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Sulle tariffe forensi e sul ruolo dell’avvocato

Considerazioni sull’art. 9 della “bozza” del Decreto legge sulle liberalizzazioni
Sommario

Introduzione

1. Sulla “persona” del cliente e sui suoi rapporti con l’avvocato

2. Tariffario forense e necessità dell’avvocato

3. Conclusioni

Introduzione

«Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.»

Con tale solenne e invero non meravigliosa proposizione espressa nell’art. 9, recante “Disposizioni sulle professioni regolamentare” di cui al Capo III della bozza di Decreto legge sulle liberalizzazioni (rinvenibile sul quotidiano “Il Sole 24 Ore di sabato 21 gennaio 2012), il Governo attuale si propone di riformare, nell’interesse dei consumatori e dell’economia nazionale, il vetusto sistema delle professioni ed in particolare di dare ampia chiarezza e consapevolezza sui costi che gli utenti andranno incontro, nel caso in cui dovessero fare un patto con un avvocato.

In sostanza, si vuole, mediante un preventivo scritto ed un accordo scritto, fissare con certezza i costi legali e dare la possibilità al singolo consumatore di comparare le diverse opzioni possibili e, quindi, di paragonare i diversi preventivi eventualmente in suo possesso per scegliere, in tutta scienza e coscienza, a chi rivolgersi.

Il fine, astrattamente considerato, si può dire condivisibile; gli strumenti pratici scelti e soprattutto le implicazioni specie di sistema, che si prospettano, tutt’altro.

Chi scrive è avvocato e per l’effetto è parte in causa: sicché – e giustamente – ben può essere sospettato di parzialità. Il che, però, per chi è abituato a perorare cause innanzi al giudice non è ambito improprio: nessun problema, quindi, ad indossare seppur idealmente anche in questa sede la toga della difesa.

Il tema affrontato, del resto, è uno di quelli “scottanti” e di facile opinabilità, a seconda dei punti di vista, sicché l’evocazione di massimi principi e l’amore per l’analisi, se si scontrano con le opinioni correnti, avranno scarsissimo effetto persuasivo.

Inoltre, il decreto verrà emesso entro pochissimo tempo e sul punto verosimilmente, salvo marginali modifiche in sede di conversione, diverrà legge stabile dello Stato.

Eppure, proprio nella consapevolezza della difficoltà di raccogliere l’attenzione dell’uditorio non professionale, non si può sempre tacere e far finta che il tutto viva, nello Stato di diritto, secondo mente puramente economica.

Non si tratta, però, di lottare contro mulini a vento e di rappresentare, sotto la luce fioca di un fioco romanticismo, l’ideale del nobile avvocato e dello splendido oratore. Né è il caso di prospettare una difesa ad oltranze degli “onorari minimi e massimi”.

Ciò che è in gioco, infatti, non è tanto la precisa definizione, magari utile anche ai fini di ispezioni fiscali o, assai più inverosimilmente, per “mandare in soffitta” ogni presunzione tributaria sull’entità dei proventi, del compenso dovuto all’avvocato od ad una società di avvocati, ma la natura stessa del rapporto fiduciario.

Ciò che interessa comprendere allora è se, avuto riguardo al sistema complessivamente considerato, l’intento normativo, benché criticabile od esaltante sotto questo o quell’aspetto, così com’è congeniato possa trovare una applicazione effettiva ed effettivamente rispettosa delle garanzie della difesa in ogni ambito dell’attività forense.

La risposta, ad avviso di chi scrive, è negativa: di seguito e brevemente le ragioni di tale parere.

1. Sulla “persona” del cliente e sui suoi rapporti con l’avvocato

Sembra banale, ma pare doveroso sottolineare il fatto che nello stilare le disposizioni di dettaglio del citato articolo 9, il legislatore d’urgenza abbia avuto a mente il caso in cui il professionista e, per quel che qui concerne, l’avvocato abbia di fatto una forza contrattuale e culturale maggiore rispetto a quella del cliente, il quale, analogamente a qualunque consumatore, che si approccia ad un qualsiasi negozio che vende od offre merce a caro prezzo ma di cui sente comunque la necessità, ha bisogno di avere informazioni dettagliate e precise prima di concludere un contratto.

Eppure, non solo semplici “consumatori”, si rivolgono all’avvocato, ma, per ovvie ragioni connesse alle proprie attività economiche, altri professionisti, nonché imprese a carattere multinazionale e persino Enti pubblici anche non economici.

Nello stesso modo, non sempre il cliente si sceglie l’avvocato, ben potendo questo essergli in qualche modo imposto: basti pensare al difensore d’ufficio in ambito penale.

Oltretutto, assai diversa è l’attività che si svolge in ambito stragiudiziale, nella quale in effetti l’esistenza di accordi specifici tra le parti (quanto meno nei casi di particolare importanza o per rapporti continuativi) è già invalsa nella prassi, da quella giudiziale.

Da ultimo, non tutte le attività proprie dell’avvocato meritano di avere l’alto standard di formalità che il Governo vorrebbe imporre anche sotto minaccia di procedimento disciplinare: la mente corre subito al semplice parere telefonico o alla consueta lettera di messa in mora.

Si dirà: ma queste sono mere eccezioni o casi particolari, che non possono far distogliere dalla importanza di questa ennesima “riforma epocale” contro la casta forense.

Ben si può ribattere che, anche guardando agli obblighi deontologici vigenti, l’avvocato ha il dovere di illustrare al proprio assistito gli aspetti economici fondamentali e rilevanti del caso e di tenere in serissima considerazione, nella definizione del compenso, le condizioni economiche e sociali del patrocinato.

Si potrebbe allora replicare: ma se così è, di che cosa ci si lamenta? In fondo, si tratta di tradurre in forma scritta ciò che si deve già fare in forma orale. Se poi non vi sono limiti nei massimi o nei minimi, le parti potranno, secondo le regole del libero mercato, definire i corrispettivi ed ogni altro aspetto rilevante.

Pur prescindendo dal mero rilievo che appare piuttosto strano che una libera professione necessita per esplicarsi sempre e comunque di una forma giuridica vincolata (lo scritto, appunto), è evidente che altro è avere dei riferimenti normativi per definire il proprio compenso per l’incarico ricevuto, altro è subordinare l’incarico alla conclusione di una preventiva e libera contrattazione.

Insomma, ciò che cambia non è tanto e soltanto l’aspetto economico del rapporto tra avvocato e cliente, ma la natura stessa di esso, il quale da questa visuale diviene innanzi tutto un rapporto patrimoniale, perdendo ogni sostanziale rilevanza giuridica l’aspetto fiduciario e professionale.

L’avvocato, infatti, diviene da subito e per prima cosa controparte del consumatore e non anche persona a cui innanzi tutto si affidano libertà e patrimoni ed in genere le proprie sicurezze.

Ciò può sembrare poca cosa; ed in effetti, così è se si guarda il mero aspetto contabile della vicenda. Se si considerano, invece, le ragioni serie che possono portare ad aver bisogno di un avvocato, allora il tutto assume connotati alquanto diversi.

Ecco che allora conviene spostare il discorso sulla funzione dell’avvocato e sul perché anche chi scrive sente il bisogno di levare almeno la parola contro l’impostazione assunta dal Governo.

2. Tariffario forense e necessità dell’avvocato

Nell’ordinamento italiano la difesa è diritto fondamentale in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 comma 2 cost.): da tale principio, com’è noto, si è derivato e non impropriamente il corollario della necessità del difensore specie nel procedimento penale.

In linea teorica e guardando oltre le Alpi ed il Mare Nostro si possono citare casi nei quali il singolo cittadino può o deve difendersi da solo, id est senza necessità di un avvocato.

Se ciò fosse ammissibile, è chiaro che verrebbe meno la stessa funzione essenziale dell’avvocatura all’interno del sistema delle garanzie istituzionali.

Facile conseguenza sarebbe quella di impostare il rapporto con il difensore innanzi tutto sull’aspetto economico e di tutela del cliente: non avendo copertura costituzionale il ruolo dell’avvocato, si tratterebbe semplicemente di un contratto di servizi qualificati.

La scelta del difensore, infatti, sarebbe opzione arbitraria o comunque non necessaria e come tale andrebbe trattata. L’unica peculiarità potrebbe rinvenirsi, come accennato, solo nella definizione dei rapporti reciproci, avuto riguardo al “tipo” contrattuale, analogamente a quanto avviene per ogni altro tipo di contratto. L’avvocato, del resto, anche in un sistema che non ne preveda la necessaria partecipazione al processo è soggetto qualificato in ambito contrattuale (dopo tutto ha trascorso alcuni anni sui libri giuridici e può avere maggiore dimestichezza dell’altra parte nel trattare leggi e cavilli) sicché in genere la parte debole sarebbe l’altra: sarebbe allora bene che il tutto venisse definito chiaramente e in maniera inequivocabile con preventivi certi e con paragoni con altri professionisti per evitare abusi. La pubblicità comparativa, in quest’ambito, sarebbe persino doverosa, così come accettabile l’idea di fornire sconti sul numero di cause o la legittimità del procacciamento della clientela, la stessa cessione del credito controverso e, da ultimo, di subordinare in tutto e per tutto il compenso sulla base dell’effettivo risultato raggiunto.

Trattando di cose umane ed avendo alla mente le atrocità del mondo, una simile opzione non è capace di sconvolgere la moralità pubblica specie se si portassero ad esempio grandi e libere democrazie, come ordinamenti nei quali simili prassi sarebbe legittimata.

Eppure, proprio con riferimento – ad esempio – agli Stati Uniti d’America, ogni richiamo in merito appare davvero improprio: non già per la disciplina, che si volesse importare, ma per il diverso quadro costituzionale.

Non può sfuggire, infatti, almeno a chi abbia ancora amore per la comparazione e l’analisi, che il diritto di autodifesa, inteso come diritto di difendersi da solo, è strettamente connesso al diritto al jury-trial e, dunque, ad essere giudicato, in civile ed in penale, dal giudizio unanime di dodici cittadini.

Se è il popolo che può sempre decidere, senza avere alcuna conoscenza giuridica qualificata andando persino contro le disposizioni legali in base al power of nullification, allora anche il singolo può difendersi da solo e mostrare e rappresentare le proprie difese innanzi ai suoi pari. Quegli stessi pari che potranno essere chiamati una ed una sola volta a giudicare e che potranno esprimere unitamente a tutti gli altri cittadini con il voto e a scadenze determinate la scelta del giudice e del prosecutor, che non ha alcun obbligo di perseguire alcun reato ed alcun reo.

Il sistema italiano è sui punti fondamentali sopra menzionati estremamente diverso e tale diversità, se si considera la complessità della stessa giurisdizione nostrana, non può non riflettersi proprio sull’aspetto essenziale della configurazione del diritto di difesa tecnica.

Se – ed il punto si dà per scontato – è necessario avere un difensore nelle “vere” cause civili, in quelle penali, in quelle tributarie ed in quelle amministrative, la scelta del proprio difensore non è libera. Non lo è sull’an, ma neppure sul quomodo, poiché non tutti possono essere avvocati, essendo anche alla luce della disposizione in bozza di cui si discute, tale professione una professione regolamentata nell’accesso.

Non è un caso, allora, comprendere in questo contesto l’importanza delle tariffe, che si applicano pur in assenza di una espressa configurazione degli aspetti economici del rapporto.

Non si tratta semplicemente di garantire un minimo di sussistenza e neppure di impedire abusi sul compenso massimo magari sollecitati dalla necessità del caso (si pensi, per esempio, al momento in cui un soggetto è stato arrestato o all’imminenza della scadenza di un termine essenziale), ma di assicurare il più possibile che la scelta dell’avvocato si imponga innanzi tutto in ragione del rapporto fiduciario e, quindi, sulle qualità personali, professionali e morali dell’avvocato.

Detto in altri termini, il sistema del tariffario, determinato dall’organo amministrativo a ciò deputato (il Ministro della Giustizia), è strumentale ad un sistema che per necessità e nei fatti, al di là di ogni propaganda numerica e di considerazioni puramente formali sull’eccessivo numero dei professionisti, impone la presenza di un avvocato a fianco delle parti private.

Se non è libera la professione e se è necessario rivolgersi ad un avvocato, così come avviene per ogni altro tipo di servizio di rilevanza pubblica, i “costi” devono essere indicati e comunque calmierati con provvedimento normativo e non possono essere lasciati ad una libera concorrenza, per il semplice fatto che non sussiste alcuna libera concorrenza.

Si può discutere, allora, sulla forma che deve assumere il tariffario professionale e persino sulle sue singole voci. Si può anche discutere se ed in che modo, in specifici casi, si possa derogare ai massimi e minimi, dando, nel silenzio della contrattazione, prevalenza per criteri supplettivi come al valore medio adottato, sino ad oggi, per la liquidazione delle spese relative al gratuito patrocinio. Si può e persino si deve dare la possibilità, specie ai “giovani”, di farsi conoscere per ciò che sanno fare e per le qualifiche professionali ed accademiche faticosamente raggiunte senza la sponsorizzazione di questo o quel patrono e con la sola forza del proprio studio. Si deve, insomma, far conoscere che cosa ed in che modo questo o quell’avvocato o studio professionale lavora, senza ambiguità e distorsione. Ma non si può seriamente pensare che l’abolizione del tariffario possa essere lo strumento migliore per poter scegliersi uno tra i migliori degli avvocati “in circolazione”.

Ed è qui che si evidenzia in tutta la sua crudezza lo spirito dell’auspicata riforma in via di approvazione, che incentra (quasi) tutto sulla mera convenienza economica.

La scelta dell’avvocato e, dunque, della propria difesa deve essere invece innanzi tutto improntata alla conoscenza del professionista.

La nomea raggiunta, grazie ai media, nonché la sponsorizzazione affettuosa di questo o quell’amico e, magari, la stessa gratitudine di clienti soddisfatti sono sempre stati gli strumenti elettivi per farsi conoscere.

Oggi, grazie all’informatica, al web e a una maggiore consapevolezza delle proprie esigenze, i clienti non sono affatto sprovveduti e ciò che vogliono è, nonostante tutto, non già uno “sconto”, ma un ottimo lavoro ad un “giusto prezzo”.

Vi sono stati – è innegabile – abusi e legittimazione di abusi da parte degli avvocati. Eppure, non si crede che la delegittimazione del sistema tariffario possa essere più ragionevole di una sua seria rimodulazione, questa sì, da effettuarsi nell’esclusivo interesse della scelta del miglior avvocato possibile.

3. Conclusioni

In Italia, gli avvocati sono troppi e per causa loro vi sono troppe cause; spesse volte, poi, sono degli evasori; le distorsioni immorali, contro i poveri, che attuano nel quotidiano vivere pretendendo somme inique sono sotto gli occhi di tutti; la letteratura e persino i detti popolari, del resto, ben definiscono il basso valore di rispetto, che in effetti hanno tra le persone oneste.

E’ tutto vero, ma è altrettanto vero che l’avvocato è una figura istituzionale, che dà fastidio, perché con le sue parole e con i suoi scritti chiede, interroga e pretende. Quando si arresta anche il più nefasto degli individui, egli deve essere informato, deve poter parlare con il reo, può persino impugnare ogni decisione e persino chiedere che la legge venga posta nel nulla per contrarietà alla Costituzione. Se vengono notificati atti impositivi astrusi, può chiedere che il presunto evasore nulla paghi. Se qualcuno ha subito un torto, può, seppure a fatica e dopo aver fatto mille e più avvisi e raccolto i danari che servono per iscrive a ruolo l’azione, convincere il proprio assistito a intentar causa per ottenere il risarcimento del danno provocato anche dallo Stato.

Né si può seriamente pensare, ove si abbia sincera cura della tutela oggettiva del diritto di difesa, di eliminare nel nostro ordinamento la necessità “formale” della presenza dell’avvocato.

Ma per chi non viva di soli detti e di astrattezza, tutto ciò non ha alcuna importanza conclusiva per il discorso in questione.

Non si diventa avvocati, veri avvocati per mero denaro, così come non si può essere giudici e veri magistrati sol perché non vi sono problemi per lo stipendio di fine mese e dubbi per il godimento della propria pensione.

L’aspetto economico, come in ogni lavoro e nella vita di chiunque, ha un rilievo fondamentale, ma non può essere esclusivo e neppure il più importante.

Quel che mi domando quando un cliente bussa alla mia porta, non è quanto potrò guadagnare da lui, ma qual è il suo problema. Quando mi contattano dal carcere, non esulto pensando alla parcella da presentare in vista dell’udienza del riesame, ma su come agire per poter aiutare il ristretto.

Il Governo, invece, vuole che da domani prima d’ogni cosa, pena la meritevolezza di un infamante procedimento disciplinare, che potrebbe aver la forza di impedire a chiunque di poter accedere e sviluppare la propria carriera anche a livello delle più Alti Corti internazionali, che si dia al cliente-consumatore un foglio dettagliato, chiaro e preciso sulle spese.

Si immagina che ogni attività che dovesse svolgersi prima della sottoscrizione del contratto di assistenza legale in duplice copia magari tradotta, nel caso di persone straniera, sperando che sappiano leggere e scrivere almeno nella lingua d’origine, sarebbe inibita e comunque da svolgersi a proprio rischio e pericolo di perdita economica, ove il contratto non venga in effetti concluso e non trovi applicazione il principio della responsabilità pre-contrattuale.

Si immagina che gli ordini professionali, per evitare sperequazioni e per dare tranquillità ai propri iscritti in merito alla legittimità e non vessatorietà delle clausole dei diversi contratti, daranno vita a dei modelli di riferimento a cui potersi rifare con consueta e tranquilla monotonia.

Si immagina che chi si atterrà alle tariffe vigenti non dovrà temere che i compensi siano impugnati per incongruità od abusività delle pattuizioni in sede giudiziale.

Si immagina che tutto ciò servirà per poter permettere pubblicità ed offerte a buon mercato di prestazioni professionali a cui non saranno necessariamente connesse responsabilità effettive, essendo comunque (ancora per poco?) rimasta l’avvocatura una professione di mezzi e non di risultato.

Si immagina che l’avvocato potrà pretendere garanzie reali o personali per poter accettare l’incarico e non trovarsi a mani vuote dopo bene averlo svolto.

Si immagina che il tutto potrà causare legittimi ritardi nell’assunzione delle difese penali nei casi più meritevoli di attenzione e d’urgenza e si potrà porre in crisi, fino a quando non verrà specificato il punto, il senso della difesa d’ufficio dell’abbiente.

Si immagina … ma ogni immaginazione alla fine dovrà comunque lasciar spazio a quel che davvero avverrà. E sul punto la speranza è che ogni preoccupazione e distorsione venga resa vana da una sapiente considerazione, seppur a posteriori, da parte del legislatore.

Ed in effetti ciò di cui ora più di tutto si sente irresistibile bisogno è di essere regolati da ottime leggi e non solo da ottimi governanti.

Sommario

Introduzione

1. Sulla “persona” del cliente e sui suoi rapporti con l’avvocato

2. Tariffario forense e necessità dell’avvocato

3. Conclusioni

Introduzione

«Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.»

Con tale solenne e invero non meravigliosa proposizione espressa nell’art. 9, recante “Disposizioni sulle professioni regolamentare” di cui al Capo III della bozza di Decreto legge sulle liberalizzazioni (rinvenibile sul quotidiano “Il Sole 24 Ore di sabato 21 gennaio 2012), il Governo attuale si propone di riformare, nell’interesse dei consumatori e dell’economia nazionale, il vetusto sistema delle professioni ed in particolare di dare ampia chiarezza e consapevolezza sui costi che gli utenti andranno incontro, nel caso in cui dovessero fare un patto con un avvocato.

In sostanza, si vuole, mediante un preventivo scritto ed un accordo scritto, fissare con certezza i costi legali e dare la possibilità al singolo consumatore di comparare le diverse opzioni possibili e, quindi, di paragonare i diversi preventivi eventualmente in suo possesso per scegliere, in tutta scienza e coscienza, a chi rivolgersi.

Il fine, astrattamente considerato, si può dire condivisibile; gli strumenti pratici scelti e soprattutto le implicazioni specie di sistema, che si prospettano, tutt’altro.

Chi scrive è avvocato e per l’effetto è parte in causa: sicché – e giustamente – ben può essere sospettato di parzialità. Il che, però, per chi è abituato a perorare cause innanzi al giudice non è ambito improprio: nessun problema, quindi, ad indossare seppur idealmente anche in questa sede la toga della difesa.

Il tema affrontato, del resto, è uno di quelli “scottanti” e di facile opinabilità, a seconda dei punti di vista, sicché l’evocazione di massimi principi e l’amore per l’analisi, se si scontrano con le opinioni correnti, avranno scarsissimo effetto persuasivo.

Inoltre, il decreto verrà emesso entro pochissimo tempo e sul punto verosimilmente, salvo marginali modifiche in sede di conversione, diverrà legge stabile dello Stato.

Eppure, proprio nella consapevolezza della difficoltà di raccogliere l’attenzione dell’uditorio non professionale, non si può sempre tacere e far finta che il tutto viva, nello Stato di diritto, secondo mente puramente economica.

Non si tratta, però, di lottare contro mulini a vento e di rappresentare, sotto la luce fioca di un fioco romanticismo, l’ideale del nobile avvocato e dello splendido oratore. Né è il caso di prospettare una difesa ad oltranze degli “onorari minimi e massimi”.

Ciò che è in gioco, infatti, non è tanto la precisa definizione, magari utile anche ai fini di ispezioni fiscali o, assai più inverosimilmente, per “mandare in soffitta” ogni presunzione tributaria sull’entità dei proventi, del compenso dovuto all’avvocato od ad una società di avvocati, ma la natura stessa del rapporto fiduciario.

Ciò che interessa comprendere allora è se, avuto riguardo al sistema complessivamente considerato, l’intento normativo, benché criticabile od esaltante sotto questo o quell’aspetto, così com’è congeniato possa trovare una applicazione effettiva ed effettivamente rispettosa delle garanzie della difesa in ogni ambito dell’attività forense.

La risposta, ad avviso di chi scrive, è negativa: di seguito e brevemente le ragioni di tale parere.

1. Sulla “persona” del cliente e sui suoi rapporti con l’avvocato

Sembra banale, ma pare doveroso sottolineare il fatto che nello stilare le disposizioni di dettaglio del citato articolo 9, il legislatore d’urgenza abbia avuto a mente il caso in cui il professionista e, per quel che qui concerne, l’avvocato abbia di fatto una forza contrattuale e culturale maggiore rispetto a quella del cliente, il quale, analogamente a qualunque consumatore, che si approccia ad un qualsiasi negozio che vende od offre merce a caro prezzo ma di cui sente comunque la necessità, ha bisogno di avere informazioni dettagliate e precise prima di concludere un contratto.

Eppure, non solo semplici “consumatori”, si rivolgono all’avvocato, ma, per ovvie ragioni connesse alle proprie attività economiche, altri professionisti, nonché imprese a carattere multinazionale e persino Enti pubblici anche non economici.

Nello stesso modo, non sempre il cliente si sceglie l’avvocato, ben potendo questo essergli in qualche modo imposto: basti pensare al difensore d’ufficio in ambito penale.

Oltretutto, assai diversa è l’attività che si svolge in ambito stragiudiziale, nella quale in effetti l’esistenza di accordi specifici tra le parti (quanto meno nei casi di particolare importanza o per rapporti continuativi) è già invalsa nella prassi, da quella giudiziale.

Da ultimo, non tutte le attività proprie dell’avvocato meritano di avere l’alto standard di formalità che il Governo vorrebbe imporre anche sotto minaccia di procedimento disciplinare: la mente corre subito al semplice parere telefonico o alla consueta lettera di messa in mora.

Si dirà: ma queste sono mere eccezioni o casi particolari, che non possono far distogliere dalla importanza di questa ennesima “riforma epocale” contro la casta forense.

Ben si può ribattere che, anche guardando agli obblighi deontologici vigenti, l’avvocato ha il dovere di illustrare al proprio assistito gli aspetti economici fondamentali e rilevanti del caso e di tenere in serissima considerazione, nella definizione del compenso, le condizioni economiche e sociali del patrocinato.

Si potrebbe allora replicare: ma se così è, di che cosa ci si lamenta? In fondo, si tratta di tradurre in forma scritta ciò che si deve già fare in forma orale. Se poi non vi sono limiti nei massimi o nei minimi, le parti potranno, secondo le regole del libero mercato, definire i corrispettivi ed ogni altro aspetto rilevante.

Pur prescindendo dal mero rilievo che appare piuttosto strano che una libera professione necessita per esplicarsi sempre e comunque di una forma giuridica vincolata (lo scritto, appunto), è evidente che altro è avere dei riferimenti normativi per definire il proprio compenso per l’incarico ricevuto, altro è subordinare l’incarico alla conclusione di una preventiva e libera contrattazione.

Insomma, ciò che cambia non è tanto e soltanto l’aspetto economico del rapporto tra avvocato e cliente, ma la natura stessa di esso, il quale da questa visuale diviene innanzi tutto un rapporto patrimoniale, perdendo ogni sostanziale rilevanza giuridica l’aspetto fiduciario e professionale.

L’avvocato, infatti, diviene da subito e per prima cosa controparte del consumatore e non anche persona a cui innanzi tutto si affidano libertà e patrimoni ed in genere le proprie sicurezze.

Ciò può sembrare poca cosa; ed in effetti, così è se si guarda il mero aspetto contabile della vicenda. Se si considerano, invece, le ragioni serie che possono portare ad aver bisogno di un avvocato, allora il tutto assume connotati alquanto diversi.

Ecco che allora conviene spostare il discorso sulla funzione dell’avvocato e sul perché anche chi scrive sente il bisogno di levare almeno la parola contro l’impostazione assunta dal Governo.

2. Tariffario forense e necessità dell’avvocato

Nell’ordinamento italiano la difesa è diritto fondamentale in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 comma 2 cost.): da tale principio, com’è noto, si è derivato e non impropriamente il corollario della necessità del difensore specie nel procedimento penale.

In linea teorica e guardando oltre le Alpi ed il Mare Nostro si possono citare casi nei quali il singolo cittadino può o deve difendersi da solo, id est senza necessità di un avvocato.

Se ciò fosse ammissibile, è chiaro che verrebbe meno la stessa funzione essenziale dell’avvocatura all’interno del sistema delle garanzie istituzionali.

Facile conseguenza sarebbe quella di impostare il rapporto con il difensore innanzi tutto sull’aspetto economico e di tutela del cliente: non avendo copertura costituzionale il ruolo dell’avvocato, si tratterebbe semplicemente di un contratto di servizi qualificati.

La scelta del difensore, infatti, sarebbe opzione arbitraria o comunque non necessaria e come tale andrebbe trattata. L’unica peculiarità potrebbe rinvenirsi, come accennato, solo nella definizione dei rapporti reciproci, avuto riguardo al “tipo” contrattuale, analogamente a quanto avviene per ogni altro tipo di contratto. L’avvocato, del resto, anche in un sistema che non ne preveda la necessaria partecipazione al processo è soggetto qualificato in ambito contrattuale (dopo tutto ha trascorso alcuni anni sui libri giuridici e può avere maggiore dimestichezza dell’altra parte nel trattare leggi e cavilli) sicché in genere la parte debole sarebbe l’altra: sarebbe allora bene che il tutto venisse definito chiaramente e in maniera inequivocabile con preventivi certi e con paragoni con altri professionisti per evitare abusi. La pubblicità comparativa, in quest’ambito, sarebbe persino doverosa, così come accettabile l’idea di fornire sconti sul numero di cause o la legittimità del procacciamento della clientela, la stessa cessione del credito controverso e, da ultimo, di subordinare in tutto e per tutto il compenso sulla base dell’effettivo risultato raggiunto.

Trattando di cose umane ed avendo alla mente le atrocità del mondo, una simile opzione non è capace di sconvolgere la moralità pubblica specie se si portassero ad esempio grandi e libere democrazie, come ordinamenti nei quali simili prassi sarebbe legittimata.

