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La gestione societaria delle farmacie comunali tra crisi e opportunità

Abstract:

La particolare congiuntura economica e i ripetuti vincoli alla spesa pubblica portano gli Enti Locali alla continua ricerca di fonti di approvvigionamento finanziario, per far fronte alla crescente domanda quali-quantitativa di servizi pubblici. In questo contesto le farmacie comunali si mostrano come una facile preda per una valorizzazione che, nella maggior parte dei casi, si concretizza nella cessione di assets, know how e competenze al miglior offerente.

Il presente articolo, puntando l’attenzione sulla gestione societaria delle farmacie possedute dai Comuni cerca di porre in evidenza la necessità, alla base di scelte quali la cessione e/o lo sviluppo, di un ragionamento che vada oltre il mero “fare cassa” per sposare un’ottica strategica orientata al medio - lungo periodo.

1. Il contesto di riferimento

Da qualche anno gli Enti Locali sono abituati a confrontarsi continuamente con un contesto difficile a causa di due aspetti fondamentali: la crisi economica e l’incertezza normativa.

Da un lato, infatti, la crisi economica economico-finanziaria scoppiata nel 2007, di cui ancora si sentono gli effetti, ha posto l’attenzione sulla necessità di una decisa riduzione dei deficit di bilancio e, soprattutto, dello stock di debito pubblico, che rischiano di soffocare le delicate economie di molti Stati, tra cui l’Italia.

Dall’altro lato le Amministrazioni pubbliche, specie i Comuni e le Regioni, stanno vivendo un momento di intense riforme che, tuttavia, non sembrano sempre avere un disegno strategico di fondo unitario e condiviso dalle forze di governo.

I due aspetti si intrecciano prepotentemente e indissolubilmente nel momento in cui, nel perseguire il fine di “far quadrare i conti pubblici”, l’Esecutivo si trova costretto ad emanare, nel breve lasso di tempo di pochi mesi ben due Manovre di stabilizzazione finanziaria (D.L. 98/2011 e D.L. 138/2011) e, con largo anticipo, rispetto alla consuetudine, la Legge di Stabilità 2012 (già Legge Finanziaria fino al 2010), cui si aggiunge il cd. “Decreto Salva Italia”, approvato dal Governo Monti lo scorso 6 dicembre in tema di “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (D.L. 201/2011).

Tali interventi, finalizzati alla “messa in sicurezza” del Sistema-Italia, sono forieri di sacrifici che ricadono, e ricadranno, sui bilanci comunali e delle altre autonomie locali che, da un lato, si troveranno a dover implementare le riforme in atto (federalismo fiscale, riforma Brunetta, ecc.) mentre dall’altro troveranno crescenti vincoli all’autonomia di spesa e non potranno che porre l’attenzione non già sulla massimizzazione dell’efficacia e dell’efficienza di medio-lungo periodo, ma sulla copertura delle esigenze di cassa a breve ed a brevissimo termine.

Tale situazione, oltre che dalla cd. “crisi dei debiti sovrani”, è stata aggravata dalla carenza, nel nostro Paese, di riforme strutturali che da troppo tempo si rinviano e che ora, come sollecitato recentemente anche dalle istituzioni comunitarie, si rivelano inderogabili e improcrastinabili.

In realtà le riforme ci sono; o meglio ci sarebbero. Infatti, i tentativi di riforma messi in atto risultano o insabbiati nei meandri parlamentari (i.e. Codice delle Autonomie) o sono stati in parte ridimensionate nel loro impatto dai ripetuti tagli alla spesa pubblica(ad es. Riforma Brunetta) oppure ancora, nonostante i proclami relativi alla loro attuazione e nonostante la decretazione delegata si sia pressoché esaudita, mancano ancora di importanti adempimenti normativi e regolamentari (i.e. federalismo fiscale).

2. Farmacie comunali e forme gestionali

Alla dinamiche che il sistema italiano sta vivendo non sfugge il settore farmaceutico, in particolare il comparto delle farmacie comunali, che, nel corso di questi ultimi anni, sta subendo un notevole cambiamento dovuto al forte sviluppo del settore in ottica industriale. Un tempo la farmacia era il luogo, ove i farmaci venivano preparati, confezionati e venduti al cliente per il quale erano preparati ad hoc. Oggi la farmacia è a tutti gli effetti un esercizio commerciale dove i prodotti sono prevalentemente trasferiti dal grossista al consumatore.

Tale processo di trasformazione ha dato origine ad un complesso dibattito che, da un lato, vede spinte in direzione della privatizzazione e dell’apertura al mercato delle farmacie, mentre, dall’altro lato vede difese le esigenze di regolazione da parte dell’autorità pubblica: tali punti di vista, tutt’altro che inconciliabili, possono vedersi come aspetti perfettamente complementari per l’erogazione di un servizio efficace ed efficiente che sappia valorizzare e tutelare l’interesse pubblico di cui il sistema farmaceutico è un garante: il diritto alla salute.

Il diritto fondamentale dell’uomo alla salute[1], recepito dall’art. 32 della carta costituzionale italiana, è perseguito anche attraverso l’erogazione del servizio farmaceutico la cui “la complessa regolamentazione pubblicistica”, come anche fa notare la Sent. 87/2006 della Corte Costituzionale, “è infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.

La tutela di un diritto fondamentale, quale quello alla salute, non pregiudica, anzi, in un certo senso impone, una costante tensione verso una gestione efficace, efficiente ed economicamente sostenibile di un servizio, la cui natura di servizio pubblico essenziale, a carattere locale, ed a tendenziale rilevanza economica è stata più volte sottolineata dalla magistratura contabile ed amministrativa[2], tensione che oggi, risulta ulteriormente giustificata dalla congiuntura economica sfavorevole e che, come la prassi dimostra, sempre più spesso passa da un ragionamento sulle formule gestionali messe a disposizione dal legislatore.

Ai fini dell’individuazione delle forme di gestione delle farmacie comunali il riferimento vigente è costituito dall’art. 9 della Lg. 475/1968 e s.m.i. (Legge Mariotti) che prevedeche le “farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite […] nelle seguenti forme:

a) in economia;

b) a mezzo di azienda speciale;

c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;

d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune ed i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”.

L’elenco di cui alla Legge Mariotti non deve però essere considerato tassativo, come si vedrà infatti nel proseguo della trattazione è possibile la gestione delle farmacie comunali anche attraverso società di capitali unipersonali e tramite il coinvolgimento di soci diversi che non i soli farmacisti.

Ciascuna di tali forme presenta vantaggi e svantaggi che è necessario valutare attentamente e soppesare in un ragionamento che, come visto, deve porre il giusto equilibrio tra diritto alla salute ed aspetti economici. In particolare la gestione in economia, pure nell’estrema semplicità della forma si presta esclusivamente a gestioni di minime dimensioni prive di grandi investimenti, l’azienda speciale presenta indubbi vantaggi in termini di una maggiore flessibilità rispetto alla gestione in economia, ed in termini di influenza politica forte cui fanno da contraltare i maggiori costi di gestione e le maggiori complessità. Complessità che crescono nel caso si adotti la formula del Consorzio (di servizi) in quanto tale forma rende necessario il contemperare gli interessi di diversi Enti Locali.

3. La gestione in forma societaria

Tra le formule di gestione permesse dall’ordinamento quella che maggiormente attrae le amministrazioni comunali in questo particolare momento storico è la società di capitali, vale a dire la Società a Responsabilità limitata (S.r.l.) e la Società per Azioni (S.p.A.) a cui vanno riconosciuti una serie di ragioni vantaggiose di tipo economico e non, vale a dire:

- la maggiore possibilità di accesso al credito, sia verso le banche sia direttamente dai soci;

- la maggiore forza di attrazione nei confronti di professionalità e know how e la conseguente maggiore propensione all’innovazione;

- la maggiore flessibilità e la possibilità di una migliore risposta alla domanda ed alle dinamiche del mercato;

- la possibilità di un proficuo coinvolgimento dei privati;

- la stabilità verso eventuali mutamenti nelle coalizioni politiche espresse nel Consiglio Comunale dell’Ente di riferimento, esprimendo altresì una maggiore autonomia strategica dall’Ente stesso.

