x

x

Definizione delle liti fiscali pendenti ex art. 39, comma 12, del Decreto Legge 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla Legge 111/2011

Ambito di definibilità delle liti
Definizione delle liti fiscali pendenti ex art. 39, comma 12, del Decreto Legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111: ambito di definibilità delle liti.

1. Premessa.

Il 30 novembre 2011 è scaduto il termine ultimo per il primo adempimento cui sono tenuti i contribuenti che intendevano usufruire della chiusura agevolata delle liti pendenti.

Con il Decreto Legge n. 98 del 06/07/2011 recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” e convertito con modificazioni dalla Legge n. 111 del 15/07/2011, è stata reintrodotta all’art. 39, comma 12, la disciplina sulla definizione delle cd. liti fiscali “minori”.

La norma contiene un espresso rinvio alla disciplina dettata per l’analogo istituto dall’art. 16 della Legge 27 dicembre del 2002 n. 289 e riguarda la definizione agevolata di tutte le liti fiscali di importo non superiore a 20.000 euro, al netto di sanzioni e interessi, instaurate con l’Agenzia delle Entrate e ancora pendenti al 1° maggio 2011.

Tale misura ha la finalità di favorire la pronta risoluzione delle controversie tributarie con l’Agenzia delle Entrate, riducendo, in tal modo, il numero delle pendenze giudiziarie.

In particolare, la nuova normativa prevede che le liti fiscali in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, se di valore non superiore a 20.000 euro, possono essere definite a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme stabilite ai sensi dell’art. 16 della Legge n. 289/2002.

Il versamento dovrà essere effettuato in un’unica soluzione entro il 30 novembre e la presentazione della domanda dovrà avvenire entro il 31 marzo 2012 (02 aprile 2012, perché il 31 marzo cade di sabato).

In merito all’ importo da versare, esso sarà commisurato al valore della lite. Schematicamente le somme da versare sono le seguenti:

a) 150 euro se il valore della lite non supera 2.000 euro;

b) qualora, invece, il valore della lite superi 2.000 euro:

- 10% del valore se l’ultima o unica sentenza è favorevole al contribuente;

- 50% del valore se l’ultima o unica sentenza è favorevole all’Agenzia;

- 30% se non c’è stata ancora alcuna sentenza;

- se la sentenza è parzialmente favorevole al contribuente:

- 10% sulla parte definita dalla Commissione Tributaria;

- 50% sulla differenza tra accertato e definito.

E’ opportuno precisare che la definizione si perfeziona non con il semplice pagamento delle somme dovute, ma solo se ad esso segue la presentazione della domanda entro il predetto termine.

E ancora è utile sottolineare che i contribuenti, che chiudono le liti con il Fisco, dopo aver eseguito il pagamento, chiedano all’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale competente, di effettuare lo sgravio delle eventuali somme iscritte a ruolo. Questo perché l’Agente della riscossione è estraneo alla definizione effettuata e, quindi, potrebbe pretendere il pagamento delle somme iscritte a ruolo con cartella di pagamento. Pertanto, sarebbe opportuno comunicare con una semplice lettera all’ufficio delle Entrate e, per conoscenza, al competente Agente della riscossione, che il contribuente ha definito la lite.

Il citato art. 39 D.L. n. 98/2011, sia pure operando un ampio rinvio al predetto articolo 16 della Legge n. 289/2002, se ne differenzia tuttavia per taluni aspetti.

Prima di tutto, la possibilità di definizione è limitata alle sole controversie pendenti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, mentre la precedente definizione operava con riferimento a tutte le liti in materia tributaria, in cui fosse parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato (incluse, quindi, le altre Agenzie fiscali: Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane, Agenzia del Territorio).

In secondo luogo, il valore delle liti non deve superare i 20.000 euro, mentre per la precedente definizione non vi erano limiti di valore.

In terzo luogo, vista l’esiguità delle somme dovute, è escluso il pagamento rateale degli importi dovuti in base alla definizione delle liti minori.