Eppure, proprio con riferimento – ad esempio – agli Stati Uniti d’America, ogni richiamo in merito appare davvero improprio: non già per la disciplina, che si volesse importare, ma per il diverso quadro costituzionale.

Non può sfuggire, infatti, almeno a chi abbia ancora amore per la comparazione e l’analisi, che il diritto di autodifesa, inteso come diritto di difendersi da solo, è strettamente connesso al diritto al jury-trial e, dunque, ad essere giudicato, in civile ed in penale, dal giudizio unanime di dodici cittadini.

Se è il popolo che può sempre decidere, senza avere alcuna conoscenza giuridica qualificata andando persino contro le disposizioni legali in base al power of nullification, allora anche il singolo può difendersi da solo e mostrare e rappresentare le proprie difese innanzi ai suoi pari. Quegli stessi pari che potranno essere chiamati una ed una sola volta a giudicare e che potranno esprimere unitamente a tutti gli altri cittadini con il voto e a scadenze determinate la scelta del giudice e del prosecutor, che non ha alcun obbligo di perseguire alcun reato ed alcun reo.

Il sistema italiano è sui punti fondamentali sopra menzionati estremamente diverso e tale diversità, se si considera la complessità della stessa giurisdizione nostrana, non può non riflettersi proprio sull’aspetto essenziale della configurazione del diritto di difesa tecnica.

Se – ed il punto si dà per scontato – è necessario avere un difensore nelle “vere” cause civili, in quelle penali, in quelle tributarie ed in quelle amministrative, la scelta del proprio difensore non è libera. Non lo è sull’an, ma neppure sul quomodo, poiché non tutti possono essere avvocati, essendo anche alla luce della disposizione in bozza di cui si discute, tale professione una professione regolamentata nell’accesso.

Non è un caso, allora, comprendere in questo contesto l’importanza delle tariffe, che si applicano pur in assenza di una espressa configurazione degli aspetti economici del rapporto.

Non si tratta semplicemente di garantire un minimo di sussistenza e neppure di impedire abusi sul compenso massimo magari sollecitati dalla necessità del caso (si pensi, per esempio, al momento in cui un soggetto è stato arrestato o all’imminenza della scadenza di un termine essenziale), ma di assicurare il più possibile che la scelta dell’avvocato si imponga innanzi tutto in ragione del rapporto fiduciario e, quindi, sulle qualità personali, professionali e morali dell’avvocato.

Detto in altri termini, il sistema del tariffario, determinato dall’organo amministrativo a ciò deputato (il Ministro della Giustizia), è strumentale ad un sistema che per necessità e nei fatti, al di là di ogni propaganda numerica e di considerazioni puramente formali sull’eccessivo numero dei professionisti, impone la presenza di un avvocato a fianco delle parti private.

Se non è libera la professione e se è necessario rivolgersi ad un avvocato, così come avviene per ogni altro tipo di servizio di rilevanza pubblica, i “costi” devono essere indicati e comunque calmierati con provvedimento normativo e non possono essere lasciati ad una libera concorrenza, per il semplice fatto che non sussiste alcuna libera concorrenza.

Si può discutere, allora, sulla forma che deve assumere il tariffario professionale e persino sulle sue singole voci. Si può anche discutere se ed in che modo, in specifici casi, si possa derogare ai massimi e minimi, dando, nel silenzio della contrattazione, prevalenza per criteri supplettivi come al valore medio adottato, sino ad oggi, per la liquidazione delle spese relative al gratuito patrocinio. Si può e persino si deve dare la possibilità, specie ai “giovani”, di farsi conoscere per ciò che sanno fare e per le qualifiche professionali ed accademiche faticosamente raggiunte senza la sponsorizzazione di questo o quel patrono e con la sola forza del proprio studio. Si deve, insomma, far conoscere che cosa ed in che modo questo o quell’avvocato o studio professionale lavora, senza ambiguità e distorsione. Ma non si può seriamente pensare che l’abolizione del tariffario possa essere lo strumento migliore per poter scegliersi uno tra i migliori degli avvocati “in circolazione”.

Ed è qui che si evidenzia in tutta la sua crudezza lo spirito dell’auspicata riforma in via di approvazione, che incentra (quasi) tutto sulla mera convenienza economica.

La scelta dell’avvocato e, dunque, della propria difesa deve essere invece innanzi tutto improntata alla conoscenza del professionista.

La nomea raggiunta, grazie ai media, nonché la sponsorizzazione affettuosa di questo o quell’amico e, magari, la stessa gratitudine di clienti soddisfatti sono sempre stati gli strumenti elettivi per farsi conoscere.

Oggi, grazie all’informatica, al web e a una maggiore consapevolezza delle proprie esigenze, i clienti non sono affatto sprovveduti e ciò che vogliono è, nonostante tutto, non già uno “sconto”, ma un ottimo lavoro ad un “giusto prezzo”.

Vi sono stati – è innegabile – abusi e legittimazione di abusi da parte degli avvocati. Eppure, non si crede che la delegittimazione del sistema tariffario possa essere più ragionevole di una sua seria rimodulazione, questa sì, da effettuarsi nell’esclusivo interesse della scelta del miglior avvocato possibile.

3. Conclusioni

In Italia, gli avvocati sono troppi e per causa loro vi sono troppe cause; spesse volte, poi, sono degli evasori; le distorsioni immorali, contro i poveri, che attuano nel quotidiano vivere pretendendo somme inique sono sotto gli occhi di tutti; la letteratura e persino i detti popolari, del resto, ben definiscono il basso valore di rispetto, che in effetti hanno tra le persone oneste.

E’ tutto vero, ma è altrettanto vero che l’avvocato è una figura istituzionale, che dà fastidio, perché con le sue parole e con i suoi scritti chiede, interroga e pretende. Quando si arresta anche il più nefasto degli individui, egli deve essere informato, deve poter parlare con il reo, può persino impugnare ogni decisione e persino chiedere che la legge venga posta nel nulla per contrarietà alla Costituzione. Se vengono notificati atti impositivi astrusi, può chiedere che il presunto evasore nulla paghi. Se qualcuno ha subito un torto, può, seppure a fatica e dopo aver fatto mille e più avvisi e raccolto i danari che servono per iscrive a ruolo l’azione, convincere il proprio assistito a intentar causa per ottenere il risarcimento del danno provocato anche dallo Stato.

Né si può seriamente pensare, ove si abbia sincera cura della tutela oggettiva del diritto di difesa, di eliminare nel nostro ordinamento la necessità “formale” della presenza dell’avvocato.

Ma per chi non viva di soli detti e di astrattezza, tutto ciò non ha alcuna importanza conclusiva per il discorso in questione.

Non si diventa avvocati, veri avvocati per mero denaro, così come non si può essere giudici e veri magistrati sol perché non vi sono problemi per lo stipendio di fine mese e dubbi per il godimento della propria pensione.

L’aspetto economico, come in ogni lavoro e nella vita di chiunque, ha un rilievo fondamentale, ma non può essere esclusivo e neppure il più importante.

Quel che mi domando quando un cliente bussa alla mia porta, non è quanto potrò guadagnare da lui, ma qual è il suo problema. Quando mi contattano dal carcere, non esulto pensando alla parcella da presentare in vista dell’udienza del riesame, ma su come agire per poter aiutare il ristretto.

Il Governo, invece, vuole che da domani prima d’ogni cosa, pena la meritevolezza di un infamante procedimento disciplinare, che potrebbe aver la forza di impedire a chiunque di poter accedere e sviluppare la propria carriera anche a livello delle più Alti Corti internazionali, che si dia al cliente-consumatore un foglio dettagliato, chiaro e preciso sulle spese.

Si immagina che ogni attività che dovesse svolgersi prima della sottoscrizione del contratto di assistenza legale in duplice copia magari tradotta, nel caso di persone straniera, sperando che sappiano leggere e scrivere almeno nella lingua d’origine, sarebbe inibita e comunque da svolgersi a proprio rischio e pericolo di perdita economica, ove il contratto non venga in effetti concluso e non trovi applicazione il principio della responsabilità pre-contrattuale.

Si immagina che gli ordini professionali, per evitare sperequazioni e per dare tranquillità ai propri iscritti in merito alla legittimità e non vessatorietà delle clausole dei diversi contratti, daranno vita a dei modelli di riferimento a cui potersi rifare con consueta e tranquilla monotonia.

Si immagina che chi si atterrà alle tariffe vigenti non dovrà temere che i compensi siano impugnati per incongruità od abusività delle pattuizioni in sede giudiziale.

Si immagina che tutto ciò servirà per poter permettere pubblicità ed offerte a buon mercato di prestazioni professionali a cui non saranno necessariamente connesse responsabilità effettive, essendo comunque (ancora per poco?) rimasta l’avvocatura una professione di mezzi e non di risultato.

Si immagina che l’avvocato potrà pretendere garanzie reali o personali per poter accettare l’incarico e non trovarsi a mani vuote dopo bene averlo svolto.

Si immagina che il tutto potrà causare legittimi ritardi nell’assunzione delle difese penali nei casi più meritevoli di attenzione e d’urgenza e si potrà porre in crisi, fino a quando non verrà specificato il punto, il senso della difesa d’ufficio dell’abbiente.

Si immagina … ma ogni immaginazione alla fine dovrà comunque lasciar spazio a quel che davvero avverrà. E sul punto la speranza è che ogni preoccupazione e distorsione venga resa vana da una sapiente considerazione, seppur a posteriori, da parte del legislatore.

Ed in effetti ciò di cui ora più di tutto si sente irresistibile bisogno è di essere regolati da ottime leggi e non solo da ottimi governanti.