente tramite il quale l’amministrazione stessa agisce. Più in particolare, il problema riguarda la natura della responsabilità della p.a., se cioè debba considerarsi indiretta ovvero diretta. Sommariamente, secondo autorevole dottrina (CASETTA E., L’illecito degli enti pubblici, Giappichelli, Torino, 1953, pp. 186 - 265) la responsabilità della p.a. ha natura indiretta.

[7] GIANNINI, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, op. cit., p. 266

[8]Con tale espressione si rinvia, da parte delle maggioritarie dottrina e giurisprudenza, alla disciplina pubblicistica di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e al relativo regolamento approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827. Per vero, condivisibile appare l’opinione di chi rileva che con la detta espressione deve essere intesa in senso ampio come genericamente riferita a tutte le disposizioni che, comunque disciplinando l’attività contrattuale delle amministrazioni pubbliche, costituiscono un “diritto privato speciale” rispetto alle distinte norme contenute nel codice civile (cfr. TUFARELLI G. B., La responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione, in Cons. Stato, 1975, II, p. 959).

[9] Secondo la nozione accolta dalla maggioritaria dottrina (cfr. per tutti, MELE, I contratti delle pubbliche amministrazioni, op. cit., pp. 1 - 27; AA. VV., Diritto amministrativo, MAZZAROLLI - PERICU – ROMANO – ROVERSI MONACO – SCOCA (a cura di), II, Monduzzi, Bologna, 2005, p. 295 – 296), con la formula “contratto ad evidenza pubblica” si intende una fattispecie complessa, ma unitaria, in cui convivono atti giuridici disciplinati dal diritto pubblico e atti giuridici disciplinati dal diritto civile.

[10] Con la dizione “attività amministrativa di diritto privato”, si indica comunemente l’attività con cui la p.a., mediante atti giuridici disciplinati dal codice civile, persegue uno scopo di pubblico interesse. Segnatamente, secondo autorevole dottrina (AMORTH A., Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa retta dal diritto privato, in Arch. dir. pubb., 1938, pp. 455 – 556), la p.a. può avvalersi dello strumento contrattuale sia per il perseguimento di finalità propriamente pubblicistiche, sia per finalità strettamente privatistiche: su tali basi, è possibile distinguere tra attività amministrativa di diritto privato e attività privata di diritto privato della p.a..

[11] GIANNINI, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, op. cit., p. 266.

[12] Cfr. TUFARELLI, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Cons. Stato, 1975, II, p. 959.

VELA A., Riflessi giurisprudenziali in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, nota a Cass. civ., III, 8 maggio 1963, n. 1142, in Riv. giur. edil., 1963, I, p. 866.

[13] Parlano di “principio di funzionalizzazione” nell’ambito dell’attività iure privatorum della p.a. DUGATO M., Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Giuffrè, Milano, 1996, p. 65; MARZUOLI C., Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982, p. 164.

[14] MELE E., Autonomia negoziale della pubblica Amministrazione e Costituzione, in TAR., 1986, II, p. 25.

Sia in dottrina che in giurisprudenza, da circa un secolo si discute circa l’astratta configurabilità di una responsabilità civile della pubblica amministrazione.

Nello specifico, quando si faceva questione dell’ammissibilità di una responsabilità della

p.a., si alludeva alla responsabilità extracontrattuale, non essendo mai stata sollevata alcuna

contestazione in ordine alla configurabilità di una responsabilità contrattuale dell’amministrazione, e ciò per due ragioni principali: la prima di carattere teorico, relativa all’idea che la p.a., nell’ambito della attività contrattuale, operasse non come soggetto

di diritto pubblico ma come soggetto di diritto privato, trovandosi quindi su un piano paritario con i singoli; l’altra di carattere pratico, in quanto nessun privato avrebbe contrattato con l’amministrazione se nell’ ipotesi di inadempimento del contratto, gli fosse preclusa la possibilità di convenire in giudizio il soggetto pubblico al fine di esperire i rimedi all’uopo previsti dalla disciplina civilistica in materia di obbligazioni e contratti[1].

Mentre si ammetteva comunemente una responsabilità contrattuale, in dottrina e giurisprudenza l’astratta ammissibilità di una responsabilità extracontrattuale della pubblica

amministrazione trovava forti resistenze e opinioni discordanti[2]: non era affatto pacifico – e da più parti era espressamente escluso - la configurabilità di un dovere giuridico in capo alla p.a. di risarcire il danno eventualmente cagionato ai privati nello svolgimento delle sue attività.

L’argomentazione principale a sostegno di tale ideologia era costituita dalla natura sovrana

dello Stato, natura che non consentirebbe un’affermazione di responsabilità a carico della p.a., “ritenendosi la sovranità e la responsabilità concetti antitetici inconciliabili, in quanto

che la sovranità presupporrebbe la superiorità e l’imperio, e la responsabilità la sottomissione o quanto meno l’eguaglianza”[3].

Tale impostazione si reggeva su una distorta concezione della sovranità dello Stato,

una sovranità erroneamente ritenuta incompatibile con ogni forma di limitazione, restrizione

o obbligo. Invero, autorevole dottrina rileva che “se repugnano effettivamente con la sovranità restrizioni o limitazioni promananti dal di fuori, da soggetti estranei, non repugnano invece autolimitazioni della sovranità, limitazioni cioè promananti dallo Stato stesso, limitazioni cui il principio fondamentale della divisione dei poteri conferisce carattere giuridico: conferisce, cioè, rilevanza per il diritto e quindi rilevabilità per i cittadini che da tali limitazioni sono avvantaggiati”. In altre parle, proprio il principio liberale della separazione dei poteri, in ragione del quale lo Stato si presenta nei tre distinti

momenti della produzione normativa, dell’applicazione coattiva delle norme giuridiche e della cura degli interessi collettivi, consente di rendere concepibile che lo Stato, nell’esplicazione delle sue funzioni e – più in generale – nell’ambito della propria azione,

sia limitato dalle disposizioni normative che dallo stesso promanano. Poiché tali autolimitazioni circoscrivono una sfera giuridica dei singoli nei confronti dello Stato stesso, qualora quest’ultimo, nell’esercizio della propria azione, violi la detta sfera giuridica, è concepibile che in capo ad esso sia configurabile una responsabilità extracontrattuale. Questo costituisce il fondamento della moderna concezione dello Stato di diritto, ossia dello Stato che si sottopone al diritto e di questo assicura l’osservanza anche riguardo a sé stesso.

L’argomento della natura sovrana dello Stato, oltre ad altri di pari consistenza[4], erano quindi sorretti per negare l’astratta configurabilità di una responsabilità extracontrattuale della p.a.; tuttavia, come detto, tali argomenti hanno perso di spessore già nei primi decenni del novecento, sino all’unanime riconoscimento in dottrina e in giurisprudenza dell’ammissibilità della responsabilità della p.a. anche per illecito aquiliano, riconoscendovi un duplice fondamento.

Un primo fondamento teorico, costituito dalla soggezione dello Stato a quel diritto che da esso stesso promana e che da esso stesso viene coattivamente applicato , in osservanza ai principi della separazione dei poteri e dello Stato di diritto, cui si è accennato: in ragione di tale costruzione, lo Stato che violi la sfera giuridica dei singoli, delimitata dalle norme giuridiche dallo stesso prodotte, non può che essere assoggettato alla sanzione del risarcimento del danno.

Un secondo fondamento di diritto positivo, rappresentato dall’applicazione anche alla p.a. della disciplina di cui agli artt. 2043 e ss. c.c., in assenza di un principio o di una disposizione derogatoria a favore degli enti pubblici; ciò in considerazione del fatto che il principio del neminem laedere, su cui è costruita la disciplina in materia di illecito aquiliano ,costituisce uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto, come tale dotato di applicazione generalizzata anche con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico[5].

L’affermazione di una responsabilità extracontrattuale della p.a. è confermata anche da un lato dagli artt. 2 e 4 della L. 2248/1865 all. E, ove è previsto che la p.a. possa essere

convenuta in giudizio dinanzi al g.o. nelle ipotesi in cui “la controversia cada sopra un

diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa”;dall’altro dal disposto costituzionale di cui all’art. 113, nella parte in cui garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della p.a., nonché dall’art. 28 Cost. che estende la responsabilità civile allo Stato e gli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti dai propri funzionari e dipendenti[6].

Superato il cd. “dogma dell’irresponsabilità dello Stato e degli enti pubblici”, e quindi affermata l’astratta ammissibilità di una responsabilità sia contrattuale, questa mai messa in discussione, che extracontrattuale della p.a., si impone ora di trattare il tema centrale se anche nei confronti dell’amministrazione possa configurarsi una responsabilità precontrattuale.

Per delimitare l’ambito di indagine, è opportuno precisare che, secondo autorevole dottrina[7], particolari problemi in ordine all’ammissibilità della responsabilità precontrattuale della p.a. possono sorgere solo con riferimento a quelle amministrazioni e a quei contratti soggetti alla normativa di contabilità pubblica[8], ossia con riferimento ai cd. contratti ad evidenza pubblica[9], ascrivibili, come noto, al genus dell’attività amministrativa di diritto privato[10].

Questa difficoltà derviva, in particolare, dalla peculiarità strutturale e funzionale di tali tipi contrattuali, peculiarità da cui deriva una commistione tra diritto pubblico e diritto privato rilevante – tra l’altro – sotto il profilo del regime giuridico applicabile e delle posizioni giuridiche soggettive di diversa natura e diversamente tutelabili.

Contrariamente a quanto rilevato con riferimento ai contratti ad evidenza pubblica, secondo

la medesima dottrina[11], con riferimento ai contratti posti in essere da amministrazioni non

assoggettate alla normativa di contabilità pubblica, nonché a quelli stipulati da enti pubblici

pur tenuti all’applicazione della detta disciplina ma in quei settori o in quei casi in cui essa non deve essere applicata, non si pongono particolari problemi in ordine alla astratta ammissibilità di una responsabilità precontrattuale.

In questi casi, infatti, si è in presenza di contratti interamente regolati dal diritto comune, e anche le amministrazioni che li concludono assumono la veste di soggetti di diritto comune, con la conseguenza che per esse la responsabilità precontrattuale si pone come per qualsiasi altro soggetto.

Parte della dottrina[12], comunque, ha una posizione critica circa la fondatezza della posizione assunta da alcuni Autori secondo la quale limiterebbe la problematica della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. ai soli contratti ad evidenza pubblica.

In osservanza alla teoria bipartita dell’attività amministrativa, si rileva che la caratteristica fondamentale dell’attività posta in essere dalla p.a. iure privatorum, sia secondo i moduli dell’evidenza pubblica che mediante la stipulazione di ogni altro tipo di contratto di diritto comune, è che essa è pur sempre attività sostanzialmente amministrativa: l’attività iure privatorum, infatti, pur laddove disciplinata da regole di diritto privato,rappresenta un’attività finalizzata[13] al perseguimento dell’ interesse pubblico, sicché l’amministrazione non perde la propria connotazione pubblicistica nemmeno in tale frazione privatistica del suo agire.

Ciò anche in considerazione del fatto che “ciò che vale, dunque, per qualificare un ente come pubblico o come privato è la natura degli interessi che cura; per cui, una volta stabilita la natura pubblicistica degli interessi affidati alle amministrazioni pubbliche, la natura giuridica di esse è solo ed esclusivamente pubblica. Il fatto che le stesse operino in concreto anche con negozi di diritto privato non fa certamente perdere alle medesime la propria specifica natura giuridica di tipo pubblicistico, ma è un’evenienza che si colloca al di fuori della stessa qualificazione dell’ente, e che si atteggia come un fatto di utilizzazione degli strumenti negoziali predisposti dall’ordinamento per tutti i soggetti giuridici”[14]: in altre parole, non risulta sostenibile che le p.a. assumano la veste di soggetti di diritto comune in conseguenza dell’agire mediante moduli di diritto privato, essendo la loro attività sostanzialmente preordinata al perseguimento del fine pubblico.

In conclusione, secondo tale orientamento, un problema di assoggettabilità alla disciplina della responsabilità precontrattuale non si pone solamente per i contratti ad evidenza pubblica, ma anche per ogni altro tipo di contratto di diritto comune posto in essere dalla P.A., quale soggetto di diritto pubblico la cui attività – sempre di connotazione pubblicistica finalizzata al perseguimento dei pubblici interessi. Consegue che il problema della responsabilità precontrattuale della P.A. abbia ragion d’essere con riguardo ad entrambe le predette categorie di contratti.

Quanto sostenuto risulta confermato dal fatto che le principali obiezioni prospettate da parte delle meno recenti dottrina e giurisprudenza contro l’ammissibilità della responsabilità per culpa in contrahendo della p.a. si fondano sulla natura pubblica del soggetto, sul correlativo esercizio in sede di trattative e formazione del contratto di un potere discrezionale, sull’insindacabilità da parte del g.o. dell’uso di tale potere, ad un’analisi prima facie, risulta evidente che tali obiezioni sono astrattamente riferibili tanto ai contratti ad evidenza pubblica, quanto ad ogni altro contratto concluso dalla p.a. in esclusivo regime di diritto privato.

Tuttavia, anche laddove si intenda aderire a quell’orientamento della dottrina che estende la problematica della configurabilità della responsabilità precontrattuale ad ogni tipo di contratto concluso dalla p.a. pare non contestabile che la particolarità strutturale dei contratti ad evidenza pubblica in cui il contratto di diritto privato ha come presupposto un vero e proprio procedimento amministrativo, per esempio nella scelta del contraente, abbia in sè problematiche giuridico applicative del tutto particolari in ordine alla configurabilità e all’applicabilità dell’istituto della responsabilità precontrattuale.



[1] Cfr. ALESSI R., La responsabilità della pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 1955, p. 27.

[2] Cfr. MANTELLINI G., Lo Stato e il codice civile,I, Barberà, Firenze, 1880, pp. 56 – 89.

[3] ALESSI, La responsabilità della pubblica Amministrazione, op. cit., p. 28.

[4] Un altro argomento prospettato per negare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione si basava sull’asserita inapplicabilità dell’art. 1153 c.c. 1865 (ora art. 2049), che disciplinava – tra l’altro - la responsabilità indiretta di padroni e committenti per i danni cagionati dai loro domestici e commessi, ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo, in quanto tra lo Stato e i propri funzionari e dipendenti non sarebbe configurabile una relazione qualificabile alla stregua di “rapporto di commissione”, quest’ultimo costituente il presupposto di applicabilità della disciplina ex art. 1153 c.c.; in secondo luogo, la responsabilità di cui alla citata disposizione si fonderebbe – sotto il profilo soggettivo – su di una culpa in eligendo (ossia su di un difetto di diligenza nello scegliere i propri commessi) e in vigilando (consistente in un difetto di diligenza nel vigilare sul corretto adempimento delle incombenze cui i commessi sono adibiti), elementi inconcepibili con riferimento allo Stato, che presceglie e controlla i propri agenti con le cautele previste dalla legge, con la conseguenza che sarebbe in configurabile un difetto di diligenza in eligendo o in vigilando.

[5] Dal riconoscimento della responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 2043 c.c., ne deriva che gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano della p.a. sono da individuarsi nella condotta attiva od omissiva (posta in essere dal funzionario o dipendente), nel danno ingiusto, nel nesso di causalità tra condotta e danno, nell’elemento psicologico del dolo o della colpa (generica o specifica), posto che sull’individuazione e sulla consistenza di ciascuno di essi si sono aperte numerose questioni interpretative, di cui si intende dar conto solo sommariamente a meri fini di completezza.

[6] Come noto, ulteriore questione attiene alla riferibilità alla p.a. dell’attività (e, per quanto in tal sede rileva, dell’illecito) posta in essere dall’agente tramite il quale l’amministrazione stessa agisce. Più in particolare, il problema riguarda la natura della responsabilità della p.a., se cioè debba considerarsi indiretta ovvero diretta. Sommariamente, secondo autorevole dottrina (CASETTA E., L’illecito degli enti pubblici, Giappichelli, Torino, 1953, pp. 186 - 265) la responsabilità della p.a. ha natura indiretta.

[7] GIANNINI, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, op. cit., p. 266

[8]Con tale espressione si rinvia, da parte delle maggioritarie dottrina e giurisprudenza, alla disciplina pubblicistica di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e al relativo regolamento approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827. Per vero, condivisibile appare l’opinione di chi rileva che con la detta espressione deve essere intesa in senso ampio come genericamente riferita a tutte le disposizioni che, comunque disciplinando l’attività contrattuale delle amministrazioni pubbliche, costituiscono un “diritto privato speciale” rispetto alle distinte norme contenute nel codice civile (cfr. TUFARELLI G. B., La responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione, in Cons. Stato, 1975, II, p. 959).

[9] Secondo la nozione accolta dalla maggioritaria dottrina (cfr. per tutti, MELE, I contratti delle pubbliche amministrazioni, op. cit., pp. 1 - 27; AA. VV., Diritto amministrativo, MAZZAROLLI - PERICU – ROMANO – ROVERSI MONACO – SCOCA (a cura di), II, Monduzzi, Bologna, 2005, p. 295 – 296), con la formula “contratto ad evidenza pubblica” si intende una fattispecie complessa, ma unitaria, in cui convivono atti giuridici disciplinati dal diritto pubblico e atti giuridici disciplinati dal diritto civile.

[10] Con la dizione “attività amministrativa di diritto privato”, si indica comunemente l’attività con cui la p.a., mediante atti giuridici disciplinati dal codice civile, persegue uno scopo di pubblico interesse. Segnatamente, secondo autorevole dottrina (AMORTH A., Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa retta dal diritto privato, in Arch. dir. pubb., 1938, pp. 455 – 556), la p.a. può avvalersi dello strumento contrattuale sia per il perseguimento di finalità propriamente pubblicistiche, sia per finalità strettamente privatistiche: su tali basi, è possibile distinguere tra attività amministrativa di diritto privato e attività privata di diritto privato della p.a..

[11] GIANNINI, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, op. cit., p. 266.

[12] Cfr. TUFARELLI, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Cons. Stato, 1975, II, p. 959.

VELA A., Riflessi giurisprudenziali in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, nota a Cass. civ., III, 8 maggio 1963, n. 1142, in Riv. giur. edil., 1963, I, p. 866.

[13] Parlano di “principio di funzionalizzazione” nell’ambito dell’attività iure privatorum della p.a. DUGATO M., Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Giuffrè, Milano, 1996, p. 65; MARZUOLI C., Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982, p. 164.

[14] MELE E., Autonomia negoziale della pubblica Amministrazione e Costituzione, in TAR., 1986, II, p. 25.