2. Ambito di definibilità delle liti.

Analizzati gli aspetti generali dell’istituto in esame, è opportuno adesso soffermarsi sull’ambito di definibilità delle liti e chiarire, alla luce degli orientamenti espressi in giurisprudenza nonché dei chiarimenti forniti dalla stessa Amministrazione finanziaria, quali siano le liti condonabili.

Possono essere definite, ai sensi dell’art. 16, comma 3, della Legge n. 289/2002, cui rinvia l’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

L’Agenzia dell’Entrate con circolare n. 48 /E del 24 ottobre 2011 ribadendo quanto espresso nella norma di legge, aggiunge che non sono definibili le controversie instaurate con ricorsi avverso atti diversi da quelli impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, non aventi natura di “atti impositivi”.

Prima di esaminare il contenuto dell’articolo 16 della Legge n. 289/2002 chiariamo che gli atti impugnabili ex art. 19 del D. Lgs. 546/92 sono: gli avvisi di accertamento, gli avvisi di liquidazione, i provvedimenti di irrogazione sanzione, le cartelle di pagamento, gli atti di iscrizione di ipoteca sugli immobili e atti di fermo amministrativo sui beni mobili registrati, gli atti relativi alle operazioni catastali, il rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi e accessori non dovuti, il diniego o la revoca di agevolazioni e il rigetto di domande di condono; a questi atti occorre aggiungere per espressa giurisprudenza consolidata delle Commissioni tributarie, della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale gli avvisi bonari e tutti gli altri atti di imposizione con i quali l’amministrazione finanziaria impone di pagare imposte e sanzioni ai cittadini. Ne consegue che l’elenco dei provvedimenti impugnabili di cui all’ art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992 non ha carattere tassativo; al contrario, deve essere interpretato estensivamente e ciò al fine di garantire un pieno esercizio del diritto di difesa.

Orbene, riprendendo quanto sopra detto, secondo l’art. 16 della legge 289/2002 sono liti pendenti quelle scaturite da atti relativi ad avvisi di accertamento, avvisi di irrogazione sanzione e ogni altro atto impositivo, ricomprendendo in questa categoria residuale tutti gli atti con i quali l’amministrazione finanziaria chiede ai cittadini di pagare somme a titolo di imposta e sanzioni.

Non a caso, la Corte Suprema ha, più volte, osservato che - per i fini di cui alla Legge n. 289/2002, art. 16, comma 3, lettera a) - ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso (Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8866 del 14 aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8367 del 10 aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 3427 del 21 febbraio 2005).

La locuzione “ogni altro atto di imposizione” deve essere, pertanto, intesa nella sua latitudine maggiore, riducendo l’area delle liti non definibili ad ipotesi alquanto marginali.

2.1. Liti sanabili.

Contributo al servizio sanitario nazionale.

Sono definibili le controversie riguardanti il contributo al servizio sanitario nazionale, che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, rientrano nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie.

Ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazione e controllo formale.

E’ annosa la questione della definibilità in via agevolata dei ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazioni e controllo formale.

Si tratta di comprendere se, e in quale misura, possano essere ricomprese nella locuzione “ogni altro atto di imposizione”, di cui all’art. 16 citato, anche le cartelle di pagamento emesse a seguito di liquidazioni ai sensi dell’art. 36-bis e 36-ter del DPR 29 settembre 1973 n. 600 e dell’art. 54-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.

Secondo l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria con Circolare n. 48 del 24 ottobre 2011, per quanto concerne la condonabilità delle cartelle emesse ex art. 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973, occorre distinguere due ipotesi: da un lato, il caso in cui la liquidazione delle imposte ex art. 36-bis del DPR n. 600/1973, conduca alla semplice correzione di errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi ovvero nel riporto di eccedenze delle imposte, di contributi e di premi; dall’altro, il caso in cui l’ufficio, oltre al controllo dei versamenti, provveda anche alla rettifica dei dati indicati in dichiarazione con conseguente iscrizione a ruolo di imposte maggiori rispetto a quelle dichiarate e versate, ovvero riducendo le detrazioni di imposta e le deduzioni dal reddito o dei crediti di imposta, considerati non spettanti o spettanti in misura inferiore a quella indicata.

