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Sponsorizzazioni sportive-inerenza e congruità

SOMMARIO

1. Il caso;

1.1. L’avviso di accertamento;

1.2. Il contenzioso;

2. Alcune considerazioni;

2.1. Normativa applicabile alle spese di sponsorizzazione;

2.2. Interpretazione letterale;

2.2.1. L’articolo 109 del TUIR;

2.2.2 L’articolo 108, 2° comma del TUIR;

2.3. Orientamento ministeriale;

2.4. Orientamento giurisprudenziale ;

2.5. Conclusione;

3. Antieconomicità ed onere della prova secondo la giurisprudenza più recente;

4. Spunti per il contribuente: documentazione per l’operatività e per la difesa

nella verifica e nel ricorso;

4.1. Argomentazioni difensive e trasmissione all’amministrazione finanziaria di

documenti falsi.

1. Il caso.

Ad una società del settore delle lavorazioni meccaniche è stato notificato avviso di accertamento con cui veniva contestata la carente documentazione, l’inerenza delle spese di sponsorizzazione e la loro antieconomicità, in quanto sproporzionate rispetto all’utile.

1.1. L’avviso di accertamento.

Insufficiente documentazione.

Tale rilievo concerneva la sponsorizzazione di una società di calcio e si basava sul fatto che l’accordo era privo di data certa e di completa identificazione delle parti. Pertanto, la spesa avrebbe dovuto essere considerata come di rappresentanza e non promozionale.

Mancanza di inerenza.

La seconda contestazione riguardava la sponsorizzazione di una scuderia automobilistica indeducibile per difetto di inerenza, ai sensi dell’articolo 75, 5° comma, in quanto non necessaria, né funzionale all’attività d’impresa.

Antieconomicità.

Infine, il costo sostenuto, rapportato all’utile, si appalesava antieconomico, essendo la società verificata esclusivamente terzista ed essendo la clientela costante nel tempo.

1.2. Il contenzioso.

Primo grado.

La società propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale incardinando la propria difesa sui seguenti punti:

1. Inquadramento delle spese di sponsorizzazione tra quelle pubblicitarie, in quanto, nella specie, il mezzo pubblicitario ha avuto lo scopo di promuovere il nome ed il marchio della società, con conseguente applicazione dell’articolo 74, 2°comma (ora 108, 2°comma) del TUIR, in luogo dell’articolo 75, 5° comma (ora 109, 5° comma) del TUIR.

2. Peraltro, l’effettività del servizio reso era stato documentata, come dimostravano: la scrittura privata, la documentazione fotografica, la fattura ricevuta ed il pagamento.

3. Per la sponsorizzazione della scuderia automobilistica si allegavano: il contratto, le fatture, i pagamenti e la documentazione da cui emergeva lo svolgimento del servizio.

4. Inoltre, si eccepiva che l’inerenza si sarebbe dovuta valutare in relazione all’attività d’impresa in senso ampio, da vagliare in relazione all’oggetto sociale, che comprende non solo le attività attualmente svolte, ma anche quelle potenzialmente effettuabili (in effetti, lo statuto attestava che l’attività poteva essere svolta sia per conto proprio che di terzi).

5. Infine, in relazione alla rilevata antieconomicità, si sosteneva che 90.000 € rappresentavano il 2% del fatturato e, pertanto, la spesa non era affatto ingente e che le politiche pubblicitarie, al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, avevano prodotto un incremento del fatturato (con documentazione a supporto).

La Commissione tributaria provinciale di Ancona (sent. 84/04/2009) sentenziò che la “bussola” che regola le spese pubblicitarie sia l’articolo 74 del TUIR (ora 108), che non pone particolari condizioni di ordine qualitativo o quantitativo; perciò, i criteri di ammissibilità di tali spese vanno reperiti nei principi generali della competenza, inerenza, certezza e determinabilità, che presiedono all’imputazione fiscale dei costi in genere. In particolare, le spese di sponsorizzazione possono accomunarsi a quelle di pubblicità e sono connesse ad un contratto, in base al quale le parti fissano le clausole contrattuali.

La spesa di sponsorizzazione della società calcistica venne ritenuta sufficientemente documentata.

Sul difetto di inerenza la Commissione rammentò che essa risiede nella ricorrenza del collegamento dei costi ad attività ed operazioni da cui derivano ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa. Al ricorrere di tali requisiti, esse trovano titolo di deducibilità fiscale, a nulla rilevando che il fine del conseguimento dei ricavi sia perseguito in modo diretto ed immediato, attraverso la pubblicità dei propri prodotti, ovvero in modo mediato, attraverso la pubblicità di un prodotto derivato dai propri.

Infine, la Commissione non ravvisò l’antieconomicità della spesa, che risultava pari al 2% dei ricavi conseguiti dalla società nell’anno 2003 (€ 4.454.617).

Secondo grado.

L’Agenzia delle Entrate propose appello. La difesa dell’appellata ampliò le proprie argomentazioni a sostegno della natura pubblicitaria delle spese di sponsorizzazione, in considerazione del fatto che entrambi i soggetti sponsorizzati erano associazioni sportive dilettantistiche, per le quali vige una normativa specifica.

Infatti, l’articolo 90, 8° comma, della Legge 289/02 prevede: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a € 200.000, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante, mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 108, comma 2 del TUIR”. La R.M. 57/2010 ha chiarito il significato e la portata di tale disposizione, richiamando la C.M. 21/2003 e precisando che la norma introduce una presunzione assoluta circa la natura delle somme corrisposte e che la fruibilità dell’agevolazione è subordinata a due condizioni: 1) i corrispettivi devono essere destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; 2) a fronte dell’erogazione delle somme deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario della medesima erogazione.

La Commissione tributaria regionale delle Marche (sent. 94/03/2011) confermò la sentenza di primo grado in relazione ad entrambi i rilievi, considerando sufficiente la documentazione prodotta per la sponsorizzazione della società di calcio e inerente all’attività la sponsorizzazione della scuderia automobilistica.

In particolare, la commissione respinse l’argomentazione dell’Agenzia appellante circa la necessità che il messaggio pubblicitario sia diffuso ai soli soggetti direttamente interessanti alla conoscenza dei prodotti del contribuente, sia perché tale circostanza non è più richiesta dalla normativa attualmente vigente, sia perché tale aspetto atteneva ad una valutazione del rapporto costi-benefici che spetta esclusivamente al contribuente.

2. Alcune osservazioni.

2.1. Normativa applicabile alle spese di sponsorizzazione.

E’ frequente il disconoscimento della deduzione delle spese pubblicitarie fondato sull’articolo 109, 5° comma, del TUIR.

Tale norma stabilisce: “ Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi … (omissis) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.

E’ efficace per le spese di pubblicità una ripresa fiscale per mancata inerenza?

Qual è l’intento degli uffici?

In realtà, gli uffici ritengono che la spesa di pubblicità sia inesistente, in tutto o in parte, ma, per superare l’ostacolo di provare tale circostanza, censurano la mancanza di inerenza per arrivare, comunque, ad eliminarne la deduzione dal reddito imponibile.

Ricorrendo all’articolo 109, 5° comma, del TUIR e contestando la mancanza di inerenza, gli uffici considerano la sponsorizzazione come una spesa sostanzialmente privata, che viene, formalmente, ascritta all’impresa.

Il difetto di inerenza significa che il costo sostenuto dall’imprenditore non afferisce all’attività svolta, ma è sostenuto solo e soltanto per gravare il Conto Economico.

Esempi di questo possono essere: l’imprenditore che arreda la propria abitazione e fa intestare le fatture alla propria impresa (individuale o societaria non importa), in modo che formalmente siano riferite ad essa, il viaggio per motivi privati che viene pagato dall’impresa ecc.

Tuttavia, la lettera dell’articolo 109, 5° comma, e l’interpretazione che ne è stata data attestano che tale appiglio è oltremodo scivoloso e sfuggente per le riprese delle spese di pubblicità.

2.2. Interpretazione letterale.

E’ necessario partire dalla lettera delle norme interessate nella regolazione di questa fattispecie: gli articoli 109 , 108, 2° comma del TUIR e 90 della Legge 289/02.

2.2.1. Articolo 109 TUIR.

Esso, rubricato “Norme generali sui componenti del reddito d’impresa”, è norma generale, che fissa i principi che regolano la rilevazione dei componenti positivi e negativi del reddito d’impresa. Tale intento è specificato al 1° comma: “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza…. (omissis)”.

L’inciso “per le quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente” individua un’area normativa esclusa dalla norma generale del primo comma dell’articolo 109: fattispecie per cui la competenza è disciplinata in modo speciale rispetto alla regola generale.

L’articolo 109, 5° comma, si propone di evitare la deducibilità di costi “privati” che vengono sostenuti dall’impresa e di regolare la deducibilità di costi che si riferiscono indistintamente ad attività imponibili e ad attività esenti.

2.2.2. Articolo 108, 2° comma, TUIR.

Esso stabilisce: “Le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”.

In modo tranciante, la competenza fiscale è fatta coincidere con l’esercizio in cui la spesa è stata sostenuta, per l’intero o in quote costanti.

All’atto pratico questa è una enorme semplificazione per il contribuente: egli non dovrà verificare se il servizio è stato reso ed in quale percentuale (in base all’articolo 109, 2°comma, lett. b), TUIR), ma solamente se la spesa è stata sostenuta e decidere per l’integrale deducibilità nell’esercizio di sostenimento o in quote costanti nello stesso e nei quattro successivi.

Al contempo, questa norma fissa l’ambito nel quale deve operare l’onere della prova dell’ufficio.

In altre parole, l’Agenzia delle entrate deve motivare la ripresa fiscale sull’inesistenza e su questo deve vertere la prova in sede contenziosa.

Questa interpretazione deriva dalla natura delle due norme: l’articolo 109, si autodefinisce regola generale, mentre l’articolo 108, 2°comma, è norma speciale, che prevale sulla generale in virtù del criterio lex specialis derogat generali.

L’articolo 108, 2° comma, disciplina le spese di propaganda e pubblicità individuando come requisito per la loro deducibilità il sostenimento.

2.2.3. Articolo 90, Legge 289/02.

Per le spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di associazioni e società sportive dilettantistiche vige la presunzione assoluta che, fino a 200.000 € annui complessivi, esse siano di pubblicità, deducibili alla duplice condizione di essere destinate a promuovere l’immagine del soggetto erogante e che venga riscontrata una specifica attività del beneficiario in questo senso.

Per le sponsorizzazioni sportive il legislatore a monte decide in quali circostanze e fino a quale importo le erogazioni in denaro o in natura a favore di società sportive dilettantistiche siano di pubblicità (ossia inerenti) e quando non lo siano più per diventare di rappresentanza (sempre inerenti), a condizione che ciò venga dimostrato, oppure totalmente non inerenti (se l’inerenza non venga provata dall’impresa). E’ importante sottolineare che la sponsorizzazione sportiva può essere dazione in denaro o erogazione in natura (es. l’imprenditore che dona alla squadra di calcio il pulmino per le trasferte ecc.).

2.3. Orientamento ministeriale.

Alcune pronunce ministeriali (pareri 18/2007 e 19/2004 del Comitato consultivo norme antielusive, R.M. 9/204 del 17.06.1992) distinguono le spese sostenute dall’imprenditore in spese direttamente connesse con la produzione di ricavi e spese indirettamente connesse, che comprendono le spese di pubblicità e di rappresentanza.

Le spese direttamente connesse sono regolate dall’articolo 109, 5° comma del TUIR, mentre le altre dall’articolo 108, 2° comma. Se, poi, non vi è alcuna connessione, la spesa è indeducibile totalmente (parere 11/2003 comitato consultivo norme antielusive).

2.4. Orientamento giurisprudenziale.

Sull’interpretazione del concetto di inerenza.

In generale.

Analizzando la giurisprudenza di legittimità e di merito più recente sull’argomento, si riscontra un costante recepimento del criterio interpretativo espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale l’inerenza dev’essere intesa in senso ampio, come legame tra costo ed attività dell’impresa, non solo attuale, ma anche potenziale, desumibile dall’oggetto sociale.

Tale corrente interpretativa, largamente maggioritaria, presenta il pregio di essere aderente alla realtà imprenditoriale e, perciò, non penalizza il contribuente.

La CTP di Terni, nella sentenza 97/03/2010 ritiene che non è necessaria una esplicita e diretta connessione del costo stesso ad una precisa componente di reddito, ma la sua correlazione all’attività di impresa e all’idoneità potenziale a produrre utili (in senso conforme CTR Ancona, sentenza 28/1/2010).

La sentenza 186/51/2011 della CTP di Roma interpreta l’inerenza come collegamento del costo all’attività dell’impresa. Analogamente alla pronuncia 142/51/2011, il medesimo giudice precisa che il concetto di inerenza dei costi vada riferito non alla stretta correlazione tra i primi ed i ricavi dell’impresa, bensì tra i costi e l’attività dell’impresa, intesa in senso ampio e con riferimento all’oggetto sociale della stessa.

La CTR di Bologna, sentenza 15/20/2011, qualifica l’inerenza come relazione tra due concetti - la spesa e l’impresa -, che implica un accostamento concettuale tra due circostanze, per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì, in virtù della sua correlazione con un’attività "potenzialmente" idonea a produrre utili.

La CTR di Firenze, sentenza 173/01/2011, ritiene che l’inerenza dell’esercizio dell’impresa per le operazioni di acquisto non può essere verificata sulla base della semplice considerazione dell’oggetto sociale dell’impresa, senza aver eseguito una accurata indagine di fatto, perché "occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali” (si trattava dell’acquisto di un laboratorio-deposito e del sovrastante appartamento di civile abitazione. Venne negato il rimborso dell’IVA afferente all’acquisto dell’abitazione, in quanto non inerente l’attività d’impresa).

La CTP di Lecce, nella sentenza 282/02/2011, decide che "il concetto dell’inerenza è stato ampliato nella normativa del 1973, collegandolo non più ai ricavi ma all’attività di impresa, come chiarito più volte dall’Amministrazione Finanziaria secondo la quale, appunto, l’inerenza non è legata ai ricavi ma all’attività di impresa (Ris. 158/E del 28.11.1998), con la conseguenza che si rendono deducibili anche i costi e gli oneri in proiezione futura, come le spese promozionali, e comunque quelle dalle quali derivano ricavi in successione di tempo" (Ma.Le., Le imposte sui redditi nel Testo Unico). Detti principi trovano conferma nella Giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza n. 16826/2007), per la quale "affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito di impresa non è necessario che questo sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività idonea a produrre utili".

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è volto nel medesimo senso come dimostrano diverse sentenze, tra cui la n. 16726/2007 e la n. 19702/2011 (sull’inerenza dei costi sostenuti a titolo di penale per inadempimento contrattuale).

Nelle spese di pubblicità.

Dall’elencazione sommaria della giurisprudenza emerge che l’interpretazione più diffusa collega i costi all’attività dell’impresa, attuale o potenziale, e, per le spese di pubblicità, questo concetto viene sottolineato, considerando le spese di pubblicità inerenti, in quanto volte ad incrementare le vendite.

La Cassazione, sez. V, nella sentenza 10959/2007, ritiene che le spese di pubblicità siano volte ad incrementare le vendite.

Nella sentenza 17602/2008 la medesima sezione dettaglia che le spese di pubblicità sono sostenute per creare un’aspettativa di incremento delle vendite, sensibilizzando preventivamente l’interesse dei consumatori mediante iniziative e campagne di reclamizzazione, destinate a svolgere un ruolo decisivo sullo sviluppo degli affari e, dunque, sul fatturato dell’azienda.

Sulla documentabilità dell’inerenza.

In generale.

La Cassazione, nella sentenza 14570/2001, precisa che, per dimostrare l’inerenza di un costo all’attività dell’impresa, occorre conservare la documentazione di supporto, che costituisce il presupposto della registrazione contabile e la prova delle ragioni che hanno indotto l’impresa a sostenerlo.

Nella successiva sentenza 27095/2006 si pronuncia sulla deducibilità di spese di viaggio di persone estranee alla compagine sociale, avvallando come documentazione pertinente quella che dimostrava la strategia commerciale della società in quella data area geografica.

Tale necessità emerge anche dalla sentenza della CTP di Roma, sentenza 186/51/2011, in cui gli accordi di fornitura, la documentazione delle campagne di promozione sul brand, quella attestante la connessione della società ricorrente a diversi sistemi di prenotazione su scala globale, estratti di conto corrente bancario su cui sono stati eseguiti i bonifici per il pagamento delle fatture vengono considerati decisivi nella dimostrazione dell’inerenza.

Analoga valutazione viene fatta dalla sentenza 17/01/2011 della CTP di Milano, in cui l’inerenza di costi per un meeting di lavoro organizzato dalla società ricorrente per i propri agenti di commercio viene provata efficacemente dalla documentazione dell’attività svolta nel corso delle riunioni, da cui emerge l’inerenza della spesa all’attività sociale.

Nello stesso senso sono orientate le sentenze 112/02/2010 della CTP di Perugia e n. 101/12/2010 della CTR di Milano.

Onere della prova in presenza di fatture con descrizione generica.

Ricca di spunti operativi è la digressione contenuta nella sentenza 12/02/2010 della CTP di Trento, in cui viene disconosciuta l’efficacia probatoria di fatture con descrizione generica, ritenendo, tuttavia, che se alcuni costi contabilizzati e portati in deduzione dal reddito siano rappresentati da fatture che l’Amministrazione finanziaria ritiene irregolari, il contribuente è ammesso a provare altrimenti che l’operazione ed il corrispondente esborso sono reali, a prescindere dalla falsità della fattura; dovendosi, in caso di esito positivo della prova, riconoscere la deducibilità del costo inerente alla produzione del reddito, nella misura in cui risulta contabilizzato ed imputato al conto economico relativo all’esercizio di competenza (su questo viene citata la sentenza di Cass. 19353/2006).

Nelle spese di pubblicità.

La sentenza 48/04/2008 della CTR di Campobasso considera sufficiente per la deducibilità delle spese di pubblicità la fattura e la contabile del pagamento effettuato.

Dalla sintetica illustrazione di queste sentenze emergono alcune interessanti indicazioni operative: come esposto sopra, la sponsorizzazione è volta a promuovere l’immagine o i prodotti dello sponsor in vista dell’aumento del fatturato legato all’oggetto sociale.

Quando si concludono degli accordi di sponsorizzazione è importante creare e conservare tutto ciò che documenti questo scopo (analisi di mercato, appunti di riunioni, scambi di e-mail; evidentemente il tutto va proporzionato al settore ed alle dimensioni del contribuente). Oltre a ciò, occorre conservare la documentazione che prova che: lo sponsee è società che beneficia della Legge 289/02, la sponsorizzazione è stata effettuata, la fattura è stata emessa e il pagamento è avvenuto.

Onere della prova dell’inerenza.

La giurisprudenza esaminata è costante nel porre a carico del contribuente l’onere di provare l’effettività e l’inerenza dei costi conseguiti (ex multis: Cass., sentenza 10257/2008, 4594/2009, 4443/2010 e 4554/2010).

Inerenza delle spese di pubblicità.

La CTR di Ancona, nella sentenza 149/01/2010, qualifica spesa di pubblicità (in conformità a quanto ritenuto da Cass. n. 7803/00) il costo sostenuto per cena inaugurale di un circolo organizzata da un cliente della società ricorrente, operante nel settore del mobile, dato l’interesse della società a promuovere il proprio marchio.

La CTR di Firenze, nella sentenza 46/21/2011, valuta spese di pubblicità quelle relative all’ospitalità della clientela, sostenute da una società nel settore della meccanica, in quanto necessarie per permettere al cliente di comprendere esaurientemente il funzionamento della nuova tecnologia approntata dalla società. La Commissione le ritiene inerenti alla produzione del reddito, in quanto “finalizzate alla conclusione della compravendita del prodotto: in tal senso trattasi di spese aventi il requisito: della competenza e della inerenza, come per altro verso successivamente chiarito dal Ministero dell’Economia e Finanze con il Regolamento avente ad oggetto "Disposizioni attuative dell’art. 108 comma II del T.U.I.R., di cui al DPR 917/86 in materia di spese di rappresentanza".

La CTR Milano, nella sentenza 113/28/2011, si occupa delle spese sostenute da una casa di moda per l’utilizzo di testimonials (dal compenso, al truccatore, al parrucchiere) esponendo l’illuminato criterio secondo il quale l’inerenza di una spesa va valutata in relazione al settore in cui opera l’impresa sponsor. La posizione della commissione parte dal presupposto che la pubblicità è una tecnica in continua evoluzione e che varia da settore a settore. Perciò, occorre un’attenta valutazione delle argomentazioni del contribuente, che, assolvendo l’onere probatorio su di sé incombente, dovrà introdurre il giudice alla comprensione del modo con cui opera la pubblicità nella propria area di attività e provare che spese, che in altre si sarebbero qualificate non inerenti (ad es., il parrucchiere), sono del tutto ordinarie nel settore della moda.

2.5. Conclusione.

Dalla funzione svolta dall’articolo 109, 5° comma, TUIR deriva la sua assoluta inadeguatezza a contestare la non inerenza di una spesa pubblicitaria all’attività d’impresa, fine che l’ufficio deve perseguire utilizzando altre norme, ad es. provando che l’operazione è inesistente e, in particolare, per le sponsorizzazioni sportive che: la somma è erogata a soggetto che non può beneficiare della Legge 289/02 o che il fine non è la promozione dell’immagine del soggetto erogante o che il servizio non è stato svolto.

Un caso esemplare di contestazione fondata sull’inesistenza dell’operazione è quello deciso dalla Cassazione con la sentenza 20451/2011, riguardante il caso di un istituto di credito che aveva acquistato da una consociata dei titoli di credito a valore inferiore a quello di mercato, per i quali non era stato accreditato alcun importo ed i cui costi erano stati indicati in bilancio come interessi passivi (ma, anche a tale titol,o non risultavano operazioni compiute dalla banca da cui potesse derivare un debito per interessi).

3. Antieconomicità ed onere della prova secondo la giurisprudenza più recente.

Sovente l’Agenzia delle Entrate ricorre alla contestazione di antieconomicità per supportare l’asserita non inerenza dei costi sostenuti partendo dal presupposto che un imprenditore non debba sostenere dei costi sproporzionati rispetto ai ricavi e non in linea con il tipo di attività svolta.

Questo argomento è stato analizzato in varie sentenze sia di merito che di legittimità; i giudici sostengono entrambe le tesi: l’impossibilità dell’amministrazione finanziaria di valutare la congruità di un costo sostenuto dall’impresa e, quindi, di contestare l’ incongruità del costo e, al contrario, il potere di farlo.

Un ambito su cui i giudici sono intervenuti più volte è quello dei compensi agli amministratori di società di persone.

La Cassazione, nella sentenza 6599/2002, esclude che: “l’amministrazione finanziaria possa valutare la loro congruità, in quanto l’articolo 62 del TUIR, a differenza dell’articolo 59 del previgente DPR 597/73, non indica tabelle o “massimi tariffari” vincolanti per la società. Nel sistema la spettanza e la deducibilità dei compensi agli amministratori è determinata dal consenso che si forma o tra le parti o nell’ambito dell’ente sul punto, senza che all’amministrazione sia riconosciuto un potere specifico di valutazione di congruità. Infine, non esistendo una norma generale antielusiva, non è consentito all’amministrazione tale sindacato”.

In senso conforme la n. 21155/2005, in cui la Suprema Corte ritiene che: “l’interprete non può procedere ad alcuna valutazione senza correre il rischio concreto della arbitrarietà e della possibile disparità di trattamento, sicuramente da evitare in un ordinamento incentrato sul principio di legalità. Il dato normativo esplicito, o implicito (ricavabile dal sistema, quando è possibile), resta l’unico al quale l’interprete deve ancorare il suo operato”.

Del medesimo avviso, infine, la n. 28595/2008, con cui la Cassazione ha escluso l’attribuzione all’amministrazione finanziaria di un qualsivoglia potere valutativo sul compenso degli amministratori di società.

Di diversa opinione erano state le sentenze: 13478/2001, 12813/2000 e 20748/2006.

Su questo tema appare preferibile la tesi che nega tale potere all’amministrazione finanziaria, in quanto privo di base normativa e in quanto la motivazione dei giudici è perfettamente coerente con il criterio principe nell’interpretazione delle norme, quale quello letterale.

In generale.

La Cassazione, sentenza 11645/2001, si pronuncia per l’esistenza del potere di accertare induttivamente il reddito di un contribuente che tenga un comportamento antieconomico ed ingiustificato (in senso conforme: sentenze 9497/2008 e 4554/2010).

La CTP di Napoli, nella sentenza 256/28/2010, conclude che: "rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria (ai fini dell’imposizione sul reddito, sulla base del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9 o di norme particolari, quale quella contenuta nell’art. 75, comma 5, dello stesso D.P.R., ora 109) la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità, totale o parziale, di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato".

La CTP di Reggio Emilia, sentenza 23/01/2008, riconosce il potere di disconoscere un costo il cui sostenimento si presenti manifestamente irrazionale ed antieconomico.

Il medesimo giudice, sentenza 83/04/2011, ritiene che l’economicità o meno dell’operazione non può essere valutata in astratto, in via teorica, ma in concreto comparando rischi e benefici.

La CTR Lazio, sentenza 643/01/2010, sostiene che il potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria trovi il proprio limite nel diritto di libera iniziativa economica, costituzionalmente tutelato.

Casi particolari.

Il potere di vagliare la congruità del costo è riconosciuto anche nelle sentenze: 6337/2002 (acquisto di beni usati per importi superiori a quelli di rivendita), 7860/2002 (canone di affitto antieconomico), 10802/2002 (canone di noleggio imbarcazioni antieconomico), 11240/2002 (deduzione di costi sproporzionati ai ricavi), 417/2008 (percentuali di ricarico difformi dalle medie di settore), 1915/2008 (amministratore privo di compenso).

Spese di pubblicità.

Sulla congruità delle spese di pubblicità su segnala la decisione 3532/1993 della Commissione Tributaria Centrale, sez. IV, che esclude che l’ufficio possa subordinare la deducibilità delle spese ad un giudizio di congruità del loro ammontare, sia per mancanza di supporto normativo, sia perchè esse vanno rapportate non al reddito prodotto, ma al volume complessivo degli affari e sia perché l’incidenza di tali spese ai fini della produzione del reddito può riverberare anche in esercizi successivi a quello in cui esse sono state sostenute.

E’ evidente che il potere dell’amministrazione finanziaria, che la giurisprudenza riconosce, pur in mancanza di appiglio normativo, dato che non vi è nel nostro sistema una norma generale antielusiva e che l’elencazione delle operazioni potenzialmente elusive contenuta nell’articolo 37-bis del DPR 600/73 è tassativa, impone alla stessa un onere di motivazione, in sede amministrativa, e probatorio, in sede contenziosa, da non sottovalutare (si veda Cassazione, sentenza 3947/2011).

All’estensione del potere valutativo dell’amministrazione corrisponde, specularmente, il bacino argomentativo e probatorio a cui il contribuente può e deve attingere, sia nella fase di accertamento con adesione che in quella contenziosa. In altri termini, il fatto che venga riconosciuto un potere di valutare la congruità dei costi implica che esso debba venir suffragato da argomenti efficaci ed idonei, essendo assolutamente insufficienti clausole di stile.

Spetta al contribuente, oltre alla preliminare contestazione dell’inesistenza del potere valutativo della congruità di un costo sostenuto, contrastare la pretesa tributaria dimostrando la ragionevolezza, ad es., dello scostamento rispetto alle percentuali di ricarico del settore, del canone di locazione inferiore al valore di mercato ecc.

In conclusione, a nessuna delle parti è “garantito un risultato” che non sia frutto di argomentazione e prova.

4. Spunti per il contribuente: documentazione per l’ operatività e per la difesa nella verifica e nel ricorso.

Quanto è stato esposto si ritiene possa essere un valido faro per orientare il contribuente nelle scelte operative quotidiane, in modo da non essere preso alla sprovvista nel caso di verifica fiscale.

Occorre acquisire familiarità con la preparazione, quanto più dettagliata e la conservazione dei documenti inerenti alle operazioni effettuate (ciò, si ripete, deve essere parametrato alla tipologia e dimensione del contribuente).

Esempi.

Una delle sentenze citate aveva disconosciuto la validità come giustificativo di costo della fattura con descrizione generica; la descrizione esaustiva della fattura, con riferimento anche ad un ordine, ad un contratto, da conservare nel dossier dell’operazione, insieme a lettere, e-mail, appunti di telefonate prese ecc. costituiscono aiuti preziosi per poter sostenere la propria posizione, siglando l’adesione ad un accertamento o ottenendo di convincere il giudice della giustezza del proprio operato.

Altro spunto riguarda le spese di ospitalità di clienti o le spese commerciali in genere, in cui una parte importante è assunta dalla strategia aziendale. In questo caso determinanti possono essere: eventuali delibere del cda sulla necessità di penetrare un determinato mercato, appunti delle riunioni del Direttore commerciale con i venditori e agenti, direttive diramate tramite newsletter, scambio di corrispondenza con il cliente, che faccia emergere che la sua permanenza presso l’azienda è necessaria per la dimostrazione del nuovo prodotto o per un collaudo.

Nel caso, poi, che si commissionino analisi, studi o ricerche, oltre all’incarico in tal senso, è consigliabile conservare un esemplare del servizio svolto; la medesima considerazione vale per le campagne pubblicitarie e di sponsorizzazione.

4.1. Argomentazioni difensive e sanzioni in materia di esibizione e trasmissione di documenti falsi all’amministrazione finanziaria.

Un particolare profilo degno di interesse è quello della sanzionabilità penale dell’esibizione e trasmissione di documenti falsi, introdotto dall’articolo 11, 1° comma, D.L. 201/2011, convertito con modifiche dalla L. 214/2011.

Tale norma sancisce: “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.

Viene suggerita, ancora una volta, l’importanza della corretta e tempestiva preparazione della documentazione ed è particolarmente conferente alla contestazione delle sponsorizzazioni, soprattutto per quanto affermato al paragrafo 2.1.: gli uffici partono dal presupposto che la sponsorizzazione sia in tutto o in parte inesistente e, non riuscendo a provare ciò, contestano l’inerenza o la congruità della spesa.

Se, invece, anche alla luce di questa norma, impostassero l’accertamento rilevando l’inesistenza? Evidentemente, questa censura è possibile e. nell’ottica della “caccia all’evasore” diventa maggiormente appetibile rispetto ad una contestazione di difetto di inerenza o antieconomicità, in quanto permette, sussistendone i requisiti, di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica, oltre che per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 74/2000, anche per falso in atto o documento, adducendo la falsità di quanto prodotto nel corso di un accesso o una verifica.

Vi potrebbe essere, dunque, un uso disinvolto di questa norma e, a maggior ragione, la quanto più completa documentazione di una sponsorizzazione, si può rivelare estremamente utile.

SOMMARIO

1. Il caso;

1.1. L’avviso di accertamento;

1.2. Il contenzioso;

2. Alcune considerazioni;

2.1. Normativa applicabile alle spese di sponsorizzazione;

2.2. Interpretazione letterale;

2.2.1. L’articolo 109 del TUIR;

2.2.2 L’articolo 108, 2° comma del TUIR;

2.3. Orientamento ministeriale;

2.4. Orientamento giurisprudenziale ;

2.5. Conclusione;

3. Antieconomicità ed onere della prova secondo la giurisprudenza più recente;

4. Spunti per il contribuente: documentazione per l’operatività e per la difesa

nella verifica e nel ricorso;

4.1. Argomentazioni difensive e trasmissione all’amministrazione finanziaria di

documenti falsi.

1. Il caso.

Ad una società del settore delle lavorazioni meccaniche è stato notificato avviso di accertamento con cui veniva contestata la carente documentazione, l’inerenza delle spese di sponsorizzazione e la loro antieconomicità, in quanto sproporzionate rispetto all’utile.

1.1. L’avviso di accertamento.

Insufficiente documentazione.

Tale rilievo concerneva la sponsorizzazione di una società di calcio e si basava sul fatto che l’accordo era privo di data certa e di completa identificazione delle parti. Pertanto, la spesa avrebbe dovuto essere considerata come di rappresentanza e non promozionale.

Mancanza di inerenza.

La seconda contestazione riguardava la sponsorizzazione di una scuderia automobilistica indeducibile per difetto di inerenza, ai sensi dell’articolo 75, 5° comma, in quanto non necessaria, né funzionale all’attività d’impresa.

Antieconomicità.

Infine, il costo sostenuto, rapportato all’utile, si appalesava antieconomico, essendo la società verificata esclusivamente terzista ed essendo la clientela costante nel tempo.

1.2. Il contenzioso.

Primo grado.

La società propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale incardinando la propria difesa sui seguenti punti:

1. Inquadramento delle spese di sponsorizzazione tra quelle pubblicitarie, in quanto, nella specie, il mezzo pubblicitario ha avuto lo scopo di promuovere il nome ed il marchio della società, con conseguente applicazione dell’articolo 74, 2°comma (ora 108, 2°comma) del TUIR, in luogo dell’articolo 75, 5° comma (ora 109, 5° comma) del TUIR.

2. Peraltro, l’effettività del servizio reso era stato documentata, come dimostravano: la scrittura privata, la documentazione fotografica, la fattura ricevuta ed il pagamento.

3. Per la sponsorizzazione della scuderia automobilistica si allegavano: il contratto, le fatture, i pagamenti e la documentazione da cui emergeva lo svolgimento del servizio.

4. Inoltre, si eccepiva che l’inerenza si sarebbe dovuta valutare in relazione all’attività d’impresa in senso ampio, da vagliare in relazione all’oggetto sociale, che comprende non solo le attività attualmente svolte, ma anche quelle potenzialmente effettuabili (in effetti, lo statuto attestava che l’attività poteva essere svolta sia per conto proprio che di terzi).

5. Infine, in relazione alla rilevata antieconomicità, si sosteneva che 90.000 € rappresentavano il 2% del fatturato e, pertanto, la spesa non era affatto ingente e che le politiche pubblicitarie, al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, avevano prodotto un incremento del fatturato (con documentazione a supporto).

La Commissione tributaria provinciale di Ancona (sent. 84/04/2009) sentenziò che la “bussola” che regola le spese pubblicitarie sia l’articolo 74 del TUIR (ora 108), che non pone particolari condizioni di ordine qualitativo o quantitativo; perciò, i criteri di ammissibilità di tali spese vanno reperiti nei principi generali della competenza, inerenza, certezza e determinabilità, che presiedono all’imputazione fiscale dei costi in genere. In particolare, le spese di sponsorizzazione possono accomunarsi a quelle di pubblicità e sono connesse ad un contratto, in base al quale le parti fissano le clausole contrattuali.

La spesa di sponsorizzazione della società calcistica venne ritenuta sufficientemente documentata.

Sul difetto di inerenza la Commissione rammentò che essa risiede nella ricorrenza del collegamento dei costi ad attività ed operazioni da cui derivano ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa. Al ricorrere di tali requisiti, esse trovano titolo di deducibilità fiscale, a nulla rilevando che il fine del conseguimento dei ricavi sia perseguito in modo diretto ed immediato, attraverso la pubblicità dei propri prodotti, ovvero in modo mediato, attraverso la pubblicità di un prodotto derivato dai propri.

Infine, la Commissione non ravvisò l’antieconomicità della spesa, che risultava pari al 2% dei ricavi conseguiti dalla società nell’anno 2003 (€ 4.454.617).

Secondo grado.

L’Agenzia delle Entrate propose appello. La difesa dell’appellata ampliò le proprie argomentazioni a sostegno della natura pubblicitaria delle spese di sponsorizzazione, in considerazione del fatto che entrambi i soggetti sponsorizzati erano associazioni sportive dilettantistiche, per le quali vige una normativa specifica.

Infatti, l’articolo 90, 8° comma, della Legge 289/02 prevede: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a € 200.000, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante, mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 108, comma 2 del TUIR”. La R.M. 57/2010 ha chiarito il significato e la portata di tale disposizione, richiamando la C.M. 21/2003 e precisando che la norma introduce una presunzione assoluta circa la natura delle somme corrisposte e che la fruibilità dell’agevolazione è subordinata a due condizioni: 1) i corrispettivi devono essere destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; 2) a fronte dell’erogazione delle somme deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario della medesima erogazione.

La Commissione tributaria regionale delle Marche (sent. 94/03/2011) confermò la sentenza di primo grado in relazione ad entrambi i rilievi, considerando sufficiente la documentazione prodotta per la sponsorizzazione della società di calcio e inerente all’attività la sponsorizzazione della scuderia automobilistica.

In particolare, la commissione respinse l’argomentazione dell’Agenzia appellante circa la necessità che il messaggio pubblicitario sia diffuso ai soli soggetti direttamente interessanti alla conoscenza dei prodotti del contribuente, sia perché tale circostanza non è più richiesta dalla normativa attualmente vigente, sia perché tale aspetto atteneva ad una valutazione del rapporto costi-benefici che spetta esclusivamente al contribuente.

2. Alcune osservazioni.

2.1. Normativa applicabile alle spese di sponsorizzazione.

E’ frequente il disconoscimento della deduzione delle spese pubblicitarie fondato sull’articolo 109, 5° comma, del TUIR.

Tale norma stabilisce: “ Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi … (omissis) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.

E’ efficace per le spese di pubblicità una ripresa fiscale per mancata inerenza?

Qual è l’intento degli uffici?

In realtà, gli uffici ritengono che la spesa di pubblicità sia inesistente, in tutto o in parte, ma, per superare l’ostacolo di provare tale circostanza, censurano la mancanza di inerenza per arrivare, comunque, ad eliminarne la deduzione dal reddito imponibile.

Ricorrendo all’articolo 109, 5° comma, del TUIR e contestando la mancanza di inerenza, gli uffici considerano la sponsorizzazione come una spesa sostanzialmente privata, che viene, formalmente, ascritta all’impresa.

Il difetto di inerenza significa che il costo sostenuto dall’imprenditore non afferisce all’attività svolta, ma è sostenuto solo e soltanto per gravare il Conto Economico.

Esempi di questo possono essere: l’imprenditore che arreda la propria abitazione e fa intestare le fatture alla propria impresa (individuale o societaria non importa), in modo che formalmente siano riferite ad essa, il viaggio per motivi privati che viene pagato dall’impresa ecc.

Tuttavia, la lettera dell’articolo 109, 5° comma, e l’interpretazione che ne è stata data attestano che tale appiglio è oltremodo scivoloso e sfuggente per le riprese delle spese di pubblicità.

2.2. Interpretazione letterale.

E’ necessario partire dalla lettera delle norme interessate nella regolazione di questa fattispecie: gli articoli 109 , 108, 2° comma del TUIR e 90 della Legge 289/02.

2.2.1. Articolo 109 TUIR.

Esso, rubricato “Norme generali sui componenti del reddito d’impresa”, è norma generale, che fissa i principi che regolano la rilevazione dei componenti positivi e negativi del reddito d’impresa. Tale intento è specificato al 1° comma: “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza…. (omissis)”.

L’inciso “per le quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente” individua un’area normativa esclusa dalla norma generale del primo comma dell’articolo 109: fattispecie per cui la competenza è disciplinata in modo speciale rispetto alla regola generale.

L’articolo 109, 5° comma, si propone di evitare la deducibilità di costi “privati” che vengono sostenuti dall’impresa e di regolare la deducibilità di costi che si riferiscono indistintamente ad attività imponibili e ad attività esenti.

2.2.2. Articolo 108, 2° comma, TUIR.

Esso stabilisce: “Le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”.

In modo tranciante, la competenza fiscale è fatta coincidere con l’esercizio in cui la spesa è stata sostenuta, per l’intero o in quote costanti.

All’atto pratico questa è una enorme semplificazione per il contribuente: egli non dovrà verificare se il servizio è stato reso ed in quale percentuale (in base all’articolo 109, 2°comma, lett. b), TUIR), ma solamente se la spesa è stata sostenuta e decidere per l’integrale deducibilità nell’esercizio di sostenimento o in quote costanti nello stesso e nei quattro successivi.

Al contempo, questa norma fissa l’ambito nel quale deve operare l’onere della prova dell’ufficio.

In altre parole, l’Agenzia delle entrate deve motivare la ripresa fiscale sull’inesistenza e su questo deve vertere la prova in sede contenziosa.

Questa interpretazione deriva dalla natura delle due norme: l’articolo 109, si autodefinisce regola generale, mentre l’articolo 108, 2°comma, è norma speciale, che prevale sulla generale in virtù del criterio lex specialis derogat generali.

L’articolo 108, 2° comma, disciplina le spese di propaganda e pubblicità individuando come requisito per la loro deducibilità il sostenimento.

2.2.3. Articolo 90, Legge 289/02.

Per le spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di associazioni e società sportive dilettantistiche vige la presunzione assoluta che, fino a 200.000 € annui complessivi, esse siano di pubblicità, deducibili alla duplice condizione di essere destinate a promuovere l’immagine del soggetto erogante e che venga riscontrata una specifica attività del beneficiario in questo senso.

Per le sponsorizzazioni sportive il legislatore a monte decide in quali circostanze e fino a quale importo le erogazioni in denaro o in natura a favore di società sportive dilettantistiche siano di pubblicità (ossia inerenti) e quando non lo siano più per diventare di rappresentanza (sempre inerenti), a condizione che ciò venga dimostrato, oppure totalmente non inerenti (se l’inerenza non venga provata dall’impresa). E’ importante sottolineare che la sponsorizzazione sportiva può essere dazione in denaro o erogazione in natura (es. l’imprenditore che dona alla squadra di calcio il pulmino per le trasferte ecc.).

2.3. Orientamento ministeriale.

Alcune pronunce ministeriali (pareri 18/2007 e 19/2004 del Comitato consultivo norme antielusive, R.M. 9/204 del 17.06.1992) distinguono le spese sostenute dall’imprenditore in spese direttamente connesse con la produzione di ricavi e spese indirettamente connesse, che comprendono le spese di pubblicità e di rappresentanza.

Le spese direttamente connesse sono regolate dall’articolo 109, 5° comma del TUIR, mentre le altre dall’articolo 108, 2° comma. Se, poi, non vi è alcuna connessione, la spesa è indeducibile totalmente (parere 11/2003 comitato consultivo norme antielusive).

2.4. Orientamento giurisprudenziale.

Sull’interpretazione del concetto di inerenza.

In generale.

Analizzando la giurisprudenza di legittimità e di merito più recente sull’argomento, si riscontra un costante recepimento del criterio interpretativo espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale l’inerenza dev’essere intesa in senso ampio, come legame tra costo ed attività dell’impresa, non solo attuale, ma anche potenziale, desumibile dall’oggetto sociale.

Tale corrente interpretativa, largamente maggioritaria, presenta il pregio di essere aderente alla realtà imprenditoriale e, perciò, non penalizza il contribuente.

La CTP di Terni, nella sentenza 97/03/2010 ritiene che non è necessaria una esplicita e diretta connessione del costo stesso ad una precisa componente di reddito, ma la sua correlazione all’attività di impresa e all’idoneità potenziale a produrre utili (in senso conforme CTR Ancona, sentenza 28/1/2010).

La sentenza 186/51/2011 della CTP di Roma interpreta l’inerenza come collegamento del costo all’attività dell’impresa. Analogamente alla pronuncia 142/51/2011, il medesimo giudice precisa che il concetto di inerenza dei costi vada riferito non alla stretta correlazione tra i primi ed i ricavi dell’impresa, bensì tra i costi e l’attività dell’impresa, intesa in senso ampio e con riferimento all’oggetto sociale della stessa.

La CTR di Bologna, sentenza 15/20/2011, qualifica l’inerenza come relazione tra due concetti - la spesa e l’impresa -, che implica un accostamento concettuale tra due circostanze, per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì, in virtù della sua correlazione con un’attività "potenzialmente" idonea a produrre utili.

La CTR di Firenze, sentenza 173/01/2011, ritiene che l’inerenza dell’esercizio dell’impresa per le operazioni di acquisto non può essere verificata sulla base della semplice considerazione dell’oggetto sociale dell’impresa, senza aver eseguito una accurata indagine di fatto, perché "occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali” (si trattava dell’acquisto di un laboratorio-deposito e del sovrastante appartamento di civile abitazione. Venne negato il rimborso dell’IVA afferente all’acquisto dell’abitazione, in quanto non inerente l’attività d’impresa).

La CTP di Lecce, nella sentenza 282/02/2011, decide che "il concetto dell’inerenza è stato ampliato nella normativa del 1973, collegandolo non più ai ricavi ma all’attività di impresa, come chiarito più volte dall’Amministrazione Finanziaria secondo la quale, appunto, l’inerenza non è legata ai ricavi ma all’attività di impresa (Ris. 158/E del 28.11.1998), con la conseguenza che si rendono deducibili anche i costi e gli oneri in proiezione futura, come le spese promozionali, e comunque quelle dalle quali derivano ricavi in successione di tempo" (Ma.Le., Le imposte sui redditi nel Testo Unico). Detti principi trovano conferma nella Giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza n. 16826/2007), per la quale "affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito di impresa non è necessario che questo sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività idonea a produrre utili".

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è volto nel medesimo senso come dimostrano diverse sentenze, tra cui la n. 16726/2007 e la n. 19702/2011 (sull’inerenza dei costi sostenuti a titolo di penale per inadempimento contrattuale).

Nelle spese di pubblicità.

Dall’elencazione sommaria della giurisprudenza emerge che l’interpretazione più diffusa collega i costi all’attività dell’impresa, attuale o potenziale, e, per le spese di pubblicità, questo concetto viene sottolineato, considerando le spese di pubblicità inerenti, in quanto volte ad incrementare le vendite.

La Cassazione, sez. V, nella sentenza 10959/2007, ritiene che le spese di pubblicità siano volte ad incrementare le vendite.

Nella sentenza 17602/2008 la medesima sezione dettaglia che le spese di pubblicità sono sostenute per creare un’aspettativa di incremento delle vendite, sensibilizzando preventivamente l’interesse dei consumatori mediante iniziative e campagne di reclamizzazione, destinate a svolgere un ruolo decisivo sullo sviluppo degli affari e, dunque, sul fatturato dell’azienda.

Sulla documentabilità dell’inerenza.

In generale.

La Cassazione, nella sentenza 14570/2001, precisa che, per dimostrare l’inerenza di un costo all’attività dell’impresa, occorre conservare la documentazione di supporto, che costituisce il presupposto della registrazione contabile e la prova delle ragioni che hanno indotto l’impresa a sostenerlo.

Nella successiva sentenza 27095/2006 si pronuncia sulla deducibilità di spese di viaggio di persone estranee alla compagine sociale, avvallando come documentazione pertinente quella che dimostrava la strategia commerciale della società in quella data area geografica.

Tale necessità emerge anche dalla sentenza della CTP di Roma, sentenza 186/51/2011, in cui gli accordi di fornitura, la documentazione delle campagne di promozione sul brand, quella attestante la connessione della società ricorrente a diversi sistemi di prenotazione su scala globale, estratti di conto corrente bancario su cui sono stati eseguiti i bonifici per il pagamento delle fatture vengono considerati decisivi nella dimostrazione dell’inerenza.

Analoga valutazione viene fatta dalla sentenza 17/01/2011 della CTP di Milano, in cui l’inerenza di costi per un meeting di lavoro organizzato dalla società ricorrente per i propri agenti di commercio viene provata efficacemente dalla documentazione dell’attività svolta nel corso delle riunioni, da cui emerge l’inerenza della spesa all’attività sociale.

Nello stesso senso sono orientate le sentenze 112/02/2010 della CTP di Perugia e n. 101/12/2010 della CTR di Milano.

Onere della prova in presenza di fatture con descrizione generica.

Ricca di spunti operativi è la digressione contenuta nella sentenza 12/02/2010 della CTP di Trento, in cui viene disconosciuta l’efficacia probatoria di fatture con descrizione generica, ritenendo, tuttavia, che se alcuni costi contabilizzati e portati in deduzione dal reddito siano rappresentati da fatture che l’Amministrazione finanziaria ritiene irregolari, il contribuente è ammesso a provare altrimenti che l’operazione ed il corrispondente esborso sono reali, a prescindere dalla falsità della fattura; dovendosi, in caso di esito positivo della prova, riconoscere la deducibilità del costo inerente alla produzione del reddito, nella misura in cui risulta contabilizzato ed imputato al conto economico relativo all’esercizio di competenza (su questo viene citata la sentenza di Cass. 19353/2006).

Nelle spese di pubblicità.

La sentenza 48/04/2008 della CTR di Campobasso considera sufficiente per la deducibilità delle spese di pubblicità la fattura e la contabile del pagamento effettuato.

Dalla sintetica illustrazione di queste sentenze emergono alcune interessanti indicazioni operative: come esposto sopra, la sponsorizzazione è volta a promuovere l’immagine o i prodotti dello sponsor in vista dell’aumento del fatturato legato all’oggetto sociale.

Quando si concludono degli accordi di sponsorizzazione è importante creare e conservare tutto ciò che documenti questo scopo (analisi di mercato, appunti di riunioni, scambi di e-mail; evidentemente il tutto va proporzionato al settore ed alle dimensioni del contribuente). Oltre a ciò, occorre conservare la documentazione che prova che: lo sponsee è società che beneficia della Legge 289/02, la sponsorizzazione è stata effettuata, la fattura è stata emessa e il pagamento è avvenuto.

Onere della prova dell’inerenza.

La giurisprudenza esaminata è costante nel porre a carico del contribuente l’onere di provare l’effettività e l’inerenza dei costi conseguiti (ex multis: Cass., sentenza 10257/2008, 4594/2009, 4443/2010 e 4554/2010).

Inerenza delle spese di pubblicità.

La CTR di Ancona, nella sentenza 149/01/2010, qualifica spesa di pubblicità (in conformità a quanto ritenuto da Cass. n. 7803/00) il costo sostenuto per cena inaugurale di un circolo organizzata da un cliente della società ricorrente, operante nel settore del mobile, dato l’interesse della società a promuovere il proprio marchio.

La CTR di Firenze, nella sentenza 46/21/2011, valuta spese di pubblicità quelle relative all’ospitalità della clientela, sostenute da una società nel settore della meccanica, in quanto necessarie per permettere al cliente di comprendere esaurientemente il funzionamento della nuova tecnologia approntata dalla società. La Commissione le ritiene inerenti alla produzione del reddito, in quanto “finalizzate alla conclusione della compravendita del prodotto: in tal senso trattasi di spese aventi il requisito: della competenza e della inerenza, come per altro verso successivamente chiarito dal Ministero dell’Economia e Finanze con il Regolamento avente ad oggetto "Disposizioni attuative dell’art. 108 comma II del T.U.I.R., di cui al DPR 917/86 in materia di spese di rappresentanza".

La CTR Milano, nella sentenza 113/28/2011, si occupa delle spese sostenute da una casa di moda per l’utilizzo di testimonials (dal compenso, al truccatore, al parrucchiere) esponendo l’illuminato criterio secondo il quale l’inerenza di una spesa va valutata in relazione al settore in cui opera l’impresa sponsor. La posizione della commissione parte dal presupposto che la pubblicità è una tecnica in continua evoluzione e che varia da settore a settore. Perciò, occorre un’attenta valutazione delle argomentazioni del contribuente, che, assolvendo l’onere probatorio su di sé incombente, dovrà introdurre il giudice alla comprensione del modo con cui opera la pubblicità nella propria area di attività e provare che spese, che in altre si sarebbero qualificate non inerenti (ad es., il parrucchiere), sono del tutto ordinarie nel settore della moda.

2.5. Conclusione.

Dalla funzione svolta dall’articolo 109, 5° comma, TUIR deriva la sua assoluta inadeguatezza a contestare la non inerenza di una spesa pubblicitaria all’attività d’impresa, fine che l’ufficio deve perseguire utilizzando altre norme, ad es. provando che l’operazione è inesistente e, in particolare, per le sponsorizzazioni sportive che: la somma è erogata a soggetto che non può beneficiare della Legge 289/02 o che il fine non è la promozione dell’immagine del soggetto erogante o che il servizio non è stato svolto.

Un caso esemplare di contestazione fondata sull’inesistenza dell’operazione è quello deciso dalla Cassazione con la sentenza 20451/2011, riguardante il caso di un istituto di credito che aveva acquistato da una consociata dei titoli di credito a valore inferiore a quello di mercato, per i quali non era stato accreditato alcun importo ed i cui costi erano stati indicati in bilancio come interessi passivi (ma, anche a tale titol,o non risultavano operazioni compiute dalla banca da cui potesse derivare un debito per interessi).

3. Antieconomicità ed onere della prova secondo la giurisprudenza più recente.

Sovente l’Agenzia delle Entrate ricorre alla contestazione di antieconomicità per supportare l’asserita non inerenza dei costi sostenuti partendo dal presupposto che un imprenditore non debba sostenere dei costi sproporzionati rispetto ai ricavi e non in linea con il tipo di attività svolta.

Questo argomento è stato analizzato in varie sentenze sia di merito che di legittimità; i giudici sostengono entrambe le tesi: l’impossibilità dell’amministrazione finanziaria di valutare la congruità di un costo sostenuto dall’impresa e, quindi, di contestare l’ incongruità del costo e, al contrario, il potere di farlo.

Un ambito su cui i giudici sono intervenuti più volte è quello dei compensi agli amministratori di società di persone.

La Cassazione, nella sentenza 6599/2002, esclude che: “l’amministrazione finanziaria possa valutare la loro congruità, in quanto l’articolo 62 del TUIR, a differenza dell’articolo 59 del previgente DPR 597/73, non indica tabelle o “massimi tariffari” vincolanti per la società. Nel sistema la spettanza e la deducibilità dei compensi agli amministratori è determinata dal consenso che si forma o tra le parti o nell’ambito dell’ente sul punto, senza che all’amministrazione sia riconosciuto un potere specifico di valutazione di congruità. Infine, non esistendo una norma generale antielusiva, non è consentito all’amministrazione tale sindacato”.

In senso conforme la n. 21155/2005, in cui la Suprema Corte ritiene che: “l’interprete non può procedere ad alcuna valutazione senza correre il rischio concreto della arbitrarietà e della possibile disparità di trattamento, sicuramente da evitare in un ordinamento incentrato sul principio di legalità. Il dato normativo esplicito, o implicito (ricavabile dal sistema, quando è possibile), resta l’unico al quale l’interprete deve ancorare il suo operato”.

Del medesimo avviso, infine, la n. 28595/2008, con cui la Cassazione ha escluso l’attribuzione all’amministrazione finanziaria di un qualsivoglia potere valutativo sul compenso degli amministratori di società.

Di diversa opinione erano state le sentenze: 13478/2001, 12813/2000 e 20748/2006.

Su questo tema appare preferibile la tesi che nega tale potere all’amministrazione finanziaria, in quanto privo di base normativa e in quanto la motivazione dei giudici è perfettamente coerente con il criterio principe nell’interpretazione delle norme, quale quello letterale.

In generale.

La Cassazione, sentenza 11645/2001, si pronuncia per l’esistenza del potere di accertare induttivamente il reddito di un contribuente che tenga un comportamento antieconomico ed ingiustificato (in senso conforme: sentenze 9497/2008 e 4554/2010).

La CTP di Napoli, nella sentenza 256/28/2010, conclude che: "rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria (ai fini dell’imposizione sul reddito, sulla base del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9 o di norme particolari, quale quella contenuta nell’art. 75, comma 5, dello stesso D.P.R., ora 109) la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità, totale o parziale, di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato".

La CTP di Reggio Emilia, sentenza 23/01/2008, riconosce il potere di disconoscere un costo il cui sostenimento si presenti manifestamente irrazionale ed antieconomico.

Il medesimo giudice, sentenza 83/04/2011, ritiene che l’economicità o meno dell’operazione non può essere valutata in astratto, in via teorica, ma in concreto comparando rischi e benefici.

La CTR Lazio, sentenza 643/01/2010, sostiene che il potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria trovi il proprio limite nel diritto di libera iniziativa economica, costituzionalmente tutelato.

Casi particolari.

Il potere di vagliare la congruità del costo è riconosciuto anche nelle sentenze: 6337/2002 (acquisto di beni usati per importi superiori a quelli di rivendita), 7860/2002 (canone di affitto antieconomico), 10802/2002 (canone di noleggio imbarcazioni antieconomico), 11240/2002 (deduzione di costi sproporzionati ai ricavi), 417/2008 (percentuali di ricarico difformi dalle medie di settore), 1915/2008 (amministratore privo di compenso).

Spese di pubblicità.

Sulla congruità delle spese di pubblicità su segnala la decisione 3532/1993 della Commissione Tributaria Centrale, sez. IV, che esclude che l’ufficio possa subordinare la deducibilità delle spese ad un giudizio di congruità del loro ammontare, sia per mancanza di supporto normativo, sia perchè esse vanno rapportate non al reddito prodotto, ma al volume complessivo degli affari e sia perché l’incidenza di tali spese ai fini della produzione del reddito può riverberare anche in esercizi successivi a quello in cui esse sono state sostenute.

E’ evidente che il potere dell’amministrazione finanziaria, che la giurisprudenza riconosce, pur in mancanza di appiglio normativo, dato che non vi è nel nostro sistema una norma generale antielusiva e che l’elencazione delle operazioni potenzialmente elusive contenuta nell’articolo 37-bis del DPR 600/73 è tassativa, impone alla stessa un onere di motivazione, in sede amministrativa, e probatorio, in sede contenziosa, da non sottovalutare (si veda Cassazione, sentenza 3947/2011).

All’estensione del potere valutativo dell’amministrazione corrisponde, specularmente, il bacino argomentativo e probatorio a cui il contribuente può e deve attingere, sia nella fase di accertamento con adesione che in quella contenziosa. In altri termini, il fatto che venga riconosciuto un potere di valutare la congruità dei costi implica che esso debba venir suffragato da argomenti efficaci ed idonei, essendo assolutamente insufficienti clausole di stile.

Spetta al contribuente, oltre alla preliminare contestazione dell’inesistenza del potere valutativo della congruità di un costo sostenuto, contrastare la pretesa tributaria dimostrando la ragionevolezza, ad es., dello scostamento rispetto alle percentuali di ricarico del settore, del canone di locazione inferiore al valore di mercato ecc.

In conclusione, a nessuna delle parti è “garantito un risultato” che non sia frutto di argomentazione e prova.

4. Spunti per il contribuente: documentazione per l’ operatività e per la difesa nella verifica e nel ricorso.

Quanto è stato esposto si ritiene possa essere un valido faro per orientare il contribuente nelle scelte operative quotidiane, in modo da non essere preso alla sprovvista nel caso di verifica fiscale.

Occorre acquisire familiarità con la preparazione, quanto più dettagliata e la conservazione dei documenti inerenti alle operazioni effettuate (ciò, si ripete, deve essere parametrato alla tipologia e dimensione del contribuente).

Esempi.

Una delle sentenze citate aveva disconosciuto la validità come giustificativo di costo della fattura con descrizione generica; la descrizione esaustiva della fattura, con riferimento anche ad un ordine, ad un contratto, da conservare nel dossier dell’operazione, insieme a lettere, e-mail, appunti di telefonate prese ecc. costituiscono aiuti preziosi per poter sostenere la propria posizione, siglando l’adesione ad un accertamento o ottenendo di convincere il giudice della giustezza del proprio operato.

Altro spunto riguarda le spese di ospitalità di clienti o le spese commerciali in genere, in cui una parte importante è assunta dalla strategia aziendale. In questo caso determinanti possono essere: eventuali delibere del cda sulla necessità di penetrare un determinato mercato, appunti delle riunioni del Direttore commerciale con i venditori e agenti, direttive diramate tramite newsletter, scambio di corrispondenza con il cliente, che faccia emergere che la sua permanenza presso l’azienda è necessaria per la dimostrazione del nuovo prodotto o per un collaudo.

Nel caso, poi, che si commissionino analisi, studi o ricerche, oltre all’incarico in tal senso, è consigliabile conservare un esemplare del servizio svolto; la medesima considerazione vale per le campagne pubblicitarie e di sponsorizzazione.

4.1. Argomentazioni difensive e sanzioni in materia di esibizione e trasmissione di documenti falsi all’amministrazione finanziaria.

Un particolare profilo degno di interesse è quello della sanzionabilità penale dell’esibizione e trasmissione di documenti falsi, introdotto dall’articolo 11, 1° comma, D.L. 201/2011, convertito con modifiche dalla L. 214/2011.

Tale norma sancisce: “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.

Viene suggerita, ancora una volta, l’importanza della corretta e tempestiva preparazione della documentazione ed è particolarmente conferente alla contestazione delle sponsorizzazioni, soprattutto per quanto affermato al paragrafo 2.1.: gli uffici partono dal presupposto che la sponsorizzazione sia in tutto o in parte inesistente e, non riuscendo a provare ciò, contestano l’inerenza o la congruità della spesa.

Se, invece, anche alla luce di questa norma, impostassero l’accertamento rilevando l’inesistenza? Evidentemente, questa censura è possibile e. nell’ottica della “caccia all’evasore” diventa maggiormente appetibile rispetto ad una contestazione di difetto di inerenza o antieconomicità, in quanto permette, sussistendone i requisiti, di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica, oltre che per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 74/2000, anche per falso in atto o documento, adducendo la falsità di quanto prodotto nel corso di un accesso o una verifica.

Vi potrebbe essere, dunque, un uso disinvolto di questa norma e, a maggior ragione, la quanto più completa documentazione di una sponsorizzazione, si può rivelare estremamente utile.