E’ opportuno, tuttavia, frenare facili entusiasmi evidenziando come la società di capitali non si configuri quale la panacea per tutti i mali, presentando, a sua volta, aspetti negativi di non breve momento, vale a dire:

- alti costi di gestione ed elevati costi connessi all’istituzione;

- alta complessità, soprattutto in fase di costituzione;

- necessità di attenta regolazione statutaria per mantenere il controllo dell’Ente;

- maggiori rischi finanziari indiretti per l’Ente, tra i quali, non ultimo, l’esposizione al rischio fallimento.

Nel nostro Paese, al 31.12.2010, secondo i dati Federfarma[3] erano attive quasi 18.000 farmacie (per la precisione 17.796) di cui solo una minima parte, 1.550 (pari all’8,71%) farmacie pubbliche. Queste farmacie, in media una ogni 3.374 abitanti, sempre nel 2010, hanno dato lavoro a circa 62 mila farmacisti su un totale di iscritti all’Albo di 79.000 unità.

Il dato interessante emerge dalla Banca dati AIDA[4] la cui analisi ha permesso di costruire una base dati relativa a tutte le farmacie italiane, gestite in forma di società di capitali (S.p.A. o S.r.l.), con una partecipazione, anche minima, da parte di Comuni.

Dai dati raccolti si evince come in tutta Italia siano attive circa 263 farmacie comunali gestite in forma societaria (77 S.p.A. e 186 S.r.l.), che esprimono un patrimonio netto complessivo di oltre 631 milioni di Euro, un risultato consolidato di 2,6 milioni di Euro e un giro d’affari, misurato in termini di fatturato, di poco meno di 2 miliardi di Euro.

Il dato relativo alla composizione societaria di dette società mostra come il 46% di dette società di capitali sia, in realtà, una società unipersonale al 100% di proprietà comunale (in tema di società personali ed in house si veda infra), il 42,21% sia posseduta dal Comune e da farmacisti, mentre il 10,27% è frutto di una partnership tra Enti Locali e soggetti privati. Il restante 1,5% è rappresentato da partnership triangolari che vedono coinvolti i Comuni, i farmacisti e soggetti privati.

La composizione societaria della società media è rappresentata da un Comune “forte” con il 71% delle azioni (o delle quote), dai farmacisti con il 19,9% e dagli operatori privati che si fermano al 8,16%.

Interessante notare come in 207 società su 263 il capitale sia totalmente o prevalentemente pubblico, in 30 società la maggioranza sia in mano a farmacisti, mentre nelle rimanenti 25 l’azionista di riferimento sia un operatore privato. Con riferimento al partner privato è interessante, da ultimo, notare come vi sia un’estrema variabilità nell’oggetto sociale, si va, infatti, dalle società di distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici, a cooperative costituite ad hoc per la gestione di farmacie, da cooperative edilizie a banche e holding finanziarie, sino ad arrivare ad una notissima casa di moda milanese.

Si è visto in precedenza come la normativa in vigore (Lg. 475/1968) sanzioni la possibilità di gestire le farmacie attraverso società di capitali mista tra il Comune ed i farmacisti. Questa disposizione, tuttavia, dal punto di vista della natura della società di capitali è da considerarsi superata, essendo ammesse anche società di capitali unipersonali, come sottolineato dalla citata delibera 489/2011 della Corte dei Conti Lombardia, in quanto i modelli di gestione previsti dalla Legge Mariotti “non hanno carattere tassativo” ma devono trovare integrazione con i principi comunitari in materia di servizi pubblici locali[5], con la possibilità, quindi, di avere società di capitali gerenti le farmacie comunali il cui capitale sia:

- totalmente pubblico;

- misto pubblico-privato;

- totalmente privato.

Pare opportuno in questa sede soffermarsi sulle particolari implicazioni di una società di capitali partecipata al 100% da uno o più soggetti pubblici che risponda ai requisiti dell’in house providing, intendendosi con tale locuzione, quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato[6].

In generale, una società che è controllata al 100% da un Ente Locale e sulla quale il Comune (od altra P.A.) ha un controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici, si considera in house e, a fronte di particolari vantaggi, tra cui la possibilità di affidamento diretto della gestione dei servizi pubblici, è soggetta a obblighi e regole tipiche dell’Ente proprietario. Ma è così anche per le farmacie?

La soggezione delle società in house ai medesimi obblighi (tra cui il rispetto del Patto di Stabilità e la soggezione a vincoli in materia di assunzioni ed incarichi) è disciplinata (rectius era disciplinata) dall’art. 23 bis del D.L. 112/2008, oggi abrogato dal referendum popolare del giugno 2011 e, in parte riproposto dall’art. 4 del D.L. 138/2011 (la cd. Manovra estiva bis).

Tuttavia, il D.L. 112/2008, prima, e il D.L. 138/2011, ora, prevedono esplicitamente l’esclusione delle farmacie comunali dal novero dei servizi pubblici locali tenuti all’ottemperanza di quanto dalle norme degli stessi, così come sottolineato dalla Corte dei Conti (Del. 489/2011 – Sez. Lombardia), quello che si viene a creare nei confronti delle farmacie comunali è una “clausola di segregazione” della quale un importante effetto è la non applicabilità delle norme che impongono la soggezione delle società in house affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali:

- al Patto di Stabilità interno (come previsto dall’art. 18, co. 2 bis del D.L. 112/2008);

- alle norme che impongono l’applicazione del Codice degli Appalti per l’acquisizione di beni e servizi (D.Lgs. 163/2006).

Tuttavia, occorre precisare che la “segregazione” non può condurre al completo annullamento dei canoni giuridici e dei principi uniformemente riconosciuti in materia di servizi pubblici locali, indi per cui, sembra difficile prescindere da principi quali la sana gestione delle pubbliche amministrazioni o il confronto competitivo e trasparente nella selezione dei fornitori.

Trovano invece applicazione, per le società in house gerenti le farmacie comunali, le procedure di reclutamento del personale e le norme limitative per il conferimento di incarichi, nonché le norme finanziarie in tema di spesa per il personale di cui all’art. 18, co. 1 e 2 bis, all’art. 76 del D.L. 112/2008, in quanto aventi natura di “principi di coordinamento della finanza pubblica”.

Di contro, con riferimento alle figure dei soci privati, la normativa di riferimento è costituita:

- dalla Lg. 475/1968, come successivamente modificata prevede che i farmacisti, che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità, possano divenire socio dell’Ente Locale per la gestione delle farmacie;

- dall’art. 100, co. 1 bis del D.Lgs. 219/2006 prevede che i farmacisti e le società di farmacisti, […] nonché le società che gestiscono farmacie comunali possano svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali […] parimenti le società che svolgono attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali.

Quindi, dai soli farmacisti, come previsti dalla versione originaria della Lg. 475/1968, lo spettro dei potenziali partner si è ampliato nel corso degli anni, alle società di farmacisti ed alle società di distribuzione all’ingrosso dei farmaci, fino ad immaginare, attraverso una lettura ampia del co. 3 dell’art. 100 del D.L 219/06, la possibilità di una gestione delle farmacie comunali da parte delle società di produzione farmaceutica.

Infatti, il co. 3, in deroga al co. 1, che prevede l’obbligo di richiesta di autorizzazione per la distribuzione all’ingrosso di farmaci, prevede che tale autorizzazione “non è richiesta se l’interessato è in possesso dell’autorizzazione [dell’AIFA] alla produzione […] a condizione che la distribuzione all’ingrosso è limitata ai medicinali, comprese le materie prime farmacologicamente attive, oggetto di tale autorizzazione.” Quindi pare possibile, per una società farmaceutica, entrare agevolmente nel mercato della distribuzione all’ingrosso dei farmaci, e, da tale posizione avere accesso libero alla gestione delle farmacie comunali.

La scelta del socio si rivela di fondamentale importanza, anche in considerazione di una serie di fattori, tra cui, non ultimi la forma giuridica, le dimensioni, le esigenze del Comune.

E’ chiaro come per un servizio di piccole dimensioni, del quale il Comune voglia valorizzare il forte radicamento territoriale, la partnership potrebbe avvenire tra Comune e uno o più farmacisti, già responsabili della gestione della (o delle) farmacie.