Nel primo caso la lite fiscale non sarebbe definibile in via agevolata, in quanto la cartella di pagamento avrebbe il valore di un semplice atto di riscossione, attraverso il quale l’Ufficio acquisisce le somme che il contribuente deve versare sulla base dei dati dallo stesso indicati nella dichiarazione. Nel secondo caso, invece, la lite fiscale è definibile, in quanto viene riconosciuta alla cartella di pagamento il valore di atto impositivo, costituendo per il contribuente il primo atto con il quale viene a conoscenza dell’attività di rettifica svolta dall’Ufficio.

Ancora prima dell’emanazione della Circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, la Direzione Provinciale di Bergamo, con nota del 29 settembre 2011 ha affermato che: “sono definibili le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ed ogni altro atto che abbia funzione impositiva, ad eccezione degli atti aventi ad oggetto il silenzio, espresso o tacito, alla restituzione di tributi, il diniego o revoca di agevolazioni tributarie, salvo che l’atto impugnato contenga l’accertamento di maggiori tributi o l’irrogazione di sanzioni, l’avviso di liquidazione ed il ruolo, ove finalizzati alla mera riscossione di tributi ed ove non contengano una rettifica di dati dichiarati”.

In senso conforme si sono pronunciate, ancor prima, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21498 del 12 novembre 2004, affermando che la “rettifica dei risultati della dichiarazione costituisce un’attività impositiva propriamente detta, per definizione rientrante in quella di accertamento, anche se più semplice ed immediata rispetto alle verifiche sostanziali”.

Tale orientamento favorevole è stato recepito dalla giurisprudenza di merito con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bari n. 68 del 13 settembre 2005 che ha avallato quanto pronunciato dalle Sezioni Unite.

Atti di recupero di crediti d’imposta che realizzano un’agevolazione fiscale.

Va sicuramente riconosciuta natura impositiva agli atti con i quali gli Uffici recuperano crediti d’imposta che realizzano un’agevolazione fiscale, indebitamente utilizzati. Tali atti, infatti, in quanto volti, previo diniego del diritto all’agevolazione, a recuperare il credito d’imposta utilizzato, rientrano nel novero degli atti impositivi.

Tale natura impositiva è confermata dalla recente giurisprudenza di Cassazione civile, sez. Tributaria, che con ordinanza n. 8033 del 7 aprile 2011 ha sottolineato che “In tema di contenzioso tributario gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell’insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione, e come tali sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19”.

Tale orientamento è conforme, inoltre, alla precedente Ordinanza della Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 4968 del 2 marzo 2009 ed, è stato ulteriormente ribadito dalla Circolare dell’ Agenzia delle Entrate n. 48/E del 24 ottobre 2011.

Avvisi di liquidazione, ingiunzioni e ruoli.

L’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 12 del 21 febbraio 2003 ha statuito che «non sono definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo in considerazione della natura di tali atti non riconducibili nella categoria degli atti impositivi in quanto finalizzati alla riscossione dei tributi e degli accessori».

La stessa Amministrazione ha aggiunto che, «si deroga a tale principio qualora uno dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di accertamento, oltre che di riscossione».

In altri termini, le liti relative ad avvisi di liquidazione, le ingiunzioni e i ruoli possono essere definite qualora i predetti atti costituiscano il primo atto di manifestazione della pretesa impositiva.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la definizione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro facendoli rientrare nel più ampio concetto di “atti di imposizione”.

Si fa riferimento alla recente sentenza n. 20731 del 6 ottobre 2010 della Corte di Cassazione civile, sez. tributaria, in base alla quale:”…con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come”avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.

Secondo lo stesso Collegio, deve darsi continuità all’indirizzo interpretativo secondo il quale ciò che rileva ai fini della lite è il contenuto sostanziale dell’atto impugnato, quale espressione del potere impositivo dell’amministrazione, la cui contestazione da parte del contribuente è idonea ad integrare una controversia effettiva e non apparente sui contenuti dell’obbligazione tributaria.

