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Anche la Sicilia avvia il riordino delle proprie “Province Regionali”

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Sommario:

1. L’incerto disegno del legislatore regionale

2. La tecnica legislativa

3. Le funzioni amministrative proprie e fondamentali

4. Le funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento

5. Il rapporto tra le fonti normative

6. Profili d’incostituzionalità

Con la legge regionale 8 marzo 2012, n. 14, rubricata “Norme concernenti le funzioni e gli organi di governo delle province regionali”, passata indenne dal filtro del Commissario dello Stato, l’Assemblea Regionale Siciliana ha dato il suo primo contributo all’esigenza di rivedere l’organizzazione dell’ente intermedio nel contesto di un più generale riordino del sistema delle Autonomie locali in Sicilia. Il testo, costituito da un unico articolo contenente 4 commi, sembra più proteso a trovare una soluzione legislativa per giustificare il commissariamento degli organi di governo delle Province Regionali di Caltanissetta e Ragusa, chiamate, per motivi diversi, al rinnovo elettorale un anno prima delle altre. Il comma 3 è infatti destinato ad estendere i poteri dell’Amministrazione regionale, di cui all’art. 145 dell’Ordinamento Regionale degli Enti Locali (D.L.P. n. 6/55), in materia di commissariamento di organi di governo degli Enti locali.

In disparte il contenuto del comma 4 che, sopprimendo l’articolo 15 della l.r. n. 31/86 ed incidendo non poco nell’ambito delle incompatibilità delle cariche elettive, merita uno specifico approfondimento, le disposizioni che richiedono di essere commentate sono quelle contenute nei primi due commi.

Il 1° comma così recita: “Nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012”. Mentre il 2° comma dispone che “Con la legge di cui al comma 1, si procederà al riordino degli organi di governo delle province regionali, assicurando che da tali disposizioni derivino significativi risparmi di spese per il loro funzionamento. La legge individua gli organi di governo della provincia regionale e disciplina la loro composizione e le modalità di elezione. La composizione degli organi collegiali viene determinata in rapporto alla popolazione residente e comunque in misura tale da garantire una riduzione di almeno il 20% rispetto ai limiti previsti dalla legislazione vigente”.

Dalla lettura delle citate disposizioni si rileva immediatamente il contenuto programmatorio del riordino dell’ente intermedio per quanto concerne le funzioni amministrative, per l’individuazione degli organi di governo, per la disciplina delle competenze da ripartire tra gli organi, per i connessi sistemi elettorali e per la riduzione non inferiore al 20% dei componenti degli organi di governo. La Regione, quindi, si impegna a disciplinare quanto sopra con apposita legge da approvare entro il 31 dicembre 2012, tuttavia si preoccupa di stabilire, già in questa sede, il principio che dovrà orientare la successiva legge. Il 1° comma infatti attribuisce alle “Province Regionali” quelle medesime funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni già previste dall’art. 23, comma 14, del decreto legge n. 201 del 6/12/2011, convertito nella legge n. 214 del 22/12/2011, per le Province delle Regioni a Statuto ordinario.

A questo punto l’ubi consistam della presente riflessione concerne il profilo della prospettiva politica ed istituzionale, quello della tecnica legislativa, quello della coerenza ordinamentale e quello della conformità costituzionale e statutaria.

1. L’incerto disegno del legislatore regionale

Così come per le Province delle Regioni a Statuto ordinario anche per quelle delle Regioni a Statuto speciale come la Sicilia il dibattito sulla reale necessità di mantenere un livello istituzionale intermedio è parecchio acceso e tutt’altro che assopito. Nota è infatti la posizione del Governo regionale di applicare alla lettera la previsione statutaria dei Liberi Consorzi di Comuni[2]. Tuttavia, i gruppi parlamentari presenti all’A.R.S., mostrando una trasversale resistenza avverso il d.d.l. presentato dal Governo, hanno finito per approvare una legge apparentemente conservativa del modello attuale ma, come vedremo più avanti, tendenzialmente innovativa e riduttiva dell’ente intermedio. Dagli atti parlamentari non emerge con chiarezza la reale volontà del legislatore né tale volontà può essere desunta dalle numerose sedute che la Commissione legislativa “Affari istituzionali” dell’A.R.S. ha dedicato al tema, atteso che le soluzioni proposte sono state continuamente emendate e riviste. Anche la soluzione più “sbrigativa” di recepire sic et simpliciter il modello di riforma della legge Monti n. 214/2011 è stato puntualmente avversato ed accantonato.

Pur non risultando chiara e adeguatamente documentata, la volontà della maggioranza degli inquilini dell’A.R.S., sembra essere quella di incidere seriamente sull’articolazione del sistema delle Autonomie locali attraverso la soppressione sistematica di tutti gli enti di derivazione pubblicistica, cosiddetti “enti inutili”, e l’assorbimento delle relative funzioni a carico delle attuali “Province Regionali”. Quindi, non uno svuotamento delle funzioni amministrative come accaduto per le altre Province d’Italia ma, al contrario, una valorizzazione dell’ente intermedio mediante l’accorpamento di tutte quelle funzioni riconducibili alla dimensione di area sovra-comunale.

Se non si può aprioristicamente dubitare di siffatta e sottesa volontà politica, la fredda lettura testuale di quanto approvato dall’A.R.S. ci porta però a manifestare più di una perplessità. A meno di un clamoroso revirement, infatti, il legislatore regionale non potrà che individuare le materie riferite alle future funzioni amministrative da attribuire alle “Province Regionali” partendo proprio dal citato comma 1 dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012 e quindi dal previsto principio “orientativo” secondo cui “spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni…”.

2. La tecnica legislativa

La tecnica legislativa utilizzata è delle peggiori perché introduce disposizioni normative su argomenti già ampiamente disciplinati da leggi precedenti senza alcuna avvertenza di coordinamento. Non si comprende infatti se le disposizioni contenute nei primi due commi dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012, vanno coordinate con quelle esistenti o si pongono in modo alternativo e/o sostitutivo secondo il principio della successione cronologica delle leggi. Già con Circolare del 24/02/1986 n. 1.1.26/10888.9.68 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’auspicare un processo di miglioramento qualitativo della produzione legislativa attraverso un affinamento ed una omogeneizzazione della tecnica di formulazione dei testi normativi, aveva scoraggiato le modifiche implicite o indirette di atti legislativi vigenti, privilegiando la modifica testuale della massima ampiezza possibile (“novella”). Nella medesima Circolare veniva scoraggiata altresì la tecnica delle abrogazioni implicite, sollecitando quanto più possibile forme di abrogazione esplicita.

Orbene, il citato comma 1, allorquando afferma che “Nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012”, collide non poco sia con l’art. 13 della L.r. n. 9/86 rubricato “Funzioni amministrative” che attribuisce alle Province Regionali le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone intercomunale o l’intero territorio provinciale in tre macro aree, che con l’art. 33 della L.r. n. 10/2000, rubricato “Funzioni e compiti amministrativi della provincia regionale”, che conferisce alle Province Regionali funzioni e compiti di “area vasta”.

Secondo il noto criterio cronologico della successione delle leggi saremmo infatti in presenza di un’abrogazione implicita di quelle parti della L.r. n. 9/86 e della L.r. n. 10/2000 in contrasto con la novella legge (e col suo progetto!?). Infatti la nuova disposizione, nell’attribuire alla Provincia le (sole?) funzioni di indirizzo e di coordinamento, sembra escludere implicitamente le precedenti funzioni amministrative ad essa espressamente assegnate per singolo settore.

3. Le funzioni amministrative proprie e fondamentali

La natura programmatica della L.r. n. 14/2012 ci obbliga a rimandare una riflessione più compiuta sulla coerenza e sulla ragionevolezza delle nuove disposizioni normative con l’attuale ordinamento delle Autonomie locali in Sicilia e col sistema del federalismo fiscale introdotto nell’ordinamento con la l. n. 42/2009 in attuazione dell’art. 119 Cost. ed in particolare con i principi ed i criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni fondamentali delle Province che incrociano inevitabilmente il pluralista disegno istituzionale.

Attuale è invece l’esigenza di focalizzare l’attenzione sui primi due commi della novella legge regionale. Ciò, anche in considerazione che, come già detto, le disposizioni in questione, assumendo una valenza “orientativa”, sono idonee ad incidere direttamente e subitaneamente sulle situazioni giuridiche soggettive delle “Province Regionali” in quanto potenzialmente dotate di efficacia innovativa, non abbisognando della necessaria intermediazione dell’annunciata legge con la quale si individueranno nello specifico le materie riferite alle funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento delle attività comunali.

Invero, il legislatore regionale con la tecnica del “copia-incolla” ha introdotto nell’ordinamento siciliano la disposizione di cui all’art. 23 del D.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011. Ora, se nella previsione del legislatore statale lo “svuotamento” delle Province risulta coerente col disegno “step by step” di espungere l’ente intermedio dalla carta costituzionale, la riproduzione ex abrupto al primo comma dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012 della medesima disposizione statale ci rende più che perplessi. Né, può avere rilevanza il fatto che nella disposizione regionale non si rinviene l’avverbio “esclusivamente” invece contenuto nella disposizione statale. Come già detto, infatti, l’attribuzione di una “fumosa” funzione amministrativa, come quella di indirizzo e coordinamento delle attività comunali, aggiuntiva (e quindi non sostitutiva) a quelle che le Province Regionali già esercitano in forza delle leggi regionali n. 9/86 e 10/2000, non avrebbe un carattere innovativo perché già presente nell’ordinamento siciliano.

Non avvertendo, in questa sede, alcuna necessità di ritornare sul merito di argomentazioni già illustrate in occasione della pubblicazione dell’art. 23 del D.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011[3], appare quindi più pertinente richiamare le disposizioni normative che disciplinano le funzioni amministrative delle “Province Regionali” in Sicilia.

L’art. 4 della L.r. 6 marzo 1986 n. 9 prevede espressamente che le “Province Regionali”, costituite dalla aggregazione dei comuni siciliani in liberi consorzi, oltre ad essere dotate della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria, sono titolari di funzioni proprie ed esercitano le funzioni delegate dallo Stato e dalla Regione. Oltre alle competenze espressamente previste agli artt. 9 e 12 in materia di programmazione economico-sociale e pianificazione territoriale, il legislatore regionale individua all’art. 13 in capo alle “Province Regionali” le funzioni amministrative nelle materie dei servizi sociali e culturali, dello sviluppo economico, dell’organizzazione del territorio e della tutela ambientale.

In materia di funzioni e compiti amministrativi il legislatore regionale attraverso la L.r. n. 10/2000, art. 33, comma 1 e 2, ha altresì stabilito che le “Province Regionali”, oltre a quanto già specificatamente previsto dalle leggi regionali precedenti, esercitano le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici.

Non vi è chi non veda nell’illustrato quadro normativo un chiaro riconoscimento della Regione di funzioni proprie in capo ai costituiti Liberi Consorzi di Comuni, denominati “Province Regionali”, ontologicamente connaturate all’autonomia statutaria di tali enti, diverse da quelle attribuite espressamente con legge regionale. Peraltro tale differenziazione sembra coerente con quella già operata dalla Costituzione tra funzioni proprie previste dall’art. 118, comma 2, e funzioni fondamentali previste dall’art. 117, secondo comma, lettera p).

In questa prospettiva e senza richiamare la più recente legge sul federalismo fiscale n. 42/2010, attesa la parziale applicazione della medesima nell’ordinamento regionale siciliano, va rilevato che in forza del citato art. 4 della L.r. n. 9/86, attuativo anche dell’art. 119 Cost., le “Province Regionali” devono poter disporre di un’autonomia di entrata e di spesa tale da finanziare integralmente tutte le funzioni pubbliche, sia quelle proprie che quelle attribuite mediante legge.

4. Le funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento

L’azione del legislatore regionale con la quale si attribuiscono ai Liberi Consorzi di Comuni, denominati “Province Regionali” le sole funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni, nelle materie che saranno indicate con successiva legge entro il 31 dicembre 2012, non è altro che un “autogoal” per quei parlamentari regionali che hanno inteso votare la legge pensando di potenziare l’attuale ente intermedio.

Non si comprende infatti in cosa possa consistere la funzione di indirizzo e coordinamento verso un altro livello istituzionale, quello comunale, che non è affatto sotto-ordinato a quello provinciale per espressa volontà equi ordinatrice sia della Costituzione che dello Statuto siciliano (art. 15). Difficile risulta altresì la collocazione di siffatta funzione nelle tradizionali categorie “gestionale”, “storico-normativa” e “funzionalista” in cui risultano annoverabili le attuali funzioni amministrative degli enti locali.

Ora, in un contesto ordinamentale in cui il principio di “sussidiarietà responsabile” da un lato e la spettanza al Comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale dall’altro, orientano le politiche pubbliche locali secondo il criterio della competenza, deve ritenersi azzardato ipotizzare che il ruolo del Comune possa essere confinato nell’ambito della mera attuazione di scelte precostituite dalla “Provincia Regionale” nell’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. Invero, il nostro ordinamento conosce tale funzione ma nell’ambito del rapporto gerarchico tra le fonti del diritto (tra leggi cornice e leggi regionali in materie a competenza concorrente), ovvero, nel contesto della pubblica amministrazione, tra le amministrazioni a struttura gerarchica, all’interno delle quali la sede centrale indirizza e coordina le sedi periferiche.

Anche con l’esperienza della pianificazione territoriale di area vasta, contemplata dall’art. 15, comma 2, della legge n. 142/90 poi sostituito dall’art. 20, comma 2 del TUEL (in Sicilia dall’art. 12 della L.r. n. 9/86), è stato infatti affermato dalla giurisprudenza che “l’intervento amministrativo della Provincia potrà avvenire solo nei confronti di quegli atti che pur essendo stati posti in essere da altri enti, hanno un oggetto rientrante nelle competenze e attribuzioni della Provincia, non suscettibile al tempo stesso, di porsi in contrasto con la riconosciuta affermata autonomia normativa di altri enti”[4], atteso che le esigenze di tutela e salvaguardia delle autonomie locali, costituzionalmente garantite dall’art. 5 della Costituzione e formalmente attuate con la legge n. 142/90 prima e dal TUEL dopo, trovano riconoscimento nell’affermazione dell’autonomia normativa e regolamentare in capo ai Comuni.

Peraltro, il legislatore regionale sembra sottovalutare la necessità di mantenere una stretta connessione tra funzioni amministrative e risorse. Infatti la parziale attuazione nell’ordinamento regionale delle norme sul federalismo fiscale di cui alla legge n. 42/2010 non impallidisce il principio sotteso all’art. 119 della Costituzione, secondo il quale l’insieme delle funzioni amministrative rappresenta, anche per le Regioni a Statuto speciale, il presupposto per la determinazione delle risorse finanziarie.

Orbene, occorre uno sforzo legislativo non comune per riuscire ad individuare le materie connesse alle funzioni di indirizzo e coordinamento della attività dei comuni tali da riuscire a giustificare la permanenza del livello istituzionale intermedio rappresentato dai Liberi Consorzi di Comuni, atteso che la struttura consortile, per antonomasia, esercita già una funzione di indirizzo e coordinamento dei Comuni facenti capo al medesimo Consorzio.

In tale contesto non bisogna dimenticare che i servizi pubblici a rilevanza economica (soprattutto quelli relativi alla gestione delle risorse idriche ed alla gestione integrata dei rifiuti), pur essendo stati espunti dalla Corte Costituzionale dalle funzioni amministrative fondamentali dell’ente locale[5], sono alla ricerca di un livello istituzionale di dimensione provinciale sostitutivo delle soppresse AA.T.O.. Infatti il comma 1 dell’art. 25 della legge n. 27/2012, di conversione del D.l. n. 1/2012, prevede che l’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale cui le Regioni si conformano ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) e s) della Costituzione.

5. Il rapporto tra le fonti normative

La discutibile tecnica utilizzata dal legislatore regionale per le illustrate ragioni, impone però una considerazione di merito concernente i rapporti gerarchici tra le fonti normative in discussione. L’approvazione della L.r. n. 14/2012 non è infatti una ragione sufficiente per ritenere implicitamente superata una norma ancora attualmente vigente quale quella dell’art. 13 della L.r. n. 9/86 che disciplina le funzioni amministrative delle “Province Regionali” né, tanto meno, quelle contenute negli articoli 10 e 12 in materia di programmazione economico-sociale e pianificazione territoriale della medesima L.r. n. 9/86 come riprese dalla L.r. n. 10/2000. Una norma più risalente può essere implicitamente abrogata da una norma successiva quando vi è contrasto tra l’una e l’altra, in applicazione del criterio cronologico, che è uno dei criteri attraverso cui vengono risolte le antinomie presenti nell’ordinamento. Ma occorre pur sempre dimostrare che vi sia contrasto tra le due norme, perché altrimenti il criterio di soluzione delle antinomie non scatta.

Orbene, se si sostiene che le nuove funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni sono le sole di cui potranno disporre le future “Province Regionali” allora siamo in presenza di una soluzione implicitamente abrogativa delle previgenti previsioni di legge. Se invece si sostiene che le novelle funzioni amministrative non sono sostitutive di quelle che le “Province Regionali” già esercitano ma complementari, allora viene il dubbio della reale portata innovativa di tale previsione, attesa l’immanenza nell’ordinamento regionale della disposizione di cui all’art. 33, comma 1, della L r. n. 10/2000 secondo cui: “La provincia regionale, oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi regionali, esercita le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici”. Saremmo quindi tentati di optare per la prima ipotesi con le avvertenze necessarie.

Infatti, andrebbe in questa sede indagata meglio anche la stessa portata normativa della L.r. n. 9/86, che certamente è stata introdotta nell’ordinamento attraverso una norma primaria ma che, secondo una scala gerarchica a maglie più strette, si trova ad un gradino più alto di un’ordinaria legge approvata dall’A.R.S., qual’è quella di cui trattasi. Siamo infatti in presenza di una norma che non solo attua per la prima volta il principio di valorizzazione e promozione dell’autonomia locale contenuto nell’art. 5 della Costituzione ed applicato all’ente intermedio, ma che dà attuazione altresì a quanto previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano. Trattandosi, quindi, di una norma attuativa sia di una previsione costituzionale che di una previsione statutaria, si ritiene che la stessa operi ad un livello superiore a quello della ordinaria legge regionale[6]. Per analogia va qui rilevato che la Corte di Cassazione[7], evidenziando la portata innovativa del TUEL, ha affermato che tale legge ha profondamente inciso nei rapporti tra fonti normative e statali e locali.

Inoltre, se l’antinomia sussiste non con una specifica norma ma, come nel caso che ci occupa, con l’impostazione generale di una norma programmatica, a questo punto la questione potrebbe essere risolta anziché applicando il criterio cronologico, mercè l’applicazione del principio di specialità, che porta a ritenere comunque applicabile la legge speciale, quale sarebbe la L.r. n. 9/86 che sopravviverebbe pertanto all’entrata in vigore della novella L.r. n. 14/2012. Corollario di questo ragionamento è che ad oggi, al caso in specie andrebbe applicato il principio lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, atteso che la legge posteriore intende, verosimilmente, disciplinare in maniera organica ed innovativa l’intera materia con successiva legge da approvare entro il 31 dicembre 2012.

6. Profili d’incostituzionalità

Prima di entrare nel merito delle questioni di costituzionalità rivolte nei confronti di una legge regionale già in vigore e la cui attualità è in re ipsa, appare necessario evidenziare che in Sicilia si parla impropriamente di Province, atteso che nell’ordinamento regionale l’ente intermedio non è rappresentato dalle Province come tradizionalmente intese ma dai Liberi Consorzi di Comuni, regolarmente costituiti per singole aree di riferimento sovra-comunale, e denominati “Province Regionali”. Pertanto, a meno di voler pregiudizialmente sostenere l’incostituzionalità della legge istitutiva dei Liberi Consorzi di Comuni n. 9/86[8], è con questi enti locali che bisogna parametrare i rapporti di costituzionalità sottesi alla novella disciplina.

Pur presentandosi come disposizioni normative programmatiche, atteso il rinvio ad altra legge regionale per l’individuazione degli organi di governo delle “Province Regionali” (rectius, dei Liberi Consorzi di Comuni), per la disciplina delle competenze da ripartire tra gli organi, per i connessi sistemi elettorali e per la riduzione non inferiore al 20% dei componenti degli organi di governo, e fatta salvo il citato principio gerarchico tra le fonti normative in conflitto, non può comunque non rilevarsi l’immediato ed elevato grado di vulnerabilità delle disposizioni contenute nel 1° comma, in grado di ledere manifestamente il principio autonomistico del sistema ordinamentale siciliano derivante dalla combinata lettura dell’art. 15 dello Statuto siciliano e degli articoli 5 e 118 della Costituzione.

L’art. 15 dello Statuto siciliano - approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2 – così recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e la esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.

In applicazione del citato art. 15 dello Statuto, viene adottato con decreto legislativo presidenziale n. 6 del 29/10/1955 l’Ordinamento Amministrativo degli Enti locali nella Regione Siciliana (O.R.E.L.), confermato dalla successiva legge n. 16 del 15/03/1963. L’art. 17 del citato O.R.E.L., poi soppresso dall’art. 61 della L.r. n. 9/86, così dispone: “I Liberi Consorzi costituiti a norma dei precedenti articoli attuano il decentramento dell’Amministrazione regionale a mezzo dei loro organi; svolgono le funzioni amministrative delegate dalla Regione, nonché i compiti ed i servizi demandati dallo Stato. Con la legge che ne approva lo Statuto, il Libero Consorzio assume la denominazione di Provincia regionale contraddistinta col nome del Comune dove ha sede l’Amministrazione consortile”.

L’art. 1 della L.r. n. 9/86, rubricata “Istituzione della provincia regionale” introduce nell’ordinamento regionale il principio costituzionale dell’autonomia politica solennemente previsto dall’art. 5 della Costituzione. Il primo comma infatti così recita: “L’attività della Regione, degli enti locali territoriali e degli enti da essi dipendenti è ispirata ai principi di autonomia, di decentramento, di partecipazione ed al metodo della programmazione”. Il 1° comma dell’art. 3 della medesima L.r. n. 9/86 dispone altresì che “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati <<province regionali>>”.

Ancora, in forza dell’art. 31 della L.r. n. 10/2000, “In armonia con il principio di sussidiarietà e con i principi enunciati dall’articolo 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale sono conferite agli enti locali”. Il successivo art. 32 così recita: “La Regione ai sensi dell’articolo 117, primo e secondo comma, e dell’articolo 118, primo comma della Costituzione, organizza l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province”.

Dalla lettura sistematica delle riportate disposizioni normative, appare evidente che l’ordinamento regionale degli enti locali si basa su un livello comunale e su un livello intermedio rappresentato dai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali” e che a tali livelli istituzionali il medesimo ordinamento riconosce la più ampia autonomia politica, amministrativa e finanziaria.

Nulla vieta alla Regione Siciliana di ri-disciplinare le autonomi territoriali, e per fare questo deve necessariamente tenere conto di quanto prevede lo Statuto e quindi del più volte citato art. 15. Ma l’avvertenza è d’obbligo quando si tratta di ordinamenti giuridici a fini generali (dunque politici) in grado di definire un proprio indirizzo politico anche diverso rispetto a quello regionale.

Corollario di questa avvertenza è che il legislatore regionale è abilitato anche ad intervenire sulla legge che ha dato attuazione alla previsione dello Statuto contenuta nell’art. 15 nella parte riferita ai Liberi Consorzi di Comuni, cioè sulla L.r. n. 9/86. In questa prospettiva però, un’importante proposta di modifica della L.r. n. 9/86, deve muoversi guardando, come stella polare, al citato principio autonomistico contenuto sia nell’art. 15 dello Statuto siciliano che nell’art. 5 della Costituzione nonché a quelli espressi nell’art. 118 Cost, come introdotti nell’ordinamento regionale dalla l.r. n. 10/2000, con particolare riferimento al principio di sussidiarietà verticale. Peraltro, lo Statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (articolo 14, comma 1) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si è mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione Siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione[9].

In tale contesto, va altresì garantito il principio “troppe volte accantonato, della necessaria aderenza dell’ente ad una comunità di base”[10]. In disparte ogni ulteriore considerazione in ordine all’evidente difficoltà di sconvolgere un assetto consolidato di rapporti non solo amministrativi tra i diversi livelli di governo che gravitano sul medesimo territorio, con il rischio più che fondato di un accentramento regionale in contrasto con le previsioni di cui all’art. 5 della Costituzione.

Inoltre, in riferimento alle problematiche rilevate e di non agevole soluzione, che emergono anche dal nuovo Titolo V°, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell’ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, non debba contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato così come elencata all’articolo 117 secondo comma. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V° non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite[11].

Con particolare riferimento alla materia dell’ordinamento degli Enti locali nelle Regioni a Statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza[12] ha ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni. In particolare, la medesima Corte[13] ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere ed a promuovere le autonomie, ed ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto doveroso il “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”[14].

Ciò significa che la Regione Siciliana non è vincolata all’osservanza di una specifico modello istituzionale analogo alla legislazione statale per disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già affermato per la consorella Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>”[15], utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[16]. In tale contesto è da respingere la “definizione stipulativa” secondo cui l’autonomia della Regione Siciliana ricomprende solo tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del livello di governo inferiore.

E poiché gli enti espressione di “autonomia” sono quelli che consentono di partecipare all’adozione di decisioni, incidendo nei processi di deliberazione pubblica che li riguardano, un’ipotesi di riforma, come quella che ci occupa, che vede sostanzialmente “svuotate” di funzioni amministrative fondamentali gli attuali Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali”, trova verosimilmente un ostacolo sia nell’art. 15 dello Statuto che negli articolo 5 e 118 della Costituzione. Infatti, la citata sent. n. 83 della Corte Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma che “la garanzia delle comunità territoriali minori non può subire, nel suo nucleo essenziale, significative alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie ordinarie, venga in considerazione quello delle autonomie speciali ove sono presenti competenze regionali (e provinciali) esclusive”. Appare evidente la necessità, contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire ad una parte dell’ordinamento (Regioni a Statuto speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di sistema”.

Ora, assegnare ai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali”, regolarmente istituiti in Sicilia attraverso le procedure amministrative prescritte dalla L.r. n. 9/86, le sole funzioni di indirizzo e coordinamento significa, implicitamente, abrogare non solo le fondamentali funzioni amministrative già trasferite dalla Regione ai medesimi Liberi Consorzi, ma anche quelle proprie riconosciute all’art. 4, comma 3, della L.r. n. 9/86, così disconoscendo la natura di enti autonomi costitutivi dell’ordinamento degli enti locali regionale cui spettano una sfera incomprimibile, salva l’ipotesi del procedimento di revisione statutaria, di poteri e di funzioni.

Orbene, ammesso che il legislatore regionale possa stabilire in questi termini quali funzioni fondamentali attribuire ai Liberi Consorzi di Comuni e, di converso, quali funzioni eliminare in forza dell’art. 15 dello Statuto, tale sorte non può essere riservata anche alle funzioni proprie, cioè a quelle funzioni storicamente esercitate dall’ente intermedio, perché dotate di mirata copertura statutaria.

In tale contesto la Corte Costituzionale, pur negando che possa distinguersi fra le “funzioni fondamentali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), e le “funzioni proprie” degli enti locali, di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.[17], e che il mancato riferimento, da parte del legislatore, alle funzioni proprie della Provincia non implica il disconoscimento dell’esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost[18], ha riconosciuto l’utilità del criterio storico “per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e comunale”, circoscrivendone l’utilizzabilità “a quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[19]. Può, invero, pacificamente ritenersi che siffatta posizione, costituzionalmente qualificata, sia anche funzionale alla migliore tutela delle prerogative di cui godono in Sicilia i Liberi Consorzi di Comuni, tra le quali vi è certamente il riconoscimento di un “diritto” all’autodeterminazione, all’integrità della propria autonomia politica, amministrativa e finanziaria, nonché del proprio territorio (inteso come elemento costitutivo e identitario di qualunque categoria di enti in cui si articola la Regione Siciliana ai sensi dell’art. 15 dello Statuto).

Pertanto, e in disparte ogni ulteriore considerazione sulla tecnica legislativa utilizzata dall’ARS in cui stride l’assoluta assenza di norme di coordinamento con la legislazione vigente in materia di ente intermedio regionale, non può non rilevarsi come l’attribuzione ai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali” delle sole funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività comunali, non potendosi certamente annoverare in quella “sfera adeguata di funzioni” prescritta dalla Corte Costituzionale, configura una manifesta lesione del principio di autonomia e decentramento previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano e dall’art. 5 della Costituzione prima e, a seguito dell’espressa introduzione nell’ordinamento regionale del principio di sussidiarietà verticale attraverso la citata L. r. n. 10/2000, anche del medesimo principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione. Questione che assume maggiore spessore in funzione del mancato “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”. Il coinvolgimento dei costituiti Liberi Consorzi di Comuni, quali forme organizzative stabili di raccordo tra la Regione e i Comuni siciliani, rappresenta infatti uno snodo procedimentale di essenziale rilievo, trattandosi di una partecipazione riconosciuta, di riflesso, alle comunità locali esponenzialmente rappresentate attraverso l’ente intermedio.

Va infine richiamata la necessità di una valutazione del novello impianto normativo in rapporto al principio di autonomia locale contenuto altresì nell’art. 4, par. 4, della “Carta europea delle autonomie locali”, ratificata dall’Italia con la l. n. 439/1989, e nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” incorporata nel Trattato (2010/C-2010)[20].



[1] Nel testo le “Province Regionali” manterranno il virgolettato in considerazione della natura nominalistica che le stesse assumono per identificare non l’Ente territoriale di governo “Provincia” ma il Libero Consorzio di Comuni previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano.

[2] Si suggerisce la lettura della pubblicazione “La faccia intermedia del Leviatano. Riflessioni sulla soppressione delle Province con particolare riferimento al caso siciliano”, curata dalla Provincia Regionale di Enna, Novagraf, dicembre 2011, Assoro (EN).

[3] Si consenta il rinvio a Massimo Greco “Il canto del cigno delle Province”, su FiloDiritto, rivista giuridica pubblicata sul web all’indirizzo www.filodiritto.it, 05/01/2012.

[4] Cons. Stato, sent. 20/03/2000 n. 1493.

[5] Coste Cost. sent. n. 325/2010.

[6] Corte Cost. 18 maggio 1959 n. 30, Corte Cost. n. 13/1974.

[7] Corte Cass. Sez. Unite Civ., sent. 16/06/2005 n. 12868.

[8] Sull’ipotesi d’incostituzionalità della legge regionale n. 9/86 si consenta il rinvio a Massimo Greco “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, su “Amministrazione In cammino”, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 15/12/2011.

[9] Corte Cost. sent. nn. 66/1964, 115/1972.

[10] Aldo Loiodice, “Ridefinizione del ruolo delle province nel sistema degli enti locali”, Federalismi.it, 11/09/2009.

[11] Corte Cost. ord. n. 377/2002, decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003.

[12] Corte Cost. sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.

[13] Corte Cost. sent. n. 83/97.

[14] Corte Cost. sent. n. 229/2001.

[15] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[16] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[17] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[18] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[19] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[20] Nel nostro ordinamento, tra i principi fondamentali aventi forza costituzionale rafforzata vanno infatti considerati anche quelli derivanti dal diritto internazionale e dei Trattati Europei.

[1] 

Sommario:

1. L’incerto disegno del legislatore regionale

2. La tecnica legislativa

3. Le funzioni amministrative proprie e fondamentali

4. Le funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento

5. Il rapporto tra le fonti normative

6. Profili d’incostituzionalità

Con la legge regionale 8 marzo 2012, n. 14, rubricata “Norme concernenti le funzioni e gli organi di governo delle province regionali”, passata indenne dal filtro del Commissario dello Stato, l’Assemblea Regionale Siciliana ha dato il suo primo contributo all’esigenza di rivedere l’organizzazione dell’ente intermedio nel contesto di un più generale riordino del sistema delle Autonomie locali in Sicilia. Il testo, costituito da un unico articolo contenente 4 commi, sembra più proteso a trovare una soluzione legislativa per giustificare il commissariamento degli organi di governo delle Province Regionali di Caltanissetta e Ragusa, chiamate, per motivi diversi, al rinnovo elettorale un anno prima delle altre. Il comma 3 è infatti destinato ad estendere i poteri dell’Amministrazione regionale, di cui all’art. 145 dell’Ordinamento Regionale degli Enti Locali (D.L.P. n. 6/55), in materia di commissariamento di organi di governo degli Enti locali.

In disparte il contenuto del comma 4 che, sopprimendo l’articolo 15 della l.r. n. 31/86 ed incidendo non poco nell’ambito delle incompatibilità delle cariche elettive, merita uno specifico approfondimento, le disposizioni che richiedono di essere commentate sono quelle contenute nei primi due commi.

Il 1° comma così recita: “Nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012”. Mentre il 2° comma dispone che “Con la legge di cui al comma 1, si procederà al riordino degli organi di governo delle province regionali, assicurando che da tali disposizioni derivino significativi risparmi di spese per il loro funzionamento. La legge individua gli organi di governo della provincia regionale e disciplina la loro composizione e le modalità di elezione. La composizione degli organi collegiali viene determinata in rapporto alla popolazione residente e comunque in misura tale da garantire una riduzione di almeno il 20% rispetto ai limiti previsti dalla legislazione vigente”.

Dalla lettura delle citate disposizioni si rileva immediatamente il contenuto programmatorio del riordino dell’ente intermedio per quanto concerne le funzioni amministrative, per l’individuazione degli organi di governo, per la disciplina delle competenze da ripartire tra gli organi, per i connessi sistemi elettorali e per la riduzione non inferiore al 20% dei componenti degli organi di governo. La Regione, quindi, si impegna a disciplinare quanto sopra con apposita legge da approvare entro il 31 dicembre 2012, tuttavia si preoccupa di stabilire, già in questa sede, il principio che dovrà orientare la successiva legge. Il 1° comma infatti attribuisce alle “Province Regionali” quelle medesime funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni già previste dall’art. 23, comma 14, del decreto legge n. 201 del 6/12/2011, convertito nella legge n. 214 del 22/12/2011, per le Province delle Regioni a Statuto ordinario.

A questo punto l’ubi consistam della presente riflessione concerne il profilo della prospettiva politica ed istituzionale, quello della tecnica legislativa, quello della coerenza ordinamentale e quello della conformità costituzionale e statutaria.

1. L’incerto disegno del legislatore regionale

Così come per le Province delle Regioni a Statuto ordinario anche per quelle delle Regioni a Statuto speciale come la Sicilia il dibattito sulla reale necessità di mantenere un livello istituzionale intermedio è parecchio acceso e tutt’altro che assopito. Nota è infatti la posizione del Governo regionale di applicare alla lettera la previsione statutaria dei Liberi Consorzi di Comuni[2]. Tuttavia, i gruppi parlamentari presenti all’A.R.S., mostrando una trasversale resistenza avverso il d.d.l. presentato dal Governo, hanno finito per approvare una legge apparentemente conservativa del modello attuale ma, come vedremo più avanti, tendenzialmente innovativa e riduttiva dell’ente intermedio. Dagli atti parlamentari non emerge con chiarezza la reale volontà del legislatore né tale volontà può essere desunta dalle numerose sedute che la Commissione legislativa “Affari istituzionali” dell’A.R.S. ha dedicato al tema, atteso che le soluzioni proposte sono state continuamente emendate e riviste. Anche la soluzione più “sbrigativa” di recepire sic et simpliciter il modello di riforma della legge Monti n. 214/2011 è stato puntualmente avversato ed accantonato.

Pur non risultando chiara e adeguatamente documentata, la volontà della maggioranza degli inquilini dell’A.R.S., sembra essere quella di incidere seriamente sull’articolazione del sistema delle Autonomie locali attraverso la soppressione sistematica di tutti gli enti di derivazione pubblicistica, cosiddetti “enti inutili”, e l’assorbimento delle relative funzioni a carico delle attuali “Province Regionali”. Quindi, non uno svuotamento delle funzioni amministrative come accaduto per le altre Province d’Italia ma, al contrario, una valorizzazione dell’ente intermedio mediante l’accorpamento di tutte quelle funzioni riconducibili alla dimensione di area sovra-comunale.

Se non si può aprioristicamente dubitare di siffatta e sottesa volontà politica, la fredda lettura testuale di quanto approvato dall’A.R.S. ci porta però a manifestare più di una perplessità. A meno di un clamoroso revirement, infatti, il legislatore regionale non potrà che individuare le materie riferite alle future funzioni amministrative da attribuire alle “Province Regionali” partendo proprio dal citato comma 1 dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012 e quindi dal previsto principio “orientativo” secondo cui “spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni…”.

2. La tecnica legislativa

La tecnica legislativa utilizzata è delle peggiori perché introduce disposizioni normative su argomenti già ampiamente disciplinati da leggi precedenti senza alcuna avvertenza di coordinamento. Non si comprende infatti se le disposizioni contenute nei primi due commi dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012, vanno coordinate con quelle esistenti o si pongono in modo alternativo e/o sostitutivo secondo il principio della successione cronologica delle leggi. Già con Circolare del 24/02/1986 n. 1.1.26/10888.9.68 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’auspicare un processo di miglioramento qualitativo della produzione legislativa attraverso un affinamento ed una omogeneizzazione della tecnica di formulazione dei testi normativi, aveva scoraggiato le modifiche implicite o indirette di atti legislativi vigenti, privilegiando la modifica testuale della massima ampiezza possibile (“novella”). Nella medesima Circolare veniva scoraggiata altresì la tecnica delle abrogazioni implicite, sollecitando quanto più possibile forme di abrogazione esplicita.

Orbene, il citato comma 1, allorquando afferma che “Nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012”, collide non poco sia con l’art. 13 della L.r. n. 9/86 rubricato “Funzioni amministrative” che attribuisce alle Province Regionali le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone intercomunale o l’intero territorio provinciale in tre macro aree, che con l’art. 33 della L.r. n. 10/2000, rubricato “Funzioni e compiti amministrativi della provincia regionale”, che conferisce alle Province Regionali funzioni e compiti di “area vasta”.

Secondo il noto criterio cronologico della successione delle leggi saremmo infatti in presenza di un’abrogazione implicita di quelle parti della L.r. n. 9/86 e della L.r. n. 10/2000 in contrasto con la novella legge (e col suo progetto!?). Infatti la nuova disposizione, nell’attribuire alla Provincia le (sole?) funzioni di indirizzo e di coordinamento, sembra escludere implicitamente le precedenti funzioni amministrative ad essa espressamente assegnate per singolo settore.

3. Le funzioni amministrative proprie e fondamentali

La natura programmatica della L.r. n. 14/2012 ci obbliga a rimandare una riflessione più compiuta sulla coerenza e sulla ragionevolezza delle nuove disposizioni normative con l’attuale ordinamento delle Autonomie locali in Sicilia e col sistema del federalismo fiscale introdotto nell’ordinamento con la l. n. 42/2009 in attuazione dell’art. 119 Cost. ed in particolare con i principi ed i criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni fondamentali delle Province che incrociano inevitabilmente il pluralista disegno istituzionale.

Attuale è invece l’esigenza di focalizzare l’attenzione sui primi due commi della novella legge regionale. Ciò, anche in considerazione che, come già detto, le disposizioni in questione, assumendo una valenza “orientativa”, sono idonee ad incidere direttamente e subitaneamente sulle situazioni giuridiche soggettive delle “Province Regionali” in quanto potenzialmente dotate di efficacia innovativa, non abbisognando della necessaria intermediazione dell’annunciata legge con la quale si individueranno nello specifico le materie riferite alle funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento delle attività comunali.

Invero, il legislatore regionale con la tecnica del “copia-incolla” ha introdotto nell’ordinamento siciliano la disposizione di cui all’art. 23 del D.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011. Ora, se nella previsione del legislatore statale lo “svuotamento” delle Province risulta coerente col disegno “step by step” di espungere l’ente intermedio dalla carta costituzionale, la riproduzione ex abrupto al primo comma dell’art. 1 della L.r. n. 14/2012 della medesima disposizione statale ci rende più che perplessi. Né, può avere rilevanza il fatto che nella disposizione regionale non si rinviene l’avverbio “esclusivamente” invece contenuto nella disposizione statale. Come già detto, infatti, l’attribuzione di una “fumosa” funzione amministrativa, come quella di indirizzo e coordinamento delle attività comunali, aggiuntiva (e quindi non sostitutiva) a quelle che le Province Regionali già esercitano in forza delle leggi regionali n. 9/86 e 10/2000, non avrebbe un carattere innovativo perché già presente nell’ordinamento siciliano.

Non avvertendo, in questa sede, alcuna necessità di ritornare sul merito di argomentazioni già illustrate in occasione della pubblicazione dell’art. 23 del D.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011[3], appare quindi più pertinente richiamare le disposizioni normative che disciplinano le funzioni amministrative delle “Province Regionali” in Sicilia.

L’art. 4 della L.r. 6 marzo 1986 n. 9 prevede espressamente che le “Province Regionali”, costituite dalla aggregazione dei comuni siciliani in liberi consorzi, oltre ad essere dotate della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria, sono titolari di funzioni proprie ed esercitano le funzioni delegate dallo Stato e dalla Regione. Oltre alle competenze espressamente previste agli artt. 9 e 12 in materia di programmazione economico-sociale e pianificazione territoriale, il legislatore regionale individua all’art. 13 in capo alle “Province Regionali” le funzioni amministrative nelle materie dei servizi sociali e culturali, dello sviluppo economico, dell’organizzazione del territorio e della tutela ambientale.

In materia di funzioni e compiti amministrativi il legislatore regionale attraverso la L.r. n. 10/2000, art. 33, comma 1 e 2, ha altresì stabilito che le “Province Regionali”, oltre a quanto già specificatamente previsto dalle leggi regionali precedenti, esercitano le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici.

Non vi è chi non veda nell’illustrato quadro normativo un chiaro riconoscimento della Regione di funzioni proprie in capo ai costituiti Liberi Consorzi di Comuni, denominati “Province Regionali”, ontologicamente connaturate all’autonomia statutaria di tali enti, diverse da quelle attribuite espressamente con legge regionale. Peraltro tale differenziazione sembra coerente con quella già operata dalla Costituzione tra funzioni proprie previste dall’art. 118, comma 2, e funzioni fondamentali previste dall’art. 117, secondo comma, lettera p).

In questa prospettiva e senza richiamare la più recente legge sul federalismo fiscale n. 42/2010, attesa la parziale applicazione della medesima nell’ordinamento regionale siciliano, va rilevato che in forza del citato art. 4 della L.r. n. 9/86, attuativo anche dell’art. 119 Cost., le “Province Regionali” devono poter disporre di un’autonomia di entrata e di spesa tale da finanziare integralmente tutte le funzioni pubbliche, sia quelle proprie che quelle attribuite mediante legge.

4. Le funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento

L’azione del legislatore regionale con la quale si attribuiscono ai Liberi Consorzi di Comuni, denominati “Province Regionali” le sole funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni, nelle materie che saranno indicate con successiva legge entro il 31 dicembre 2012, non è altro che un “autogoal” per quei parlamentari regionali che hanno inteso votare la legge pensando di potenziare l’attuale ente intermedio.

Non si comprende infatti in cosa possa consistere la funzione di indirizzo e coordinamento verso un altro livello istituzionale, quello comunale, che non è affatto sotto-ordinato a quello provinciale per espressa volontà equi ordinatrice sia della Costituzione che dello Statuto siciliano (art. 15). Difficile risulta altresì la collocazione di siffatta funzione nelle tradizionali categorie “gestionale”, “storico-normativa” e “funzionalista” in cui risultano annoverabili le attuali funzioni amministrative degli enti locali.

Ora, in un contesto ordinamentale in cui il principio di “sussidiarietà responsabile” da un lato e la spettanza al Comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale dall’altro, orientano le politiche pubbliche locali secondo il criterio della competenza, deve ritenersi azzardato ipotizzare che il ruolo del Comune possa essere confinato nell’ambito della mera attuazione di scelte precostituite dalla “Provincia Regionale” nell’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. Invero, il nostro ordinamento conosce tale funzione ma nell’ambito del rapporto gerarchico tra le fonti del diritto (tra leggi cornice e leggi regionali in materie a competenza concorrente), ovvero, nel contesto della pubblica amministrazione, tra le amministrazioni a struttura gerarchica, all’interno delle quali la sede centrale indirizza e coordina le sedi periferiche.

Anche con l’esperienza della pianificazione territoriale di area vasta, contemplata dall’art. 15, comma 2, della legge n. 142/90 poi sostituito dall’art. 20, comma 2 del TUEL (in Sicilia dall’art. 12 della L.r. n. 9/86), è stato infatti affermato dalla giurisprudenza che “l’intervento amministrativo della Provincia potrà avvenire solo nei confronti di quegli atti che pur essendo stati posti in essere da altri enti, hanno un oggetto rientrante nelle competenze e attribuzioni della Provincia, non suscettibile al tempo stesso, di porsi in contrasto con la riconosciuta affermata autonomia normativa di altri enti”[4], atteso che le esigenze di tutela e salvaguardia delle autonomie locali, costituzionalmente garantite dall’art. 5 della Costituzione e formalmente attuate con la legge n. 142/90 prima e dal TUEL dopo, trovano riconoscimento nell’affermazione dell’autonomia normativa e regolamentare in capo ai Comuni.

Peraltro, il legislatore regionale sembra sottovalutare la necessità di mantenere una stretta connessione tra funzioni amministrative e risorse. Infatti la parziale attuazione nell’ordinamento regionale delle norme sul federalismo fiscale di cui alla legge n. 42/2010 non impallidisce il principio sotteso all’art. 119 della Costituzione, secondo il quale l’insieme delle funzioni amministrative rappresenta, anche per le Regioni a Statuto speciale, il presupposto per la determinazione delle risorse finanziarie.

Orbene, occorre uno sforzo legislativo non comune per riuscire ad individuare le materie connesse alle funzioni di indirizzo e coordinamento della attività dei comuni tali da riuscire a giustificare la permanenza del livello istituzionale intermedio rappresentato dai Liberi Consorzi di Comuni, atteso che la struttura consortile, per antonomasia, esercita già una funzione di indirizzo e coordinamento dei Comuni facenti capo al medesimo Consorzio.

In tale contesto non bisogna dimenticare che i servizi pubblici a rilevanza economica (soprattutto quelli relativi alla gestione delle risorse idriche ed alla gestione integrata dei rifiuti), pur essendo stati espunti dalla Corte Costituzionale dalle funzioni amministrative fondamentali dell’ente locale[5], sono alla ricerca di un livello istituzionale di dimensione provinciale sostitutivo delle soppresse AA.T.O.. Infatti il comma 1 dell’art. 25 della legge n. 27/2012, di conversione del D.l. n. 1/2012, prevede che l’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale cui le Regioni si conformano ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) e s) della Costituzione.

5. Il rapporto tra le fonti normative

La discutibile tecnica utilizzata dal legislatore regionale per le illustrate ragioni, impone però una considerazione di merito concernente i rapporti gerarchici tra le fonti normative in discussione. L’approvazione della L.r. n. 14/2012 non è infatti una ragione sufficiente per ritenere implicitamente superata una norma ancora attualmente vigente quale quella dell’art. 13 della L.r. n. 9/86 che disciplina le funzioni amministrative delle “Province Regionali” né, tanto meno, quelle contenute negli articoli 10 e 12 in materia di programmazione economico-sociale e pianificazione territoriale della medesima L.r. n. 9/86 come riprese dalla L.r. n. 10/2000. Una norma più risalente può essere implicitamente abrogata da una norma successiva quando vi è contrasto tra l’una e l’altra, in applicazione del criterio cronologico, che è uno dei criteri attraverso cui vengono risolte le antinomie presenti nell’ordinamento. Ma occorre pur sempre dimostrare che vi sia contrasto tra le due norme, perché altrimenti il criterio di soluzione delle antinomie non scatta.

Orbene, se si sostiene che le nuove funzioni amministrative di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni sono le sole di cui potranno disporre le future “Province Regionali” allora siamo in presenza di una soluzione implicitamente abrogativa delle previgenti previsioni di legge. Se invece si sostiene che le novelle funzioni amministrative non sono sostitutive di quelle che le “Province Regionali” già esercitano ma complementari, allora viene il dubbio della reale portata innovativa di tale previsione, attesa l’immanenza nell’ordinamento regionale della disposizione di cui all’art. 33, comma 1, della L r. n. 10/2000 secondo cui: “La provincia regionale, oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi regionali, esercita le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici”. Saremmo quindi tentati di optare per la prima ipotesi con le avvertenze necessarie.

Infatti, andrebbe in questa sede indagata meglio anche la stessa portata normativa della L.r. n. 9/86, che certamente è stata introdotta nell’ordinamento attraverso una norma primaria ma che, secondo una scala gerarchica a maglie più strette, si trova ad un gradino più alto di un’ordinaria legge approvata dall’A.R.S., qual’è quella di cui trattasi. Siamo infatti in presenza di una norma che non solo attua per la prima volta il principio di valorizzazione e promozione dell’autonomia locale contenuto nell’art. 5 della Costituzione ed applicato all’ente intermedio, ma che dà attuazione altresì a quanto previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano. Trattandosi, quindi, di una norma attuativa sia di una previsione costituzionale che di una previsione statutaria, si ritiene che la stessa operi ad un livello superiore a quello della ordinaria legge regionale[6]. Per analogia va qui rilevato che la Corte di Cassazione[7], evidenziando la portata innovativa del TUEL, ha affermato che tale legge ha profondamente inciso nei rapporti tra fonti normative e statali e locali.

Inoltre, se l’antinomia sussiste non con una specifica norma ma, come nel caso che ci occupa, con l’impostazione generale di una norma programmatica, a questo punto la questione potrebbe essere risolta anziché applicando il criterio cronologico, mercè l’applicazione del principio di specialità, che porta a ritenere comunque applicabile la legge speciale, quale sarebbe la L.r. n. 9/86 che sopravviverebbe pertanto all’entrata in vigore della novella L.r. n. 14/2012. Corollario di questo ragionamento è che ad oggi, al caso in specie andrebbe applicato il principio lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, atteso che la legge posteriore intende, verosimilmente, disciplinare in maniera organica ed innovativa l’intera materia con successiva legge da approvare entro il 31 dicembre 2012.

6. Profili d’incostituzionalità

Prima di entrare nel merito delle questioni di costituzionalità rivolte nei confronti di una legge regionale già in vigore e la cui attualità è in re ipsa, appare necessario evidenziare che in Sicilia si parla impropriamente di Province, atteso che nell’ordinamento regionale l’ente intermedio non è rappresentato dalle Province come tradizionalmente intese ma dai Liberi Consorzi di Comuni, regolarmente costituiti per singole aree di riferimento sovra-comunale, e denominati “Province Regionali”. Pertanto, a meno di voler pregiudizialmente sostenere l’incostituzionalità della legge istitutiva dei Liberi Consorzi di Comuni n. 9/86[8], è con questi enti locali che bisogna parametrare i rapporti di costituzionalità sottesi alla novella disciplina.

Pur presentandosi come disposizioni normative programmatiche, atteso il rinvio ad altra legge regionale per l’individuazione degli organi di governo delle “Province Regionali” (rectius, dei Liberi Consorzi di Comuni), per la disciplina delle competenze da ripartire tra gli organi, per i connessi sistemi elettorali e per la riduzione non inferiore al 20% dei componenti degli organi di governo, e fatta salvo il citato principio gerarchico tra le fonti normative in conflitto, non può comunque non rilevarsi l’immediato ed elevato grado di vulnerabilità delle disposizioni contenute nel 1° comma, in grado di ledere manifestamente il principio autonomistico del sistema ordinamentale siciliano derivante dalla combinata lettura dell’art. 15 dello Statuto siciliano e degli articoli 5 e 118 della Costituzione.

L’art. 15 dello Statuto siciliano - approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2 – così recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e la esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.

In applicazione del citato art. 15 dello Statuto, viene adottato con decreto legislativo presidenziale n. 6 del 29/10/1955 l’Ordinamento Amministrativo degli Enti locali nella Regione Siciliana (O.R.E.L.), confermato dalla successiva legge n. 16 del 15/03/1963. L’art. 17 del citato O.R.E.L., poi soppresso dall’art. 61 della L.r. n. 9/86, così dispone: “I Liberi Consorzi costituiti a norma dei precedenti articoli attuano il decentramento dell’Amministrazione regionale a mezzo dei loro organi; svolgono le funzioni amministrative delegate dalla Regione, nonché i compiti ed i servizi demandati dallo Stato. Con la legge che ne approva lo Statuto, il Libero Consorzio assume la denominazione di Provincia regionale contraddistinta col nome del Comune dove ha sede l’Amministrazione consortile”.

L’art. 1 della L.r. n. 9/86, rubricata “Istituzione della provincia regionale” introduce nell’ordinamento regionale il principio costituzionale dell’autonomia politica solennemente previsto dall’art. 5 della Costituzione. Il primo comma infatti così recita: “L’attività della Regione, degli enti locali territoriali e degli enti da essi dipendenti è ispirata ai principi di autonomia, di decentramento, di partecipazione ed al metodo della programmazione”. Il 1° comma dell’art. 3 della medesima L.r. n. 9/86 dispone altresì che “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati <<province regionali>>”.

Ancora, in forza dell’art. 31 della L.r. n. 10/2000, “In armonia con il principio di sussidiarietà e con i principi enunciati dall’articolo 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale sono conferite agli enti locali”. Il successivo art. 32 così recita: “La Regione ai sensi dell’articolo 117, primo e secondo comma, e dell’articolo 118, primo comma della Costituzione, organizza l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province”.

Dalla lettura sistematica delle riportate disposizioni normative, appare evidente che l’ordinamento regionale degli enti locali si basa su un livello comunale e su un livello intermedio rappresentato dai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali” e che a tali livelli istituzionali il medesimo ordinamento riconosce la più ampia autonomia politica, amministrativa e finanziaria.

Nulla vieta alla Regione Siciliana di ri-disciplinare le autonomi territoriali, e per fare questo deve necessariamente tenere conto di quanto prevede lo Statuto e quindi del più volte citato art. 15. Ma l’avvertenza è d’obbligo quando si tratta di ordinamenti giuridici a fini generali (dunque politici) in grado di definire un proprio indirizzo politico anche diverso rispetto a quello regionale.

Corollario di questa avvertenza è che il legislatore regionale è abilitato anche ad intervenire sulla legge che ha dato attuazione alla previsione dello Statuto contenuta nell’art. 15 nella parte riferita ai Liberi Consorzi di Comuni, cioè sulla L.r. n. 9/86. In questa prospettiva però, un’importante proposta di modifica della L.r. n. 9/86, deve muoversi guardando, come stella polare, al citato principio autonomistico contenuto sia nell’art. 15 dello Statuto siciliano che nell’art. 5 della Costituzione nonché a quelli espressi nell’art. 118 Cost, come introdotti nell’ordinamento regionale dalla l.r. n. 10/2000, con particolare riferimento al principio di sussidiarietà verticale. Peraltro, lo Statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (articolo 14, comma 1) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si è mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione Siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione[9].

In tale contesto, va altresì garantito il principio “troppe volte accantonato, della necessaria aderenza dell’ente ad una comunità di base”[10]. In disparte ogni ulteriore considerazione in ordine all’evidente difficoltà di sconvolgere un assetto consolidato di rapporti non solo amministrativi tra i diversi livelli di governo che gravitano sul medesimo territorio, con il rischio più che fondato di un accentramento regionale in contrasto con le previsioni di cui all’art. 5 della Costituzione.

Inoltre, in riferimento alle problematiche rilevate e di non agevole soluzione, che emergono anche dal nuovo Titolo V°, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell’ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, non debba contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato così come elencata all’articolo 117 secondo comma. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V° non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite[11].

Con particolare riferimento alla materia dell’ordinamento degli Enti locali nelle Regioni a Statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza[12] ha ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni. In particolare, la medesima Corte[13] ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere ed a promuovere le autonomie, ed ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto doveroso il “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”[14].

Ciò significa che la Regione Siciliana non è vincolata all’osservanza di una specifico modello istituzionale analogo alla legislazione statale per disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già affermato per la consorella Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>”[15], utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[16]. In tale contesto è da respingere la “definizione stipulativa” secondo cui l’autonomia della Regione Siciliana ricomprende solo tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del livello di governo inferiore.

E poiché gli enti espressione di “autonomia” sono quelli che consentono di partecipare all’adozione di decisioni, incidendo nei processi di deliberazione pubblica che li riguardano, un’ipotesi di riforma, come quella che ci occupa, che vede sostanzialmente “svuotate” di funzioni amministrative fondamentali gli attuali Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali”, trova verosimilmente un ostacolo sia nell’art. 15 dello Statuto che negli articolo 5 e 118 della Costituzione. Infatti, la citata sent. n. 83 della Corte Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma che “la garanzia delle comunità territoriali minori non può subire, nel suo nucleo essenziale, significative alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie ordinarie, venga in considerazione quello delle autonomie speciali ove sono presenti competenze regionali (e provinciali) esclusive”. Appare evidente la necessità, contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire ad una parte dell’ordinamento (Regioni a Statuto speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di sistema”.

Ora, assegnare ai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali”, regolarmente istituiti in Sicilia attraverso le procedure amministrative prescritte dalla L.r. n. 9/86, le sole funzioni di indirizzo e coordinamento significa, implicitamente, abrogare non solo le fondamentali funzioni amministrative già trasferite dalla Regione ai medesimi Liberi Consorzi, ma anche quelle proprie riconosciute all’art. 4, comma 3, della L.r. n. 9/86, così disconoscendo la natura di enti autonomi costitutivi dell’ordinamento degli enti locali regionale cui spettano una sfera incomprimibile, salva l’ipotesi del procedimento di revisione statutaria, di poteri e di funzioni.

Orbene, ammesso che il legislatore regionale possa stabilire in questi termini quali funzioni fondamentali attribuire ai Liberi Consorzi di Comuni e, di converso, quali funzioni eliminare in forza dell’art. 15 dello Statuto, tale sorte non può essere riservata anche alle funzioni proprie, cioè a quelle funzioni storicamente esercitate dall’ente intermedio, perché dotate di mirata copertura statutaria.

In tale contesto la Corte Costituzionale, pur negando che possa distinguersi fra le “funzioni fondamentali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), e le “funzioni proprie” degli enti locali, di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.[17], e che il mancato riferimento, da parte del legislatore, alle funzioni proprie della Provincia non implica il disconoscimento dell’esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost[18], ha riconosciuto l’utilità del criterio storico “per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e comunale”, circoscrivendone l’utilizzabilità “a quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[19]. Può, invero, pacificamente ritenersi che siffatta posizione, costituzionalmente qualificata, sia anche funzionale alla migliore tutela delle prerogative di cui godono in Sicilia i Liberi Consorzi di Comuni, tra le quali vi è certamente il riconoscimento di un “diritto” all’autodeterminazione, all’integrità della propria autonomia politica, amministrativa e finanziaria, nonché del proprio territorio (inteso come elemento costitutivo e identitario di qualunque categoria di enti in cui si articola la Regione Siciliana ai sensi dell’art. 15 dello Statuto).

Pertanto, e in disparte ogni ulteriore considerazione sulla tecnica legislativa utilizzata dall’ARS in cui stride l’assoluta assenza di norme di coordinamento con la legislazione vigente in materia di ente intermedio regionale, non può non rilevarsi come l’attribuzione ai Liberi Consorzi di Comuni denominati “Province Regionali” delle sole funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività comunali, non potendosi certamente annoverare in quella “sfera adeguata di funzioni” prescritta dalla Corte Costituzionale, configura una manifesta lesione del principio di autonomia e decentramento previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano e dall’art. 5 della Costituzione prima e, a seguito dell’espressa introduzione nell’ordinamento regionale del principio di sussidiarietà verticale attraverso la citata L. r. n. 10/2000, anche del medesimo principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione. Questione che assume maggiore spessore in funzione del mancato “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”. Il coinvolgimento dei costituiti Liberi Consorzi di Comuni, quali forme organizzative stabili di raccordo tra la Regione e i Comuni siciliani, rappresenta infatti uno snodo procedimentale di essenziale rilievo, trattandosi di una partecipazione riconosciuta, di riflesso, alle comunità locali esponenzialmente rappresentate attraverso l’ente intermedio.

Va infine richiamata la necessità di una valutazione del novello impianto normativo in rapporto al principio di autonomia locale contenuto altresì nell’art. 4, par. 4, della “Carta europea delle autonomie locali”, ratificata dall’Italia con la l. n. 439/1989, e nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” incorporata nel Trattato (2010/C-2010)[20].



[1] Nel testo le “Province Regionali” manterranno il virgolettato in considerazione della natura nominalistica che le stesse assumono per identificare non l’Ente territoriale di governo “Provincia” ma il Libero Consorzio di Comuni previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano.

[2] Si suggerisce la lettura della pubblicazione “La faccia intermedia del Leviatano. Riflessioni sulla soppressione delle Province con particolare riferimento al caso siciliano”, curata dalla Provincia Regionale di Enna, Novagraf, dicembre 2011, Assoro (EN).

[3] Si consenta il rinvio a Massimo Greco “Il canto del cigno delle Province”, su FiloDiritto, rivista giuridica pubblicata sul web all’indirizzo www.filodiritto.it, 05/01/2012.

[4] Cons. Stato, sent. 20/03/2000 n. 1493.

[5] Coste Cost. sent. n. 325/2010.

[6] Corte Cost. 18 maggio 1959 n. 30, Corte Cost. n. 13/1974.

[7] Corte Cass. Sez. Unite Civ., sent. 16/06/2005 n. 12868.

[8] Sull’ipotesi d’incostituzionalità della legge regionale n. 9/86 si consenta il rinvio a Massimo Greco “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, su “Amministrazione In cammino”, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 15/12/2011.

[9] Corte Cost. sent. nn. 66/1964, 115/1972.

[10] Aldo Loiodice, “Ridefinizione del ruolo delle province nel sistema degli enti locali”, Federalismi.it, 11/09/2009.

[11] Corte Cost. ord. n. 377/2002, decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003.

[12] Corte Cost. sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.

[13] Corte Cost. sent. n. 83/97.

[14] Corte Cost. sent. n. 229/2001.

[15] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[16] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[17] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[18] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[19] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[20] Nel nostro ordinamento, tra i principi fondamentali aventi forza costituzionale rafforzata vanno infatti considerati anche quelli derivanti dal diritto internazionale e dei Trattati Europei.