Di contro è altrettanto evidente come un servizio di medio-grandi dimensioni che debba essere valorizzato dal punto di vista commerciale, operativo e di marketing, la scelta di una partnership con i farmacisti possa essere economicamente sostenibile solo qualora gli stessi siano in grado di assumere una struttura, mutuando la terminologia del Codice degli Appalti, “economicamente e tecnicamente capace”; da cui si può concludere che la ricerca di innovazione, e riposizionamento strategico possa essere meglio supportata da un partner maggiormente strutturato che un singolo farmacista.[7]

E’ tuttavia di fondamentale importanza, a parere di chi scrive, che i farmacisti siano oggetto di un forte coinvolgimento, dato il loro ruolo fondamentale nell’attività di tutti i giorni della farmacia, con riferimento, in particolare, alla fidelizzazione dell’utenza.

4. Le opportunità e i rischi

Il momento che il nostro Paese sta vivendo è delicatissimo, in quanto la carenza di riforme strutturali, ormai diventate improrogabili, appesantisce la crisi dovuta all’eccessivo debito pubblico di cui ogni cittadino italiano è, più o meno metaforicamente, gravato.

Dallo scoppio della crisi economica , e , in particolare nel triennio 2009-2011, gli Enti Locali e le Regioni sono stati oggetto, al fine della “tutela dell’unità economica della Repubblica”, di tagli spannometricamente stimabili in 14,6 miliardi di Euro, di cui oltre 6 miliardi a carico degli Enti Locali.

Stimando che dai conti consuntivi 2008[8], le entrate totali di Comuni e Province ammontavano a circa 106 miliardi di Euro, appare evidente come un taglio “orizzontale” del 5%, cui si aggiunga la contrazione delle entrate tributarie dovuta alla crisi, vada a penalizzare notevolmente il comparto locale.

Di fronte a questo contesto gli Enti si trovano di fronte alla drammatica esigenza di risorse finanziarie risorse al fine di garantire, quantomeno, il livello di servizi in essere.

Per rispondere a tale esigenza la soluzione principale che si prospetta ai Governi Locali è quella di “fare cassa” a tutti i costi. Fare cassa per rispondere alle crescenti istanze delle cittadinanza, fare cassa per garantire livelli accettabili dei servizi, fare cassa per rispondere ai crescenti tagli delle Manovre, che troppo spesso vanno a colpire i comparti più virtuosi, fare cassa per rispettare il Patto di Stabilità interno.

Di strade percorribili, posta la costante riduzione dei trasferimenti statali, e posti diversi vincoli di ordine normativo ed economico all’aumento dei tributi locali, non ve ne sono molte altre, anzi. Il modus operandi è sotto gli occhi dei più: cessione del patrimonio pubblico, intendendosi con esso immobilizzazioni materiali (stabili ed edifici), immobilizzazioni immateriali, inteso come know how cui si rinuncia per impossibilità di incentivi alle migliori professionalità e, infine, come immobilizzazioni finanziarie tra cui partecipazioni e quote in aziende erogatrici di servizi pubblici.

Una situazione del genere di disperata esigenza di liquidità ha dato origine, pochi anni orsono, al cd. scandalo derivati, nel quale Enti Locali troppo spesso privi della necessaria competenza in materia di operazioni finanziarie, cadevano in pasto di intermediari che, poggiandosi sull’asimmetria informativa della quale rappresentavano la parte consapevole, proponevano vere e proprie scommesse ai comuni, con effetti negativi stimati, in base all’andamento dei mercati, in circa 1 miliardo di Euro al 31.12.2010[9].

E le farmacie? Le farmacie, come visto in precedenza, rappresentano, tendenzialmente, un aspetto su cui i Comuni potrebbero fare affidamento in termini di ritorno economico che, in ottica strategica, andrebbero valorizzate.

La valorizzazione a potrebbe avvenire previa il coinvolgimento di partner privati che, accanto ad una maggiore flessibilità, saprebbero garantire anche maggiori professionalità ed un crescente, in linea teorica, redditualità delle stesse.

La forma societaria, in particolare quella della società di capitali, si presenta come quella forma gestionale in grado di favorire tali partnership, con l’ulteriore vantaggio della possibilità di coinvolgimento attivo di altri operatori, non operativi, ma esponenti degli stakeholder del territorio.

Il tema di fondo, quindi, è quello di valorizzare le farmacie, previa una attenta ed approfondita analisi della situazione interna delle farmacie e del mercato di riferimento e, una ridefinizione strategica, qualora l’analisi lo riveli necessario, della governance e della gestione del servizio farmaceutico.

In tali operazioni occorre, tuttavia, prestare attenzione ai rischi più reali che percepiti del “fare cassa a tutti i costi”. La ridefinizione delle modalità operative e gestionali del servizio non deve avere come riferimento esclusivamente il dare una boccata d’ossigeno al Comune proprietario ma deve essere strutturata in ottica strategica, con una visione di medio-lungo periodo.

Occorrerà, infine, un’attenta considerazione delle modificazioni che, in tale ridefinizione, coinvolgeranno il personale qualificato che rappresenta la colonna portante delle farmacie: i farmacisti. Essi rappresentano la vera ricchezza ed il vero valore aggiunto del servizio farmaceutico in termini di know how, competenza, contatto con il cliente. Il tutto a sottolineare la notevole valenza umana di quello che è ancora, in fin dei conti, un servizio pubblico.



[1] L’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) stabilisce che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”.

[2] Sul tema si vedano le delibere 489/2011, 195 e 196 del 2009 della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia della Corte dei Conti e la Sentenza 11697/2008 del TAR del Lazio.

[3] Sito www.federfarma.it consultato in data 14 novembre 2011.

[4] Banca Dati AIDA – Bureau Van Dijk sito web: www.aida.bvdep.com.

[5] Si veda anche la Del. 70/2011/PAR della Corte dei Conti Lombardia, e la Del. 3/2008 della Corte dei Conti, Sez. di Controllo per la Puglia.

[6] Per un maggiore approfondimento sull’in house providing nella giurisprudenza italiana ed europea si vedano anche le seguenti sentenze della Corte di Giustizia Europea: Sent.18 novembre (cd. Sentenza Teckal – C 107/98), Sent. 11 maggio 2006 (cd. Sentenza Cabotermo – C 340/04), Sent.13 ottobre 2005 (Sentenza Parking Brixen GmbH -C 458/03), Sent. 10 novembre 2005 (Sentenza Mödling C 29/04) e, per la giurisprudenza nostrana, Tar Puglia, 8 novembre 2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30 agosto 2006, n. 5072, Consiglio di Stato, Sez. V, 9/3/2009 n. 1365 e Consiglio di Stato, Sez. V, 3/2/2009 n. 591

[7] Si veda anche Castellani, M. Le privatizzazioni delle farmacie comunali. Quali prospettive? In Azienditalia nr. 1/2006.

[8] Dati Istat pubblicati in data 9 novembre 2011, www.istat.it/it/archivio/44717.

[9] Cfr. Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino Statistico, Debito delle Amministrazioni Locali, nr. 56, Anno XXI, 31 ottobre 2011 - http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimfpr

Abstract:

La particolare congiuntura economica e i ripetuti vincoli alla spesa pubblica portano gli Enti Locali alla continua ricerca di fonti di approvvigionamento finanziario, per far fronte alla crescente domanda quali-quantitativa di servizi pubblici. In questo contesto le farmacie comunali si mostrano come una facile preda per una valorizzazione che, nella maggior parte dei casi, si concretizza nella cessione di assets, know how e competenze al miglior offerente.

Il presente articolo, puntando l’attenzione sulla gestione societaria delle farmacie possedute dai Comuni cerca di porre in evidenza la necessità, alla base di scelte quali la cessione e/o lo sviluppo, di un ragionamento che vada oltre il mero “fare cassa” per sposare un’ottica strategica orientata al medio - lungo periodo.

1. Il contesto di riferimento

Da qualche anno gli Enti Locali sono abituati a confrontarsi continuamente con un contesto difficile a causa di due aspetti fondamentali: la crisi economica e l’incertezza normativa.

Da un lato, infatti, la crisi economica economico-finanziaria scoppiata nel 2007, di cui ancora si sentono gli effetti, ha posto l’attenzione sulla necessità di una decisa riduzione dei deficit di bilancio e, soprattutto, dello stock di debito pubblico, che rischiano di soffocare le delicate economie di molti Stati, tra cui l’Italia.

Dall’altro lato le Amministrazioni pubbliche, specie i Comuni e le Regioni, stanno vivendo un momento di intense riforme che, tuttavia, non sembrano sempre avere un disegno strategico di fondo unitario e condiviso dalle forze di governo.