In senso conforme sono, infatti, ulteriori sentenze della Cassazione: sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 12242 del 19 maggio 2010; sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 4129 del 20 febbraio 2009; sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 6076 del 13 marzo 2009.

E’ stata ritenuta suscettibile di definizione anche la controversia avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di successione.

In particolare, secondo la sentenza della Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 18840 del 30 agosto 2006 “ In tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo di lite pendente, e quindi dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni. Rientra pertanto nell’ambito applicativo del beneficio l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla rettifica, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; ciò implica che, allorquando alla rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma questa è consistita nel giudicare congrui i valori dichiarati. L’avviso di liquidazione dell’imposta di successione è quindi compreso fra gli atti impositivi cui si riferisce l’art. 16 della legge di condono, contenendo necessariamente una valutazione di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti”.

Analogo orientamento interpretativo è seguito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 13185 del 6 giugno 2007 secondo la quale “La controversia tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, in quanto non preceduto dalla notifica del classamento, investe i presupposti dell’atto impositivo e le condizioni della sua legittimità; essa, pertanto, rientra tra le liti pendenti che, ai sensi dell’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, possono essere definite attraverso il pagamento di una somma forfettaria, ed è di conseguenza illegittimo il provvedimento col quale l’amministrazione erariale rigetta l’istanza del contribuente avente ad oggetto la definizione della suddetta lite ai sensi dell’art. 16 legge cit.”.

Con riferimento alla cartella di pagamento, va negata natura di atto impositivo autonomo, direttamente impugnabile come tale, allorché essa faccia seguito ad un avviso di accertamento, ma non anche nei casi in cui essa costituisca l’unico atto che consente al contribuente di mettere in discussione la debenza del tributo. E’ in questi casi che l’atto deve essere qualificato come atto di imposizione, a prescindere dalla sua formale definizione.

In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione civile, sez. Tributaria, con sentenza n. 9140 del 16 aprile 2010 “…..la cartella di pagamento non preceduta da altro atto autonomamente impugnabile ha natura di per sé necessariamente impositiva, a prescindere dall’attività che documenta, con l’effetto che la controversia che su di essa sorge rientra tra quelle indicate nella Legge n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), il quale significativamente riferisce la nozione di lite fiscale pendente, per il quale ammette il condono, non solo alle controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, ma anche a quelle su cui si discute di “ogni altro atto di imposizione”.

In senso conforme la Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n.10588 del 30 aprile 2010 e con sentenza n. 15548 del 2 luglio 2009 secondo le quali “....l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, da origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi della Legge n. 289 del 2002, art. 16, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo”.

Sanzioni amministrative collegate al tributo.

Sono sanabili anche le controversie riguardanti le sanzioni amministrative collegate al tributo.

In particolare, come la stessa Circolare n. 48/E chiarisce, qualora con provvedimento separato siano state irrogate sanzioni collegate a un tributo non più in contestazione, perché, ad esempio, la relativa controversia autonomamente instaurata non è più pendente, è consentito definire la relativa lite avendo riguardo all’ammontare delle sanzioni.

In maniera analoga sarà ammessa la definizione qualora la lite abbia ad oggetto sanzioni amministrative collegate al tributo separatamente irrogate a soggetto diverso dal contribuente.

Diniego e revoca di agevolazioni.

La lite è definibile se esprime un valore sul quale calcolare le somme dovute, costituite da tributi accertati dall’ufficio e contestati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Una vertenza riguardante esclusivamente la spettanza di un’agevolazione non può essere quindi definita, poiché in essa non si fa questione di un tributo preteso dall’Amministrazione finanziaria in base al quale determinare la somma dovuta.

3. Conclusione.

Concludendo, alla luce degli orientamenti maggioritari espressi in giurisprudenza e dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria, si può ritenere che l’attuale condono abbia un vasto ambito applicativo, restando escluse solo le controversie riguardanti provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni.

