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Individuazione della figura giuridica del dirigente nel Testo Unico di Sicurezza sul Lavoro

Persona che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. In tal modo l’articolo 2, comma 1, lettera d) del Testo Unico di Sicurezza sul Lavoro, introdotto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, definisce il dirigente, evidenziando di conseguenza come tale figura possa essere considerata la prima fonte di collaborazione del datore di lavoro (A. PORPORA, Il preposto, il datore di lavoro ed i dirigenti nella sicurezza sul lavoro, EPC, 2010, p. 40).

Il dirigente che organizza l’attività lavorativa, e adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro (Cass. Pen, Sez. IV, 05 giugno 2008, n. 22615, in Mass. Giur. Lav. Repertorio 2008, p. 96; F. STOLFA, Le definizioni, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Milano, Ipsoa, 2008, p. 77), deve essere in possesso di un elevato grado di professionalità che gli consente autonomia nella condivisione di funzioni e responsabilità datoriali, ma non gli dà la possibilità di sostituirsi al datore di lavoro.

I suoi adempimenti sono definiti nell’articolo 18 del Testo Unico e sono distinti da quelli del preposto sia nella normativa che nella prospettiva sanzionatoria, la quale, inoltre, già negli anni 50 (G.C. COSTAGLIOLA, A. CULOTTA, M. DI LECCE, Le norme di prevenzione per la sicurezza sul lavoro, 3° ed., Milano, Pirola, 1990, p. 71), dedicava articoli diversi alle contravvenzioni per datori e dirigenti da una parte e alle contravvenzioni per i preposti dall’altra; tutto ciò confermato nella disciplina attuale, dove l’articolo 55 del Decreto Legislativo del 2008 è dedicato alle sanzioni per datore di lavoro e dirigenti e l’articolo 56 del Testo Unico è dedicato alle sanzioni per il preposto (L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: orientamenti giurisprudenziali, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2004, 1, p. 138, nota 3; M. LEPORE, G. PROIA, Sicurezza e salute dei lavoratori (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani, XXVIII, Roma, 2006 – POSTILLA DI AGGIORNAMENTO).

Si rimarca in tal modo il carattere organizzativo del compito dirigenziale, omogeneo a quello datoriale, rispetto al compito preminentemente esecutivo del preposto (S. BERTOCCI, Gli adempimenti del datore di lavoro e del dirigente, in F. CARINCI, E. GRAGNOLI (a cura di), Codice commentato della sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2010, pp. 251).

Il dirigente, di conseguenza non è tenuto ad un controllo quotidiano sull’andamento delle lavorazioni, come invece spetta al preposto, il quale ha l’obbligo di sorvegliare sul campo che siano rispettate le norme antinfortunistiche, ma deve assicurare una sorveglianza di tipo generale (G. LAGEARD, M. GEBBIA, I soggetti penalmente responsabili in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, Il Sole 24 ore, Collana Ambiente & Sicurezza, 2008, p. 105), organizzativo, predisponendo tutti gli strumenti necessari alla prevenzione e alla protezione: deve, appunto, effettuare una supervisione (L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza , cit., pp. 139 – 140; R. GUARINIELLO, Rassegna della Cassazione, Dir. Prat. Lav., 2006, n. 13, pp. 747 – 748. In giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. III, 15 aprile 2005, n. 14017, in Mass. Giur. Lav., 2006, p. 198.).

La figura dirigenziale si differenzia, poi, da quella del datore di lavoro perché, pur dotato di poteri decisionali e di spesa (G. LAGEARD, M. GEBBIA, op. cit., p. 104; A. D’AVIRRO, P. LUCIBELLO, I soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro nell’impresa. Datori di lavoro, dirigenti, committenti, responsabili dei lavori e coordinatori, Giuffré, 2010, p. 47) non li può esercitare in piena autonomia e quindi non può essere considerato responsabile dell’organizzazione lavorativa, ossia delle “strategie gestionali dell’impresa” (A. D’AVIRRO, P. LUCIBELLO, op. cit., p. 47).