I due aspetti si intrecciano prepotentemente e indissolubilmente nel momento in cui, nel perseguire il fine di “far quadrare i conti pubblici”, l’Esecutivo si trova costretto ad emanare, nel breve lasso di tempo di pochi mesi ben due Manovre di stabilizzazione finanziaria (D.L. 98/2011 e D.L. 138/2011) e, con largo anticipo, rispetto alla consuetudine, la Legge di Stabilità 2012 (già Legge Finanziaria fino al 2010), cui si aggiunge il cd. “Decreto Salva Italia”, approvato dal Governo Monti lo scorso 6 dicembre in tema di “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (D.L. 201/2011).

Tali interventi, finalizzati alla “messa in sicurezza” del Sistema-Italia, sono forieri di sacrifici che ricadono, e ricadranno, sui bilanci comunali e delle altre autonomie locali che, da un lato, si troveranno a dover implementare le riforme in atto (federalismo fiscale, riforma Brunetta, ecc.) mentre dall’altro troveranno crescenti vincoli all’autonomia di spesa e non potranno che porre l’attenzione non già sulla massimizzazione dell’efficacia e dell’efficienza di medio-lungo periodo, ma sulla copertura delle esigenze di cassa a breve ed a brevissimo termine.

Tale situazione, oltre che dalla cd. “crisi dei debiti sovrani”, è stata aggravata dalla carenza, nel nostro Paese, di riforme strutturali che da troppo tempo si rinviano e che ora, come sollecitato recentemente anche dalle istituzioni comunitarie, si rivelano inderogabili e improcrastinabili.

In realtà le riforme ci sono; o meglio ci sarebbero. Infatti, i tentativi di riforma messi in atto risultano o insabbiati nei meandri parlamentari (i.e. Codice delle Autonomie) o sono stati in parte ridimensionate nel loro impatto dai ripetuti tagli alla spesa pubblica(ad es. Riforma Brunetta) oppure ancora, nonostante i proclami relativi alla loro attuazione e nonostante la decretazione delegata si sia pressoché esaudita, mancano ancora di importanti adempimenti normativi e regolamentari (i.e. federalismo fiscale).

2. Farmacie comunali e forme gestionali

Alla dinamiche che il sistema italiano sta vivendo non sfugge il settore farmaceutico, in particolare il comparto delle farmacie comunali, che, nel corso di questi ultimi anni, sta subendo un notevole cambiamento dovuto al forte sviluppo del settore in ottica industriale. Un tempo la farmacia era il luogo, ove i farmaci venivano preparati, confezionati e venduti al cliente per il quale erano preparati ad hoc. Oggi la farmacia è a tutti gli effetti un esercizio commerciale dove i prodotti sono prevalentemente trasferiti dal grossista al consumatore.

Tale processo di trasformazione ha dato origine ad un complesso dibattito che, da un lato, vede spinte in direzione della privatizzazione e dell’apertura al mercato delle farmacie, mentre, dall’altro lato vede difese le esigenze di regolazione da parte dell’autorità pubblica: tali punti di vista, tutt’altro che inconciliabili, possono vedersi come aspetti perfettamente complementari per l’erogazione di un servizio efficace ed efficiente che sappia valorizzare e tutelare l’interesse pubblico di cui il sistema farmaceutico è un garante: il diritto alla salute.

Il diritto fondamentale dell’uomo alla salute[1], recepito dall’art. 32 della carta costituzionale italiana, è perseguito anche attraverso l’erogazione del servizio farmaceutico la cui “la complessa regolamentazione pubblicistica”, come anche fa notare la Sent. 87/2006 della Corte Costituzionale, “è infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.

La tutela di un diritto fondamentale, quale quello alla salute, non pregiudica, anzi, in un certo senso impone, una costante tensione verso una gestione efficace, efficiente ed economicamente sostenibile di un servizio, la cui natura di servizio pubblico essenziale, a carattere locale, ed a tendenziale rilevanza economica è stata più volte sottolineata dalla magistratura contabile ed amministrativa[2], tensione che oggi, risulta ulteriormente giustificata dalla congiuntura economica sfavorevole e che, come la prassi dimostra, sempre più spesso passa da un ragionamento sulle formule gestionali messe a disposizione dal legislatore.

Ai fini dell’individuazione delle forme di gestione delle farmacie comunali il riferimento vigente è costituito dall’art. 9 della Lg. 475/1968 e s.m.i. (Legge Mariotti) che prevedeche le “farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite […] nelle seguenti forme:

a) in economia;

b) a mezzo di azienda speciale;

c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;

d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune ed i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”.

L’elenco di cui alla Legge Mariotti non deve però essere considerato tassativo, come si vedrà infatti nel proseguo della trattazione è possibile la gestione delle farmacie comunali anche attraverso società di capitali unipersonali e tramite il coinvolgimento di soci diversi che non i soli farmacisti.

Ciascuna di tali forme presenta vantaggi e svantaggi che è necessario valutare attentamente e soppesare in un ragionamento che, come visto, deve porre il giusto equilibrio tra diritto alla salute ed aspetti economici. In particolare la gestione in economia, pure nell’estrema semplicità della forma si presta esclusivamente a gestioni di minime dimensioni prive di grandi investimenti, l’azienda speciale presenta indubbi vantaggi in termini di una maggiore flessibilità rispetto alla gestione in economia, ed in termini di influenza politica forte cui fanno da contraltare i maggiori costi di gestione e le maggiori complessità. Complessità che crescono nel caso si adotti la formula del Consorzio (di servizi) in quanto tale forma rende necessario il contemperare gli interessi di diversi Enti Locali.

3. La gestione in forma societaria

Tra le formule di gestione permesse dall’ordinamento quella che maggiormente attrae le amministrazioni comunali in questo particolare momento storico è la società di capitali, vale a dire la Società a Responsabilità limitata (S.r.l.) e la Società per Azioni (S.p.A.) a cui vanno riconosciuti una serie di ragioni vantaggiose di tipo economico e non, vale a dire:

- la maggiore possibilità di accesso al credito, sia verso le banche sia direttamente dai soci;

- la maggiore forza di attrazione nei confronti di professionalità e know how e la conseguente maggiore propensione all’innovazione;

- la maggiore flessibilità e la possibilità di una migliore risposta alla domanda ed alle dinamiche del mercato;

- la possibilità di un proficuo coinvolgimento dei privati;

- la stabilità verso eventuali mutamenti nelle coalizioni politiche espresse nel Consiglio Comunale dell’Ente di riferimento, esprimendo altresì una maggiore autonomia strategica dall’Ente stesso.

E’ opportuno, tuttavia, frenare facili entusiasmi evidenziando come la società di capitali non si configuri quale la panacea per tutti i mali, presentando, a sua volta, aspetti negativi di non breve momento, vale a dire:

- alti costi di gestione ed elevati costi connessi all’istituzione;

- alta complessità, soprattutto in fase di costituzione;

- necessità di attenta regolazione statutaria per mantenere il controllo dell’Ente;

- maggiori rischi finanziari indiretti per l’Ente, tra i quali, non ultimo, l’esposizione al rischio fallimento.

Nel nostro Paese, al 31.12.2010, secondo i dati Federfarma[3] erano attive quasi 18.000 farmacie (per la precisione 17.796) di cui solo una minima parte, 1.550 (pari all’8,71%) farmacie pubbliche. Queste farmacie, in media una ogni 3.374 abitanti, sempre nel 2010, hanno dato lavoro a circa 62 mila farmacisti su un totale di iscritti all’Albo di 79.000 unità.

Il dato interessante emerge dalla Banca dati AIDA[4] la cui analisi ha permesso di costruire una base dati relativa a tutte le farmacie italiane, gestite in forma di società di capitali (S.p.A. o S.r.l.), con una partecipazione, anche minima, da parte di Comuni.

Dai dati raccolti si evince come in tutta Italia siano attive circa 263 farmacie comunali gestite in forma societaria (77 S.p.A. e 186 S.r.l.), che esprimono un patrimonio netto complessivo di oltre 631 milioni di Euro, un risultato consolidato di 2,6 milioni di Euro e un giro d’affari, misurato in termini di fatturato, di poco meno di 2 miliardi di Euro.

Il dato relativo alla composizione societaria di dette società mostra come il 46% di dette società di capitali sia, in realtà, una società unipersonale al 100% di proprietà comunale (in tema di società personali ed in house si veda infra), il 42,21% sia posseduta dal Comune e da farmacisti, mentre il 10,27% è frutto di una partnership tra Enti Locali e soggetti privati. Il restante 1,5% è rappresentato da partnership triangolari che vedono coinvolti i Comuni, i farmacisti e soggetti privati.