Definizione delle liti fiscali pendenti ex art. 39, comma 12, del Decreto Legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111: ambito di definibilità delle liti.

1. Premessa.

Il 30 novembre 2011 è scaduto il termine ultimo per il primo adempimento cui sono tenuti i contribuenti che intendevano usufruire della chiusura agevolata delle liti pendenti.

Con il Decreto Legge n. 98 del 06/07/2011 recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” e convertito con modificazioni dalla Legge n. 111 del 15/07/2011, è stata reintrodotta all’art. 39, comma 12, la disciplina sulla definizione delle cd. liti fiscali “minori”.

La norma contiene un espresso rinvio alla disciplina dettata per l’analogo istituto dall’art. 16 della Legge 27 dicembre del 2002 n. 289 e riguarda la definizione agevolata di tutte le liti fiscali di importo non superiore a 20.000 euro, al netto di sanzioni e interessi, instaurate con l’Agenzia delle Entrate e ancora pendenti al 1° maggio 2011.

Tale misura ha la finalità di favorire la pronta risoluzione delle controversie tributarie con l’Agenzia delle Entrate, riducendo, in tal modo, il numero delle pendenze giudiziarie.

In particolare, la nuova normativa prevede che le liti fiscali in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, se di valore non superiore a 20.000 euro, possono essere definite a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme stabilite ai sensi dell’art. 16 della Legge n. 289/2002.

Il versamento dovrà essere effettuato in un’unica soluzione entro il 30 novembre e la presentazione della domanda dovrà avvenire entro il 31 marzo 2012 (02 aprile 2012, perché il 31 marzo cade di sabato).

In merito all’ importo da versare, esso sarà commisurato al valore della lite. Schematicamente le somme da versare sono le seguenti:

a) 150 euro se il valore della lite non supera 2.000 euro;

b) qualora, invece, il valore della lite superi 2.000 euro:

- 10% del valore se l’ultima o unica sentenza è favorevole al contribuente;

- 50% del valore se l’ultima o unica sentenza è favorevole all’Agenzia;

- 30% se non c’è stata ancora alcuna sentenza;

- se la sentenza è parzialmente favorevole al contribuente:

- 10% sulla parte definita dalla Commissione Tributaria;

- 50% sulla differenza tra accertato e definito.

E’ opportuno precisare che la definizione si perfeziona non con il semplice pagamento delle somme dovute, ma solo se ad esso segue la presentazione della domanda entro il predetto termine.

E ancora è utile sottolineare che i contribuenti, che chiudono le liti con il Fisco, dopo aver eseguito il pagamento, chiedano all’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale competente, di effettuare lo sgravio delle eventuali somme iscritte a ruolo. Questo perché l’Agente della riscossione è estraneo alla definizione effettuata e, quindi, potrebbe pretendere il pagamento delle somme iscritte a ruolo con cartella di pagamento. Pertanto, sarebbe opportuno comunicare con una semplice lettera all’ufficio delle Entrate e, per conoscenza, al competente Agente della riscossione, che il contribuente ha definito la lite.

Il citato art. 39 D.L. n. 98/2011, sia pure operando un ampio rinvio al predetto articolo 16 della Legge n. 289/2002, se ne differenzia tuttavia per taluni aspetti.

Prima di tutto, la possibilità di definizione è limitata alle sole controversie pendenti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, mentre la precedente definizione operava con riferimento a tutte le liti in materia tributaria, in cui fosse parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato (incluse, quindi, le altre Agenzie fiscali: Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane, Agenzia del Territorio).

In secondo luogo, il valore delle liti non deve superare i 20.000 euro, mentre per la precedente definizione non vi erano limiti di valore.

In terzo luogo, vista l’esiguità delle somme dovute, è escluso il pagamento rateale degli importi dovuti in base alla definizione delle liti minori.

