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Il contratto in frode ai terzi: ultime applicazioni giurisprudenziali

Alla luce dello sviluppo dei traffici commerciali che connota l’odierna realtà economico–giuridica ed in virtù del recente periodo di recessione incorso nell’ambito produttivo globale, le esigenze di tutela, a cui codice civile del ’42 appresta svariati rimedi, si sono rivelate più pregnanti e bisognose di garanzie ulteriori.

Non di rado, infatti, ci si trova dinanzi a contratti stipulati in frode ai terzi al fine di far valere le proprie ragioni creditorie od economiche, con ciò ledendo i massimi dogmi che sottendono al nostro sistema giuridico.

In particolare, nulla il nostro codice civile disciplina in ordine alla tutela di terzi pregiudicati da un contratto stipulato in frode agli stessi, ma proprio tale “iatus” normativo ha permesso la proliferazione di ipotesi concrete realizzatesi nella prassi e a cui la Giurisprudenza ha dovuto far fronte.

Le maggiori trattazioni in ordine a tale istituto, infatti, ci pervengono dalle pronunce giurisprudenziali, unanimi nel sancire una netta differenza, strutturale e di disciplina, tra contratto in frode alla legge e contratto in frode ai terzi.

Quanto al primo, v’è da dire che l’ordinamento appresta un apposito rimedio per i contratti che costituiscono, ai sensi dell’art. 1344 c.c., mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. In tali casi la causa del contratto risulterà illecita ex art. 1343 c.c. ed il contratto nullo ai sensi dell’art. 1418 2° comma c.c. Il contratto in frode alla legge, quindi, risulta tipizzato dal legislatore, il quale ne sancisce la nullità per causa contraria a norma imperativa (“rectius”: elusiva di norma imperativa) e, per questo, illecita.

Nulla di tutto ciò accade per il contratto in frode ai terzi, laddove l’”intentio fraudis” è rivolto a terzi e non ad eludere una norma imperativa, per la quale il legislatore sancisce, come detto, il grave rimedio della nullità. Il contratto in frode ai terzi, invece, seppur stipulato in danno di terzi, non viola una norma imperativa e non è contrario al buon costume o all’ordine pubblico, per cui non può risultare illecito ai sensi dell’art. 1343 c.c. e nullo alla stregua dell’art. 1344 c.c.

In verità, pur non essendo tipizzato, si ritiene che il terzo, nei cui confronti sia stato stipulato un contratto dannoso, risulti comunque tutelato ad onta dei rimedi che lo stesso codice riconosce alle singole situazioni pregiudizievoli che nella prassi possano rilevare. In altri termini, non vi è uno specifico rimedio, come accade nell’ipotesi del contratto stipulato in frode alla legge, bensì numerosi rimedi ricavabili dal codice di volta in volta ed in ragione del caso concreto.

Una delle più rappresentative pronunce giurisprudenziali in materia (Cass., Sez. I, 29 maggio 2003 n. 8600), ha sancito, infatti, che “il negozio in frode alla legge è quello che persegue una finalità vietata dall’ordinamento in quanto contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico e del buon costume o perché diretta ad eludere una norma imperativa. L’intento di recare pregiudizio ad altri soggetti non rientra di per sé nella descritta fattispecie perché non si rinviene nell’ordinamento una norma che stabilisca in via generale, come per il primo tipo di contratto, l’invalidità del contratto stipulato in frode ai terzi, ai quali ultimi, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale”.

In tal modo, ben potrà risultare nullo un contratto in frode ai terzi e che sia, nel contempo, violativo di una norma imperativa, del buon costume o dell’ordine pubblico, ma ove ciò non accadesse, vi sarebbero altri rimedi esperibili al fine di tutelare le ragioni del terzo.

Anche per un’autorevole dottrina, infatti, la frode alla legge è da tenere distinta dalla frode ai creditori e dalla frode al fisco: la “fraus legi” consiste nel proposito di eludere una norma imperativa oggettivamente considerata, e perciò il negozio in “fraudem legis” rientra nella categoria del negozio illecito.

Negli altri due casi la “fraus” sta invece nella consapevolezza di ledere il diritto di altri soggetti, il fisco e i creditori, e perciò, pur essendovi un atto illecito, il negozio in sé non può dirsi illecito; è anche necessario l’estremo del danno altrui, che naturalmente manca nel negozio in frode alla legge.

