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Quando l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni diventa estorsione

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 16 novembre 2011 (ud. 06-10-2011), 42042

Massima

La violenza o minaccia esercitata per far valere un diritto riferibile ad un negozio illecito costituisce estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Sintesi del caso

Si tratta del ricorso in Cassazione avverso una sentenza di primo grado che aveva condannato due soggetti

a) per concorso nel reato di estorsione aggravata (artt. 110 e 81 cpv c.p. e art. 629 c.p., comma 2) perchè, mediante violenza e minaccia, commessa anche con un coltellino, costringevano due altri soggetti a consegnare loro Euro 50 quale acconto di una maggior somma richiesta;

e limitatamente ad uno dei due imputati

b) anche per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish in favore di S.E. (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1).

Quesito da risolvere

- la problematica distinzione tra il reato di estorsione e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni;

- applicazioni dei reati di cui sopra nel campo dello spaccio e consumo di stupefacenti.

Normativa

- art. 629 c.p.

- art. 393 c.p.

- art. 110 c.p.

- art. 81 cpv c.p.

- art. 629, comma 2, c.p.

Nota esplicativa

I ricorrenti hanno proposto interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè si è pervenuti necessariamente nel terzo grado di giudizio di merito.

Le due parti offese erano apparse credibili in quanto avevano denunciato l’accaduto solo perchè interrogati dai carabinieri e risultavano pienamente attendibili, sia perchè le loro dichiarazioni erano prive di sostanziali incoerenze e sia perchè erano riscontrate dalla deposizione di un teste e documentate dal traffico registrato sui tabulati telefonici. I fatti denunciati integravano gli estremi del delitto di estorsione consumata ed aggravata perchè una delle vittime era stata costretta a versare la somma di denaro dopo avere subìto un’aggressione da parte dei due imputati, nel corso della quale uno dei due imputati aveva tenuto bloccato con la minaccia di un coltellino l’amico della vittima presente ai fatti.

La Cassazione ha ritenuto le motivazioni della Corte di merito congrue in quanto fondate sulla piena attendibilità delle parti offese, immuni da illogicità perché ricognitive di tutti i parametri del delitto di estorsione aggravata e consumata, così come contestata; di contro i motivi di ricorso risultano sostanzialmente generici e si risolvono in interpretazioni alternative delle medesime prove, inammissibili in sede di legittimità, potendo al massimo la Cassazione valutare non tanto l’affidabilità delle fonti di prova, quanto piuttosto stabilire - nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Secondo tale pronuncia la motivazione della Corte d’Appello risulta congrua anche riguardo al pieno concorso di entrambi gli imputati nell’azione estorsiva, compiuta mediante l’esercizio congiunto di violenza da parte di uno e di minaccia da parte di un altro, il che dimostra la piena corresponsabilità degli imputati nel reato, restando irrilevante la circostanza che il denaro sia stato poi consegnato solo ad uno in assenza del secondo in quanto l’evento è in stretto rapporto causale con l’azione congiunta dei due imputati.

Si è affermato il principio per il quale il reato di estorsione (art. 629 c.p.) si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona (art. 393 c.p.) per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice. Tale presupposto non ricorre invece laddove il titolo della pretesa si fondi su un negozio illecito, e quindi nullo ex art. 1343 c.c., come tale non azionabile dinanzi a un giudice e non idoneo a ottenere qualsiasi tutela giurisdizionale.

In materia di stupefacenti, relativamente alla pretesa finalizzata ad ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita.

La sentenza si è occupata anche di analizzare motivi relativi al trattamento sanzionatorio e alla concessione o diniego delle circostanze attenuanti generiche, che in questa nota esulano dalle questioni principali.

Dottrina

Il reato di estorsione - di cui all’art. 629 c.p. - si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona – di cui all’art. 393 c.p. - per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice.

In materia di stupefacenti, relativamente alla pretesa finalizzata ad ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita.

Giova altresì ricordare la differenziazione logica e concettuale tra estorsione ed altri reati sul piano dell’efficacia di mezzo e quella tra coazione assoluta (che può derivare anche da minaccia) e relativa (che può derivare anche da violenza) (MANTOVANI).

Sentenze difformi e/o precedenti conformi

- Cassazione penale, sez. II, 2004 n. 47972

- Cassazione penale, sez. II, 2006 n. 12982

- Cassazione penale, sez. IV, 2007 n. 12255

- Cassazione penale, sez. II, 2007 n. 14440



Testo sentenza

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 16-11-2011, n. 42042

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Torino, con decisione del 04.06.2010, riformava solo quanto alla pena (che veniva diminuita) la sentenza emessa in data 19.11.2009 dal Gup presso il Tribunale di Verbania che aveva condannato:

C.G. E M.F.:

A)-per concorso nel reato di estorsione aggravata (artt. 110 e 81 cpv c.p. e art. 629 c.p., comma 2) perchè, mediante violenza e minaccia, commessa anche con un coltellino, costringevano S. E. e B.M. a consegnare loro Euro 50 quale acconto di una maggior somma richiesta;

il solo C., anche:

B)-per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish in favore di S.E. (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1).

Fatti commessi dal maggio al (OMISSIS);

Ricorrono per cassazione gli imputati con: MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), d) ed e).

Con motivi sostanzialmente coincidenti i ricorrenti deducono:

1)-la nullità della sentenza per omessa motivazione riguardo ai motivi di appello con i quali si era sottolineato che le versioni delle parti offese ed anche quelle degli altri testi non erano coincidenti tra loro; la Corte di appello non aveva considerato che la discrasia esistente tra le varie prove non consentiva di ritenere la penale responsabilità degli imputati secondo il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio;

2)-erroneamente non erano state concesse le attenuanti generiche e la pena era comunque eccessiva;

3)-la sentenza era nulla per illogicità della motivazione e violazione di legge nella parte in cui non aveva inquadrato la fattispecie nell’ambito del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, atteso che gli imputati avevano esercitato la violenza e minaccia per rientrare in possesso di una somma che essi avevano prestato al S. per l’acquisto di hashish e ritenevano così di esercitare un diritto;

4)-la sentenza era incorsa in violazione di legge per non avere rilevato che nella specie ricorreva l’ipotesi del tentativo, atteso che il C. aveva ottenuto una somma inferiore a quella richiesta;

-il solo C., inoltre:

5)-censurava la sentenza impugnata per omessa assunzione della prova decisiva consistente nell’accertamento dell’identità di due ragazze che accompagnavano gli imputati, osservando che tale accertamento avrebbe consentito di far emergere altre incongruenze nelle dichiarazioni delle parti offese B. e S.;

-il solo M., inoltre:

6)-censurava la sentenza impugnata per non aver considerato che il ricorrente non era presente nel momento in cui il S. aveva versato il denaro al C.; nei suoi confronti pertanto il reato non sussisteva ovvero non si era mai consumato;

CHIEDONO l’annullamento della sentenza impugnata

Motivi della decisione

I ricorrenti propongono interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte territoriale ha evidenziato:

-che le due parti offese erano di per sè credibili in quanto avevano denunciato l’accaduto solo perchè interrogati dai carabinieri e risultavano pienamente attendibili, sia perchè le loro dichiarazioni erano prive di sostanziali discrasie e sia perchè erano riscontrate dalla deposizione del teste Ci.Le. nonchè dal traffico registrato sui tabulati telefonici;

-che i fatti denunciati integravano gli estremi del delitto di estorsione consumata ed aggravata perchè il S. era stato costretto a versare al C. la somma di Euro 50 dopo avere subito un’aggressione da parte dei due imputati, nel corso della quale il C. aveva percosso con un ceffone il S. ed il M. aveva tenuto bloccato con la minaccia di un coltellino tale B.M., amico della vittima e presente ai fatti.

Si tratta di motivazioni congrue:

-perchè fondate sulla piena attendibilità delle parti offese, non incrinata dalla modeste discrasie riscontrate dalla difesa, ed:

-immuni da illogicità in quanto ricognitive di tutti i parametri del delitto di estorsione aggravata e consumata, così come contestata;

al riguardo i motivi di ricorso risultano sostanzialmente generici e si risolvono in interpretazioni alternative delle medesime prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire - nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. (Cassazione penale sez. 4 29 gennaio 2007 n. 12255).

I ricorrenti deducono la violazione di legge per non avere ritenuto il delitto di tentato, ma il motivo si scontra con la motivazione impugnata che sottolinea il fatto per altro non controverso, dell’effettiva dazione della somma di Euro 50 a fronte del quale dato resta ininfluente la circostanza che la iniziale richiesta abbia riguardato una somma maggiore; (Cassazione penale, sez. 2, 16/02/1988).

La motivazione impugnata risulta congrua anche riguardo al pieno concorso di entrambi gli imputati nell’azione estorsiva, compiuta mediante l’esercizio congiunto:

-di violenza da parte del C. e - di minaccia da parte del M., con il che la Corte territoriale ha congruamente dimostrato la piena corresponsabilità degli imputati nel reato, restando irrilevante la circostanza che il denaro sia stato poi consegnato al solo C. (in assenza del M.) avendo la Corte territoriale sottolineato come l’evento sia in stretto rapporto causale con l’azione congiunta dei due imputati.

Così del pari risulta infondato il motivo riguardo al mancato inquadramento del fatto nell’ambito dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, atteso che gli stessi ricorrenti sostengono di avere avuto l’intenzione di recuperare del denaro da essi prestato al C. per l’acquisto di droga (vedi motivi di ricorso ove si richiama l’interrogatorio del M. in data 23.12.2008).

Invero, la Giurisprudenza anche di questa sezione ha affermato il principio per il quale il reato di estorsione (art. 629 c.p.) si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona (art. 393 c.p.) per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice.

Tale presupposto non ricorre allorchè il titolo della pretesa si fonda su un negozio illecito, e quindi nullo ex art. 1343 c.c., come tale non azionabile dinanzi a un giudice e non idoneo a ottenere qualsiasi tutela giurisdizionale.

Ciò che si verifica, ad esempio, in materia di droga, relativamente alla pretesa finalizzata a ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, giacchè il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita. (Cassazione penale, sez. 2 15/02/2007 n. 14440).

Con altro motivo si lamenta la mancata acquisizione, da parte dei giudici di merito, di una prova decisiva, consistente nell’individuazione delle due ragazze che si accompagnavano con i due imputati, sostenendo che tale prova era necessaria per evidenziare le discrasie esistenti nelle dichiarazioni delle due parti lese, avendo ciascuno di esse indicato quelle ragazze con nomi diversi.

Si tratta di un motivo generico e come tale inammissibile;

invero i ricorrenti avrebbero dovuto proporre un motivo specifico, indicando in maniera concreta in qual modo l’indagine in oggetto avrebbe potuto determinare un esito diverso del giudizio, consistendo proprio in questo il concetto di prova decisiva.

Per prova decisiva, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti "determinante" per un esito diverso del processo, e non anche quella che possa incidere solamente su aspetti secondari della motivazione ovvero sulla valutazione di affermazioni testimoniali da sole non considerate fondanti della decisione prescelta. (Cassazione penale sez. 6, 02 aprile 2008 n. 18747).

Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche; atteso che riguardo alla pena si è richiamata la gravità del fatto e riguardo alle attenuanti generiche si è fatto riferimento ai precedenti penali degli imputati.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290).

Consegue il rigetto di ricorsi e la condanna dei ricorrenti alle spese, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p..

Massima

La violenza o minaccia esercitata per far valere un diritto riferibile ad un negozio illecito costituisce estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Sintesi del caso

Si tratta del ricorso in Cassazione avverso una sentenza di primo grado che aveva condannato due soggetti

a) per concorso nel reato di estorsione aggravata (artt. 110 e 81 cpv c.p. e art. 629 c.p., comma 2) perchè, mediante violenza e minaccia, commessa anche con un coltellino, costringevano due altri soggetti a consegnare loro Euro 50 quale acconto di una maggior somma richiesta;

e limitatamente ad uno dei due imputati

b) anche per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish in favore di S.E. (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1).

Quesito da risolvere

- la problematica distinzione tra il reato di estorsione e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni;

- applicazioni dei reati di cui sopra nel campo dello spaccio e consumo di stupefacenti.

Normativa

- art. 629 c.p.

- art. 393 c.p.

- art. 110 c.p.

- art. 81 cpv c.p.

- art. 629, comma 2, c.p.

Nota esplicativa

I ricorrenti hanno proposto interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè si è pervenuti necessariamente nel terzo grado di giudizio di merito.

Le due parti offese erano apparse credibili in quanto avevano denunciato l’accaduto solo perchè interrogati dai carabinieri e risultavano pienamente attendibili, sia perchè le loro dichiarazioni erano prive di sostanziali incoerenze e sia perchè erano riscontrate dalla deposizione di un teste e documentate dal traffico registrato sui tabulati telefonici. I fatti denunciati integravano gli estremi del delitto di estorsione consumata ed aggravata perchè una delle vittime era stata costretta a versare la somma di denaro dopo avere subìto un’aggressione da parte dei due imputati, nel corso della quale uno dei due imputati aveva tenuto bloccato con la minaccia di un coltellino l’amico della vittima presente ai fatti.

La Cassazione ha ritenuto le motivazioni della Corte di merito congrue in quanto fondate sulla piena attendibilità delle parti offese, immuni da illogicità perché ricognitive di tutti i parametri del delitto di estorsione aggravata e consumata, così come contestata; di contro i motivi di ricorso risultano sostanzialmente generici e si risolvono in interpretazioni alternative delle medesime prove, inammissibili in sede di legittimità, potendo al massimo la Cassazione valutare non tanto l’affidabilità delle fonti di prova, quanto piuttosto stabilire - nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Secondo tale pronuncia la motivazione della Corte d’Appello risulta congrua anche riguardo al pieno concorso di entrambi gli imputati nell’azione estorsiva, compiuta mediante l’esercizio congiunto di violenza da parte di uno e di minaccia da parte di un altro, il che dimostra la piena corresponsabilità degli imputati nel reato, restando irrilevante la circostanza che il denaro sia stato poi consegnato solo ad uno in assenza del secondo in quanto l’evento è in stretto rapporto causale con l’azione congiunta dei due imputati.

Si è affermato il principio per il quale il reato di estorsione (art. 629 c.p.) si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona (art. 393 c.p.) per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice. Tale presupposto non ricorre invece laddove il titolo della pretesa si fondi su un negozio illecito, e quindi nullo ex art. 1343 c.c., come tale non azionabile dinanzi a un giudice e non idoneo a ottenere qualsiasi tutela giurisdizionale.

In materia di stupefacenti, relativamente alla pretesa finalizzata ad ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita.

La sentenza si è occupata anche di analizzare motivi relativi al trattamento sanzionatorio e alla concessione o diniego delle circostanze attenuanti generiche, che in questa nota esulano dalle questioni principali.

Dottrina

Il reato di estorsione - di cui all’art. 629 c.p. - si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona – di cui all’art. 393 c.p. - per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice.

In materia di stupefacenti, relativamente alla pretesa finalizzata ad ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita.

Giova altresì ricordare la differenziazione logica e concettuale tra estorsione ed altri reati sul piano dell’efficacia di mezzo e quella tra coazione assoluta (che può derivare anche da minaccia) e relativa (che può derivare anche da violenza) (MANTOVANI).

Sentenze difformi e/o precedenti conformi

- Cassazione penale, sez. II, 2004 n. 47972

- Cassazione penale, sez. II, 2006 n. 12982

- Cassazione penale, sez. IV, 2007 n. 12255

- Cassazione penale, sez. II, 2007 n. 14440



Testo sentenza

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 16-11-2011, n. 42042

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Torino, con decisione del 04.06.2010, riformava solo quanto alla pena (che veniva diminuita) la sentenza emessa in data 19.11.2009 dal Gup presso il Tribunale di Verbania che aveva condannato:

C.G. E M.F.:

A)-per concorso nel reato di estorsione aggravata (artt. 110 e 81 cpv c.p. e art. 629 c.p., comma 2) perchè, mediante violenza e minaccia, commessa anche con un coltellino, costringevano S. E. e B.M. a consegnare loro Euro 50 quale acconto di una maggior somma richiesta;

il solo C., anche:

B)-per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish in favore di S.E. (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1).

Fatti commessi dal maggio al (OMISSIS);

Ricorrono per cassazione gli imputati con: MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), d) ed e).

Con motivi sostanzialmente coincidenti i ricorrenti deducono:

1)-la nullità della sentenza per omessa motivazione riguardo ai motivi di appello con i quali si era sottolineato che le versioni delle parti offese ed anche quelle degli altri testi non erano coincidenti tra loro; la Corte di appello non aveva considerato che la discrasia esistente tra le varie prove non consentiva di ritenere la penale responsabilità degli imputati secondo il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio;

2)-erroneamente non erano state concesse le attenuanti generiche e la pena era comunque eccessiva;

3)-la sentenza era nulla per illogicità della motivazione e violazione di legge nella parte in cui non aveva inquadrato la fattispecie nell’ambito del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, atteso che gli imputati avevano esercitato la violenza e minaccia per rientrare in possesso di una somma che essi avevano prestato al S. per l’acquisto di hashish e ritenevano così di esercitare un diritto;

4)-la sentenza era incorsa in violazione di legge per non avere rilevato che nella specie ricorreva l’ipotesi del tentativo, atteso che il C. aveva ottenuto una somma inferiore a quella richiesta;

-il solo C., inoltre:

5)-censurava la sentenza impugnata per omessa assunzione della prova decisiva consistente nell’accertamento dell’identità di due ragazze che accompagnavano gli imputati, osservando che tale accertamento avrebbe consentito di far emergere altre incongruenze nelle dichiarazioni delle parti offese B. e S.;

-il solo M., inoltre:

6)-censurava la sentenza impugnata per non aver considerato che il ricorrente non era presente nel momento in cui il S. aveva versato il denaro al C.; nei suoi confronti pertanto il reato non sussisteva ovvero non si era mai consumato;

CHIEDONO l’annullamento della sentenza impugnata

Motivi della decisione

I ricorrenti propongono interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte territoriale ha evidenziato:

-che le due parti offese erano di per sè credibili in quanto avevano denunciato l’accaduto solo perchè interrogati dai carabinieri e risultavano pienamente attendibili, sia perchè le loro dichiarazioni erano prive di sostanziali discrasie e sia perchè erano riscontrate dalla deposizione del teste Ci.Le. nonchè dal traffico registrato sui tabulati telefonici;

-che i fatti denunciati integravano gli estremi del delitto di estorsione consumata ed aggravata perchè il S. era stato costretto a versare al C. la somma di Euro 50 dopo avere subito un’aggressione da parte dei due imputati, nel corso della quale il C. aveva percosso con un ceffone il S. ed il M. aveva tenuto bloccato con la minaccia di un coltellino tale B.M., amico della vittima e presente ai fatti.

Si tratta di motivazioni congrue:

-perchè fondate sulla piena attendibilità delle parti offese, non incrinata dalla modeste discrasie riscontrate dalla difesa, ed:

-immuni da illogicità in quanto ricognitive di tutti i parametri del delitto di estorsione aggravata e consumata, così come contestata;

al riguardo i motivi di ricorso risultano sostanzialmente generici e si risolvono in interpretazioni alternative delle medesime prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire - nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. (Cassazione penale sez. 4 29 gennaio 2007 n. 12255).

I ricorrenti deducono la violazione di legge per non avere ritenuto il delitto di tentato, ma il motivo si scontra con la motivazione impugnata che sottolinea il fatto per altro non controverso, dell’effettiva dazione della somma di Euro 50 a fronte del quale dato resta ininfluente la circostanza che la iniziale richiesta abbia riguardato una somma maggiore; (Cassazione penale, sez. 2, 16/02/1988).

La motivazione impugnata risulta congrua anche riguardo al pieno concorso di entrambi gli imputati nell’azione estorsiva, compiuta mediante l’esercizio congiunto:

-di violenza da parte del C. e - di minaccia da parte del M., con il che la Corte territoriale ha congruamente dimostrato la piena corresponsabilità degli imputati nel reato, restando irrilevante la circostanza che il denaro sia stato poi consegnato al solo C. (in assenza del M.) avendo la Corte territoriale sottolineato come l’evento sia in stretto rapporto causale con l’azione congiunta dei due imputati.

Così del pari risulta infondato il motivo riguardo al mancato inquadramento del fatto nell’ambito dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, atteso che gli stessi ricorrenti sostengono di avere avuto l’intenzione di recuperare del denaro da essi prestato al C. per l’acquisto di droga (vedi motivi di ricorso ove si richiama l’interrogatorio del M. in data 23.12.2008).

Invero, la Giurisprudenza anche di questa sezione ha affermato il principio per il quale il reato di estorsione (art. 629 c.p.) si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona (art. 393 c.p.) per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso, soltanto per far valere un diritto esistente e azionabile dinanzi a un giudice.

Tale presupposto non ricorre allorchè il titolo della pretesa si fonda su un negozio illecito, e quindi nullo ex art. 1343 c.c., come tale non azionabile dinanzi a un giudice e non idoneo a ottenere qualsiasi tutela giurisdizionale.

Ciò che si verifica, ad esempio, in materia di droga, relativamente alla pretesa finalizzata a ottenere la restituzione del denaro dovuto o consegnato per l’acquisto di una fornitura di sostanza stupefacente, giacchè il "contratto" relativo all’acquisto di droga ha causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e, in quanto tale, non è azionabile davanti al giudice e comporta comunque, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’irripetibilità della prestazione eventualmente eseguita. (Cassazione penale, sez. 2 15/02/2007 n. 14440).

Con altro motivo si lamenta la mancata acquisizione, da parte dei giudici di merito, di una prova decisiva, consistente nell’individuazione delle due ragazze che si accompagnavano con i due imputati, sostenendo che tale prova era necessaria per evidenziare le discrasie esistenti nelle dichiarazioni delle due parti lese, avendo ciascuno di esse indicato quelle ragazze con nomi diversi.

Si tratta di un motivo generico e come tale inammissibile;

invero i ricorrenti avrebbero dovuto proporre un motivo specifico, indicando in maniera concreta in qual modo l’indagine in oggetto avrebbe potuto determinare un esito diverso del giudizio, consistendo proprio in questo il concetto di prova decisiva.

Per prova decisiva, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti "determinante" per un esito diverso del processo, e non anche quella che possa incidere solamente su aspetti secondari della motivazione ovvero sulla valutazione di affermazioni testimoniali da sole non considerate fondanti della decisione prescelta. (Cassazione penale sez. 6, 02 aprile 2008 n. 18747).

Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche; atteso che riguardo alla pena si è richiamata la gravità del fatto e riguardo alle attenuanti generiche si è fatto riferimento ai precedenti penali degli imputati.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290).

Consegue il rigetto di ricorsi e la condanna dei ricorrenti alle spese, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p..