In definitiva, lo schema delle competenze preventive in una azienda risulta essere risulta essere questo: il datore elabora gli indirizzi, il dirigente, dotato di poteri gerarchici sui lavoratori, li attua, il preposto vigila sull’esecuzione (S. TORRIELLO, Il datore di lavoro, il dirigente, il preposto: la “triade soggettiva per la prevenzione”, in Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 2009, 3, I, p. 838; P. MASCIOCCHI, Il sistema di prevenzione dei reati e degli infortuni in tema di sicurezza sul lavoro, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2009, p. 177).

Così si spiega perché il dirigente sia escluso da alcuni obblighi indelegabili del datore di lavoro. Anzi, a prima lettura, al dirigente sembrerebbero non applicabili anche gli obblighi previsti dall’articolo 18, comma 2 del Testo Unico, nel quale è nominato il solo datore di lavoro. A ben analizzare, invece, nell’apparato sanzionatorio la violazione di questa norma è punita amministrativamente sia per il datore di lavoro che per il dirigente (articolo 55, comma 5, lettera g), da cui si desume che gli obblighi imposti incombono su entrambi. Invece per la violazione dell’art. 17 è punito esplicitamente solo il datore di lavoro (Cfr. art. 55, commi 1, 2, 3, 4: si tratta, in sostanza di propri obblighi esclusivi, nota 82, così M. D’APOTE, A. OLEOTTI, Manuale della Sicurezza, sicurezza sul lavoro, Napoli, Simone, 2009, p. 110).

Sostanzialmente, però, si può dire, nonostante qualche differenza, che l’obbligo della salvaguardia della sicurezza appartenga a tutte e due le figure (C. BERNASCONI, Gli altri garanti della sicurezza sul lavoro, in F. GIUNTA, D. MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, Giuffrè, 2010, p. 66; L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza, op. cit., pp. 138 – 139).

Se, tuttavia, questo in teoria è vero, nella pratica l’ampiezza del ruolo dirigenziale dovrà essere valutata tramite criterio delle “competenze e attribuzioni” (articolo 18, comma 1, del Testo Unico). Infatti le competenze discendono dalla qualifica rivestita, le attribuzioni sono poteri aggiuntivi concessi al datore di lavoro (F. STOLFA, Le definizioni, cit., 225).

inoltre la sua funzione dirigenziale andrà misurata “in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli” (articolo 2, comma 1, lett. c).

Di conseguenza dai dirigenti definiti dal Testo Unico vanno esclusi quei soggetti apicali che non esercitino funzioni attinenti alla salute e sicurezza, ad esempio dirigenti del settore amministrativo o commerciale (G. LAGEARD, M. GEBBIA, op. cit., p. 105; A. D’AVIRRO, op. cit., 48; L. GALANTINO, Il Testo Unico novellato in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro: note introduttive, in L. GALANTINO (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2009, p. 20).

Può capitare, inoltre, che in aziende di modeste dimensioni quadri o anche impiegati di concetto, spesso dei tecnici, assumano il ruolo dirigenziale ai fini della prevenzione, avendo ricevuto “ampi poteri decisionali nell’ambito degli indirizzi generali fissati dal datore di lavoro” (F. STOLFA, Le definizioni, cit., p. 78), ne consegue che la figura del dirigente oltre la qualifica formale, andrà quindi verificata nella pratica, potendo essere considerato tale anche un lavoratore autonomo o addirittura un soggetto estraneo all’organigramma aziendale se, in base a precisi indici, si dimostri che questi svolga concretamente funzioni dirigenziali (P. CAMPANELLA, La riforma del sistema prevenzionistico: le definizioni (art. 2, D.lgs. 9.4.2008, n. 81), in F. CARINCI, E. GRAGNOLI (a cura di),Codice commentato della sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2010, pp.94- 95; C. BERNASCONI, Gli altri garanti, cit., p. 67; G. LAGEART, M. GEBBIA, I soggetti, cit., p. 104. In giurisp. Cass. Pen., Sez. IV, 26 giugno 2000, n. 7386, in Ambiente & Sicurezza sul Lavoro, 2003, 4, p. 77. Sul punto, anche A. GAITO, M. RONCO (a cura di), Leggi penali complementari commentate, Torino, UTET, 2009, p. 3182).

Ciò sarà possibile quando siano riscontrabili comportamenti ricorrenti, costanti e specifici dai quali desumersi l’effettivo esercizio di funzioni dirigenziali (A. PADULA, Tutela civile e penale della sicurezza sul lavoro, 4° ed., Padova, CEDAM, 2010, p. 43).

E’ quindi chiaro che, come in area datoriale, esiste un distacco tra una definizione di dirigente a fini lavoristici ed una a fini prevenzionali: quest’ultima è pertanto una definizione strettamente collegata all’assetto dell’organizzazione d’azienda (M. ZALIN, Datore, dirigente e preposto: dal TU le nuove definizioni per la qualifica formale, in A&S, 2008, 12, pp. 13 -14).

Come altre volte, quindi, anche in questo caso viene richiesta una accurata analisi sulla specifica organizzazione aziendale, indagine che è basata sul principio che l’effettività supera l’inquadramento formale, per cui il concreto esercizio di poteri e attribuzioni che rende un soggetto responsabile, non la sola attribuzione della qualifica (P. CAMPANELLA, La riforma, cit., p. 95; L. GALANTINO, Il testo unico novellato, cit., p. 20, F. BASENGHI, La ripartizione intersoggettiva del debito di sicurezza, in GALANTINO LUISA (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2009, p. 92, M. R. GENTILE, I dirigenti e i preposti, in M. TIRABOSCHI, L. FANTINI (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.Lgs. n. 106/2009), Milano, Giuffrè, 2009, p. 326).

Del resto ciò viene confermato dall’ indirizzo della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, 6 febbraio 2004, n. 4981) che stabilisce che chi è investito, sotto qualsiasi forma e con qualunque qualifica, dei poteri di direzione e di organizzazione di un settore aziendale è tenuto, nell’ambito delle sue attribuzioni, ad adottare le iniziative necessarie a garantire la sicurezza (In Dir. Prat. lav., 2004, 1919. Quindi, dirigenti e preposti, qualora abbiano poteri decisionali e di spesa, dovranno altresì provvedere alla messa in sicurezza degli ambienti e degli impianti, mentre ove non ne siano dotati, saranno tenuto a segnalare al datore di lavoro l’esigenza di provvedere).

Una parte della dottrina, infatti, ritiene, in contrasto apparente con il principio di effettività di cui all’art. 299 T.U. che il dirigente necessiterebbe di una investitura formale sulla base dell’art. 2 nella parte in cui si parla di “natura dell’incarico conferitogli” (A. GIULIANI, Dirigenti, preposti e delega di funzioni, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), La nuova sicurezza in azienda. Commentario al Titolo I del D. Lgs. n. 81/2008, Milano, IPSOA-INDICITALIA, 2008, pp. 116-117).

Questo chiarimento è molto importante specialmente per le grandi imprese attuali, nelle quali si assiste al moltiplicarsi di figure dirigenziali, anche a diverso livello per cui l’accertamento dell’effettivo e concreto modello endoaziendale di ripartizione delle competenze è deciso per l’attribuzione dello status dirigenziale ai fini della sicurezza (M.R. GENTILE, I dirigenti, op. cit., p. 326).

Così, si potrà avere un dirigente responsabile per la manutenzione, un altro per l’adozione dei dispositivi di protezione, un altro ancora per l’organizzazione e la ripartizione del lavoro, i quali potrebbero anche essere gerarchizzati, fermo restando che nel dirigente di grado inferiore permanga una parte del potere decisionale (F. BASENGHI, La ripartizione intersoggettiva, cit. 92 - 93; G. LAGEARD – M. GEBBIA, I soggetti, cit., 105; Cass. 25 febbraio 1994, n. 1899, in Dir. Prat. Lav., 1994, 1610).

Si può tuttavia notare come tale approccio potrebbe ridimensionarsi in quanto, secondo l’attuale normativa, il datore di lavoro deve formare i dirigenti e fornire loro indicazioni adeguate all’interno del DUVR. Peraltro, come ovvio, il documento di valutazione dei rischi riporta un organigramma che non costituisce nuove ed autonome posizioni di garanzia, ma le individua all’interno dell’organigramma aziendale.

Da tutto ciò, appare confermato che il dirigente condivide in modo solidale con il datore di lavoro “la responsabilità sia per l’eventuale inadempimento degli obblighi posti, che per l’inadeguatezza in chiave prevenzionistica delle norme di sicurezza predisposte (S. BERTOCCI, Gli adempimenti, cit., 251).

In pratica, il dirigente deve cooperare con il datore per garantire il rispetto della disciplina della sicurezza, essendovi una “condivisione” degli oneri (A. PADULA, Tutela civile, cit., p. 41; S. TORRIELLO, Il datore di lavoro, cit., p. 837).

Del resto, la stessa congiunzione “e” nella elencazione degli obblighi datoriali e dirigenziali (articolo 18, comma 1) indica una garanzia solidale, tranne in occasione in cui venga dimostrato che la violazione di un obbligo sia stata decisa dal solo dirigente, senza alcuna partecipazione del datore di lavoro che, peraltro, abbia svolto una idonea vigilanza (F. STOLFA, cit., p. 223).

Ancora di più nella c.d. “Sentenza Galeazzi” (Cass. Pen., Sez. IV, 6 febbraio 2004, n. 4981, cit.), troviamo che i dirigenti, se dotati di poteri decisionali o di spesa, devono, nei limiti delle loro funzioni, provvedere alla messa in sicurezza degli ambienti di lavoro e degli impianti; in caso contrario, devono “segnalare al datore di lavoro l’esigenza di provvedere” adottando in ogni caso tutte quelle cautele, anche parziali, che rientrano nella loro disponibilità (Sul punto, in dottrina, si v. F. STOLFA, Il ruolo del datore di lavoro e dei dirigenti, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Milano, Ipsoa, 2008, p. 224; G. LAGEARD, M. GEBBIA , I soggetti, op. cit., p. 106).

Aggiungiamo poi che, sebbene il dirigente per definizione deve seguire le direttive datoriali, la giurisprudenza ritiene che questo non debba avvenire quando le disposizioni impartite siano in contrasto con la disciplina preventiva, in modo che l’esecuzione non può essere invocata come causa di giustificazione (G. LAGEARD, M. GEBBIA, I soggetti, op. cit., p. 106).

Tale condivisione viene naturalmente ridimensionata nel caso in cui il dirigente assommi in sé le proprie competenze (iure proprio) e quelle trasferite dal datore di lavoro, attraverso una delega funzionale che rafforzi la condizione del dirigente quale alter ego del datore di lavoro, ipotesi frequente, ma pur sempre eventuale (L. FANTINI, Tutela della salute, cit., p. 139; F. BACCHINI, Misure di tutela ed obblighi, in Igiene e Sicurezza del Lavoro (ISL), 2008, 5, p. 259; G. LAGEARD, M. GEBBIA., I soggetti, op. cit., p. 106).

Particolare è il caso del dirigente nel settore pubblico, il quale potrà assumere direttamente il ruolo di datore di lavoro, se individuato come tale (A. GAITO, M. RONCO (a cura di), Leggi penali, op. cit., p. 3182), possibilità ammessa anche nel settore privato, qualora il dirigente sia responsabile di una autonoma unità produttiva.

Definito dal Testo Unico del 2008 come la persona che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”, il dirigente costituisce il primo collaboratore del datore di lavoro nell’ambito della disciplina antinfortunistica, in quanto è colui che organizza l’attività lavorativa, adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro. Allo stesso tempo, è tenuto ad un dovere di sorveglianza inerente alla attuazione delle direttive impartite da parte dei lavoratori, seppur non costante e sul campo, come il preposto, ma in termini più generali.

Garante a titolo originario della sicurezza, come il datore di lavoro, si distingue da tale figura proprio perchè, pur dotato di poteri gestionali e di impresa, non li può esercitare in piena autonomia e quindi non può essere considerato responsabile dell’organizzazione lavorativa, delle strategie gestionali dell’impresa.

Persona che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. In tal modo l’articolo 2, comma 1, lettera d) del Testo Unico di Sicurezza sul Lavoro, introdotto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, definisce il dirigente, evidenziando di conseguenza come tale figura possa essere considerata la prima fonte di collaborazione del datore di lavoro (A. PORPORA, Il preposto, il datore di lavoro ed i dirigenti nella sicurezza sul lavoro, EPC, 2010, p. 40).

Il dirigente che organizza l’attività lavorativa, e adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro (Cass. Pen, Sez. IV, 05 giugno 2008, n. 22615, in Mass. Giur. Lav. Repertorio 2008, p. 96; F. STOLFA, Le definizioni, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Milano, Ipsoa, 2008, p. 77), deve essere in possesso di un elevato grado di professionalità che gli consente autonomia nella condivisione di funzioni e responsabilità datoriali, ma non gli dà la possibilità di sostituirsi al datore di lavoro.

I suoi adempimenti sono definiti nell’articolo 18 del Testo Unico e sono distinti da quelli del preposto sia nella normativa che nella prospettiva sanzionatoria, la quale, inoltre, già negli anni 50 (G.C. COSTAGLIOLA, A. CULOTTA, M. DI LECCE, Le norme di prevenzione per la sicurezza sul lavoro, 3° ed., Milano, Pirola, 1990, p. 71), dedicava articoli diversi alle contravvenzioni per datori e dirigenti da una parte e alle contravvenzioni per i preposti dall’altra; tutto ciò confermato nella disciplina attuale, dove l’articolo 55 del Decreto Legislativo del 2008 è dedicato alle sanzioni per datore di lavoro e dirigenti e l’articolo 56 del Testo Unico è dedicato alle sanzioni per il preposto (L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: orientamenti giurisprudenziali, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2004, 1, p. 138, nota 3; M. LEPORE, G. PROIA, Sicurezza e salute dei lavoratori (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani, XXVIII, Roma, 2006 – POSTILLA DI AGGIORNAMENTO).

Si rimarca in tal modo il carattere organizzativo del compito dirigenziale, omogeneo a quello datoriale, rispetto al compito preminentemente esecutivo del preposto (S. BERTOCCI, Gli adempimenti del datore di lavoro e del dirigente, in F. CARINCI, E. GRAGNOLI (a cura di), Codice commentato della sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2010, pp. 251).

Il dirigente, di conseguenza non è tenuto ad un controllo quotidiano sull’andamento delle lavorazioni, come invece spetta al preposto, il quale ha l’obbligo di sorvegliare sul campo che siano rispettate le norme antinfortunistiche, ma deve assicurare una sorveglianza di tipo generale (G. LAGEARD, M. GEBBIA, I soggetti penalmente responsabili in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, Il Sole 24 ore, Collana Ambiente & Sicurezza, 2008, p. 105), organizzativo, predisponendo tutti gli strumenti necessari alla prevenzione e alla protezione: deve, appunto, effettuare una supervisione (L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza , cit., pp. 139 – 140; R. GUARINIELLO, Rassegna della Cassazione, Dir. Prat. Lav., 2006, n. 13, pp. 747 – 748. In giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. III, 15 aprile 2005, n. 14017, in Mass. Giur. Lav., 2006, p. 198.).

La figura dirigenziale si differenzia, poi, da quella del datore di lavoro perché, pur dotato di poteri decisionali e di spesa (G. LAGEARD, M. GEBBIA, op. cit., p. 104; A. D’AVIRRO, P. LUCIBELLO, I soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro nell’impresa. Datori di lavoro, dirigenti, committenti, responsabili dei lavori e coordinatori, Giuffré, 2010, p. 47) non li può esercitare in piena autonomia e quindi non può essere considerato responsabile dell’organizzazione lavorativa, ossia delle “strategie gestionali dell’impresa” (A. D’AVIRRO, P. LUCIBELLO, op. cit., p. 47).

In definitiva, lo schema delle competenze preventive in una azienda risulta essere risulta essere questo: il datore elabora gli indirizzi, il dirigente, dotato di poteri gerarchici sui lavoratori, li attua, il preposto vigila sull’esecuzione (S. TORRIELLO, Il datore di lavoro, il dirigente, il preposto: la “triade soggettiva per la prevenzione”, in Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 2009, 3, I, p. 838; P. MASCIOCCHI, Il sistema di prevenzione dei reati e degli infortuni in tema di sicurezza sul lavoro, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2009, p. 177).

Così si spiega perché il dirigente sia escluso da alcuni obblighi indelegabili del datore di lavoro. Anzi, a prima lettura, al dirigente sembrerebbero non applicabili anche gli obblighi previsti dall’articolo 18, comma 2 del Testo Unico, nel quale è nominato il solo datore di lavoro. A ben analizzare, invece, nell’apparato sanzionatorio la violazione di questa norma è punita amministrativamente sia per il datore di lavoro che per il dirigente (articolo 55, comma 5, lettera g), da cui si desume che gli obblighi imposti incombono su entrambi. Invece per la violazione dell’art. 17 è punito esplicitamente solo il datore di lavoro (Cfr. art. 55, commi 1, 2, 3, 4: si tratta, in sostanza di propri obblighi esclusivi, nota 82, così M. D’APOTE, A. OLEOTTI, Manuale della Sicurezza, sicurezza sul lavoro, Napoli, Simone, 2009, p. 110).

Sostanzialmente, però, si può dire, nonostante qualche differenza, che l’obbligo della salvaguardia della sicurezza appartenga a tutte e due le figure (C. BERNASCONI, Gli altri garanti della sicurezza sul lavoro, in F. GIUNTA, D. MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, Giuffrè, 2010, p. 66; L. FANTINI, Tutela della salute e della sicurezza, op. cit., pp. 138 – 139).

Se, tuttavia, questo in teoria è vero, nella pratica l’ampiezza del ruolo dirigenziale dovrà essere valutata tramite criterio delle “competenze e attribuzioni” (articolo 18, comma 1, del Testo Unico). Infatti le competenze discendono dalla qualifica rivestita, le attribuzioni sono poteri aggiuntivi concessi al datore di lavoro (F. STOLFA, Le definizioni, cit., 225).

inoltre la sua funzione dirigenziale andrà misurata “in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli” (articolo 2, comma 1, lett. c).

Di conseguenza dai dirigenti definiti dal Testo Unico vanno esclusi quei soggetti apicali che non esercitino funzioni attinenti alla salute e sicurezza, ad esempio dirigenti del settore amministrativo o commerciale (G. LAGEARD, M. GEBBIA, op. cit., p. 105; A. D’AVIRRO, op. cit., 48; L. GALANTINO, Il Testo Unico novellato in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro: note introduttive, in L. GALANTINO (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2009, p. 20).

Può capitare, inoltre, che in aziende di modeste dimensioni quadri o anche impiegati di concetto, spesso dei tecnici, assumano il ruolo dirigenziale ai fini della prevenzione, avendo ricevuto “ampi poteri decisionali nell’ambito degli indirizzi generali fissati dal datore di lavoro” (F. STOLFA, Le definizioni, cit., p. 78), ne consegue che la figura del dirigente oltre la qualifica formale, andrà quindi verificata nella pratica, potendo essere considerato tale anche un lavoratore autonomo o addirittura un soggetto estraneo all’organigramma aziendale se, in base a precisi indici, si dimostri che questi svolga concretamente funzioni dirigenziali (P. CAMPANELLA, La riforma del sistema prevenzionistico: le definizioni (art. 2, D.lgs. 9.4.2008, n. 81), in F. CARINCI, E. GRAGNOLI (a cura di),Codice commentato della sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2010, pp.94- 95; C. BERNASCONI, Gli altri garanti, cit., p. 67; G. LAGEART, M. GEBBIA, I soggetti, cit., p. 104. In giurisp. Cass. Pen., Sez. IV, 26 giugno 2000, n. 7386, in Ambiente & Sicurezza sul Lavoro, 2003, 4, p. 77. Sul punto, anche A. GAITO, M. RONCO (a cura di), Leggi penali complementari commentate, Torino, UTET, 2009, p. 3182).

Ciò sarà possibile quando siano riscontrabili comportamenti ricorrenti, costanti e specifici dai quali desumersi l’effettivo esercizio di funzioni dirigenziali (A. PADULA, Tutela civile e penale della sicurezza sul lavoro, 4° ed., Padova, CEDAM, 2010, p. 43).

E’ quindi chiaro che, come in area datoriale, esiste un distacco tra una definizione di dirigente a fini lavoristici ed una a fini prevenzionali: quest’ultima è pertanto una definizione strettamente collegata all’assetto dell’organizzazione d’azienda (M. ZALIN, Datore, dirigente e preposto: dal TU le nuove definizioni per la qualifica formale, in A&S, 2008, 12, pp. 13 -14).

Come altre volte, quindi, anche in questo caso viene richiesta una accurata analisi sulla specifica organizzazione aziendale, indagine che è basata sul principio che l’effettività supera l’inquadramento formale, per cui il concreto esercizio di poteri e attribuzioni che rende un soggetto responsabile, non la sola attribuzione della qualifica (P. CAMPANELLA, La riforma, cit., p. 95; L. GALANTINO, Il testo unico novellato, cit., p. 20, F. BASENGHI, La ripartizione intersoggettiva del debito di sicurezza, in GALANTINO LUISA (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, Torino, UTET, 2009, p. 92, M. R. GENTILE, I dirigenti e i preposti, in M. TIRABOSCHI, L. FANTINI (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.Lgs. n. 106/2009), Milano, Giuffrè, 2009, p. 326).

Del resto ciò viene confermato dall’ indirizzo della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, 6 febbraio 2004, n. 4981) che stabilisce che chi è investito, sotto qualsiasi forma e con qualunque qualifica, dei poteri di direzione e di organizzazione di un settore aziendale è tenuto, nell’ambito delle sue attribuzioni, ad adottare le iniziative necessarie a garantire la sicurezza (In Dir. Prat. lav., 2004, 1919. Quindi, dirigenti e preposti, qualora abbiano poteri decisionali e di spesa, dovranno altresì provvedere alla messa in sicurezza degli ambienti e degli impianti, mentre ove non ne siano dotati, saranno tenuto a segnalare al datore di lavoro l’esigenza di provvedere).

Una parte della dottrina, infatti, ritiene, in contrasto apparente con il principio di effettività di cui all’art. 299 T.U. che il dirigente necessiterebbe di una investitura formale sulla base dell’art. 2 nella parte in cui si parla di “natura dell’incarico conferitogli” (A. GIULIANI, Dirigenti, preposti e delega di funzioni, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), La nuova sicurezza in azienda. Commentario al Titolo I del D. Lgs. n. 81/2008, Milano, IPSOA-INDICITALIA, 2008, pp. 116-117).

Questo chiarimento è molto importante specialmente per le grandi imprese attuali, nelle quali si assiste al moltiplicarsi di figure dirigenziali, anche a diverso livello per cui l’accertamento dell’effettivo e concreto modello endoaziendale di ripartizione delle competenze è deciso per l’attribuzione dello status dirigenziale ai fini della sicurezza (M.R. GENTILE, I dirigenti, op. cit., p. 326).

Così, si potrà avere un dirigente responsabile per la manutenzione, un altro per l’adozione dei dispositivi di protezione, un altro ancora per l’organizzazione e la ripartizione del lavoro, i quali potrebbero anche essere gerarchizzati, fermo restando che nel dirigente di grado inferiore permanga una parte del potere decisionale (F. BASENGHI, La ripartizione intersoggettiva, cit. 92 - 93; G. LAGEARD – M. GEBBIA, I soggetti, cit., 105; Cass. 25 febbraio 1994, n. 1899, in Dir. Prat. Lav., 1994, 1610).

Si può tuttavia notare come tale approccio potrebbe ridimensionarsi in quanto, secondo l’attuale normativa, il datore di lavoro deve formare i dirigenti e fornire loro indicazioni adeguate all’interno del DUVR. Peraltro, come ovvio, il documento di valutazione dei rischi riporta un organigramma che non costituisce nuove ed autonome posizioni di garanzia, ma le individua all’interno dell’organigramma aziendale.

Da tutto ciò, appare confermato che il dirigente condivide in modo solidale con il datore di lavoro “la responsabilità sia per l’eventuale inadempimento degli obblighi posti, che per l’inadeguatezza in chiave prevenzionistica delle norme di sicurezza predisposte (S. BERTOCCI, Gli adempimenti, cit., 251).

In pratica, il dirigente deve cooperare con il datore per garantire il rispetto della disciplina della sicurezza, essendovi una “condivisione” degli oneri (A. PADULA, Tutela civile, cit., p. 41; S. TORRIELLO, Il datore di lavoro, cit., p. 837).

Del resto, la stessa congiunzione “e” nella elencazione degli obblighi datoriali e dirigenziali (articolo 18, comma 1) indica una garanzia solidale, tranne in occasione in cui venga dimostrato che la violazione di un obbligo sia stata decisa dal solo dirigente, senza alcuna partecipazione del datore di lavoro che, peraltro, abbia svolto una idonea vigilanza (F. STOLFA, cit., p. 223).

Ancora di più nella c.d. “Sentenza Galeazzi” (Cass. Pen., Sez. IV, 6 febbraio 2004, n. 4981, cit.), troviamo che i dirigenti, se dotati di poteri decisionali o di spesa, devono, nei limiti delle loro funzioni, provvedere alla messa in sicurezza degli ambienti di lavoro e degli impianti; in caso contrario, devono “segnalare al datore di lavoro l’esigenza di provvedere” adottando in ogni caso tutte quelle cautele, anche parziali, che rientrano nella loro disponibilità (Sul punto, in dottrina, si v. F. STOLFA, Il ruolo del datore di lavoro e dei dirigenti, in L. ZOPPOLI, P. PASCUCCI, G. NATULLO (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Milano, Ipsoa, 2008, p. 224; G. LAGEARD, M. GEBBIA , I soggetti, op. cit., p. 106).

Aggiungiamo poi che, sebbene il dirigente per definizione deve seguire le direttive datoriali, la giurisprudenza ritiene che questo non debba avvenire quando le disposizioni impartite siano in contrasto con la disciplina preventiva, in modo che l’esecuzione non può essere invocata come causa di giustificazione (G. LAGEARD, M. GEBBIA, I soggetti, op. cit., p. 106).

Tale condivisione viene naturalmente ridimensionata nel caso in cui il dirigente assommi in sé le proprie competenze (iure proprio) e quelle trasferite dal datore di lavoro, attraverso una delega funzionale che rafforzi la condizione del dirigente quale alter ego del datore di lavoro, ipotesi frequente, ma pur sempre eventuale (L. FANTINI, Tutela della salute, cit., p. 139; F. BACCHINI, Misure di tutela ed obblighi, in Igiene e Sicurezza del Lavoro (ISL), 2008, 5, p. 259; G. LAGEARD, M. GEBBIA., I soggetti, op. cit., p. 106).

Particolare è il caso del dirigente nel settore pubblico, il quale potrà assumere direttamente il ruolo di datore di lavoro, se individuato come tale (A. GAITO, M. RONCO (a cura di), Leggi penali, op. cit., p. 3182), possibilità ammessa anche nel settore privato, qualora il dirigente sia responsabile di una autonoma unità produttiva.

Definito dal Testo Unico del 2008 come la persona che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”, il dirigente costituisce il primo collaboratore del datore di lavoro nell’ambito della disciplina antinfortunistica, in quanto è colui che organizza l’attività lavorativa, adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro. Allo stesso tempo, è tenuto ad un dovere di sorveglianza inerente alla attuazione delle direttive impartite da parte dei lavoratori, seppur non costante e sul campo, come il preposto, ma in termini più generali.

Garante a titolo originario della sicurezza, come il datore di lavoro, si distingue da tale figura proprio perchè, pur dotato di poteri gestionali e di impresa, non li può esercitare in piena autonomia e quindi non può essere considerato responsabile dell’organizzazione lavorativa, delle strategie gestionali dell’impresa.