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La riforma delle province nella legge 22 dicembre 2011 n. 214

PREMESSA

Con la conversione in legge del D. L. 6 dicembre 2011 n. 201 (Legge 214/2011) “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” risulta definito, dopo vari interventi emendativi, il testo della riforma Monti delle Province.

I CONTENUTI

La Legge 211/2011, all’art. 23, commi 14-20, prevede:

a) Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

b) Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.

c) Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

d) Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.

e) Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

f) Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia.

g) Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 (commissariamento), e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali.

h) Le regioni a statuto speciale adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le medesime disposizioni non trovano applicazione per le province autonome di Trento e di Bolzano;

i) I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.

LE SCADENZE

- Entro il 31 dicembre con legge dello Stato dovranno essere stabilite le modalità di elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente, tenendo conto che il Consiglio provinciale dovrà essere composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia e che il Presidente della Provincia dovrà essere eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.

- Entro il 31 dicembre 2012 lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, dovranno provvedere a trasferire ai Comuni le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

- Gli organi provinciali, che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012, restano in carica fino alla scadenza naturale;

- Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni.

PRIME INDICAZIONI ATTIVITÀ E RISULTATI DELLA COMMISSIONE SUL LIVELLAMENTO RETRIBUTIVO ITALIA-EUROPA

È utile rilevare che il modello dell’articolazione dell’amministrazione pubblica in regioni, province e comuni si ritrova, con sostanziali affinità, nell’ordinamento giuridico delle principali democrazie europee.

La manovra per la stabilizzazione finanziaria (decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con L. 15 luglio 2011, n.111 - "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria") ha previsto il livellamento retributivo Italia-Europa per i deputati e senatori, per i membri di altri organi di rilievo costituzionale, per i componenti gli organi di vertice di Autorità e Agenzie e per le figure apicali delle amministrazioni pubbliche.

A tal fine il decreto, all’articolo 1 comma 3, ha previsto la costituzione di una Commissione che provveda alla ricognizione e dell’individuazione "della media ponderata rispetto al PIL dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi nei sei principali Stati dell’Area Euro riferiti all’anno precedente e aggiornati all’anno in corso sulla base delle previsioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza".

Com’è noto, la Commissione, anche sulla scorta di quanto previsto all’art.23, comma 7, della Legge 214/2011, ha prodotto una prima relazione di attività al 31 dicembre, dedicata in gran parte ai Parlamentari e che ha suscitato vasta eco e polemiche sulla stampa.

La Commissione ha adottato la Nomenclatura delle unità territoriali per le statistiche (NUTS) definita dall’Unione Europea, in base alla quale il territorio di ciascuno Stato membro è stato suddiviso in aree statistiche, comparabili in termini di dimensioni territoriali e demografiche, da utilizzare anche come riferimento per gli interventi delle politiche comunitarie.

La Nomenclatura delle unità territoriali per le statistiche (NUTS) attualmente vigente è definita dai Regolamenti (Ec) n. 105/2007 del 1/02/2007 e n. 176/2008 del 20/02/2008.

In particolare, sono stati selezionati i seguenti “livelli” della classificazione NUTS:

- territori di livello NUTS 2, che comprendono le regioni italiane, le Comunità autonome in Spagna, le regioni e le DOM francesi, i Länder austriaci, le Regierungsbezirke tedesche, etc.;

- territori di livello NUTS 3, che comprendono le province italiane, le Kreise tedesche, i Dipartimenti francesi, le province spagnole, etc.

Dalla Relazione emerge con chiarezza un dato rilevante ai fini del nostro esame: alle Province italiane (tenendo conto di Presidenti e Consiglieri) corrispondono enti omologhi in tutti i sei Paesi Europei considerati:

- Germania (Kreise)

- Francia (Départements + DOM)

- Spagna (Provincias + islas + Ceuta, Melilla)

- Belgio (Arrondisse-menten / Arrondissements)

- Paesi Bassi (COROP)

- Austria (Gruppen von politischen Bezirken)

Questi i numeri:

PAESE

NUTS 3

Germania

Kreise

429

Francia

Départements + DOM

100

Spagna

Provincias + islas + Ceuta, Melilla

59

Belgio

Arrondisse-menten / Arrondissements

44

Paesi Bassi

COROP

35

Austria

Gruppen von politischen  Bezirken

40

Italia

Province

107

Se l’esistenza del livello provinciale è riconosciuta in tutti i principali Paesi europei, ciò significa che esso risponde ad una reale esigenza di organizzazione territoriale.

VALUTAZIONI CRITICHE

Il dibattito in essere, sul mantenimento o meno delle Province, riguarda due modi profondamente diversi di concepire la politica, il rapporto con i cittadini e, quindi, l’ordinamento istituzionale.

Se si è arrivati a questo punto le Province peraltro non sono esenti da responsabilità, prima delle quali quella di non aver saputo dimostrare per tempo la centralità del proprio ruolo, con una adeguata comunicazione.

Cosi come non aver governato un processo di trasformazione per svolgere quel ruolo di tessitura territoriale che avrebbero potuto e dovuto ricoprire con maggior efficacia, anche se non mancano esempi virtuosi in questo ambito.

Sono in gioco due prospettive opposte sul piano della cultura politica relative alla forma dell’organizzazione democratica: l’una centralista, l’altra federalista.

Infatti, chi mette in discussione l’esistenza delle Province deve assumersi l’onere ed avere l’onestà intellettuale di affermare contestualmente anche la necessità di accorpare i Comuni di medie e piccole dimensioni.

Si pensi ad esempio alla Regione Veneto.

È evidente che la Regione, nell’ipotesi di abolizione delle 7 Province venete, sarebbe materialmente impossibilitata a rapportarsi con 581 Municipalità.

Inesorabilmente, dall’abolizione delle Province sortirebbe parallelamente la necessità di provvedere anche alla drastica riduzione del numero dei Comuni.

Una simile visione istituzionale comporterebbe altresì una chiarissima e irrevocabile negazione del valore delle Comunità locali, poiché le aggregazioni dei Comuni avverrebbero in base a mere valutazioni di ingegneria burocratica.

In altre parole, la gestione dei servizi verrebbe stabilita senza alcuna correlazione diretta con l’esistenza di Comunità locali.

La storia di queste verrebbe cancellata, così come gli affetti e le identità, in nome di un astratto ed omologante diritto di cittadinanza.

Ciò significa che sarebbe altresì negato il valore di qualsivoglia riforma federalista per l’Italia.

Tale visione è di carattere nazionalistico, centralista nella concezione di uno stato che avrebbe le sue articolazioni nelle regioni e nei macro-comuni ridotti a strutture amministrative di carattere funzionale e non rispondenti al riconoscimento di Comunità autonome.

Ogni Comune rappresenta una Comunità di persone unita da un’esperienza tra generazioni e dalla condivisione di valori e specificità culturali, sociali ed economiche che costituiscono una risorsa unica, imperdibile e irrinunciabile.

Le vicende storiche di queste Comunità portano le stesse ad intrecciarsi fra di loro dando vita ad una Comunità più ampia, quella Provinciale.

Le storie delle Comunità Provinciali concorrono a definire le identità delle Comunità Regionali e, queste ultime, a loro volta, contribuiscono a definire, riempiendola di contenuti, l’identità della nostra Nazione fondata sul valore delle diversità.

Sarebbe un grave errore ritenere che l’oggetto del contendere sia di origine recente.

Da circa 150 anni nel nostro Paese si stanno scontrando due diverse e contrapposte concezioni sulla organizzazione istituzionale da dare all’Italia.

Una è quella centralista, che si è ormai dimostrata perdente sul piano economico, sociale e culturale.

L’altra è quella federalista.

Gli spiriti migliori del nostro Paese hanno creduto che fosse da riconoscere nella multiformità dell’Italia la sua vera forza e bellezza, che nel federalismo si trovi la via per una politica migliore capace di riscattare il Paese dai suoi problemi più annosi.

Gli stessi padri costituenti della Repubblica democratica vollero un’articolazione dello Stato fondata sul rispetto delle Autonomie locali.

Le economie di scala e l’ottimizzazione delle funzioni si possono davvero ottenere in modo più razionale e credibile non sopprimendo le Province, bensì riconoscendo il ruolo che a loro spetta in base alla Costituzione, portando finalmente a compimento il processo già in atto di trasferimento di competenze e funzioni.

Un trasferimento, che pur essendo avvenuto in modo parziale, ha comunque consentito negli ultimi anni alle Province di fornire risposte concrete ed importanti nella formazione e nel lavoro, in materia di viabilità, di edilizia scolastica, di sistema di offerta culturale e turistica, nella programmazione territoriale, sul fronte della tutela dell’ambiente.

Il potenziamento e la razionalizzazione del rapporto fra Provincia e Comuni nella gestione dei servizi e la loro integrazione potrebbero garantire tutte quelle ottimizzazioni per le quali si invocano inutili e pericolose soppressioni di istituzioni pubbliche fondate sulla rappresentanza democratica elettiva.

Semmai sono da eliminare gli enti di 2° grado (consorzi, società, agenzie, ato…) in eccesso, che sono fuori dal controllo dei cittadini ed aumentano i costi anziché ridurli. Enti, che in caso di soppressione delle Province, si moltiplicherebbero, con buona pace degli inviti al risparmio.

Il livello di governo dell’area vasta identificabile nella dimensione provinciale assume un’importanza strategica; le funzioni fondamentali delle Province debbono esser essenzialmente quelle di pianificazione e coordinamento dello sviluppo economico locale oltre che quelle di sussidiarietà a supporto dei Comuni.

Politiche che non possono essere surrogate dall’iniziativa polarizzante delle città capoluogo, ma debbono proiettarsi sul territorio in un’ottica di riequilibrio complessivo.

Una pianificazione complessiva che comprenda e finalizzi organicamente ed in modo coerente oltre che le politiche del lavoro, della formazione e programmazione scolastica, ovviamente, la pianificazione territoriale di area vasta.

Una pianificazione che attraverso Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali di nuova generazione sia in grado di inglobare e legare organicamente le varie pianificazioni di settore, comprendenti il governo del territorio, dell’ambiente, delle risorse idriche ed energetiche, della gestione dei rifiuti, la pianificazione e la gestione del sistema dei trasporti e della mobilità, a completamento e consolidamento delle storiche competenze provinciali sulle reti territoriali della viabilità.

Non può sfuggire infatti l’organicità di tutto il complesso di tali materie se si intendono perseguire politiche coerenti che puntino al progresso economico in un quadro di sostenibilità.

In coerenza con tutto ciò assume un carattere devastante l’esistenza di quella miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi (cosa che sarebbe ancorché virtuosa), ma con l’intento di disgregare la governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, questi si, i posti ed i costi della politica.

Al riguardo c’è chi sostiene, in nome dell’efficienza, che le agenzie o i consigli di amministrazione sono più funzionali all’assolvimento di compiti istituzionali quasi che il voto popolare sia un intralcio alla modernità.

Sul tanto proclamato risparmio derivante dall’abolizione delle Province va semplicemente osservato che un intero Consiglio Provinciale ed un intera Giunta Provinciale “costano meno” dei parlamentari che quella provincia manda a Roma.

La stessa Relazione Tecnica che accompagna il Decreto Monti precisa che:

“Considerando che le risorse umane, finanziarie e strumentali rimangono legate alle funzioni che si trasferiscono si ritiene di non stimare su tale versante risparmi di spesa (tali risparmi appaiono verosimilmente destinati a prodursi nel tempo, attraverso la futura razionalizzazione dell’assetto organizzativo e lo sfruttamento delle economie di scala).

Per quanto attiene i c.d. “costi della politica” che – da dati SIOPE - ammontano a circa 130 milioni di euro lordi , appare verosimile considerare una riduzione percentuale nell’ordine del 50%, considerando che rimarrebbero quali organi i Presidenti e i componenti del Consiglio e che dovrà essere assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19.

Il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame - 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.

Va detto che talune esagerazioni si sono prodotte nella creazione di nuove Province che insistono su estensioni territoriali e numero di cittadini amministrati che non richiedono istituzioni complesse come quelle che esercitano le nuove funzioni di governo di area vasta. Ben otto Province in Sardegna governano lo stesso numero di abitanti amministrati da una sola Provincia del Nord Italia e non è il solo esempio in Italia.

È però inaccettabile la generalizzazione ed estendere a tutte le Province, anche quelle che funzionano ed operano efficacemente nella programmazione territoriale di sistema, un superficiale ed affrettato giudizio di inutilità, smentendo il disposto costituzionale che attribuisce a Comuni e Province pari dignità con lo Stato nel governo del proprio territorio.

Non si può cambiare la Costituzione ad ogni campagna elettorale, vanificando con continui ripensamenti un percorso su cui l’intero Paese si è indirizzato, facendo delle Province un presidio fondamentale della Repubblica delle Autonomie.

Non si può non essere sensibili alla riduzione della spesa pubblica e agli sprechi della politica, per poter ridurre anche la pressione fiscale ma molte Province non sono un costo inutile, sono spesso il motore dello sviluppo della società.

La Provincia nel suo ruolo di governo di area vasta è l’unica istituzione che può individuare in modo strategico gli obiettivi da perseguire per una politica che pensi al futuro, dando una visione di prospettiva degli interessi del territorio a tutti i soggetti che vi operano, pubblici e privati, che possono essere protagonisti nella pianificazione e programmazione strategica delle iniziative per le nuove generazioni: infrastrutture, istruzione, lavoro, formazione professionale, sviluppo delle risorse locali, tutela dell’ambiente e delle originalità locali.

Ci si attende allora un esame più serio, meno demagogico e propagandistico.

I POSSIBILI IMMEDIATI EFFETTI NEGATIVI DELLA RIFORMA

Una riforma strutturata come risulta dall’attuale testo normativo, senza tempestivi interventi di modifica, rischia di avere effetti gravemente negativi per i cittadini e per la Pubblica Amministrazione.

Nei prossimi mesi e fino al 31 dicembre 2012 come potranno le Province elaborare nuovi programmi che abbiano un respiro pluriennale?

Probabilmente si arriverà al blocco totale degli investimenti programmati, i progetti in corso saranno ridimensionati entro i confini temporali annuali, il personale, demotivato sapendo di lavorare in un’azienda che non ha futuro, penserà giustamente unicamente al futuro, cercando di capire dove finirà e quali prospettive ci possano essere dal punto di vista professionale e umano.

Le Province operano soprattutto nel settore stradale, dell’edilizia scolastica, dell’ambiente, del mercato del lavoro e della formazione professionale.

In questi ambiti si sono consolidate professionalità, esperienze, conoscenze che saranno disperse perché le relative funzioni (e quindi ragionevolmente il personale), almeno teoricamente secondo la legge, dovranno essere ripartite prioritariamente fra i comuni del territorio, il che è evidentemente impraticabile in quanto le competenze delle Province sono strutturalmente di livello sovracomunale.

Pensiamo a una strada divisa per segmenti corrispondenti ai territori dei vari comuni che attraversa, ai quali sarebbe delegata la competenza relativa.

L’effetto ovvio sarebbe il caos gestionale con enormi diseconomie di scala perché gli stessi comuni si dovrebbero dotare di strutture tecniche che non hanno, oppure per risparmiare dovrebbero creare un nuovo ente di natura consortile (con i relativi costi) per affidare ad esempio lavori di manutenzione che hanno caratteristiche omogenee.

Succederà allora inevitabilmente che funzioni e personale verranno trasferiti con logiche diverse, parte al comune capoluogo o a quelli comunque di maggiori dimensioni, parte alle regioni, che probabilmente dovranno creare agenzie locali ad hoc per settori di attività.

È di tutta evidenza pertanto che dopo il 31 dicembre 2012 assisteremo a un caos istituzionale con diverse allocazioni di competenze secondo le varie Regioni.

Il tutto per non parlare del passaggio delle competenze e del personale, dalla consegna delle pratiche in corso a enti che spesso non hanno le professionalità adeguate a trattarle, al trasferimento degli archivi, alla riattribuzione dell’immenso patrimonio immobiliare e mobiliare delle Province, all’inserimento del personale provinciale nei nuovi ruoli con tutti i problemi connessi di inquadramento, di valutazione e di riorganizzazione conseguenti.

Processi che normalmente richiedono non giorni non settimane non mesi ma anni ,con i relativi costi che nessuno ha calcolato e con disagi fortissimi per gli utenti [Gaetano Scognamiglio, Talleyrand e le Province, su promopa.it].

PROFILI DI COSTITUZIONALITÀ

Sono numerosi i dubbi di legittimità costituzionale di tali disposizioni.

- La decretazione d’urgenza

Le disposizioni in esame palesemente non presentano le caratteristiche di “necessità ed urgenza” che legittimano il Governo ad esercitare la funzione legislativa con la forma del “decreto legge” ai sensi dell’art. 77 della Costituzione.

Per stessa ammissione contenuta nella relazione tecnica al decreto, trattasi di “un intervento di carattere strutturale con riguardo all’assetto istituzionale delle Province…” che, per sua natura non ha alcun carattere di urgenza, tanto che rinvia alla successiva legislazione ordinaria l’assetto delle funzioni e la disciplina degli organi.

Non può nemmeno giustificarsi la straordinarietà e l’urgenza con aspetti di tipo economico-finanziario posto che, si legge nella medesima relazione, “il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame - 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.

Inoltre il Governo, attraverso la decretazione d’urgenza è intervenuto su una materia, qual è certamente quella in questione, sottratta alla sua disponibilità.

L’art. 14 della l. n. 400/88 ha espressamente chiarito che non possono formare oggetto di decretazione d’urgenza da parte del Governo le materie previste dall’art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di carattere costituzionale o elettorale.

In questo senso va subito respinta l’eventuale eccezione dell’assenza di norme a contenuto costituzionale, in considerazione che l’artificio legislativo di mantenere solo formalmente in vita il contenitore Provincia non può reggere di fronte alla sostanziale opera demolitoria di un Ente a valenza costituzionale contenuta nelle disposizioni censurate.

È evidente dunque l’assenza di ogni requisito di legittimità costituzionale.

- Nel merito

Le disposizioni approvate sono palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione

Con un decreto legge, il Governo:

a) Ha dettato riforme strutturali di un ente autonomo, costituzionalmente riconosciuto e tutelato alla pari dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, senza peraltro alcuna preventiva consultazione;

b) Ha leso gravemente l’autonomia di uno degli Enti costitutivi della Repubblica;

c) Ha introdotto disposizioni in palese contrasto con i principi e le esigenze di autonomia e decentramento sanciti dall’art. 5 della Costituzione nonché dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che devono ispirare l’attribuzione delle funzioni amministrative;

d) Palesa un gravissimo vulnus istituzionale e democratico configurando uno scioglimento generalizzato di organi democraticamente eletti, prima della loro scadenza naturale, determinando, di fatto, una delegittimazione degli organi di governo delle Province che sono stati eletti a suffragio universale, direttamente dal popolo.

Il decreto legge prevede, altresì, che “in caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato”.

Il potere sostitutivo dello Stato nelle materie di competenza regionale è fortemente circoscritto dall’art. 120 della Costituzione: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Il Governo, con decretazione d’urgenza privo di presupposti, introduce una fattispecie di potere sostitutivo.

Si pensa forse che, in caso di mancato intervento sulle Province, si configuri:

- la violazione di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria?

- oppure un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica?

- o ancora è necessario tutelare l’unità giuridica o l’unità economica o i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali?

Va richiamato altresì il parere del Servizio Studi della Camera dei Deputati che ricorda come debbano essere definite con legge tutte le modalità elettorali che riguardano gli incarichi elettivi, perché non è possibile procedere con decreto.

La norma transitoria, che tiene conto del fatto che ben sette province (Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia) che fra aprile e giugno 2012 dovrebbero andare al voto per scadenza naturale, è fortemente discutibile.

La norma prevede che agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni.

L’art. 141 prevede:

“I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno:

a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;

b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:

1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia;

3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;

4) riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;

c) quando non sia approvato nei termini il bilancio;

d) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

Ci si chiede come si possa ritenere applicabile una norma che disciplina lo scioglimento anticipato dei Consigli Provinciali all’ipotesi di scadenza naturale e come si possa, attraverso un mero rinvio a tale norma, impedire lo svolgimento della consultazione elettorale per il rinnovo degli organi?

CONCLUSIONI

È evidente che bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica e che non sono quindi responsabili nei confronti della cittadinanza.

Nel riordino del sistema amministrativo è però essenziale che ogni livello di governo sia disponibile a concentrarsi sulle funzioni che rientrano nella specifica missione istituzionale, evitando di invadere il ruolo degli altri livelli di governo.

In questo contesto può e deve essere ridefinito chiaramente il ruolo delle Province, nelle funzioni di governo del territorio, di programmazione e di pianificazione territoriale e su quei compiti che non possono essere svolti adeguatamente a livello comunale, e che siano ricondotte in modo organico in capo alle Province le funzioni di governo di area vasta di diversi organismi ed enti intermedi (ad es. ATO acque e rifiuti, Consorzi, Comunità montane, agenzie, enti strumentali, uffici delle Regioni decentrati a livello provinciale,...).

Occorre avviare una verifica approfondita sulla dimensione demografica e territoriale dei diversi livelli di governo (comunale, provinciale e regionale) per verificare le possibilità di accorpare gli enti su dimensioni adeguate per l’esercizio delle funzioni attribuite a ogni livello di governo.

Nella prospettiva di un rafforzamento del ruolo di governo provinciale di area vasta, occorra ovviamente bloccare l’istituzione di nuove province, di cui si discute ad esempio in Sicilia, e, anzi, prevedere un intervento relativo alla revisione delle circoscrizioni provinciali.

Le Province dovranno concentrare la loro attività in modo organico sulle funzioni fondamentali di area vasta già individuate nella legge sul federalismo fiscale trasferendo ai Comuni, singoli e associati, le funzioni di prossimità attualmente esercitate in attuazione del principio di sussidiarietà.

In attuazione dei principi costituzionali di adeguatezza e differenziazione, va avviato da subito un processo condiviso per accorpare le Province intorno ad una dimensione adeguata per l’esercizio delle funzioni di area vasta ed, allo stesso tempo, istituire le Città metropolitane.

È però essenziale, in ogni caso, che tra i Comuni e le Regioni ci sia anche in Italia, come in tutta Europa e come è previsto dalla Carta europea delle autonomie locali ratificata dal nostro Parlamento, un ente intermedio con funzioni reali di area vasta e di coordinamento territoriale, i cui organi siano legittimati direttamente dal popolo e non nominati.

Conseguentemente occorre procedere alla soppressione di tutti gli enti e le strutture non direttamente legittimate dal popolo (Ato, Agenzie, consorzi, enti, società…) che rappresentano i veri costi della politica (e non della democrazia), trasferendo le loro funzioni agli enti territoriali previsti dalla Costituzione e riprendere al più presto l’iter parlamentare per l’approvazione del nuovo Testo Unico degli Enti Locali nel cui ambito, previo confronto con le rappresentanze delle Autonomie Locali, possono essere previste le revisioni delle circoscrizioni provinciali, l’individuazione di criteri generali di popolazione e di estensione territoriale che possano determinare la definizione degli ambiti ottimali affidati al governo dell’Ente Provincia e la razionalizzazione e riduzione del numero delle Province.

PREMESSA

Con la conversione in legge del D. L. 6 dicembre 2011 n. 201 (Legge 214/2011) “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” risulta definito, dopo vari interventi emendativi, il testo della riforma Monti delle Province.

I CONTENUTI

La Legge 211/2011, all’art. 23, commi 14-20, prevede:

a) Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

b) Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.

c) Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

d) Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.

e) Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.

f) Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia.

g) Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 (commissariamento), e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali.

h) Le regioni a statuto speciale adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le medesime disposizioni non trovano applicazione per le province autonome di Trento e di Bolzano;

i) I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.

LE SCADENZE

- Entro il 31 dicembre con legge dello Stato dovranno essere stabilite le modalità di elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente, tenendo conto che il Consiglio provinciale dovrà essere composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia e che il Presidente della Provincia dovrà essere eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.

- Entro il 31 dicembre 2012 lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, dovranno provvedere a trasferire ai Comuni le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

- Gli organi provinciali, che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012, restano in carica fino alla scadenza naturale;

- Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni.

PRIME INDICAZIONI ATTIVITÀ E RISULTATI DELLA COMMISSIONE SUL LIVELLAMENTO RETRIBUTIVO ITALIA-EUROPA

È utile rilevare che il modello dell’articolazione dell’amministrazione pubblica in regioni, province e comuni si ritrova, con sostanziali affinità, nell’ordinamento giuridico delle principali democrazie europee.

La manovra per la stabilizzazione finanziaria (decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con L. 15 luglio 2011, n.111 - "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria") ha previsto il livellamento retributivo Italia-Europa per i deputati e senatori, per i membri di altri organi di rilievo costituzionale, per i componenti gli organi di vertice di Autorità e Agenzie e per le figure apicali delle amministrazioni pubbliche.

A tal fine il decreto, all’articolo 1 comma 3, ha previsto la costituzione di una Commissione che provveda alla ricognizione e dell’individuazione "della media ponderata rispetto al PIL dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi nei sei principali Stati dell’Area Euro riferiti all’anno precedente e aggiornati all’anno in corso sulla base delle previsioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza".

Com’è noto, la Commissione, anche sulla scorta di quanto previsto all’art.23, comma 7, della Legge 214/2011, ha prodotto una prima relazione di attività al 31 dicembre, dedicata in gran parte ai Parlamentari e che ha suscitato vasta eco e polemiche sulla stampa.

La Commissione ha adottato la Nomenclatura delle unità territoriali per le statistiche (NUTS) definita dall’Unione Europea, in base alla quale il territorio di ciascuno Stato membro è stato suddiviso in aree statistiche, comparabili in termini di dimensioni territoriali e demografiche, da utilizzare anche come riferimento per gli interventi delle politiche comunitarie.

La Nomenclatura delle unità territoriali per le statistiche (NUTS) attualmente vigente è definita dai Regolamenti (Ec) n. 105/2007 del 1/02/2007 e n. 176/2008 del 20/02/2008.

In particolare, sono stati selezionati i seguenti “livelli” della classificazione NUTS:

- territori di livello NUTS 2, che comprendono le regioni italiane, le Comunità autonome in Spagna, le regioni e le DOM francesi, i Länder austriaci, le Regierungsbezirke tedesche, etc.;

- territori di livello NUTS 3, che comprendono le province italiane, le Kreise tedesche, i Dipartimenti francesi, le province spagnole, etc.

Dalla Relazione emerge con chiarezza un dato rilevante ai fini del nostro esame: alle Province italiane (tenendo conto di Presidenti e Consiglieri) corrispondono enti omologhi in tutti i sei Paesi Europei considerati:

- Germania (Kreise)

- Francia (Départements + DOM)

- Spagna (Provincias + islas + Ceuta, Melilla)

- Belgio (Arrondisse-menten / Arrondissements)

- Paesi Bassi (COROP)

- Austria (Gruppen von politischen Bezirken)

Questi i numeri:

PAESE

NUTS 3

Germania

Kreise

429

Francia

Départements + DOM

100

Spagna

Provincias + islas + Ceuta, Melilla

59

Belgio

Arrondisse-menten / Arrondissements

44

Paesi Bassi

COROP

35

Austria

Gruppen von politischen  Bezirken

40

Italia

Province

107

Se l’esistenza del livello provinciale è riconosciuta in tutti i principali Paesi europei, ciò significa che esso risponde ad una reale esigenza di organizzazione territoriale.

VALUTAZIONI CRITICHE

Il dibattito in essere, sul mantenimento o meno delle Province, riguarda due modi profondamente diversi di concepire la politica, il rapporto con i cittadini e, quindi, l’ordinamento istituzionale.

Se si è arrivati a questo punto le Province peraltro non sono esenti da responsabilità, prima delle quali quella di non aver saputo dimostrare per tempo la centralità del proprio ruolo, con una adeguata comunicazione.

Cosi come non aver governato un processo di trasformazione per svolgere quel ruolo di tessitura territoriale che avrebbero potuto e dovuto ricoprire con maggior efficacia, anche se non mancano esempi virtuosi in questo ambito.

Sono in gioco due prospettive opposte sul piano della cultura politica relative alla forma dell’organizzazione democratica: l’una centralista, l’altra federalista.

Infatti, chi mette in discussione l’esistenza delle Province deve assumersi l’onere ed avere l’onestà intellettuale di affermare contestualmente anche la necessità di accorpare i Comuni di medie e piccole dimensioni.

Si pensi ad esempio alla Regione Veneto.

È evidente che la Regione, nell’ipotesi di abolizione delle 7 Province venete, sarebbe materialmente impossibilitata a rapportarsi con 581 Municipalità.

Inesorabilmente, dall’abolizione delle Province sortirebbe parallelamente la necessità di provvedere anche alla drastica riduzione del numero dei Comuni.

Una simile visione istituzionale comporterebbe altresì una chiarissima e irrevocabile negazione del valore delle Comunità locali, poiché le aggregazioni dei Comuni avverrebbero in base a mere valutazioni di ingegneria burocratica.

In altre parole, la gestione dei servizi verrebbe stabilita senza alcuna correlazione diretta con l’esistenza di Comunità locali.

La storia di queste verrebbe cancellata, così come gli affetti e le identità, in nome di un astratto ed omologante diritto di cittadinanza.

Ciò significa che sarebbe altresì negato il valore di qualsivoglia riforma federalista per l’Italia.

Tale visione è di carattere nazionalistico, centralista nella concezione di uno stato che avrebbe le sue articolazioni nelle regioni e nei macro-comuni ridotti a strutture amministrative di carattere funzionale e non rispondenti al riconoscimento di Comunità autonome.

Ogni Comune rappresenta una Comunità di persone unita da un’esperienza tra generazioni e dalla condivisione di valori e specificità culturali, sociali ed economiche che costituiscono una risorsa unica, imperdibile e irrinunciabile.

Le vicende storiche di queste Comunità portano le stesse ad intrecciarsi fra di loro dando vita ad una Comunità più ampia, quella Provinciale.

Le storie delle Comunità Provinciali concorrono a definire le identità delle Comunità Regionali e, queste ultime, a loro volta, contribuiscono a definire, riempiendola di contenuti, l’identità della nostra Nazione fondata sul valore delle diversità.

Sarebbe un grave errore ritenere che l’oggetto del contendere sia di origine recente.

Da circa 150 anni nel nostro Paese si stanno scontrando due diverse e contrapposte concezioni sulla organizzazione istituzionale da dare all’Italia.

Una è quella centralista, che si è ormai dimostrata perdente sul piano economico, sociale e culturale.

L’altra è quella federalista.

Gli spiriti migliori del nostro Paese hanno creduto che fosse da riconoscere nella multiformità dell’Italia la sua vera forza e bellezza, che nel federalismo si trovi la via per una politica migliore capace di riscattare il Paese dai suoi problemi più annosi.

Gli stessi padri costituenti della Repubblica democratica vollero un’articolazione dello Stato fondata sul rispetto delle Autonomie locali.

Le economie di scala e l’ottimizzazione delle funzioni si possono davvero ottenere in modo più razionale e credibile non sopprimendo le Province, bensì riconoscendo il ruolo che a loro spetta in base alla Costituzione, portando finalmente a compimento il processo già in atto di trasferimento di competenze e funzioni.

Un trasferimento, che pur essendo avvenuto in modo parziale, ha comunque consentito negli ultimi anni alle Province di fornire risposte concrete ed importanti nella formazione e nel lavoro, in materia di viabilità, di edilizia scolastica, di sistema di offerta culturale e turistica, nella programmazione territoriale, sul fronte della tutela dell’ambiente.

Il potenziamento e la razionalizzazione del rapporto fra Provincia e Comuni nella gestione dei servizi e la loro integrazione potrebbero garantire tutte quelle ottimizzazioni per le quali si invocano inutili e pericolose soppressioni di istituzioni pubbliche fondate sulla rappresentanza democratica elettiva.

Semmai sono da eliminare gli enti di 2° grado (consorzi, società, agenzie, ato…) in eccesso, che sono fuori dal controllo dei cittadini ed aumentano i costi anziché ridurli. Enti, che in caso di soppressione delle Province, si moltiplicherebbero, con buona pace degli inviti al risparmio.

Il livello di governo dell’area vasta identificabile nella dimensione provinciale assume un’importanza strategica; le funzioni fondamentali delle Province debbono esser essenzialmente quelle di pianificazione e coordinamento dello sviluppo economico locale oltre che quelle di sussidiarietà a supporto dei Comuni.

Politiche che non possono essere surrogate dall’iniziativa polarizzante delle città capoluogo, ma debbono proiettarsi sul territorio in un’ottica di riequilibrio complessivo.

Una pianificazione complessiva che comprenda e finalizzi organicamente ed in modo coerente oltre che le politiche del lavoro, della formazione e programmazione scolastica, ovviamente, la pianificazione territoriale di area vasta.

Una pianificazione che attraverso Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali di nuova generazione sia in grado di inglobare e legare organicamente le varie pianificazioni di settore, comprendenti il governo del territorio, dell’ambiente, delle risorse idriche ed energetiche, della gestione dei rifiuti, la pianificazione e la gestione del sistema dei trasporti e della mobilità, a completamento e consolidamento delle storiche competenze provinciali sulle reti territoriali della viabilità.

Non può sfuggire infatti l’organicità di tutto il complesso di tali materie se si intendono perseguire politiche coerenti che puntino al progresso economico in un quadro di sostenibilità.

In coerenza con tutto ciò assume un carattere devastante l’esistenza di quella miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi (cosa che sarebbe ancorché virtuosa), ma con l’intento di disgregare la governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, questi si, i posti ed i costi della politica.

Al riguardo c’è chi sostiene, in nome dell’efficienza, che le agenzie o i consigli di amministrazione sono più funzionali all’assolvimento di compiti istituzionali quasi che il voto popolare sia un intralcio alla modernità.

Sul tanto proclamato risparmio derivante dall’abolizione delle Province va semplicemente osservato che un intero Consiglio Provinciale ed un intera Giunta Provinciale “costano meno” dei parlamentari che quella provincia manda a Roma.

La stessa Relazione Tecnica che accompagna il Decreto Monti precisa che:

“Considerando che le risorse umane, finanziarie e strumentali rimangono legate alle funzioni che si trasferiscono si ritiene di non stimare su tale versante risparmi di spesa (tali risparmi appaiono verosimilmente destinati a prodursi nel tempo, attraverso la futura razionalizzazione dell’assetto organizzativo e lo sfruttamento delle economie di scala).

Per quanto attiene i c.d. “costi della politica” che – da dati SIOPE - ammontano a circa 130 milioni di euro lordi , appare verosimile considerare una riduzione percentuale nell’ordine del 50%, considerando che rimarrebbero quali organi i Presidenti e i componenti del Consiglio e che dovrà essere assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19.

Il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame - 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.

Va detto che talune esagerazioni si sono prodotte nella creazione di nuove Province che insistono su estensioni territoriali e numero di cittadini amministrati che non richiedono istituzioni complesse come quelle che esercitano le nuove funzioni di governo di area vasta. Ben otto Province in Sardegna governano lo stesso numero di abitanti amministrati da una sola Provincia del Nord Italia e non è il solo esempio in Italia.

È però inaccettabile la generalizzazione ed estendere a tutte le Province, anche quelle che funzionano ed operano efficacemente nella programmazione territoriale di sistema, un superficiale ed affrettato giudizio di inutilità, smentendo il disposto costituzionale che attribuisce a Comuni e Province pari dignità con lo Stato nel governo del proprio territorio.

Non si può cambiare la Costituzione ad ogni campagna elettorale, vanificando con continui ripensamenti un percorso su cui l’intero Paese si è indirizzato, facendo delle Province un presidio fondamentale della Repubblica delle Autonomie.

Non si può non essere sensibili alla riduzione della spesa pubblica e agli sprechi della politica, per poter ridurre anche la pressione fiscale ma molte Province non sono un costo inutile, sono spesso il motore dello sviluppo della società.

La Provincia nel suo ruolo di governo di area vasta è l’unica istituzione che può individuare in modo strategico gli obiettivi da perseguire per una politica che pensi al futuro, dando una visione di prospettiva degli interessi del territorio a tutti i soggetti che vi operano, pubblici e privati, che possono essere protagonisti nella pianificazione e programmazione strategica delle iniziative per le nuove generazioni: infrastrutture, istruzione, lavoro, formazione professionale, sviluppo delle risorse locali, tutela dell’ambiente e delle originalità locali.

Ci si attende allora un esame più serio, meno demagogico e propagandistico.

I POSSIBILI IMMEDIATI EFFETTI NEGATIVI DELLA RIFORMA

Una riforma strutturata come risulta dall’attuale testo normativo, senza tempestivi interventi di modifica, rischia di avere effetti gravemente negativi per i cittadini e per la Pubblica Amministrazione.

Nei prossimi mesi e fino al 31 dicembre 2012 come potranno le Province elaborare nuovi programmi che abbiano un respiro pluriennale?

Probabilmente si arriverà al blocco totale degli investimenti programmati, i progetti in corso saranno ridimensionati entro i confini temporali annuali, il personale, demotivato sapendo di lavorare in un’azienda che non ha futuro, penserà giustamente unicamente al futuro, cercando di capire dove finirà e quali prospettive ci possano essere dal punto di vista professionale e umano.

Le Province operano soprattutto nel settore stradale, dell’edilizia scolastica, dell’ambiente, del mercato del lavoro e della formazione professionale.

In questi ambiti si sono consolidate professionalità, esperienze, conoscenze che saranno disperse perché le relative funzioni (e quindi ragionevolmente il personale), almeno teoricamente secondo la legge, dovranno essere ripartite prioritariamente fra i comuni del territorio, il che è evidentemente impraticabile in quanto le competenze delle Province sono strutturalmente di livello sovracomunale.

Pensiamo a una strada divisa per segmenti corrispondenti ai territori dei vari comuni che attraversa, ai quali sarebbe delegata la competenza relativa.

L’effetto ovvio sarebbe il caos gestionale con enormi diseconomie di scala perché gli stessi comuni si dovrebbero dotare di strutture tecniche che non hanno, oppure per risparmiare dovrebbero creare un nuovo ente di natura consortile (con i relativi costi) per affidare ad esempio lavori di manutenzione che hanno caratteristiche omogenee.

Succederà allora inevitabilmente che funzioni e personale verranno trasferiti con logiche diverse, parte al comune capoluogo o a quelli comunque di maggiori dimensioni, parte alle regioni, che probabilmente dovranno creare agenzie locali ad hoc per settori di attività.

È di tutta evidenza pertanto che dopo il 31 dicembre 2012 assisteremo a un caos istituzionale con diverse allocazioni di competenze secondo le varie Regioni.

Il tutto per non parlare del passaggio delle competenze e del personale, dalla consegna delle pratiche in corso a enti che spesso non hanno le professionalità adeguate a trattarle, al trasferimento degli archivi, alla riattribuzione dell’immenso patrimonio immobiliare e mobiliare delle Province, all’inserimento del personale provinciale nei nuovi ruoli con tutti i problemi connessi di inquadramento, di valutazione e di riorganizzazione conseguenti.

Processi che normalmente richiedono non giorni non settimane non mesi ma anni ,con i relativi costi che nessuno ha calcolato e con disagi fortissimi per gli utenti [Gaetano Scognamiglio, Talleyrand e le Province, su promopa.it].

PROFILI DI COSTITUZIONALITÀ

Sono numerosi i dubbi di legittimità costituzionale di tali disposizioni.

- La decretazione d’urgenza

Le disposizioni in esame palesemente non presentano le caratteristiche di “necessità ed urgenza” che legittimano il Governo ad esercitare la funzione legislativa con la forma del “decreto legge” ai sensi dell’art. 77 della Costituzione.

Per stessa ammissione contenuta nella relazione tecnica al decreto, trattasi di “un intervento di carattere strutturale con riguardo all’assetto istituzionale delle Province…” che, per sua natura non ha alcun carattere di urgenza, tanto che rinvia alla successiva legislazione ordinaria l’assetto delle funzioni e la disciplina degli organi.

Non può nemmeno giustificarsi la straordinarietà e l’urgenza con aspetti di tipo economico-finanziario posto che, si legge nella medesima relazione, “il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame - 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.

Inoltre il Governo, attraverso la decretazione d’urgenza è intervenuto su una materia, qual è certamente quella in questione, sottratta alla sua disponibilità.

L’art. 14 della l. n. 400/88 ha espressamente chiarito che non possono formare oggetto di decretazione d’urgenza da parte del Governo le materie previste dall’art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di carattere costituzionale o elettorale.

In questo senso va subito respinta l’eventuale eccezione dell’assenza di norme a contenuto costituzionale, in considerazione che l’artificio legislativo di mantenere solo formalmente in vita il contenitore Provincia non può reggere di fronte alla sostanziale opera demolitoria di un Ente a valenza costituzionale contenuta nelle disposizioni censurate.

È evidente dunque l’assenza di ogni requisito di legittimità costituzionale.

- Nel merito

Le disposizioni approvate sono palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione

Con un decreto legge, il Governo:

a) Ha dettato riforme strutturali di un ente autonomo, costituzionalmente riconosciuto e tutelato alla pari dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, senza peraltro alcuna preventiva consultazione;

b) Ha leso gravemente l’autonomia di uno degli Enti costitutivi della Repubblica;

c) Ha introdotto disposizioni in palese contrasto con i principi e le esigenze di autonomia e decentramento sanciti dall’art. 5 della Costituzione nonché dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che devono ispirare l’attribuzione delle funzioni amministrative;

d) Palesa un gravissimo vulnus istituzionale e democratico configurando uno scioglimento generalizzato di organi democraticamente eletti, prima della loro scadenza naturale, determinando, di fatto, una delegittimazione degli organi di governo delle Province che sono stati eletti a suffragio universale, direttamente dal popolo.

Il decreto legge prevede, altresì, che “in caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato”.

Il potere sostitutivo dello Stato nelle materie di competenza regionale è fortemente circoscritto dall’art. 120 della Costituzione: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Il Governo, con decretazione d’urgenza privo di presupposti, introduce una fattispecie di potere sostitutivo.

Si pensa forse che, in caso di mancato intervento sulle Province, si configuri:

- la violazione di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria?

- oppure un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica?

- o ancora è necessario tutelare l’unità giuridica o l’unità economica o i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali?

Va richiamato altresì il parere del Servizio Studi della Camera dei Deputati che ricorda come debbano essere definite con legge tutte le modalità elettorali che riguardano gli incarichi elettivi, perché non è possibile procedere con decreto.

La norma transitoria, che tiene conto del fatto che ben sette province (Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia) che fra aprile e giugno 2012 dovrebbero andare al voto per scadenza naturale, è fortemente discutibile.

La norma prevede che agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni.

L’art. 141 prevede:

“I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno:

a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;

b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:

1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia;

3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;

4) riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;

c) quando non sia approvato nei termini il bilancio;

d) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

Ci si chiede come si possa ritenere applicabile una norma che disciplina lo scioglimento anticipato dei Consigli Provinciali all’ipotesi di scadenza naturale e come si possa, attraverso un mero rinvio a tale norma, impedire lo svolgimento della consultazione elettorale per il rinnovo degli organi?

CONCLUSIONI

È evidente che bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica e che non sono quindi responsabili nei confronti della cittadinanza.

Nel riordino del sistema amministrativo è però essenziale che ogni livello di governo sia disponibile a concentrarsi sulle funzioni che rientrano nella specifica missione istituzionale, evitando di invadere il ruolo degli altri livelli di governo.

In questo contesto può e deve essere ridefinito chiaramente il ruolo delle Province, nelle funzioni di governo del territorio, di programmazione e di pianificazione territoriale e su quei compiti che non possono essere svolti adeguatamente a livello comunale, e che siano ricondotte in modo organico in capo alle Province le funzioni di governo di area vasta di diversi organismi ed enti intermedi (ad es. ATO acque e rifiuti, Consorzi, Comunità montane, agenzie, enti strumentali, uffici delle Regioni decentrati a livello provinciale,...).

Occorre avviare una verifica approfondita sulla dimensione demografica e territoriale dei diversi livelli di governo (comunale, provinciale e regionale) per verificare le possibilità di accorpare gli enti su dimensioni adeguate per l’esercizio delle funzioni attribuite a ogni livello di governo.

Nella prospettiva di un rafforzamento del ruolo di governo provinciale di area vasta, occorra ovviamente bloccare l’istituzione di nuove province, di cui si discute ad esempio in Sicilia, e, anzi, prevedere un intervento relativo alla revisione delle circoscrizioni provinciali.

Le Province dovranno concentrare la loro attività in modo organico sulle funzioni fondamentali di area vasta già individuate nella legge sul federalismo fiscale trasferendo ai Comuni, singoli e associati, le funzioni di prossimità attualmente esercitate in attuazione del principio di sussidiarietà.

In attuazione dei principi costituzionali di adeguatezza e differenziazione, va avviato da subito un processo condiviso per accorpare le Province intorno ad una dimensione adeguata per l’esercizio delle funzioni di area vasta ed, allo stesso tempo, istituire le Città metropolitane.

È però essenziale, in ogni caso, che tra i Comuni e le Regioni ci sia anche in Italia, come in tutta Europa e come è previsto dalla Carta europea delle autonomie locali ratificata dal nostro Parlamento, un ente intermedio con funzioni reali di area vasta e di coordinamento territoriale, i cui organi siano legittimati direttamente dal popolo e non nominati.

Conseguentemente occorre procedere alla soppressione di tutti gli enti e le strutture non direttamente legittimate dal popolo (Ato, Agenzie, consorzi, enti, società…) che rappresentano i veri costi della politica (e non della democrazia), trasferendo le loro funzioni agli enti territoriali previsti dalla Costituzione e riprendere al più presto l’iter parlamentare per l’approvazione del nuovo Testo Unico degli Enti Locali nel cui ambito, previo confronto con le rappresentanze delle Autonomie Locali, possono essere previste le revisioni delle circoscrizioni provinciali, l’individuazione di criteri generali di popolazione e di estensione territoriale che possano determinare la definizione degli ambiti ottimali affidati al governo dell’Ente Provincia e la razionalizzazione e riduzione del numero delle Province.