2. Ambito di definibilità delle liti.

Analizzati gli aspetti generali dell’istituto in esame, è opportuno adesso soffermarsi sull’ambito di definibilità delle liti e chiarire, alla luce degli orientamenti espressi in giurisprudenza nonché dei chiarimenti forniti dalla stessa Amministrazione finanziaria, quali siano le liti condonabili.

Possono essere definite, ai sensi dell’art. 16, comma 3, della Legge n. 289/2002, cui rinvia l’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

L’Agenzia dell’Entrate con circolare n. 48 /E del 24 ottobre 2011 ribadendo quanto espresso nella norma di legge, aggiunge che non sono definibili le controversie instaurate con ricorsi avverso atti diversi da quelli impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, non aventi natura di “atti impositivi”.

Prima di esaminare il contenuto dell’articolo 16 della Legge n. 289/2002 chiariamo che gli atti impugnabili ex art. 19 del D. Lgs. 546/92 sono: gli avvisi di accertamento, gli avvisi di liquidazione, i provvedimenti di irrogazione sanzione, le cartelle di pagamento, gli atti di iscrizione di ipoteca sugli immobili e atti di fermo amministrativo sui beni mobili registrati, gli atti relativi alle operazioni catastali, il rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi e accessori non dovuti, il diniego o la revoca di agevolazioni e il rigetto di domande di condono; a questi atti occorre aggiungere per espressa giurisprudenza consolidata delle Commissioni tributarie, della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale gli avvisi bonari e tutti gli altri atti di imposizione con i quali l’amministrazione finanziaria impone di pagare imposte e sanzioni ai cittadini. Ne consegue che l’elenco dei provvedimenti impugnabili di cui all’ art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992 non ha carattere tassativo; al contrario, deve essere interpretato estensivamente e ciò al fine di garantire un pieno esercizio del diritto di difesa.

Orbene, riprendendo quanto sopra detto, secondo l’art. 16 della legge 289/2002 sono liti pendenti quelle scaturite da atti relativi ad avvisi di accertamento, avvisi di irrogazione sanzione e ogni altro atto impositivo, ricomprendendo in questa categoria residuale tutti gli atti con i quali l’amministrazione finanziaria chiede ai cittadini di pagare somme a titolo di imposta e sanzioni.

Non a caso, la Corte Suprema ha, più volte, osservato che - per i fini di cui alla Legge n. 289/2002, art. 16, comma 3, lettera a) - ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso (Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8866 del 14 aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8367 del 10 aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 3427 del 21 febbraio 2005).

La locuzione “ogni altro atto di imposizione” deve essere, pertanto, intesa nella sua latitudine maggiore, riducendo l’area delle liti non definibili ad ipotesi alquanto marginali.

2.1. Liti sanabili.

Contributo al servizio sanitario nazionale.

Sono definibili le controversie riguardanti il contributo al servizio sanitario nazionale, che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, rientrano nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie.

Ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazione e controllo formale.

E’ annosa la questione della definibilità in via agevolata dei ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazioni e controllo formale.

Si tratta di comprendere se, e in quale misura, possano essere ricomprese nella locuzione “ogni altro atto di imposizione”, di cui all’art. 16 citato, anche le cartelle di pagamento emesse a seguito di liquidazioni ai sensi dell’art. 36-bis e 36-ter del DPR 29 settembre 1973 n. 600 e dell’art. 54-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.

Secondo l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria con Circolare n. 48 del 24 ottobre 2011, per quanto concerne la condonabilità delle cartelle emesse ex art. 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973, occorre distinguere due ipotesi: da un lato, il caso in cui la liquidazione delle imposte ex art. 36-bis del DPR n. 600/1973, conduca alla semplice correzione di errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi ovvero nel riporto di eccedenze delle imposte, di contributi e di premi; dall’altro, il caso in cui l’ufficio, oltre al controllo dei versamenti, provveda anche alla rettifica dei dati indicati in dichiarazione con conseguente iscrizione a ruolo di imposte maggiori rispetto a quelle dichiarate e versate, ovvero riducendo le detrazioni di imposta e le deduzioni dal reddito o dei crediti di imposta, considerati non spettanti o spettanti in misura inferiore a quella indicata.