La composizione societaria della società media è rappresentata da un Comune “forte” con il 71% delle azioni (o delle quote), dai farmacisti con il 19,9% e dagli operatori privati che si fermano al 8,16%.

Interessante notare come in 207 società su 263 il capitale sia totalmente o prevalentemente pubblico, in 30 società la maggioranza sia in mano a farmacisti, mentre nelle rimanenti 25 l’azionista di riferimento sia un operatore privato. Con riferimento al partner privato è interessante, da ultimo, notare come vi sia un’estrema variabilità nell’oggetto sociale, si va, infatti, dalle società di distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici, a cooperative costituite ad hoc per la gestione di farmacie, da cooperative edilizie a banche e holding finanziarie, sino ad arrivare ad una notissima casa di moda milanese.

Si è visto in precedenza come la normativa in vigore (Lg. 475/1968) sanzioni la possibilità di gestire le farmacie attraverso società di capitali mista tra il Comune ed i farmacisti. Questa disposizione, tuttavia, dal punto di vista della natura della società di capitali è da considerarsi superata, essendo ammesse anche società di capitali unipersonali, come sottolineato dalla citata delibera 489/2011 della Corte dei Conti Lombardia, in quanto i modelli di gestione previsti dalla Legge Mariotti “non hanno carattere tassativo” ma devono trovare integrazione con i principi comunitari in materia di servizi pubblici locali[5], con la possibilità, quindi, di avere società di capitali gerenti le farmacie comunali il cui capitale sia:

- totalmente pubblico;

- misto pubblico-privato;

- totalmente privato.

Pare opportuno in questa sede soffermarsi sulle particolari implicazioni di una società di capitali partecipata al 100% da uno o più soggetti pubblici che risponda ai requisiti dell’in house providing, intendendosi con tale locuzione, quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato[6].

In generale, una società che è controllata al 100% da un Ente Locale e sulla quale il Comune (od altra P.A.) ha un controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici, si considera in house e, a fronte di particolari vantaggi, tra cui la possibilità di affidamento diretto della gestione dei servizi pubblici, è soggetta a obblighi e regole tipiche dell’Ente proprietario. Ma è così anche per le farmacie?

La soggezione delle società in house ai medesimi obblighi (tra cui il rispetto del Patto di Stabilità e la soggezione a vincoli in materia di assunzioni ed incarichi) è disciplinata (rectius era disciplinata) dall’art. 23 bis del D.L. 112/2008, oggi abrogato dal referendum popolare del giugno 2011 e, in parte riproposto dall’art. 4 del D.L. 138/2011 (la cd. Manovra estiva bis).

Tuttavia, il D.L. 112/2008, prima, e il D.L. 138/2011, ora, prevedono esplicitamente l’esclusione delle farmacie comunali dal novero dei servizi pubblici locali tenuti all’ottemperanza di quanto dalle norme degli stessi, così come sottolineato dalla Corte dei Conti (Del. 489/2011 – Sez. Lombardia), quello che si viene a creare nei confronti delle farmacie comunali è una “clausola di segregazione” della quale un importante effetto è la non applicabilità delle norme che impongono la soggezione delle società in house affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali:

- al Patto di Stabilità interno (come previsto dall’art. 18, co. 2 bis del D.L. 112/2008);

- alle norme che impongono l’applicazione del Codice degli Appalti per l’acquisizione di beni e servizi (D.Lgs. 163/2006).

Tuttavia, occorre precisare che la “segregazione” non può condurre al completo annullamento dei canoni giuridici e dei principi uniformemente riconosciuti in materia di servizi pubblici locali, indi per cui, sembra difficile prescindere da principi quali la sana gestione delle pubbliche amministrazioni o il confronto competitivo e trasparente nella selezione dei fornitori.

Trovano invece applicazione, per le società in house gerenti le farmacie comunali, le procedure di reclutamento del personale e le norme limitative per il conferimento di incarichi, nonché le norme finanziarie in tema di spesa per il personale di cui all’art. 18, co. 1 e 2 bis, all’art. 76 del D.L. 112/2008, in quanto aventi natura di “principi di coordinamento della finanza pubblica”.

Di contro, con riferimento alle figure dei soci privati, la normativa di riferimento è costituita:

- dalla Lg. 475/1968, come successivamente modificata prevede che i farmacisti, che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità, possano divenire socio dell’Ente Locale per la gestione delle farmacie;

- dall’art. 100, co. 1 bis del D.Lgs. 219/2006 prevede che i farmacisti e le società di farmacisti, […] nonché le società che gestiscono farmacie comunali possano svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali […] parimenti le società che svolgono attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali.

Quindi, dai soli farmacisti, come previsti dalla versione originaria della Lg. 475/1968, lo spettro dei potenziali partner si è ampliato nel corso degli anni, alle società di farmacisti ed alle società di distribuzione all’ingrosso dei farmaci, fino ad immaginare, attraverso una lettura ampia del co. 3 dell’art. 100 del D.L 219/06, la possibilità di una gestione delle farmacie comunali da parte delle società di produzione farmaceutica.

Infatti, il co. 3, in deroga al co. 1, che prevede l’obbligo di richiesta di autorizzazione per la distribuzione all’ingrosso di farmaci, prevede che tale autorizzazione “non è richiesta se l’interessato è in possesso dell’autorizzazione [dell’AIFA] alla produzione […] a condizione che la distribuzione all’ingrosso è limitata ai medicinali, comprese le materie prime farmacologicamente attive, oggetto di tale autorizzazione.” Quindi pare possibile, per una società farmaceutica, entrare agevolmente nel mercato della distribuzione all’ingrosso dei farmaci, e, da tale posizione avere accesso libero alla gestione delle farmacie comunali.

La scelta del socio si rivela di fondamentale importanza, anche in considerazione di una serie di fattori, tra cui, non ultimi la forma giuridica, le dimensioni, le esigenze del Comune.

E’ chiaro come per un servizio di piccole dimensioni, del quale il Comune voglia valorizzare il forte radicamento territoriale, la partnership potrebbe avvenire tra Comune e uno o più farmacisti, già responsabili della gestione della (o delle) farmacie.

Di contro è altrettanto evidente come un servizio di medio-grandi dimensioni che debba essere valorizzato dal punto di vista commerciale, operativo e di marketing, la scelta di una partnership con i farmacisti possa essere economicamente sostenibile solo qualora gli stessi siano in grado di assumere una struttura, mutuando la terminologia del Codice degli Appalti, “economicamente e tecnicamente capace”; da cui si può concludere che la ricerca di innovazione, e riposizionamento strategico possa essere meglio supportata da un partner maggiormente strutturato che un singolo farmacista.[7]

E’ tuttavia di fondamentale importanza, a parere di chi scrive, che i farmacisti siano oggetto di un forte coinvolgimento, dato il loro ruolo fondamentale nell’attività di tutti i giorni della farmacia, con riferimento, in particolare, alla fidelizzazione dell’utenza.

4. Le opportunità e i rischi

Il momento che il nostro Paese sta vivendo è delicatissimo, in quanto la carenza di riforme strutturali, ormai diventate improrogabili, appesantisce la crisi dovuta all’eccessivo debito pubblico di cui ogni cittadino italiano è, più o meno metaforicamente, gravato.

Dallo scoppio della crisi economica , e , in particolare nel triennio 2009-2011, gli Enti Locali e le Regioni sono stati oggetto, al fine della “tutela dell’unità economica della Repubblica”, di tagli spannometricamente stimabili in 14,6 miliardi di Euro, di cui oltre 6 miliardi a carico degli Enti Locali.

Stimando che dai conti consuntivi 2008[8], le entrate totali di Comuni e Province ammontavano a circa 106 miliardi di Euro, appare evidente come un taglio “orizzontale” del 5%, cui si aggiunga la contrazione delle entrate tributarie dovuta alla crisi, vada a penalizzare notevolmente il comparto locale.

Di fronte a questo contesto gli Enti si trovano di fronte alla drammatica esigenza di risorse finanziarie risorse al fine di garantire, quantomeno, il livello di servizi in essere.

Per rispondere a tale esigenza la soluzione principale che si prospetta ai Governi Locali è quella di “fare cassa” a tutti i costi. Fare cassa per rispondere alle crescenti istanze delle cittadinanza, fare cassa per garantire livelli accettabili dei servizi, fare cassa per rispondere ai crescenti tagli delle Manovre, che troppo spesso vanno a colpire i comparti più virtuosi, fare cassa per rispettare il Patto di Stabilità interno.

Di strade percorribili, posta la costante riduzione dei trasferimenti statali, e posti diversi vincoli di ordine normativo ed economico all’aumento dei tributi locali, non ve ne sono molte altre, anzi. Il modus operandi è sotto gli occhi dei più: cessione del patrimonio pubblico, intendendosi con esso immobilizzazioni materiali (stabili ed edifici), immobilizzazioni immateriali, inteso come know how cui si rinuncia per impossibilità di incentivi alle migliori professionalità e, infine, come immobilizzazioni finanziarie tra cui partecipazioni e quote in aziende erogatrici di servizi pubblici.

Una situazione del genere di disperata esigenza di liquidità ha dato origine, pochi anni orsono, al cd. scandalo derivati, nel quale Enti Locali troppo spesso privi della necessaria competenza in materia di operazioni finanziarie, cadevano in pasto di intermediari che, poggiandosi sull’asimmetria informativa della quale rappresentavano la parte consapevole, proponevano vere e proprie scommesse ai comuni, con effetti negativi stimati, in base all’andamento dei mercati, in circa 1 miliardo di Euro al 31.12.2010[9].

E le farmacie? Le farmacie, come visto in precedenza, rappresentano, tendenzialmente, un aspetto su cui i Comuni potrebbero fare affidamento in termini di ritorno economico che, in ottica strategica, andrebbero valorizzate.

La valorizzazione a potrebbe avvenire previa il coinvolgimento di partner privati che, accanto ad una maggiore flessibilità, saprebbero garantire anche maggiori professionalità ed un crescente, in linea teorica, redditualità delle stesse. >Abstract:

La particolare congiuntura economica e i ripetuti vincoli alla spesa pubblica portano gli Enti Locali alla continua ricerca di fonti di approvvigionamento finanziario, per far fronte alla crescente domanda quali-quantitativa di servizi pubblici. In questo contesto le farmacie comunali si mostrano come una facile preda per una valorizzazione che, nella maggior parte dei casi, si concretizza nella cessione di assets, know how e competenze al miglior offerente.

Il presente articolo, puntando l’attenzione sulla gestione societaria delle farmacie possedute dai Comuni cerca di porre in evidenza la necessità, alla base di scelte quali la cessione e/o lo sviluppo, di un ragionamento che vada oltre il mero “fare cassa” per sposare un’ottica strategica orientata al medio - lungo periodo.

1. Il contesto di riferimento

Da qualche anno gli Enti Locali sono abituati a confrontarsi continuamente con un contesto difficile a causa di due aspetti fondamentali: la crisi economica e l’incertezza normativa.

Da un lato, infatti, la crisi economica economico-finanziaria scoppiata nel 2007, di cui ancora si sentono gli effetti, ha posto l’attenzione sulla necessità di una decisa riduzione dei deficit di bilancio e, soprattutto, dello stock di debito pubblico, che rischiano di soffocare le delicate economie di molti Stati, tra cui l’Italia.

Dall’altro lato le Amministrazioni pubbliche, specie i Comuni e le Regioni, stanno vivendo un momento di intense riforme che, tuttavia, non sembrano sempre avere un disegno strategico di fondo unitario e condiviso dalle forze di governo.

I due aspetti si intrecciano prepotentemente e indissolubilmente nel momento in cui, nel perseguire il fine di “far quadrare i conti pubblici”, l’Esecutivo si trova costretto ad emanare, nel breve lasso di tempo di pochi mesi ben due Manovre di stabilizzazione finanziaria (D.L. 98/2011 e D.L. 138/2011) e, con largo anticipo, rispetto alla consuetudine, la Legge di Stabilità 2012 (già Legge Finanziaria fino al 2010), cui si aggiunge il cd. “Decreto Salva Italia”, approvato dal Governo Monti lo scorso 6 dicembre in tema di “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (D.L. 201/2011).

Tali interventi, finalizzati alla “messa in sicurezza” del Sistema-Italia, sono forieri di sacrifici che ricadono, e ricadranno, sui bilanci comunali e delle altre autonomie locali che, da un lato, si troveranno a dover implementare le riforme in atto (federalismo fiscale, riforma Brunetta, ecc.) mentre dall’altro troveranno crescenti vincoli all’autonomia di spesa e non potranno che porre l’attenzione non già sulla massimizzazione dell’efficacia e dell’efficienza di medio-lungo periodo, ma sulla copertura delle esigenze di cassa a breve ed a brevissimo termine.

Tale situazione, oltre che dalla cd. “crisi dei debiti sovrani”, è stata aggravata dalla carenza, nel nostro Paese, di riforme strutturali che da troppo tempo si rinviano e che ora, come sollecitato recentemente anche dalle istituzioni comunitarie, si rivelano inderogabili e improcrastinabili.

In realtà le riforme ci sono; o meglio ci sarebbero. Infatti, i tentativi di riforma messi in atto risultano o insabbiati nei meandri parlamentari (i.e. Codice delle Autonomie) o sono stati in parte ridimensionate nel loro impatto dai ripetuti tagli alla spesa pubblica(ad es. Riforma Brunetta) oppure ancora, nonostante i proclami relativi alla loro attuazione e nonostante la decretazione delegata si sia pressoché esaudita, mancano ancora di importanti adempimenti normativi e regolamentari (i.e. federalismo fiscale).

2. Farmacie comunali e forme gestionali

Alla dinamiche che il sistema italiano sta vivendo non sfugge il settore farmaceutico, in particolare il comparto delle farmacie comunali, che, nel corso di questi ultimi anni, sta subendo un notevole cambiamento dovuto al forte sviluppo del settore in ottica industriale. Un tempo la farmacia era il luogo, ove i farmaci venivano preparati, confezionati e venduti al cliente per il quale erano preparati ad hoc. Oggi la farmacia è a tutti gli effetti un esercizio commerciale dove i prodotti sono prevalentemente trasferiti dal grossista al consumatore.

Tale processo di trasformazione ha dato origine ad un complesso dibattito che, da un lato, vede spinte in direzione della privatizzazione e dell’apertura al mercato delle farmacie, mentre, dall’altro lato vede difese le esigenze di regolazione da parte dell’autorità pubblica: tali punti di vista, tutt’altro che inconciliabili, possono vedersi come aspetti perfettamente complementari per l’erogazione di un servizio efficace ed efficiente che sappia valorizzare e tutelare l’interesse pubblico di cui il sistema farmaceutico è un garante: il diritto alla salute.

Il diritto fondamentale dell’uomo alla salute[1], recepito dall’art. 32 della carta costituzionale italiana, è perseguito anche attraverso l’erogazione del servizio farmaceutico la cui “la complessa regolamentazione pubblicistica”, come anche fa notare la Sent. 87/2006 della Corte Costituzionale, “è infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.

La tutela di un diritto fondamentale, quale quello alla salute, non pregiudica, anzi, in un certo senso impone, una costante tensione verso una gestione efficace, efficiente ed economicamente sostenibile di un servizio, la cui natura di servizio pubblico essenziale, a carattere locale, ed a tendenziale rilevanza economica è stata più volte sottolineata dalla magistratura contabile ed amministrativa[2], tensione che oggi, risulta ulteriormente giustificata dalla congiuntura economica sfavorevole e che, come la prassi dimostra, sempre più spesso passa da un ragionamento sulle formule gestionali messe a disposizione dal legislatore.

Ai fini dell’individuazione delle forme di gestione delle farmacie comunali il riferimento vigente è costituito dall’art. 9 della Lg. 475/1968 e s.m.i. (Legge Mariotti) che prevedeche le “farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite […] nelle seguenti forme:

a) in economia;

b) a mezzo di azienda speciale;

c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;

d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune ed i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”.

L’elenco di cui alla Legge Mariotti non deve però essere considerato tassativo, come si vedrà infatti nel proseguo della trattazione è possibile la gestione delle farmacie comunali anche attraverso società di capitali unipersonali e tramite il coinvolgimento di soci diversi che non i soli farmacisti.

Ciascuna di tali forme presenta vantaggi e svantaggi che è necessario valutare attentamente e soppesare in un ragionamento che, come visto, deve porre il giusto equilibrio tra diritto alla salute ed aspetti economici. In particolare la gestione in economia, pure nell’estrema semplicità della forma si presta esclusivamente a gestioni di minime dimensioni prive di grandi investimenti, l’azienda speciale presenta indubbi vantaggi in termini di una maggiore flessibilità rispetto alla gestione in economia, ed in termini di influenza politica forte cui fanno da contraltare i maggiori costi di gestione e le maggiori complessità. Complessità che crescono nel caso si adotti la formula del Consorzio (di servizi) in quanto tale forma rende necessario il contemperare gli interessi di diversi Enti Locali.

3. La gestione in forma societaria

Tra le formule di gestione permesse dall’ordinamento quella che maggiormente attrae le amministrazioni comunali in questo particolare momento storico è la società di capitali, vale a dire la Società a Responsabilità limitata (S.r.l.) e la Società per Azioni (S.p.A.) a cui vanno riconosciuti una serie di ragioni vantaggiose di tipo economico e non, vale a dire:

- la maggiore possibilità di accesso al credito, sia verso le banche sia direttamente dai soci;

- la maggiore forza di attrazione nei confronti di professionalità e know how e la conseguente maggiore propensione all’innovazione;

- la maggiore flessibilità e la possibilità di una migliore risposta alla domanda ed alle dinamiche del mercato;

- la possibilità di un proficuo coinvolgimento dei privati;

- la stabilità verso eventuali mutamenti nelle coalizioni politiche espresse nel Consiglio Comunale dell’Ente di riferimento, esprimendo altresì una maggiore autonomia strategica dall’Ente stesso.

E’ opportuno, tuttavia, frenare facili entusiasmi evidenziando come la società di capitali non si configuri quale la panacea per tutti i mali, presentando, a sua volta, aspetti negativi di non breve momento, vale a dire:

- alti costi di gestione ed elevati costi connessi all’istituzione;

- alta complessità, soprattutto in fase di costituzione;

- necessità di attenta regolazione statutaria per mantenere il controllo dell’Ente;

- maggiori rischi finanziari indiretti per l’Ente, tra i quali, non ultimo, l’esposizione al rischio fallimento.

Nel nostro Paese, al 31.12.2010, secondo i dati Federfarma[3] erano attive quasi 18.000 farmacie (per la precisione 17.796) di cui solo una minima parte, 1.550 (pari all’8,71%) farmacie pubbliche. Queste farmacie, in media una ogni 3.374 abitanti, sempre nel 2010, hanno dato lavoro a circa 62 mila farmacisti su un totale di iscritti all’Albo di 79.000 unità.

Il dato interessante emerge dalla Banca dati AIDA[4] la cui analisi ha permesso di costruire una base dati relativa a tutte le farmacie italiane, gestite in forma di società di capitali (S.p.A. o S.r.l.), con una partecipazione, anche minima, da parte di Comuni.

Dai dati raccolti si evince come in tutta Italia siano attive circa 263 farmacie comunali gestite in forma societaria (77 S.p.A. e 186 S.r.l.), che esprimono un patrimonio netto complessivo di oltre 631 milioni di Euro, un risultato consolidato di 2,6 milioni di Euro e un giro d’affari, misurato in termini di fatturato, di poco meno di 2 miliardi di Euro.

Il dato relativo alla composizione societaria di dette società mostra come il 46% di dette società di capitali sia, in realtà, una società unipersonale al 100% di proprietà comunale (in tema di società personali ed in house si veda infra), il 42,21% sia posseduta dal Comune e da farmacisti, mentre il 10,27% è frutto di una partnership tra Enti Locali e soggetti privati. Il restante 1,5% è rappresentato da partnership triangolari che vedono coinvolti i Comuni, i farmacisti e soggetti privati.

La composizione societaria della società media è rappresentata da un Comune “forte” con il 71% delle azioni (o delle quote), dai farmacisti con il 19,9% e dagli operatori privati che si fermano al 8,16%.

Interessante notare come in 207 società su 263 il capitale sia totalmente o prevalentemente pubblico, in 30 società la maggioranza sia in mano a farmacisti, mentre nelle rimanenti 25 l’azionista di riferimento sia un operatore privato. Con riferimento al partner privato è interessante, da ultimo, notare come vi sia un’estrema variabilità nell’oggetto sociale, si va, infatti, dalle società di distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici, a cooperative costituite ad hoc per la gestione di farmacie, da cooperative edilizie a banche e holding finanziarie, sino ad arrivare ad una notissima casa di moda milanese.

Si è visto in precedenza come la normativa in vigore (Lg. 475/1968) sanzioni la possibilità di gestire le farmacie attraverso società di capitali mista tra il Comune ed i farmacisti. Questa disposizione, tuttavia, dal punto di vista della natura della società di capitali è da considerarsi superata, essendo ammesse anche società di capitali unipersonali, come sottolineato dalla citata delibera 489/2011 della Corte dei Conti Lombardia, in quanto i modelli di gestione previsti dalla Legge Mariotti “non hanno carattere tassativo” ma devono trovare integrazione con i principi comunitari in materia di servizi pubblici locali[5], con la possibilità, quindi, di avere società di capitali gerenti le farmacie comunali il cui capitale sia:

- totalmente pubblico;

- misto pubblico-privato;

- totalmente privato.

Pare opportuno in questa sede soffermarsi sulle particolari implicazioni di una società di capitali partecipata al 100% da uno o più soggetti pubblici che risponda ai requisiti dell’in house providing, intendendosi con tale locuzione, quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato[6].

In generale, una società che è controllata al 100% da un Ente Locale e sulla quale il Comune (od altra P.A.) ha un controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici, si considera in house e, a fronte di particolari vantaggi, tra cui la possibilità di affidamento diretto della gestione dei servizi pubblici, è soggetta a obblighi e regole tipiche dell’Ente proprietario. Ma è così anche per le farmacie?

La soggezione delle società in house ai medesimi obblighi (tra cui il rispetto del Patto di Stabilità e la soggezione a vincoli in materia di assunzioni ed incarichi) è disciplinata (rectius era disciplinata) dall’art. 23 bis del D.L. 112/2008, oggi abrogato dal referendum popolare del giugno 2011 e, in parte riproposto dall’art. 4 del D.L. 138/2011 (la cd. Manovra estiva bis).

Tuttavia, il D.L. 112/2008, prima, e il D.L. 138/2011, ora, prevedono esplicitamente l’esclusione delle farmacie comunali dal novero dei servizi pubblici locali tenuti all’ottemperanza di quanto dalle norme degli stessi, così come sottolineato dalla Corte dei Conti (Del. 489/2011 – Sez. Lombardia), quello che si viene a creare nei confronti delle farmacie comunali è una “clausola di segregazione” della quale un importante effetto è la non applicabilità delle norme che impongono la soggezione delle società in house affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali:

- al Patto di Stabilità interno (come previsto dall’art. 18, co. 2 bis del D.L. 112/2008);

- alle norme che impongono l’applicazione del Codice degli Appalti per l’acquisizione di beni e servizi (D.Lgs. 163/2006).

Tuttavia, occorre precisare che la “segregazione” non può condurre al completo annullamento dei canoni giuridici e dei principi uniformemente riconosciuti in materia di servizi pubblici locali, indi per cui, sembra difficile prescindere da principi quali la sana gestione delle pubbliche amministrazioni o il confronto competitivo e trasparente nella selezione dei fornitori.

Trovano invece applicazione, per le società in house gerenti le farmacie comunali, le procedure di reclutamento del personale e le norme limitative per il conferimento di incarichi, nonché le norme finanziarie in tema di spesa per il personale di cui all’art. 18, co. 1 e 2 bis, all’art. 76 del D.L. 112/2008, in quanto aventi natura di “principi di coordinamento della finanza pubblica”.

Di contro, con riferimento alle figure dei soci privati, la normativa di riferimento è costituita:

- dalla Lg. 475/1968, come successivamente modificata prevede che i farmacisti, che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità, possano divenire socio dell’Ente Locale per la gestione delle farmacie;

- dall’art. 100, co. 1 bis del D.Lgs. 219/2006 prevede che i farmacisti e le società di farmacisti, […] nonché le società che gestiscono farmacie comunali possano svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali […] parimenti le società che svolgono attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali.