Ciò posto, giova ora porre mente alle situazioni concrete in cui può trovare conforto un contratto di tal genere e ai rimedi esperibili dai terzi pregiudicati.

Come testè accennato, nella prassi la figura del terzo si potrebbe sostanziare nel fisco, nel creditore o nel proprietario di una nuda proprietà. Nel primo caso, la frode al fisco consiste nella sottrazione a quest’ultimo di elementi imponibili, assoggettabili a tassazione. Pertanto, essa non dà luogo a nullità del contratto ma alle sanzioni previste dall’ordinamento tributario (Cass. Civ., Sez. III, 4024/1981).

Ultime applicazioni giurisprudenziali, invece, sono giunte in ordine al contratto in frode ai creditori, in particolar modo, del fallito e in tema di contratto concluso da un usufruttuario in frode al nudo proprietario.

Prima di affrontare le specifiche vicende con le relative soluzioni, vale preliminarmente evidenziare come quelle accennate non rappresentano le uniche ipotesi di contratti in frode ai terzi realizzabili nella prassi, vista l’ attuale realtà economico – giuridica che ben si appresta a creare innumerevoli situazioni di tal guisa ed ugualmente meritevoli di tutela.

Ebbene, per quanto riguarda il pregiudizio dei creditori di un soggetto fallito ad opera di un concordato preventivo concluso da altri creditori, è intervenuta la sentenza della Cassazione civile, Sez. I, 14 aprile 2011 n. 8541, ad evidenziarne la natura giuridica e prevedendone un rimedio.

Nel caso di specie, il concordato preventivo intervenuto tra due creditori chirografari risulta violativo delle ragioni di altri creditori, ignari della stipula di un preliminare di compravendita tra i primi.

La Cassazione, dunque, modificando la sanzione della nullità sancita in appello, dichiara l’inefficacia dell’atto e, semmai, l’inopponibilità ai terzi dello stesso, attesa la liceità del preliminare di compravendita, seppur stipulato in pregiudizio agli altri creditori e dunque in violazione del principio della “par condicio creditorum”.

In particolare, la Suprema Corte, aderendo all’orientamento maggioritario, afferma che mentre il motivo illecito comune comporta nullità del contratto per illiceità, il contratto stipulato in frode ai terzi, se non risulta illecito, non soggiace alla sanzione della nullità ma a specifici rimedi pedissequamente offerti dall’ordinamento e da valutare in ragione del caso concreto (Cass. Sez. Un., 25 ottobre 1993 n. 10603). Nel caso che qui ci occupa, infatti, la Cassazione appresta lo strumento dell’inefficacia e dell’inopponibilità dell’atto stipulato in frode ai terzi creditori.

Altra fattispecie, ricorrente nella prassi e a cui di recente ha dato risposta il Tribunale di Salerno Sez. I, riguarda un contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario in danno del nudo proprietario.

Lo scorso 11 marzo, infatti, il Tribunale di Salerno, aderendo anch’esso all’orientamento maggioritario, ha escluso che un contratto siffatto possa considerarsi nullo, attesa la mancanza di qualsivoglia intento elusivo di norme imperativo e non essendo violativo dei principi di ordine pubblico e buon costume.

Tuttavia, non si può negare che un contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario in frode al proprietario non debba essere privo di conseguenze.

Ed è proprio tale pronuncia a dimostrare come il legislatore del ’42, abbia, in ogni settore della vita giuridica, fatto fronte ad eventuali pregiudizi con specifici rimedi.

Nel caso di specie, l’interprete utilizza il rimedio di cui all’art. 999 c.c., il quale disciplina il regime delle locazioni stipulate dall’usufruttuario, apprestando una serie di garanzie al fine di tutelare le ragioni del nudo proprietario. In primo luogo, come affermato anche nella Relazione al codice, vi è unificazione delle locazioni quinquennali con quelle più brevi. In secondo luogo, vi è l’eliminazione della rinnovazione anticipata ed in ultimo, ma non per rilevanza, vi è il particolare regime formale (atto pubblico o scrittura privata avente data certa) a tutela del nudo proprietario contro le locazioni in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto.

L’interprete aggiunge che il codice civile appresta anche altre norme a tutela del nudo proprietario come l’art. 1015, il quale predispone vari rimedi contro gli abusi perpetrati dall’usufruttuario.

Lo stesso conclude affermando che il giudice deve solo limitarsi a verificare se l’atto posto in essere rientri nella sfera di applicazione delle ricordate disposizioni, salvo sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa vigente, qualora il nudo proprietario venga pregiudicato da altri atti dell’usufruttuario e le norme poste a tutela dello stesso, artt. 999 e 1015 c.c., non offrano adeguata tutela.

Il Tribunale, infine, rigetta la domanda attorea di annullamento del contratto di locazione, attesa l’impossibilità che venga apprestato un rimedio concorrente a quello già disciplinato dalla legge in relazione ad una specifica vicenda, e perché, qualora l’invalidità fosse possibile, non vi è alcun motivo illecito o elusione di norma imperativa nella stipulazione di un contratto di locazione da parte dell’usufruttuario, tale da giustificare detto rimedio.

Come visto, le recenti vicende appena esposte rimandano ai concetti, ormai radicati in ogni vicenda giuridica, dell’abuso del diritto e della buona fede, tutelabili anche mediante il rimedio risarcitorio.

Ma non solo.

Alcune ipotesi, soprattutto riguardanti contratti in frode ai creditori possono trovare gli estremi per l’esperibilità di un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e sancire l’inefficacia delle disposizioni effettuate dal debitore in frode agli stessi.

Ancora, non di rado la frode nei confronti di terzi trova conforto nelle ipotesi in cui il rappresentante stipuli un contratto in conflitto d’interesse con il rappresentato e il conflitto sia conosciuto o riconoscibile dal terzo, con ciò legittimando l’azione per far valere annullabilità del negozio posto in essere ai sensi dell’art. 1394 c.c.

Infine, ma non per rilevanza, si rinvengono in giurisprudenza casi in cui, a fronte di contratti stipulati in frode i terzi, l’interprete abbia legittimato i rimedi delle azioni di simulazione o surrogazione, qualora vengano in essere i relativi estremi.

Alla luce dello sviluppo dei traffici commerciali che connota l’odierna realtà economico–giuridica ed in virtù del recente periodo di recessione incorso nell’ambito produttivo globale, le esigenze di tutela, a cui codice civile del ’42 appresta svariati rimedi, si sono rivelate più pregnanti e bisognose di garanzie ulteriori.

Non di rado, infatti, ci si trova dinanzi a contratti stipulati in frode ai terzi al fine di far valere le proprie ragioni creditorie od economiche, con ciò ledendo i massimi dogmi che sottendono al nostro sistema giuridico.

In particolare, nulla il nostro codice civile disciplina in ordine alla tutela di terzi pregiudicati da un contratto stipulato in frode agli stessi, ma proprio tale “iatus” normativo ha permesso la proliferazione di ipotesi concrete realizzatesi nella prassi e a cui la Giurisprudenza ha dovuto far fronte.

Le maggiori trattazioni in ordine a tale istituto, infatti, ci pervengono dalle pronunce giurisprudenziali, unanimi nel sancire una netta differenza, strutturale e di disciplina, tra contratto in frode alla legge e contratto in frode ai terzi.

Quanto al primo, v’è da dire che l’ordinamento appresta un apposito rimedio per i contratti che costituiscono, ai sensi dell’art. 1344 c.c., mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. In tali casi la causa del contratto risulterà illecita ex art. 1343 c.c. ed il contratto nullo ai sensi dell’art. 1418 2° comma c.c. Il contratto in frode alla legge, quindi, risulta tipizzato dal legislatore, il quale ne sancisce la nullità per causa contraria a norma imperativa (“rectius”: elusiva di norma imperativa) e, per questo, illecita.

Nulla di tutto ciò accade per il contratto in frode ai terzi, laddove l’”intentio fraudis” è rivolto a terzi e non ad eludere una norma imperativa, per la quale il legislatore sancisce, come detto, il grave rimedio della nullità. Il contratto in frode ai terzi, invece, seppur stipulato in danno di terzi, non viola una norma imperativa e non è contrario al buon costume o all’ordine pubblico, per cui non può risultare illecito ai sensi dell’art. 1343 c.c. e nullo alla stregua dell’art. 1344 c.c.

In verità, pur non essendo tipizzato, si ritiene che il terzo, nei cui confronti sia stato stipulato un contratto dannoso, risulti comunque tutelato ad onta dei rimedi che lo stesso codice riconosce alle singole situazioni pregiudizievoli che nella prassi possano rilevare. In altri termini, non vi è uno specifico rimedio, come accade nell’ipotesi del contratto stipulato in frode alla legge, bensì numerosi rimedi ricavabili dal codice di volta in volta ed in ragione del caso concreto.

Una delle più rappresentative pronunce giurisprudenziali in materia (Cass., Sez. I, 29 maggio 2003 n. 8600), ha sancito, infatti, che “il negozio in frode alla legge è quello che persegue una finalità vietata dall’ordinamento in quanto contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico e del buon costume o perché diretta ad eludere una norma imperativa. L’intento di recare pregiudizio ad altri soggetti non rientra di per sé nella descritta fattispecie perché non si rinviene nell’ordinamento una norma che stabilisca in via generale, come per il primo tipo di contratto, l’invalidità del contratto stipulato in frode ai terzi, ai quali ultimi, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale”.

In tal modo, ben potrà risultare nullo un contratto in frode ai terzi e che sia, nel contempo, violativo di una norma imperativa, del buon costume o dell’ordine pubblico, ma ove ciò non accadesse, vi sarebbero altri rimedi esperibili al fine di tutelare le ragioni del terzo.

Anche per un’autorevole dottrina, infatti, la frode alla legge è da tenere distinta dalla frode ai creditori e dalla frode al fisco: la “fraus legi” consiste nel proposito di eludere una norma imperativa oggettivamente considerata, e perciò il negozio in “fraudem legis” rientra nella categoria del negozio illecito.

Negli altri due casi la “fraus” sta invece nella consapevolezza di ledere il diritto di altri soggetti, il fisco e i creditori, e perciò, pur essendovi un atto illecito, il negozio in sé non può dirsi illecito; è anche necessario l’estremo del danno altrui, che naturalmente manca nel negozio in frode alla legge.

Ciò posto, giova ora porre mente alle situazioni concrete in cui può trovare conforto un contratto di tal genere e ai rimedi esperibili dai terzi pregiudicati.

Come testè accennato, nella prassi la figura del terzo si potrebbe sostanziare nel fisco, nel creditore o nel proprietario di una nuda proprietà. Nel primo caso, la frode al fisco consiste nella sottrazione a quest’ultimo di elementi imponibili, assoggettabili a tassazione. Pertanto, essa non dà luogo a nullità del contratto ma alle sanzioni previste dall’ordinamento tributario (Cass. Civ., Sez. III, 4024/1981).

Ultime applicazioni giurisprudenziali, invece, sono giunte in ordine al contratto in frode ai creditori, in particolar modo, del fallito e in tema di contratto concluso da un usufruttuario in frode al nudo proprietario.

Prima di affrontare le specifiche vicende con le relative soluzioni, vale preliminarmente evidenziare come quelle accennate non rappresentano le uniche ipotesi di contratti in frode ai terzi realizzabili nella prassi, vista l’ attuale realtà economico – giuridica che ben si appresta a creare innumerevoli situazioni di tal guisa ed ugualmente meritevoli di tutela.

Ebbene, per quanto riguarda il pregiudizio dei creditori di un soggetto fallito ad opera di un concordato preventivo concluso da altri creditori, è intervenuta la sentenza della Cassazione civile, Sez. I, 14 aprile 2011 n. 8541, ad evidenziarne la natura giuridica e prevedendone un rimedio.

Nel caso di specie, il concordato preventivo intervenuto tra due creditori chirografari risulta violativo delle ragioni di altri creditori, ignari della stipula di un preliminare di compravendita tra i primi.

La Cassazione, dunque, modificando la sanzione della nullità sancita in appello, dichiara l’inefficacia dell’atto e, semmai, l’inopponibilità ai terzi dello stesso, attesa la liceità del preliminare di compravendita, seppur stipulato in pregiudizio agli altri creditori e dunque in violazione del principio della “par condicio creditorum”.

In particolare, la Suprema Corte, aderendo all’orientamento maggioritario, afferma che mentre il motivo illecito comune comporta nullità del contratto per illiceità, il contratto stipulato in frode ai terzi, se non risulta illecito, non soggiace alla sanzione della nullità ma a specifici rimedi pedissequamente offerti dall’ordinamento e da valutare in ragione del caso concreto (Cass. Sez. Un., 25 ottobre 1993 n. 10603). Nel caso che qui ci occupa, infatti, la Cassazione appresta lo strumento dell’inefficacia e dell’inopponibilità dell’atto stipulato in frode ai terzi creditori.

Altra fattispecie, ricorrente nella prassi e a cui di recente ha dato risposta il Tribunale di Salerno Sez. I, riguarda un contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario in danno del nudo proprietario.

Lo scorso 11 marzo, infatti, il Tribunale di Salerno, aderendo anch’esso all’orientamento maggioritario, ha escluso che un contratto siffatto possa considerarsi nullo, attesa la mancanza di qualsivoglia intento elusivo di norme imperativo e non essendo violativo dei principi di ordine pubblico e buon costume.

Tuttavia, non si può negare che un contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario in frode al proprietario non debba essere privo di conseguenze.

Ed è proprio tale pronuncia a dimostrare come il legislatore del ’42, abbia, in ogni settore della vita giuridica, fatto fronte ad eventuali pregiudizi con specifici rimedi.

Nel caso di specie, l’interprete utilizza il rimedio di cui all’art. 999 c.c., il quale disciplina il regime delle locazioni stipulate dall’usufruttuario, apprestando una serie di garanzie al fine di tutelare le ragioni del nudo proprietario. In primo luogo, come affermato anche nella Relazione al codice, vi è unificazione delle locazioni quinquennali con quelle più brevi. In secondo luogo, vi è l’eliminazione della rinnovazione anticipata ed in ultimo, ma non per rilevanza, vi è il particolare regime formale (atto pubblico o scrittura privata avente data certa) a tutela del nudo proprietario contro le locazioni in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto.

L’interprete aggiunge che il codice civile appresta anche altre norme a tutela del nudo proprietario come l’art. 1015, il quale predispone vari rimedi contro gli abusi perpetrati dall’usufruttuario.

Lo stesso conclude affermando che il giudice deve solo limitarsi a verificare se l’atto posto in essere rientri nella sfera di applicazione delle ricordate disposizioni, salvo sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa vigente, qualora il nudo proprietario venga pregiudicato da altri atti dell’usufruttuario e le norme poste a tutela dello stesso, artt. 999 e 1015 c.c., non offrano adeguata tutela.

Il Tribunale, infine, rigetta la domanda attorea di annullamento del contratto di locazione, attesa l’impossibilità che venga apprestato un rimedio concorrente a quello già disciplinato dalla legge in relazione ad una specifica vicenda, e perché, qualora l’invalidità fosse possibile, non vi è alcun motivo illecito o elusione di norma imperativa nella stipulazione di un contratto di locazione da parte dell’usufruttuario, tale da giustificare detto rimedio.

Come visto, le recenti vicende appena esposte rimandano ai concetti, ormai radicati in ogni vicenda giuridica, dell’abuso del diritto e della buona fede, tutelabili anche mediante il rimedio risarcitorio.

Ma non solo.

Alcune ipotesi, soprattutto riguardanti contratti in frode ai creditori possono trovare gli estremi per l’esperibilità di un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e sancire l’inefficacia delle disposizioni effettuate dal debitore in frode agli stessi.

Ancora, non di rado la frode nei confronti di terzi trova conforto nelle ipotesi in cui il rappresentante stipuli un contratto in conflitto d’interesse con il rappresentato e il conflitto sia conosciuto o riconoscibile dal terzo, con ciò legittimando l’azione per far valere annullabilità del negozio posto in essere ai sensi dell’art. 1394 c.c.

Infine, ma non per rilevanza, si rinvengono in giurisprudenza casi in cui, a fronte di contratti stipulati in frode i terzi, l’interprete abbia legittimato i rimedi delle azioni di simulazione o surrogazione, qualora vengano in essere i relativi estremi.