Nel primo caso la lite fiscale non sarebbe definibile in via agevolata, in quanto la cartella di pagamento avrebbe il valore di un semplice atto di riscossione, attraverso il quale l’Ufficio acquisisce le somme che il contribuente deve versare sulla base dei dati dallo stesso indicati nella dichiarazione. Nel secondo caso, invece, la lite fiscale è definibile, in quanto viene riconosciuta alla cartella di pagamento il valore di atto impositivo, costituendo per il contribuente il primo atto con il quale viene a conoscenza dell’attività di rettifica svolta dall’Ufficio.

Ancora prima dell’emanazione della Circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, la Direzione Provinciale di Bergamo, con nota del 29 settembre 2011 ha affermato che: “sono definibili le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ed ogni altro atto che abbia funzione impositiva, ad eccezione degli atti aventi ad oggetto il silenzio, espresso o tacito, alla restituzione di tributi, il diniego o revoca di agevolazioni tributarie, salvo che l’atto impugnato contenga l’accertamento di maggiori tributi o l’irrogazione di sanzioni, l’avviso di liquidazione ed il ruolo, ove finalizzati alla mera riscossione di tributi ed ove non contengano una rettifica di dati dichiarati”.

In senso conforme si sono pronunciate, ancor prima, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21498 del 12 novembre 2004, affermando che la “rettifica dei risultati della dichiarazione costituisce un’attività impositiva propriamente detta, per definizione rientrante in quella di accertamento, anche se più semplice ed immediata rispetto alle verifiche sostanziali”.

Tale orientamento favorevole è stato recepito dalla giurisprudenza di merito con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bari n. 68 del 13 settembre 2005 che ha avallato quanto pronunciato dalle Sezioni Unite.

Atti di recupero di crediti d’imposta che realizzano un’agevolazione fiscale.

Va sicuramente riconosciuta natura impositiva agli atti con i quali gli Uffici recuperano crediti d’imposta che realizzano un’agevolazione fiscale, indebitamente utilizzati. Tali atti, infatti, in quanto volti, previo diniego del diritto all’agevolazione, a recuperare il credito d’imposta utilizzato, rientrano nel novero degli atti impositivi.

Tale natura impositiva è confermata dalla recente giurisprudenza di Cassazione civile, sez. Tributaria, che con ordinanza n. 8033 del 7 aprile 2011 ha sottolineato che “In tema di contenzioso tributario gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell’insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione, e come tali sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19”.

Tale orientamento è conforme, inoltre, alla precedente Ordinanza della Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 4968 del 2 marzo 2009 ed, è stato ulteriormente ribadito dalla Circolare dell’ Agenzia delle Entrate n. 48/E del 24 ottobre 2011.

Avvisi di liquidazione, ingiunzioni e ruoli.

L’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 12 del 21 febbraio 2003 ha statuito che «non sono definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo in considerazione della natura di tali atti non riconducibili nella categoria degli atti impositivi in quanto finalizzati alla riscossione dei tributi e degli accessori».

La stessa Amministrazione ha aggiunto che, «si deroga a tale principio qualora uno dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di accertamento, oltre che di riscossione».

In altri termini, le liti relative ad avvisi di liquidazione, le ingiunzioni e i ruoli possono essere definite qualora i predetti atti costituiscano il primo atto di manifestazione della pretesa impositiva.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la definizione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro facendoli rientrare nel più ampio concetto di “atti di imposizione”.

Si fa riferimento alla recente sentenza n. 20731 del 6 ottobre 2010 della Corte di Cassazione civile, sez. tributaria, in base alla quale:”…con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come”avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.

Secondo lo stesso Collegio, deve darsi continuità all’indirizzo interpretativo secondo il quale ciò che rileva ai fini della lite è il contenuto sostanziale dell’atto impugnato, quale espressione del potere impositivo dell’amministrazione, la cui contestazione da parte del contribuente è idonea ad integrare una controversia effettiva e non apparente sui contenuti dell’obbligazione tributaria.

In senso conforme sono, infatti, ulteriori sentenze della Cassazione: sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 12242 del 19 maggio 2010; sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 4129 del 20 febbraio 2009; sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 6076 del 13 marzo 2009.

E’ stata ritenuta suscettibile di definizione anche la controversia avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di successione.

In particolare, secondo la sentenza della Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 18840 del 30 agosto 2006 “ In tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo di lite pendente, e quindi dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni. Rientra pertanto nell’ambito applicativo del beneficio l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla rettifica, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; ciò implica che, allorquando alla rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma questa è consistita nel giudicare congrui i valori dichiarati. L’avviso di liquidazione dell’imposta di successione è quindi compreso fra gli atti impositivi cui si riferisce l’art. 16 della legge di condono, contenendo necessariamente una valutazione di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti”.

Analogo orientamento interpretativo è seguito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 13185 del 6 giugno 2007 secondo la quale “La controversia tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, in quanto non preceduto dalla notifica del classamento, investe i presupposti dell’atto impositivo e le condizioni della sua legittimità; essa, pertanto, rientra tra le liti pendenti che, ai sensi dell’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, possono essere definite attraverso il pagamento di una somma forfettaria, ed è di conseguenza illegittimo il provvedimento col quale l’amministrazione erariale rigetta l’istanza del contribuente avente ad oggetto la definizione della suddetta lite ai sensi dell’art. 16 legge cit.”.

Con riferimento alla cartella di pagamento, va negata natura di atto impositivo autonomo, direttamente impugnabile come tale, allorché essa faccia seguito ad un avviso di accertamento, ma non anche nei casi in cui essa costituisca l’unico atto che consente al contribuente di mettere in discussione la debenza del tributo. E’ in questi casi che l’atto deve essere qualificato come atto di imposizione, a prescindere dalla sua formale definizione.

In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione civile, sez. Tributaria, con sentenza n. 9140 del 16 aprile 2010 “…..la cartella di pagamento non preceduta da altro atto autonomamente impugnabile ha natura di per sé necessariamente impositiva, a prescindere dall’attività che documenta, con l’effetto che la controversia che su di essa sorge rientra tra quelle indicate nella Legge n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), il quale significativamente riferisce la nozione di lite fiscale pendente, per il quale ammette il condono, non solo alle controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, ma anche a quelle su cui si discute di “ogni altro atto di imposizione”.

In senso conforme la Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n.10588 del 30 aprile 2010 e con sentenza n. 15548 del 2 luglio 2009 secondo le quali “....l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, da origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi della Legge n. 289 del 2002, art. 16, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo”.

Sanzioni amministrative collegate al tributo.

Sono sanabili anche le controversie riguardanti le sanzioni amministrative collegate al tributo.

In particolare, come la stessa Circolare n. 48/E chiarisce, qualora con provvedimento separato siano state irrogate sanzioni collegate a un tributo non più in contestazione, perché, ad esempio, la relativa controversia autonomamente instaurata non è più pendente, è consentito definire la relativa lite avendo riguardo all’ammontare delle sanzioni.

In maniera analoga sarà ammessa la definizione qualora la lite abbia ad oggetto sanzioni amministrative collegate al tributo separatamente irrogate a soggetto diverso dal contribuente.

Diniego e revoca di agevolazioni.

La lite è definibile se esprime un valore sul quale calcolare le somme dovute, costituite da tributi accertati dall’ufficio e contestati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Una vertenza riguardante esclusivamente la spettanza di un’agevolazione non può essere quindi definita, poiché in essa non si fa questione di un tributo preteso dall’Amministrazione finanziaria in base al quale determinare la somma dovuta.

3. Conclusione.

Concludendo, alla luce degli orientamenti maggioritari espressi in giurisprudenza e dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria, si può ritenere che l’attuale condono abbia un vasto ambito applicativo, restando escluse solo le controversie riguardanti provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni.