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Avvocato Generale UE: nel commercio elettronico il link non costituisce supporto duraturo per le informazioni contrattuali

Protezione dei consumatori – Contratti a distanza – Direttiva 97/7/CE – Articolo 5 – Informazioni che il consumatore deve “ricevere” su “supporto duraturo” – Informazioni disponibili su un sito web e accessibili al consumatore attraverso un collegamento ipertestuale

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO Mengozzi

presentate il 6 marzo 2012 (1)

Causa C‑49/11

Content Services Ltd

contro

Bundesarbeitskammer

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Wien (Austria)]

1. La presente causa, che trova origine in un rinvio pregiudiziale dell’Oberlandesgericht di Vienna, permetterà alla Corte di precisare le modalità in cui i consumatori che stipulano contratti a distanza devono ricevere le informazioni previste dal diritto dell’Unione, e specificamente, in questo caso, dalla direttiva 97/7/CE (2) (in prosieguo anche: la «direttiva»). La direttiva prevede in particolare, al suo articolo 5, che dopo la conclusione di un contratto a distanza il consumatore debba «ricevere» la conferma di talune informazioni su un «supporto duraturo». Il problema sollevato dal giudice del rinvio è se si debbano considerare fornite al consumatore su supporto duraturo informazioni che sono disponibili sul sito del venditore e alle quali i consumatori possono accedere cliccando su un link mostrato loro al momento della conclusione del contratto.

I – Contesto normativo

2. La direttiva 97/7/CE contiene una serie di disposizioni minime (3) finalizzate a tutelare il consumatore nell’ambito dei contratti stipulati a distanza.

3. L’articolo 4 della direttiva prevede che al consumatore siano messe a disposizione (4), prima di stipulare il contratto a distanza, una serie di informazioni: esse riguardano, in particolare, l’identità del fornitore, le caratteristiche del bene o servizio venduto, il prezzo, le spese di consegna, le modalità di pagamento, l’esistenza del diritto di recesso.

4. L’articolo 5 è rubricato «Conferma scritta delle informazioni», e indica talune informazioni che il consumatore deve (nuovamente) ricevere, al momento dell’esecuzione del contratto, su un «supporto duraturo». Il testo della disposizione è il seguente:

«1. Il consumatore deve ricevere conferma per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile delle informazioni previste all’articolo 4, paragrafo 1, lettere da a) ad f), in tempo utile all’atto dell’esecuzione del contratto e al più tardi al momento della consegna per quanto riguarda i beni non destinati ad essere consegnati a terzi, a meno che esse non gli siano già state fornite, per iscritto o [su un] altro supporto duraturo, a sua disposizione ed a lui accessibile prima della conclusione del contratto.

(…)

2. Il paragrafo 1 non si applica ai servizi la cui esecuzione è effettuata mediante una tecnica di comunicazione a distanza, qualora siano forniti in un’unica soluzione e siano fatturati dall’operatore della tecnica di comunicazione. Ciò nondimeno, il consumatore deve comunque poter disporre dell’indirizzo geografico della sede del fornitore a cui può presentare reclami».

5. La direttiva non contiene una definizione di «supporto duraturo». Tale nozione è stata tuttavia definita dal legislatore dell’Unione in altri testi normativi (5). Indicherò ora i principali.

6. Ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2002/65/CE (6), il supporto duraturo è «qualsiasi strumento che permetta al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse, e che consenta la riproduzione immutata delle informazioni memorizzate».

7. Secondo l’articolo 2, punto 12, della direttiva 2002/92/CE (7), costituisce un supporto duraturo «qualsiasi mezzo che consenta al cliente di registrare le informazioni a lui personalmente destinate in modo che siano accessibili per la consultazione futura e riproducibili senza alterazioni durante un periodo di tempo commisurato ai fini cui sono preordinate». La medesima disposizione precisa inoltre, al comma successivo, che, in particolare, la nozione di supporto duraturo «comprende i dischetti informatici, i CD-ROM, i DVD e il disco fisso del computer del consumatore che tiene in memoria messaggi di posta elettronica, ma non comprende i siti web Internet, a meno che essi soddisfino i criteri di cui al primo paragrafo».

8. Infine, la nuova direttiva 2011/83/UE (8), che prenderà in futuro il posto anche della direttiva 97/7/CE, definisce il supporto duraturo, al punto 10 dell’articolo 2, come «ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate». La medesima direttiva, al suo considerando 23, indica che i supporti duraturi «dovrebbero permettere al consumatore di conservare le informazioni per il tempo ritenuto necessario ai fini della protezione dei suoi interessi», e che «dovrebbero rientrare tra detti supporti in particolare documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica».

II – Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

9. La società Content Services gestisce il sito Internet opendownload.de, redatto in lingua tedesca. Tale sito è accessibile, e i suoi servizi sono utilizzabili, anche da parte di utenti Internet localizzati in Austria. Si tratta di un sito attraverso il quale è possibile scaricare software gratuito o versioni di prova di software a pagamento. Risulta peraltro dal fascicolo che il server della società non ospita i file da scaricare, ma si limita a rinviare gli utilizzatori ai siti ufficiali dei produttori dei programmi. In altri termini, il sito opendownload.de è una raccolta di link relativi a programmi che sono liberamente disponibili in rete.

10. Al fine di poter utilizzare il sito, e quindi di scaricare i vari programmi utilizzando i link presenti su opendownload.de, è richiesta la stipulazione di un abbonamento, il cui costo, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, era di EUR 96 annuali. La conclusione del contratto avviene online, mediante la compilazione da parte del cliente di una pagina web interattiva nella quale, in particolare, egli dichiara, contrassegnando una casella con un segno di spunta, di accettare le condizioni generali di contratto e di rinunciare al diritto di recesso. Le informazioni previste dagli articoli 4 e 5 della direttiva, in particolare quelle relative al diritto di recesso, non sono direttamente mostrate al cliente, che può tuttavia visualizzarle cliccando su un link presente nella pagina di stipulazione del contratto.

11. Dopo aver concluso il contratto sul sito il cliente riceve un messaggio e‑mail contenente uno username e una password per utilizzare il sito opendownload.de. Nel messaggio non è contenuta alcuna indicazione, in particolare, relativamente al diritto di recesso. In seguito il cliente riceve una fattura in cui gli viene richiesto il pagamento di EUR 96 e gli si ricorda che ha rinunciato al diritto di recesso.

12. Il procedimento principale è stato avviato dalla Bundesarbeitskammer, ente titolare anche di funzioni di tutela dei consumatori: essa considera che la condotta commerciale di Content Services sia illegittima e che violi svariate norme imposte dal diritto dell’Unione e dal diritto nazionale a tutela dei consumatori.

13. Content Services, soccombente in primo grado, ha impugnato tale prima decisione dinanzi al giudice del rinvio. Ritenendo necessaria per la soluzione della controversia una pronuncia della Corte relativamente alla portata dell’articolo 5 della direttiva, tale giudice ha sospeso il procedimento e proposto la seguente questione pregiudiziale:

«Se risponda al requisito di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sui contratti a distanza, in base al quale il consumatore deve ricevere conferma delle informazioni ivi specificate su un supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile, a meno che esse non gli siano già state fornite al momento della conclusione del contratto su un supporto duraturo, a sua disposizione ed a lui accessibile, il fatto che tali informazioni siano messe a disposizione del consumatore sul sito dell’imprenditore attraverso un collegamento ipertestuale all’interno di un testo che il consumatore deve contrassegnare come letto, con l’apposizione di un segno di spunta, per aderire al rapporto contrattuale».

III – Osservazioni preliminari

14. La vicenda all’origine del procedimento principale è per molti versi curiosa, anche se non isolata. In particolare, nei paesi di lingua tedesca la stampa riferisce frequentemente di situazioni in cui alcuni utenti di internet, i quali erano alla ricerca di software liberamente disponibili, li hanno scaricati a partire da siti come quello gestito da Content Services, concludendo contratti di abbonamento senza neppure rendersene conto. In Austria, e soprattutto in Germania, il contenzioso legato a tali situazioni ha già prodotto una certa quantità di pronunce giurisprudenziali.

15. Le questioni giuridiche sollevate dalla presente vicenda sono, nel complesso, numerose ed interessanti (9). L’oggetto del rinvio pregiudiziale è tuttavia molto circoscritto, dal momento che concerne soltanto le modalità di comunicazione delle informazioni al cliente ai sensi dell’articolo 5 della direttiva: limiterò pertanto le mie considerazioni a tale specifico aspetto.

16. Rilevo, peraltro, che la questione pregiudiziale non chiede alla Corte di definire esattamente che cosa sia, in generale, un «supporto duraturo», ma soltanto di dire se una pratica commerciale come quella di Content Services rispetti i requisiti imposti dalla direttiva in relazione all’obbligo di fornire certe informazioni su un supporto duraturo. In altri termini, non si chiede di fornire una definizione esaustiva della nozione, ma soltanto di dire se la messa a disposizione delle informazioni su una pagina web, accessibile mediante un link mostrato al consumatore prima di concludere il contratto, sia o meno una fornitura delle informazioni su un supporto duraturo.

17. Sebbene l’idea di dare una definizione esaustiva di «supporto duraturo» possa essere attraente, ritengo che la prospettiva «minimalista» implicitamente suggerita dal giudice del rinvio sia meritevole di essere seguita: più che dare una definizione generale e dettagliata è opportuno limitarsi a dire se, in circostanze come quelle del caso di specie, le condizioni per avere un supporto duraturo siano o meno rispettate. Più esattamente, una definizione generale può essere fornita, ma essa deve essere formulata in termini astratti, senza entrare nel dettaglio delle modalità tecnologiche con cui un supporto duraturo può essere realizzato. Non va infatti dimenticato che, in un settore come quello delle nuove tecnologie, imporre vincoli troppo restrittivi può produrre risultati negativi, e in ultima analisi danneggiare lo stesso consumatore. Ciò che importa è che le modalità tecnologiche per realizzare una determinata attività (ad esempio per concludere un contratto, o per fornire talune informazioni al consumatore) rispettino le indicazioni fornite dalla direttiva. Non è invece opportuno indicare in anticipo quali possano essere le modalità in questione, poiché nel giro di breve tempo gli sviluppi della tecnologia potrebbero introdurne di nuove, che ad oggi non sono immaginabili ma che potrebbero, in concreto, rispondere ancora meglio ai requisiti fissati dal legislatore.

IV – Valutazione

A – Considerazioni generali

18. È pacifico che Content Services non ha fornito ai suoi clienti, dopo la conclusione del contratto, una conferma specifica di tutte le informazioni ai sensi dell’articolo 5 della direttiva. Secondo tale società, tuttavia, una simile conferma non era necessaria, in quanto le modalità attraverso le quali le informazioni sono state messe a disposizione dei clienti ai sensi dell’articolo 4 soddisfano anche le caratteristiche imposte dall’articolo 5, in particolare quella di essere ricevute dal cliente su un «supporto duraturo»: in tal caso, come l’articolo 5 stesso prevede, una conferma ulteriore delle informazioni non è necessaria.

19. Come si è visto descrivendo i fatti, per concludere il contratto i potenziali clienti dovevano dichiarare esplicitamente, apponendo un segno di spunta in una casella prevista a tale proposito, di rinunciare al diritto di recesso e di accettare le condizioni generali di contratto. Le condizioni generali di contratto, la disciplina del diritto di recesso e l’informativa sul trattamento dei dati personali non erano mostrate sulla pagina stessa, ma era possibile visualizzarle cliccando su un link posto a fianco della casella di spunta dell’accettazione.

20. Non è contestato che le informazioni contenute nelle pagine web alle quali il potenziale cliente poteva accedere, prima di stipulare il contratto, cliccando sui link presenti sulla pagina di stipulazione, comprendevano tutte le informazioni richieste dagli articoli 4 e 5 della direttiva. Il giudice del rinvio sembra partire dal presupposto che tale modalità di presentazione sia sufficiente per soddisfare i requisiti dell’articolo 4, ma si chiede se essa basti anche ai sensi dell’articolo 5.

21. Secondo Content Services, naturalmente, la risposta deve essere affermativa. La messa a disposizione dei clienti delle informazioni su una pagina web alla quale i clienti stessi possono accedere sarebbe sufficiente, in particolare, per considerare le informazioni stesse come fornite su supporto duraturo ai sensi dell’articolo 5. Viceversa, secondo la Bundesarbeitskammer, la Commissione e la maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni, la semplice messa a disposizione delle informazioni al cliente mediante la possibilità di cliccare su un link al momento della conclusione di un contratto non è sufficiente per integrare i requisiti imposti dal predetto articolo.

22. Anticipo subito che, a mio avviso, la posizione di Content Services non può essere accolta: le modalità con cui essa ha messo a disposizione le informazioni non sono conformi a quanto imposto dall’articolo 5 della direttiva. Ne indicherò qui di seguito le ragioni.

B – I due aspetti dell’obbligo imposto dall’articolo 5

23. In generale, la direttiva richiede che la fornitura al cliente delle informazioni, ai sensi del suo articolo 5, possieda due caratteristiche fondamentali.

24. In primo luogo, il cliente deve «ricevere» le informazioni. Ciò implica, in particolare, che queste ultime gli siano trasmesse senza che egli debba in alcun modo assumere un ruolo attivo per ottenerle. A tale proposito, si deve anche rilevare che, nella maggioranza delle versioni linguistiche della direttiva, tale concetto è rafforzato dalla distinzione fatta tra le informazioni di cui all’articolo 4 – che devono essere semplicemente «messe a disposizione» del potenziale cliente (10) – e quelle di cui all’articolo 5, che questi deve invece «ricevere» (11). La versione italiana della direttiva, che parla di informazioni da «ricevere» in entrambe le disposizioni, è isolata in proposito, sebbene confermi anch’essa che le informazioni di cui all’articolo 5 devono essere fornite al cliente, e non semplicemente poste a sua disposizione.

25. Lo scopo della norma è chiaro: la direttiva impone che il consumatore entri in possesso di alcune informazioni, essenziali per far valere i suoi diritti, in modo automatico, senza doversi attivare in alcun modo. Molti consumatori, specie quelli meno avvertiti, godrebbero in caso contrario di un livello di tutela inferiore, non essendo necessariamente in grado di reperire, in caso di necessità, le informazioni in questione.

26. In secondo luogo, il cliente deve ottenere il controllo sulle informazioni che gli sono state fornite ai sensi dell’articolo 5. Questo è, a mio giudizio, lo scopo dell’obbligo di fornire le informazioni su un «supporto duraturo». Se infatti le informazioni fossero comunicate al cliente in modo effimero, è evidente che il livello di tutela riconosciuto al consumatore dalla direttiva sarebbe ridotto in modo significativo. Soltanto se le informazioni restano a sua disposizione con modalità affidabili e per un lasso di tempo adeguato il cliente può, se necessario, servirsene per far valere i propri diritti.

27. Le definizioni della nozione di «supporto duraturo» contenute nelle altre direttive che ho più sopra citato confermano che la protezione del consumatore è lo scopo della previsione relativa al supporto duraturo. In esse infatti, come si è potuto vedere, l’elemento essenziale è la possibilità, per il consumatore, di conservare, recuperare e riprodurre le informazioni per un periodo di tempo adeguato.

28. Del resto, come la stessa giurisprudenza della Corte ha messo in rilievo, la protezione del consumatore è uno dei pilastri della direttiva. In particolare, il diritto di recesso costituisce uno degli strumenti essenziali attraverso i quali tale protezione si realizza, e la direttiva ha lo scopo di garantire che esso sia effettivo per il consumatore (12).

29. Si deve dunque verificare se, nel presente caso, le informazioni previste dall’articolo 5 della direttiva siano state fornite al cliente nel rispetto delle due condizioni che ho appena indicato. Esaminerò ora separatamente la conformità a ciascuna di esse.

C – Sulla necessità che il cliente «riceva» le informazioni

30. Come ho rilevato più sopra, affinché l’articolo 5 della direttiva sia rispettato è indispensabile che il cliente «riceva» le informazioni, e cioè che ne venga in possesso senza doversi attivare in alcun modo a tal fine.

31. A questo proposito, ritengo che anche imporre al cliente, per poter visualizzare le informazioni necessarie, di cliccare su un link presente nella pagina web destinata alla conclusione del contratto, non soddisfi pienamente le condizioni dell’articolo 5. Per quanto infatti l’operazione consistente nel cliccare su un link non presenti in principio alcuna difficoltà particolare, rimane il fatto che essa presuppone un’azione volontaria del consumatore, e gli impone quindi un ruolo «attivo». Viceversa, come si è visto, lo spirito dell’articolo 5 è precisamente quello di far pervenire talune informazioni al consumatore anche in assenza di qualsiasi specifica attività svolta da quest’ultimo (tranne, evidentemente, quella che ha prodotto la conclusione del contratto).

32. Si deve anche tenere presente che, nell’ambito del commercio elettronico, fornire al cliente le informazioni richieste dall’articolo 5 della direttiva senza che egli debba svolgere alcuna azione particolare non presenta, in generale, alcuna difficoltà. Mi sembra del resto estremamente significativo il fatto che la stessa Content Services invii ai propri clienti, dopo la stipulazione del contratto, un messaggio e‑mail contenente, in particolare, la conferma della stipulazione e gli elementi necessari (nome utente e password) per connettersi al sito. Ebbene, è del tutto evidente che, ad esempio, non vi sarebbe alcuna difficoltà di tipo tecnico per inserire nel messaggio in questione anche le informazioni richieste dall’articolo 5.

33. Permettere agli operatori del commercio elettronico di imporre ai propri clienti di svolgere determinate attività per poter accedere alle informazioni di cui all’articolo 5 della direttiva, e ciò anche qualora ad essere imposto fosse soltanto l’utilizzo di un link mostrato al momento della conclusione del contratto, rischierebbe di aprire le porte a possibili abusi. È chiaro infatti che, sebbene cliccare su un link sia un’operazione del tutto banale, alla portata di qualunque utente di Internet, non tutti gli utenti sono in grado di rendersi conto, al momento della conclusione del contratto, della necessità di cliccare sul link al fine di poter, se necessario, meglio tutelare i propri diritti in futuro.

34. Nel presente caso manca, dunque, il primo dei due requisiti necessari per assicurare la conformità all’articolo 5 della direttiva: il consumatore non ha «ricevuto» le informazioni previste. Ciò sarebbe già sufficiente per fornire una risposta utile al giudice del rinvio. Per ragioni di completezza, tuttavia, esaminerò anche il secondo dei due requisiti imposti dalla norma citata.

D – Sulla necessità che le informazioni inviate siano poste sotto il controllo del cliente

35. Il secondo requisito imposto dall’articolo 5 è, come si è visto, legato alla nozione di «supporto duraturo»: l’obbligo di fornire le informazioni su un supporto duraturo risponde all’esigenza di fornire al consumatore le informazioni in un modo che gli consenta di utilizzarle, qualora necessario, per far valere i propri diritti.

36. Come si è visto, il legislatore ha fornito, in altri testi normativi, alcune definizioni della nozione di «supporto duraturo» le quali, sebbene non automaticamente applicabili qui, possono certamente essere d’aiuto. Non vi sono infatti ragioni per ritenere che esse facciano riferimento ad una nozione diversa rispetto a quella utilizzata nella direttiva 97/7/CE (13).

37. In particolare, tali definizioni mettono in evidenza taluni principi‑chiave, e specificamente la possibilità, per il cliente: a) di registrare o comunque conservare le informazioni; b) di accedere alle informazioni, in forma immutata, per un periodo di tempo «adeguato»; c) di riprodurre le informazioni senza alterazioni.

38. Si pone dunque il problema di indicare se un sito web possa – e, se sì, a quali condizioni – costituire un «supporto duraturo» ai sensi della direttiva. Come si è visto, infatti, Content Services rende disponibili le informazioni ai propri clienti soltanto su una pagina del sito opendownload.de.

39. La Corte di giustizia non ha ancora avuto modo di pronunciarsi sulla nozione di supporto duraturo. Di recente, tuttavia, il problema è stato affrontato dalla Corte EFTA, che ha preso posizione sulla questione con una sentenza del gennaio 2010 (14). In tale sentenza, la Corte EFTA ha affermato che, in principio, anche un sito web può essere un supporto duraturo, a condizione che siano rispettate tre condizioni cumulative. In primo luogo, il sito deve consentire al consumatore di conservare le informazioni che ha ricevuto. In secondo luogo, tale conservazione deve essere garantita per un tempo sufficientemente lungo: quale debba essere la durata della conservazione non può essere indicato in generale, ma deve essere determinato caso per caso. Infine, deve essere garantita, a tutela del cliente, la non modificabilità delle informazioni da parte del soggetto che le ha fornite.

40. Per quanto mi riguarda, ritengo che le considerazioni sviluppate dalla Corte EFTA nella decisione che ho appena richiamato siano in larga parte condivisibili.

41. È chiaro che non si può escludere, in linea di principio, che anche una pagina web possa rispettare le condizioni necessarie per essere considerata un supporto duraturo ai sensi della direttiva. La definizione di supporto duraturo contenuta nella direttiva 2002/92/CE, come si è visto più sopra, prevede ad esempio in modo esplicito che, se rispetta le condizioni precisate dalla definizione stessa, un sito web può essere qualificato come supporto duraturo; e ciò sebbene non sussista, a favore di un sito web, alcuna presunzione di conformità ai requisiti della norma, a differenza di quanto accade, ad esempio, per i CD-ROM e per i messaggi e‑mail. Di conseguenza, in ciascun caso concreto deve essere verificato se il sito web possieda o meno le caratteristiche necessarie.

42. Tali caratteristiche sono quelle che, come ho accennato più sopra, consentono di affermare che le informazioni sono poste sotto il controllo del cliente, e non più del soggetto che le fornisce. Come ha correttamente rilevato la Corte EFTA, ciò implica che le informazioni possano essere conservate da parte del cliente per un tempo sufficientemente lungo per far valere i propri diritti, e che le stesse non siano modificabili da parte del fornitore.

43. Le modalità tecniche in cui ciò può eventualmente avvenire devono essere valutate in ciascun caso concreto, e non spetta certo alla Corte indicarle qui. Rimane tuttavia il fatto che una comune pagina web, come quella sulla quale Content Services fornisce le informazioni ai suoi clienti, non soddisfa i requisiti indicati. Per la sua stessa natura, infatti, una normale pagina web non è posta sotto il controllo di colui che la consulta, ma di colui che la pubblica, il quale può, a suo piacimento, modificarla o cancellarla in ogni momento. Il fatto che il consumatore possa eventualmente attivarsi per stampare o registrare la pagina prima che essa possa essere modificata non cambia la situazione: in tal caso, infatti, il supporto duraturo (la versione stampata o registrata della pagina) sarebbe prodotto dal consumatore, e non dal venditore, come imposto invece dalla direttiva.

44. Di conseguenza, il sito della società Content Services non rispetta le indicazioni dell’articolo 5 della direttiva neppure per quanto riguarda la natura del supporto su cui le informazioni sono fornite al consumatore.

45. Prima di concludere, peraltro, non posso fare a meno di notare come, sebbene non si possa escludere, in generale, che una pagina web costituisca un «supporto duraturo» ai sensi della direttiva, potrebbe essere problematico individuare modalità in cui le informazioni contenute in una pagina web possano essere «ricevute» dal consumatore, come previsto dall’articolo 5. Come si è visto più sopra, infatti, tale norma impone che le informazioni siano fornite al cliente senza che questi debba attivarsi in alcun modo. Si dovrebbe verificare con attenzione la conformità alla direttiva della pratica di un venditore che dovesse inviare al cliente, dopo la conclusione del contratto, un messaggio e‑mail con, al suo interno, un link ad una pagina web contenente le informazioni: in tal caso infatti, anche ammettendo che la pagina web fosse un «supporto duraturo», si subordinerebbe l’accesso alle informazioni ad un’operazione attiva del consumatore (il fatto di cliccare su un link inviatogli). A prescindere dalla valutazione giuridica di una simile situazione, resta il fatto che molto più semplice, e sicuramente conforme allo spirito della direttiva, è invece includere le informazioni direttamente nel testo del messaggio e‑mail (15). Ciò sebbene, lo ripeto, non possa essere escluso a priori che si possano individuare specifiche modalità attraverso le quali le informazioni fornite su un sito web possano rispettare entrambi i requisiti fissati dall’articolo 5 della direttiva.

E – Riepilogo

46. Sintetizzando quanto ho fin qui osservato, le modalità di presentazione delle informazioni al cliente nella fattispecie all’origine del procedimento principale non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 5 della direttiva. In particolare, il fatto che al cliente siano fornite le informazioni soltanto su una pagina web, alla quale può accedere cliccando su un link mostratogli al momento di concludere il contratto, esclude sia che il cliente abbia «ricevuto» le informazioni, sia che le stesse gli siano state fornite su un «supporto duraturo».

V – Conclusioni

47. Alla luce delle considerazioni svolte, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale dell’Oberlandesgericht Wien nei termini seguenti:

«Non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, la messa a disposizione delle informazioni richieste dalla norma precitata su una pagina web alla quale il cliente può accedere selezionando un collegamento ipertestuale (link) mostratogli al momento della conclusione del contratto».

1 – Lingua originale: l’italiano.

2 – Direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU L 144, pag. 19).

3 – Ai sensi del suo articolo 14, infatti, gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe, finalizzate a garantire al consumatore un livello di tutela più elevato.

4 – Il testo italiano della direttiva utilizza, per le informazioni di cui all’articolo 4 e per quelle di cui all’articolo 5, il medesimo verbo «ricevere». Nella maggior parte delle altre versioni linguistiche, tuttavia, le informazioni di cui all’articolo 4 devono essere semplicemente «messe a disposizione» del consumatore, mentre solo per le informazioni di cui all’articolo 5 si indica che il consumatore le deve «ricevere». Cfr., ad esempio, le versioni francese, inglese, tedesca, spagnola ed olandese della direttiva. V. anche, più avanti, il paragrafo 24 delle presenti conclusioni.

5 – In verità, non in tutte le versioni linguistiche la nozione contenuta all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 97/7/CE ha lo stesso nome della nozione di cui altre direttive hanno dato una definizione. Ad esempio, il testo italiano delle norme che hanno definito la nozione non utilizza l’espressione «supporto duraturo», bensì quella «supporto durevole». Appare tuttavia evidente che il legislatore intendeva riferirsi al medesimo concetto, come testimonia anche l’esame comparato delle versioni linguistiche delle direttive che contengono una definizione, nella maggioranza delle quali la terminologia utilizzata è identica a quella contenuta nella direttiva 97/7/CE. V., ad esempio, le versioni inglese («durable medium»), francese («support durable»), tedesca («dauerhafter Datenträger») e spagnola («soporte duradero») dei testi citati.

6 – Direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU L 271, pag. 16).

7 – Direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sulla intermediazione assicurativa (GU L 9, pag. 3).

8 – Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304, pag. 64). L’abrogazione della direttiva 97/7/CE sarà effettiva alla data del 13 giugno 2014 (cfr. l’articolo 31 della direttiva 2011/83/UE).

9 – In particolare, ad esempio, è dubbio che sia legittima la «rinuncia» al diritto di recesso che Content Services impone ai suoi clienti. Stando alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, la posizione di Content Services in materia non è chiaramente definita. Tale società fa riferimento talvolta ad una rinuncia al diritto di recesso da parte del consumatore, e talvolta sostiene invece che il diritto di recesso non esisterebbe, per i suoi servizi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, primo trattino, della direttiva.

10 – V., ad esempio, le versioni francese («le consommateur doit bénéficier des informations suivantes»), inglese («the consumer shall be provided with the following information»), tedesca [«der Verbraucher muß (…) über folgende Informationen verfügen»], spagnola («el consumidor deberá disponer de la información siguiente»), olandese [«moet de consument (…) beschikken over de volgende informatie»].

11 – Come ha osservato la Commissione, il «fornire» le informazioni di cui parla lo stesso paragrafo 1 dell’articolo 5 è del tutto equivalente al «ricevere» contenuto nella prima parte di esso. A cambiare è semplicemente il punto di vista, che è quello del consumatore quando il legislatore parla di «ricevere», e del venditore/fornitore di servizi quando si parla di «fornire».

12 – V., ad esempio, sentenze del 3 settembre 2009, Messner (C‑489/07, Racc. pag. I‑7315, punto 19), e del 15 aprile 2010, Handelsgesellschaft Heinrich Heine (C‑511/08, Racc. pag. I‑3047, punto 54).

13 – V. più sopra, nota 5.

14 – Corte EFTA, sentenza del 27 gennaio 2010, Inconsult Anstalt (E‑4/09). La sentenza riguarda, per essere precisi, la direttiva 2002/92/CE. Come ho rilevato più sopra, tuttavia, non vi sono ragioni per ritenere che la nozione di «supporto duraturo» ivi contenuta differisca da quella della direttiva 97/7/CE.

15 – Si potrebbe osservare che, a seconda del tipo di servizio e‑mail utilizzato dal consumatore e del modo in cui egli vi accede, anche un messaggio trasmesso via e‑mail potrebbe non essere del tutto posto sotto il controllo del cliente che riceve le informazioni. Si pensi al caso di un servizio che offra la possibilità di consultare i messaggi di posta elettronica soltanto attraverso un’interfaccia web, senza possibilità di utilizzare protocolli (IMAP, POP, etc.) che consentano all’utente di trasferire una o più copie dei messaggi sui propri dispositivi elettronici (computer, smartphone, etc.). L’obiezione è tuttavia senza fondamento. La natura stessa del servizio di posta elettronica è finalizzata a far pervenire messaggi personali agli utenti: l’eventuale situazione di un utente che dovesse perdere il controllo sui suoi messaggi sarebbe dovuta, se non all’azione improvvida dell’utente stesso, al soggetto che fornisce il servizio e‑mail, e non al venditore che ha fornito le informazioni via e‑mail al proprio cliente. Non si può chiedere al venditore di evitare un mezzo di comunicazione solo perché il suo cliente potrebbe non usarlo correttamente, o non affidarsi ad un fornitore affidabile.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO Mengozzi

presentate il 6 marzo 2012 (1)

Causa C‑49/11

Content Services Ltd

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Bundesarbeitskammer

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Wien (Austria)]

1. La presente causa, che trova origine in un rinvio pregiudiziale dell’Oberlandesgericht di Vienna, permetterà alla Corte di precisare le modalità in cui i consumatori che stipulano contratti a distanza devono ricevere le informazioni previste dal diritto dell’Unione, e specificamente, in questo caso, dalla direttiva 97/7/CE (2) (in prosieguo anche: la «direttiva»). La direttiva prevede in particolare, al suo articolo 5, che dopo la conclusione di un contratto a distanza il consumatore debba «ricevere» la conferma di talune informazioni su un «supporto duraturo». Il problema sollevato dal giudice del rinvio è se si debbano considerare fornite al consumatore su supporto duraturo informazioni che sono disponibili sul sito del venditore e alle quali i consumatori possono accedere cliccando su un link mostrato loro al momento della conclusione del contratto.

I – Contesto normativo

2. La direttiva 97/7/CE contiene una serie di disposizioni minime (3) finalizzate a tutelare il consumatore nell’ambito dei contratti stipulati a distanza.

3. L’articolo 4 della direttiva prevede che al consumatore siano messe a disposizione (4), prima di stipulare il contratto a distanza, una serie di informazioni: esse riguardano, in particolare, l’identità del fornitore, le caratteristiche del bene o servizio venduto, il prezzo, le spese di consegna, le modalità di pagamento, l’esistenza del diritto di recesso.

4. L’articolo 5 è rubricato «Conferma scritta delle informazioni», e indica talune informazioni che il consumatore deve (nuovamente) ricevere, al momento dell’esecuzione del contratto, su un «supporto duraturo». Il testo della disposizione è il seguente:

«1. Il consumatore deve ricevere conferma per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile delle informazioni previste all’articolo 4, paragrafo 1, lettere da a) ad f), in tempo utile all’atto dell’esecuzione del contratto e al più tardi al momento della consegna per quanto riguarda i beni non destinati ad essere consegnati a terzi, a meno che esse non gli siano già state fornite, per iscritto o [su un] altro supporto duraturo, a sua disposizione ed a lui accessibile prima della conclusione del contratto.

(…)

2. Il paragrafo 1 non si applica ai servizi la cui esecuzione è effettuata mediante una tecnica di comunicazione a distanza, qualora siano forniti in un’unica soluzione e siano fatturati dall’operatore della tecnica di comunicazione. Ciò nondimeno, il consumatore deve comunque poter disporre dell’indirizzo geografico della sede del fornitore a cui può presentare reclami».

5. La direttiva non contiene una definizione di «supporto duraturo». Tale nozione è stata tuttavia definita dal legislatore dell’Unione in altri testi normativi (5). Indicherò ora i principali.

6. Ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2002/65/CE (6), il supporto duraturo è «qualsiasi strumento che permetta al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse, e che consenta la riproduzione immutata delle informazioni memorizzate».

7. Secondo l’articolo 2, punto 12, della direttiva 2002/92/CE (7), costituisce un supporto duraturo «qualsiasi mezzo che consenta al cliente di registrare le informazioni a lui personalmente destinate in modo che siano accessibili per la consultazione futura e riproducibili senza alterazioni durante un periodo di tempo commisurato ai fini cui sono preordinate». La medesima disposizione precisa inoltre, al comma successivo, che, in particolare, la nozione di supporto duraturo «comprende i dischetti informatici, i CD-ROM, i DVD e il disco fisso del computer del consumatore che tiene in memoria messaggi di posta elettronica, ma non comprende i siti web Internet, a meno che essi soddisfino i criteri di cui al primo paragrafo».

8. Infine, la nuova direttiva 2011/83/UE (8), che prenderà in futuro il posto anche della direttiva 97/7/CE, definisce il supporto duraturo, al punto 10 dell’articolo 2, come «ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate». La medesima direttiva, al suo considerando 23, indica che i supporti duraturi «dovrebbero permettere al consumatore di conservare le informazioni per il tempo ritenuto necessario ai fini della protezione dei suoi interessi», e che «dovrebbero rientrare tra detti supporti in particolare documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica».

II – Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

9. La società Content Services gestisce il sito Internet opendownload.de, redatto in lingua tedesca. Tale sito è accessibile, e i suoi servizi sono utilizzabili, anche da parte di utenti Internet localizzati in Austria. Si tratta di un sito attraverso il quale è possibile scaricare software gratuito o versioni di prova di software a pagamento. Risulta peraltro dal fascicolo che il server della società non ospita i file da scaricare, ma si limita a rinviare gli utilizzatori ai siti ufficiali dei produttori dei programmi. In altri termini, il sito opendownload.de è una raccolta di link relativi a programmi che sono liberamente disponibili in rete.

10. Al fine di poter utilizzare il sito, e quindi di scaricare i vari programmi utilizzando i link presenti su opendownload.de, è richiesta la stipulazione di un abbonamento, il cui costo, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, era di EUR 96 annuali. La conclusione del contratto avviene online, mediante la compilazione da parte del cliente di una pagina web interattiva nella quale, in particolare, egli dichiara, contrassegnando una casella con un segno di spunta, di accettare le condizioni generali di contratto e di rinunciare al diritto di recesso. Le informazioni previste dagli articoli 4 e 5 della direttiva, in particolare quelle relative al diritto di recesso, non sono direttamente mostrate al cliente, che può tuttavia visualizzarle cliccando su un link presente nella pagina di stipulazione del contratto.

11. Dopo aver concluso il contratto sul sito il cliente riceve un messaggio e‑mail contenente uno username e una password per utilizzare il sito opendownload.de. Nel messaggio non è contenuta alcuna indicazione, in particolare, relativamente al diritto di recesso. In seguito il cliente riceve una fattura in cui gli viene richiesto il pagamento di EUR 96 e gli si ricorda che ha rinunciato al diritto di recesso.

12. Il procedimento principale è stato avviato dalla Bundesarbeitskammer, ente titolare anche di funzioni di tutela dei consumatori: essa considera che la condotta commerciale di Content Services sia illegittima e che violi svariate norme imposte dal diritto dell’Unione e dal diritto nazionale a tutela dei consumatori.

13. Content Services, soccombente in primo grado, ha impugnato tale prima decisione dinanzi al giudice del rinvio. Ritenendo necessaria per la soluzione della controversia una pronuncia della Corte relativamente alla portata dell’articolo 5 della direttiva, tale giudice ha sospeso il procedimento e proposto la seguente questione pregiudiziale:

«Se risponda al requisito di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sui contratti a distanza, in base al quale il consumatore deve ricevere conferma delle informazioni ivi specificate su un supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile, a meno che esse non gli siano già state fornite al momento della conclusione del contratto su un supporto duraturo, a sua disposizione ed a lui accessibile, il fatto che tali informazioni siano messe a disposizione del consumatore sul sito dell’imprenditore attraverso un collegamento ipertestuale all’interno di un testo che il consumatore deve contrassegnare come letto, con l’apposizione di un segno di spunta, per aderire al rapporto contrattuale».

III – Osservazioni preliminari

14. La vicenda all’origine del procedimento principale è per molti versi curiosa, anche se non isolata. In particolare, nei paesi di lingua tedesca la stampa riferisce frequentemente di situazioni in cui alcuni utenti di internet, i quali erano alla ricerca di software liberamente disponibili, li hanno scaricati a partire da siti come quello gestito da Content Services, concludendo contratti di abbonamento senza neppure rendersene conto. In Austria, e soprattutto in Germania, il contenzioso legato a tali situazioni ha già prodotto una certa quantità di pronunce giurisprudenziali.

15. Le questioni giuridiche sollevate dalla presente vicenda sono, nel complesso, numerose ed interessanti (9). L’oggetto del rinvio pregiudiziale è tuttavia molto circoscritto, dal momento che concerne soltanto le modalità di comunicazione delle informazioni al cliente ai sensi dell’articolo 5 della direttiva: limiterò pertanto le mie considerazioni a tale specifico aspetto.

16. Rilevo, peraltro, che la questione pregiudiziale non chiede alla Corte di definire esattamente che cosa sia, in generale, un «supporto duraturo», ma soltanto di dire se una pratica commerciale come quella di Content Services rispetti i requisiti imposti dalla direttiva in relazione all’obbligo di fornire certe informazioni su un supporto duraturo. In altri termini, non si chiede di fornire una definizione esaustiva della nozione, ma soltanto di dire se la messa a disposizione delle informazioni su una pagina web, accessibile mediante un link mostrato al consumatore prima di concludere il contratto, sia o meno una fornitura delle informazioni su un supporto duraturo.

17. Sebbene l’idea di dare una definizione esaustiva di «supporto duraturo» possa essere attraente, ritengo che la prospettiva «minimalista» implicitamente suggerita dal giudice del rinvio sia meritevole di essere seguita: più che dare una definizione generale e dettagliata è opportuno limitarsi a dire se, in circostanze come quelle del caso di specie, le condizioni per avere un supporto duraturo siano o meno rispettate. Più esattamente, una definizione generale può essere fornita, ma essa deve essere formulata in termini astratti, senza entrare nel dettaglio delle modalità tecnologiche con cui un supporto duraturo può essere realizzato. Non va infatti dimenticato che, in un settore come quello delle nuove tecnologie, imporre vincoli troppo restrittivi può produrre risultati negativi, e in ultima analisi danneggiare lo stesso consumatore. Ciò che importa è che le modalità tecnologiche per realizzare una determinata attività (ad esempio per concludere un contratto, o per fornire talune informazioni al consumatore) rispettino le indicazioni fornite dalla direttiva. Non è invece opportuno indicare in anticipo quali possano essere le modalità in questione, poiché nel giro di breve tempo gli sviluppi della tecnologia potrebbero introdurne di nuove, che ad oggi non sono immaginabili ma che potrebbero, in concreto, rispondere ancora meglio ai requisiti fissati dal legislatore.

IV – Valutazione

A – Considerazioni generali

18. È pacifico che Content Services non ha fornito ai suoi clienti, dopo la conclusione del contratto, una conferma specifica di tutte le informazioni ai sensi dell’articolo 5 della direttiva. Secondo tale società, tuttavia, una simile conferma non era necessaria, in quanto le modalità attraverso le quali le informazioni sono state messe a disposizione dei clienti ai sensi dell’articolo 4 soddisfano anche le caratteristiche imposte dall’articolo 5, in particolare quella di essere ricevute dal cliente su un «supporto duraturo»: in tal caso, come l’articolo 5 stesso prevede, una conferma ulteriore delle informazioni non è necessaria.

19. Come si è visto descrivendo i fatti, per concludere il contratto i potenziali clienti dovevano dichiarare esplicitamente, apponendo un segno di spunta in una casella prevista a tale proposito, di rinunciare al diritto di recesso e di accettare le condizioni generali di contratto. Le condizioni generali di contratto, la disciplina del diritto di recesso e l’informativa sul trattamento dei dati personali non erano mostrate sulla pagina stessa, ma era possibile visualizzarle cliccando su un link posto a fianco della casella di spunta dell’accettazione.

20. Non è contestato che le informazioni contenute nelle pagine web alle quali il potenziale cliente poteva accedere, prima di stipulare il contratto, cliccando sui link presenti sulla pagina di stipulazione, comprendevano tutte le informazioni richieste dagli articoli 4 e 5 della direttiva. Il giudice del rinvio sembra partire dal presupposto che tale modalità di presentazione sia sufficiente per soddisfare i requisiti dell’articolo 4, ma si chiede se essa basti anche ai sensi dell’articolo 5.

21. Secondo Content Services, naturalmente, la risposta deve essere affermativa. La messa a disposizione dei clienti delle informazioni su una pagina web alla quale i clienti stessi possono accedere sarebbe sufficiente, in particolare, per considerare le informazioni stesse come fornite su supporto duraturo ai sensi dell’articolo 5. Viceversa, secondo la Bundesarbeitskammer, la Commissione e la maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni, la semplice messa a disposizione delle informazioni al cliente mediante la possibilità di cliccare su un link al momento della conclusione di un contratto non è sufficiente per integrare i requisiti imposti dal predetto articolo.

22. Anticipo subito che, a mio avviso, la posizione di Content Services non può essere accolta: le modalità con cui essa ha messo a disposizione le informazioni non sono conformi a quanto imposto dall’articolo 5 della direttiva. Ne indicherò qui di seguito le ragioni.

B – I due aspetti dell’obbligo imposto dall’articolo 5

23. In generale, la direttiva richiede che la fornitura al cliente delle informazioni, ai sensi del suo articolo 5, possieda due caratteristiche fondamentali.

24. In primo luogo, il cliente deve «ricevere» le informazioni. Ciò implica, in particolare, che queste ultime gli siano trasmesse senza che egli debba in alcun modo assumere un ruolo attivo per ottenerle. A tale proposito, si deve anche rilevare che, nella maggioranza delle versioni linguistiche della direttiva, tale concetto è rafforzato dalla distinzione fatta tra le informazioni di cui all’articolo 4 – che devono essere semplicemente «messe a disposizione» del potenziale cliente (10) – e quelle di cui all’articolo 5, che questi deve invece «ricevere» (11). La versione italiana della direttiva, che parla di informazioni da «ricevere» in entrambe le disposizioni, è isolata in proposito, sebbene confermi anch’essa che le informazioni di cui all’articolo 5 devono essere fornite al cliente, e non semplicemente poste a sua disposizione.

25. Lo scopo della norma è chiaro: la direttiva impone che il consumatore entri in possesso di alcune informazioni, essenziali per far valere i suoi diritti, in modo automatico, senza doversi attivare in alcun modo. Molti consumatori, specie quelli meno avvertiti, godrebbero in caso contrario di un livello di tutela inferiore, non essendo necessariamente in grado di reperire, in caso di necessità, le informazioni in questione.

26. In secondo luogo, il cliente deve ottenere il controllo sulle informazioni che gli sono state fornite ai sensi dell’articolo 5. Questo è, a mio giudizio, lo scopo dell’obbligo di fornire le informazioni su un «supporto duraturo». Se infatti le informazioni fossero comunicate al cliente in modo effimero, è evidente che il livello di tutela riconosciuto al consumatore dalla direttiva sarebbe ridotto in modo significativo. Soltanto se le informazioni restano a sua disposizione con modalità affidabili e per un lasso di tempo adeguato il cliente può, se necessario, servirsene per far valere i propri diritti.

27. Le definizioni della nozione di «supporto duraturo» contenute nelle altre direttive che ho più sopra citato confermano che la protezione del consumatore è lo scopo della previsione relativa al supporto duraturo. In esse infatti, come si è potuto vedere, l’elemento essenziale è la possibilità, per il consumatore, di conservare, recuperare e riprodurre le informazioni per un periodo di tempo adeguato.

28. Del resto, come la stessa giurisprudenza della Corte ha messo in rilievo, la protezione del consumatore è uno dei pilastri della direttiva. In particolare, il diritto di recesso costituisce uno degli strumenti essenziali attraverso i quali tale protezione si realizza, e la direttiva ha lo scopo di garantire che esso sia effettivo per il consumatore (12).

29. Si deve dunque verificare se, nel presente caso, le informazioni previste dall’articolo 5 della direttiva siano state fornite al cliente nel rispetto delle due condizioni che ho appena indicato. Esaminerò ora separatamente la conformità a ciascuna di esse.

C – Sulla necessità che il cliente «riceva» le informazioni

30. Come ho rilevato più sopra, affinché l’articolo 5 della direttiva sia rispettato è indispensabile che il cliente «riceva» le informazioni, e cioè che ne venga in possesso senza doversi attivare in alcun modo a tal fine.

31. A questo proposito, ritengo che anche imporre al cliente, per poter visualizzare le informazioni necessarie, di cliccare su un link presente nella pagina web destinata alla conclusione del contratto, non soddisfi pienamente le condizioni dell’articolo 5. Per quanto infatti l’operazione consistente nel cliccare su un link non presenti in principio alcuna difficoltà particolare, rimane il fatto che essa presuppone un’azione volontaria del consumatore, e gli impone quindi un ruolo «attivo». Viceversa, come si è visto, lo spirito dell’articolo 5 è precisamente quello di far pervenire talune informazioni al consumatore anche in assenza di qualsiasi specifica attività svolta da quest’ultimo (tranne, evidentemente, quella che ha prodotto la conclusione del contratto).

32. Si deve anche tenere presente che, nell’ambito del commercio elettronico, fornire al cliente le informazioni richieste dall’articolo 5 della direttiva senza che egli debba svolgere alcuna azione particolare non presenta, in generale, alcuna difficoltà. Mi sembra del resto estremamente significativo il fatto che la stessa Content Services invii ai propri clienti, dopo la stipulazione del contratto, un messaggio e‑mail contenente, in particolare, la conferma della stipulazione e gli elementi necessari (nome utente e password) per connettersi al sito. Ebbene, è del tutto evidente che, ad esempio, non vi sarebbe alcuna difficoltà di tipo tecnico per inserire nel messaggio in questione anche le informazioni richieste dall’articolo 5.

33. Permettere agli operatori del commercio elettronico di imporre ai propri clienti di svolgere determinate attività per poter accedere alle informazioni di cui all’articolo 5 della direttiva, e ciò anche qualora ad essere imposto fosse soltanto l’utilizzo di un link mostrato al momento della conclusione del contratto, rischierebbe di aprire le porte a possibili abusi. È chiaro infatti che, sebbene cliccare su un link sia un’operazione del tutto banale, alla portata di qualunque utente di Internet, non tutti gli utenti sono in grado di rendersi conto, al momento della conclusione del contratto, della necessità di cliccare sul link al fine di poter, se necessario, meglio tutelare i propri diritti in futuro.

34. Nel presente caso manca, dunque, il primo dei due requisiti necessari per assicurare la conformità all’articolo 5 della direttiva: il consumatore non ha «ricevuto» le informazioni previste. Ciò sarebbe già sufficiente per fornire una risposta utile al giudice del rinvio. Per ragioni di completezza, tuttavia, esaminerò anche il secondo dei due requisiti imposti dalla norma citata.

D – Sulla necessità che le informazioni inviate siano poste sotto il controllo del cliente

35. Il secondo requisito imposto dall’articolo 5 è, come si è visto, legato alla nozione di «supporto duraturo»: l’obbligo di fornire le informazioni su un supporto duraturo risponde all’esigenza di fornire al consumatore le informazioni in un modo che gli consenta di utilizzarle, qualora necessario, per far valere i propri diritti.

36. Come si è visto, il legislatore ha fornito, in altri testi normativi, alcune definizioni della nozione di «supporto duraturo» le quali, sebbene non automaticamente applicabili qui, possono certamente essere d’aiuto. Non vi sono infatti ragioni per ritenere che esse facciano riferimento ad una nozione diversa rispetto a quella utilizzata nella direttiva 97/7/CE (13).

37. In particolare, tali definizioni mettono in evidenza taluni principi‑chiave, e specificamente la possibilità, per il cliente: a) di registrare o comunque conservare le informazioni; b) di accedere alle informazioni, in forma immutata, per un periodo di tempo «adeguato»; c) di riprodurre le informazioni senza alterazioni.

38. Si pone dunque il problema di indicare se un sito web possa – e, se sì, a quali condizioni – costituire un «supporto duraturo» ai sensi della direttiva. Come si è visto, infatti, Content Services rende disponibili le informazioni ai propri clienti soltanto su una pagina del sito opendownload.de.

39. La Corte di giustizia non ha ancora avuto modo di pronunciarsi sulla nozione di supporto duraturo. Di recente, tuttavia, il problema è stato affrontato dalla Corte EFTA, che ha preso posizione sulla questione con una sentenza del gennaio 2010 (14). In tale sentenza, la Corte EFTA ha affermato che, in principio, anche un sito web può essere un supporto duraturo, a condizione che siano rispettate tre condizioni cumulative. In primo luogo, il sito deve consentire al consumatore di conservare le informazioni che ha ricevuto. In secondo luogo, tale conservazione deve essere garantita per un tempo sufficientemente lungo: quale debba essere la durata della conservazione non può essere indicato in generale, ma deve essere determinato caso per caso. Infine, deve essere garantita, a tutela del cliente, la non modificabilità delle informazioni da parte del soggetto che le ha fornite.

40. Per quanto mi riguarda, ritengo che le considerazioni sviluppate dalla Corte EFTA nella decisione che ho appena richiamato siano in larga parte condivisibili.

41. È chiaro che non si può escludere, in linea di principio, che anche una pagina web possa rispettare le condizioni necessarie per essere considerata un supporto duraturo ai sensi della direttiva. La definizione di supporto duraturo contenuta nella direttiva 2002/92/CE, come si è visto più sopra, prevede ad esempio in modo esplicito che, se rispetta le condizioni precisate dalla definizione stessa, un sito web può essere qualificato come supporto duraturo; e ciò sebbene non sussista, a favore di un sito web, alcuna presunzione di conformità ai requisiti della norma, a differenza di quanto accade, ad esempio, per i CD-ROM e per i messaggi e‑mail. Di conseguenza, in ciascun caso concreto deve essere verificato se il sito web possieda o meno le caratteristiche necessarie.

42. Tali caratteristiche sono quelle che, come ho accennato più sopra, consentono di affermare che le informazioni sono poste sotto il controllo del cliente, e non più del soggetto che le fornisce. Come ha correttamente rilevato la Corte EFTA, ciò implica che le informazioni possano essere conservate da parte del cliente per un tempo sufficientemente lungo per far valere i propri diritti, e che le stesse non siano modificabili da parte del fornitore.

43. Le modalità tecniche in cui ciò può eventualmente avvenire devono essere valutate in ciascun caso concreto, e non spetta certo alla Corte indicarle qui. Rimane tuttavia il fatto che una comune pagina web, come quella sulla quale Content Services fornisce le informazioni ai suoi clienti, non soddisfa i requisiti indicati. Per la sua stessa natura, infatti, una normale pagina web non è posta sotto il controllo di colui che la consulta, ma di colui che la pubblica, il quale può, a suo piacimento, modificarla o cancellarla in ogni momento. Il fatto che il consumatore possa eventualmente attivarsi per stampare o registrare la pagina prima che essa possa essere modificata non cambia la situazione: in tal caso, infatti, il supporto duraturo (la versione stampata o registrata della pagina) sarebbe prodotto dal consumatore, e non dal venditore, come imposto invece dalla direttiva.

44. Di conseguenza, il sito della società Content Services non rispetta le indicazioni dell’articolo 5 della direttiva neppure per quanto riguarda la natura del supporto su cui le informazioni sono fornite al consumatore.

45. Prima di concludere, peraltro, non posso fare a meno di notare come, sebbene non si possa escludere, in generale, che una pagina web costituisca un «supporto duraturo» ai sensi della direttiva, potrebbe essere problematico individuare modalità in cui le informazioni contenute in una pagina web possano essere «ricevute» dal consumatore, come previsto dall’articolo 5. Come si è visto più sopra, infatti, tale norma impone che le informazioni siano fornite al cliente senza che questi debba attivarsi in alcun modo. Si dovrebbe verificare con attenzione la conformità alla direttiva della pratica di un venditore che dovesse inviare al cliente, dopo la conclusione del contratto, un messaggio e‑mail con, al suo interno, un link ad una pagina web contenente le informazioni: in tal caso infatti, anche ammettendo che la pagina web fosse un «supporto duraturo», si subordinerebbe l’accesso alle informazioni ad un’operazione attiva del consumatore (il fatto di cliccare su un link inviatogli). A prescindere dalla valutazione giuridica di una simile situazione, resta il fatto che molto più semplice, e sicuramente conforme allo spirito della direttiva, è invece includere le informazioni direttamente nel testo del messaggio e‑mail (15). Ciò sebbene, lo ripeto, non possa essere escluso a priori che si possano individuare specifiche modalità attraverso le quali le informazioni fornite su un sito web possano rispettare entrambi i requisiti fissati dall’articolo 5 della direttiva.

E – Riepilogo

46. Sintetizzando quanto ho fin qui osservato, le modalità di presentazione delle informazioni al cliente nella fattispecie all’origine del procedimento principale non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 5 della direttiva. In particolare, il fatto che al cliente siano fornite le informazioni soltanto su una pagina web, alla quale può accedere cliccando su un link mostratogli al momento di concludere il contratto, esclude sia che il cliente abbia «ricevuto» le informazioni, sia che le stesse gli siano state fornite su un «supporto duraturo».

V – Conclusioni

47. Alla luce delle considerazioni svolte, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale dell’Oberlandesgericht Wien nei termini seguenti:

«Non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, la messa a disposizione delle informazioni richieste dalla norma precitata su una pagina web alla quale il cliente può accedere selezionando un collegamento ipertestuale (link) mostratogli al momento della conclusione del contratto».

1 – Lingua originale: l’italiano.

2 – Direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU L 144, pag. 19).

3 – Ai sensi del suo articolo 14, infatti, gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe, finalizzate a garantire al consumatore un livello di tutela più elevato.

4 – Il testo italiano della direttiva utilizza, per le informazioni di cui all’articolo 4 e per quelle di cui all’articolo 5, il medesimo verbo «ricevere». Nella maggior parte delle altre versioni linguistiche, tuttavia, le informazioni di cui all’articolo 4 devono essere semplicemente «messe a disposizione» del consumatore, mentre solo per le informazioni di cui all’articolo 5 si indica che il consumatore le deve «ricevere». Cfr., ad esempio, le versioni francese, inglese, tedesca, spagnola ed olandese della direttiva. V. anche, più avanti, il paragrafo 24 delle presenti conclusioni.

5 – In verità, non in tutte le versioni linguistiche la nozione contenuta all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 97/7/CE ha lo stesso nome della nozione di cui altre direttive hanno dato una definizione. Ad esempio, il testo italiano delle norme che hanno definito la nozione non utilizza l’espressione «supporto duraturo», bensì quella «supporto durevole». Appare tuttavia evidente che il legislatore intendeva riferirsi al medesimo concetto, come testimonia anche l’esame comparato delle versioni linguistiche delle direttive che contengono una definizione, nella maggioranza delle quali la terminologia utilizzata è identica a quella contenuta nella direttiva 97/7/CE. V., ad esempio, le versioni inglese («durable medium»), francese («support durable»), tedesca («dauerhafter Datenträger») e spagnola («soporte duradero») dei testi citati.

6 – Direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU L 271, pag. 16).

7 – Direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sulla intermediazione assicurativa (GU L 9, pag. 3).

8 – Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304, pag. 64). L’abrogazione della direttiva 97/7/CE sarà effettiva alla data del 13 giugno 2014 (cfr. l’articolo 31 della direttiva 2011/83/UE).

9 – In particolare, ad esempio, è dubbio che sia legittima la «rinuncia» al diritto di recesso che Content Services impone ai suoi clienti. Stando alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, la posizione di Content Services in materia non è chiaramente definita. Tale società fa riferimento talvolta ad una rinuncia al diritto di recesso da parte del consumatore, e talvolta sostiene invece che il diritto di recesso non esisterebbe, per i suoi servizi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, primo trattino, della direttiva.

10 – V., ad esempio, le versioni francese («le consommateur doit bénéficier des informations suivantes»), inglese («the consumer shall be provided with the following information»), tedesca [«der Verbraucher muß (…) über folgende Informationen verfügen»], spagnola («el consumidor deberá disponer de la información siguiente»), olandese [«moet de consument (…) beschikken over de volgende informatie»].

11 – Come ha osservato la Commissione, il «fornire» le informazioni di cui parla lo stesso paragrafo 1 dell’articolo 5 è del tutto equivalente al «ricevere» contenuto nella prima parte di esso. A cambiare è semplicemente il punto di vista, che è quello del consumatore quando il legislatore parla di «ricevere», e del venditore/fornitore di servizi quando si parla di «fornire».

12 – V., ad esempio, sentenze del 3 settembre 2009, Messner (C‑489/07, Racc. pag. I‑7315, punto 19), e del 15 aprile 2010, Handelsgesellschaft Heinrich Heine (C‑511/08, Racc. pag. I‑3047, punto 54).

13 – V. più sopra, nota 5.

14 – Corte EFTA, sentenza del 27 gennaio 2010, Inconsult Anstalt (E‑4/09). La sentenza riguarda, per essere precisi, la direttiva 2002/92/CE. Come ho rilevato più sopra, tuttavia, non vi sono ragioni per ritenere che la nozione di «supporto duraturo» ivi contenuta differisca da quella della direttiva 97/7/CE.

15 – Si potrebbe osservare che, a seconda del tipo di servizio e‑mail utilizzato dal consumatore e del modo in cui egli vi accede, anche un messaggio trasmesso via e‑mail potrebbe non essere del tutto posto sotto il controllo del cliente che riceve le informazioni. Si pensi al caso di un servizio che offra la possibilità di consultare i messaggi di posta elettronica soltanto attraverso un’interfaccia web, senza possibilità di utilizzare protocolli (IMAP, POP, etc.) che consentano all’utente di trasferire una o più copie dei messaggi sui propri dispositivi elettronici (computer, smartphone, etc.). L’obiezione è tuttavia senza fondamento. La natura stessa del servizio di posta elettronica è finalizzata a far pervenire messaggi personali agli utenti: l’eventuale situazione di un utente che dovesse perdere il controllo sui suoi messaggi sarebbe dovuta, se non all’azione improvvida dell’utente stesso, al soggetto che fornisce il servizio e‑mail, e non al venditore che ha fornito le informazioni via e‑mail al proprio cliente. Non si può chiedere al venditore di evitare un mezzo di comunicazione solo perché il suo cliente potrebbe non usarlo correttamente, o non affidarsi ad un fornitore affidabile.