Quindi, dai soli farmacisti, come previsti dalla versione originaria della Lg. 475/1968, lo spettro dei potenziali partner si è ampliato nel corso degli anni, alle società di farmacisti ed alle società di distribuzione all’ingrosso dei farmaci, fino ad immaginare, attraverso una lettura ampia del co. 3 dell’art. 100 del D.L 219/06, la possibilità di una gestione delle farmacie comunali da parte delle società di produzione farmaceutica.

Infatti, il co. 3, in deroga al co. 1, che prevede l’obbligo di richiesta di autorizzazione per la distribuzione all’ingrosso di farmaci, prevede che tale autorizzazione “non è richiesta se l’interessato è in possesso dell’autorizzazione [dell’AIFA] alla produzione […] a condizione che la distribuzione all’ingrosso è limitata ai medicinali, comprese le materie prime farmacologicamente attive, oggetto di tale autorizzazione.” Quindi pare possibile, per una società farmaceutica, entrare agevolmente nel mercato della distribuzione all’ingrosso dei farmaci, e, da tale posizione avere accesso libero alla gestione delle farmacie comunali.

La scelta del socio si rivela di fondamentale importanza, anche in considerazione di una serie di fattori, tra cui, non ultimi la forma giuridica, le dimensioni, le esigenze del Comune.

E’ chiaro come per un servizio di piccole dimensioni, del quale il Comune voglia valorizzare il forte radicamento territoriale, la partnership potrebbe avvenire tra Comune e uno o più farmacisti, già responsabili della gestione della (o delle) farmacie.

Di contro è altrettanto evidente come un servizio di medio-grandi dimensioni che debba essere valorizzato dal punto di vista commerciale, operativo e di marketing, la scelta di una partnership con i farmacisti possa essere economicamente sostenibile solo qualora gli stessi siano in grado di assumere una struttura, mutuando la terminologia del Codice degli Appalti, “economicamente e tecnicamente capace”; da cui si può concludere che la ricerca di innovazione, e riposizionamento strategico possa essere meglio supportata da un partner maggiormente strutturato che un singolo farmacista.[7]

E’ tuttavia di fondamentale importanza, a parere di chi scrive, che i farmacisti siano oggetto di un forte coinvolgimento, dato il loro ruolo fondamentale nell’attività di tutti i giorni della farmacia, con riferimento, in particolare, alla fidelizzazione dell’utenza.

4. Le opportunità e i rischi

Il momento che il nostro Paese sta vivendo è delicatissimo, in quanto la carenza di riforme strutturali, ormai diventate improrogabili, appesantisce la crisi dovuta all’eccessivo debito pubblico di cui ogni cittadino italiano è, più o meno metaforicamente, gravato.

Dallo scoppio della crisi economica , e , in particolare nel triennio 2009-2011, gli Enti Locali e le Regioni sono stati oggetto, al fine della “tutela dell’unità economica della Repubblica”, di tagli spannometricamente stimabili in 14,6 miliardi di Euro, di cui oltre 6 miliardi a carico degli Enti Locali.

Stimando che dai conti consuntivi 2008[8], le entrate totali di Comuni e Province ammontavano a circa 106 miliardi di Euro, appare evidente come un taglio “orizzontale” del 5%, cui si aggiunga la contrazione delle entrate tributarie dovuta alla crisi, vada a penalizzare notevolmente il comparto locale.

Di fronte a questo contesto gli Enti si trovano di fronte alla drammatica esigenza di risorse finanziarie risorse al fine di garantire, quantomeno, il livello di servizi in essere.

Per rispondere a tale esigenza la soluzione principale che si prospetta ai Governi Locali è quella di “fare cassa” a tutti i costi. Fare cassa per rispondere alle crescenti istanze delle cittadinanza, fare cassa per garantire livelli accettabili dei servizi, fare cassa per rispondere ai crescenti tagli delle Manovre, che troppo spesso vanno a colpire i comparti più virtuosi, fare cassa per rispettare il Patto di Stabilità interno.

Di strade percorribili, posta la costante riduzione dei trasferimenti statali, e posti diversi vincoli di ordine normativo ed economico all’aumento dei tributi locali, non ve ne sono molte altre, anzi. Il modus operandi è sotto gli occhi dei più: cessione del patrimonio pubblico, intendendosi con esso immobilizzazioni materiali (stabili ed edifici), immobilizzazioni immateriali, inteso come know how cui si rinuncia per impossibilità di incentivi alle migliori professionalità e, infine, come immobilizzazioni finanziarie tra cui partecipazioni e quote in aziende erogatrici di servizi pubblici.

Una situazione del genere di disperata esigenza di liquidità ha dato origine, pochi anni orsono, al cd. scandalo derivati, nel quale Enti Locali troppo spesso privi della necessaria competenza in materia di operazioni finanziarie, cadevano in pasto di intermediari che, poggiandosi sull’asimmetria informativa della quale rappresentavano la parte consapevole, proponevano vere e proprie scommesse ai comuni, con effetti negativi stimati, in base all’andamento dei mercati, in circa 1 miliardo di Euro al 31.12.2010[9].

E le farmacie? Le farmacie, come visto in precedenza, rappresentano, tendenzialmente, un aspetto su cui i Comuni potrebbero fare affidamento in termini di ritorno economico che, in ottica strategica, andrebbero valorizzate.

La valorizzazione a potrebbe avvenire previa il coinvolgimento di partner privati che, accanto ad una maggiore flessibilità, saprebbero garantire anche maggiori professionalità ed un crescente, in linea teorica, redditualità delle stesse.

La forma societaria, in particolare quella della società di capitali, si presenta come quella forma gestionale in grado di favorire tali partnership, con l’ulteriore vantaggio della possibilità di coinvolgimento attivo di altri operatori, non operativi, ma esponenti degli stakeholder del territorio.

Il tema di fondo, quindi, è quello di valorizzare le farmacie, previa una attenta ed approfondita analisi della situazione interna delle farmacie e del mercato di riferimento e, una ridefinizione strategica, qualora l’analisi lo riveli necessario, della governance e della gestione del servizio farmaceutico.

In tali operazioni occorre, tuttavia, prestare attenzione ai rischi più reali che percepiti del “fare cassa a tutti i costi”. La ridefinizione delle modalità operative e gestionali del servizio non deve avere come riferimento esclusivamente il dare una boccata d’ossigeno al Comune proprietario ma deve essere strutturata in ottica strategica, con una visione di medio-lungo periodo.

Occorrerà, infine, un’attenta considerazione delle modificazioni che, in tale ridefinizione, coinvolgeranno il personale qualificato che rappresenta la colonna portante delle farmacie: i farmacisti. Essi rappresentano la vera ricchezza ed il vero valore aggiunto del servizio farmaceutico in termini di know how, competenza, contatto con il cliente. Il tutto a sottolineare la notevole valenza umana di quello che è ancora, in fin dei conti, un servizio pubblico.



[1] L’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) stabilisce che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”.

[2] Sul tema si vedano le delibere 489/2011, 195 e 196 del 2009 della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia della Corte dei Conti e la Sentenza 11697/2008 del TAR del Lazio.

[3] Sito www.federfarma.it consultato in data 14 novembre 2011.

[4] Banca Dati AIDA – Bureau Van Dijk sito web: www.aida.bvdep.com.

[5] Si veda anche la Del. 70/2011/PAR della Corte dei Conti Lombardia, e la Del. 3/2008 della Corte dei Conti, Sez. di Controllo per la Puglia.

[6] Per un maggiore approfondimento sull’in house providing nella giurisprudenza italiana ed europea si vedano anche le seguenti sentenze della Corte di Giustizia Europea: Sent.18 novembre (cd. Sentenza Teckal – C 107/98), Sent. 11 maggio 2006 (cd. Sentenza Cabotermo – C 340/04), Sent.13 ottobre 2005 (Sentenza Parking Brixen GmbH -C 458/03), Sent. 10 novembre 2005 (Sentenza Mödling C 29/04) e, per la giurisprudenza nostrana, Tar Puglia, 8 novembre 2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30 agosto 2006, n. 5072, Consiglio di Stato, Sez. V, 9/3/2009 n. 1365 e Consiglio di Stato, Sez. V, 3/2/2009 n. 591

[7] Si veda anche Castellani, M. Le privatizzazioni delle farmacie comunali. Quali prospettive? In Azienditalia nr. 1/2006.

[8] Dati Istat pubblicati in data 9 novembre 2011, www.istat.it/it/archivio/44717.

[9] Cfr. Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino Statistico, Debito delle Amministrazioni Locali, nr. 56, Anno XXI, 31 ottobre 2011 - http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimfpr