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Gli abusi sui minori: tra esigenze di tutela e diritto alla prova

1. Tutela dei minori e diritto alla prova: un contemperamento difficile?

E’ stato scritto [1] che: "Ogni bambino è importantissimo. Vuol dire che ogni bambino è migliore di chi l’ha fatto nascere e sa più di quelli che sono nati prima di lui".

Questa frase, nella sua perentoria semplicità, cristallizza l’esigenza, fortemente sentita ai nostri tempi, di non dimenticarci dei bambini, della tutela della loro persona e del loro mondo, piccolo ma prezioso, fatto di relazioni fondamentali per lo sviluppo equilibrato della loro vita futura.

L’importanza del bambino come soggetto meritevole di tutela e protezione e titolare di diritti propri della sua particolare condizione di essere umano in divenire ha preso forma in un periodo relativamente recente. Fino ai primi del Novecento i bambini non venivano sufficientemente considerati dagli ordinamenti giuridici e solo le codificazioni e le convenzioni internazionali susseguenti al secondo conflitto mondiale hanno ricostruito intorno al soggetto di età inferiore ai diciotto anni una rete di norme a sua protezione.

In particolare, secondo l’art. 34 della Convenzione sui diritti dei bambini, firmata a New York il 20 Novembe 1989, i bambini hanno diritto ad essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso sessuale.

Oggi, infatti, la situazione è completamente cambiata. La consapevolezza che i minori debbano essere tutelati da abusi e violenze attraverso norme giuridiche sempre più incisive, precise e puntuali è ben presente nell’operato del legislatore nazionale, internazionale ed europeo.

A tal proposito, basti ricordare che il punto 6 della premessa alla recentissima Direttiva del 4 Novembre 2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio realtiva alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI[2] dichiara che: "Reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pronografia minorile richiedono un approccio globale che comprenda l’azione penale contro gli autori del reato, la protezione delle vittime minorenni e la prevenzione del fenomeno".

Ma quasi paradossalmente, mentre si elaborano norme, spunti dottrinari e letture giurisprudenziali capaci di proteggere i bambini, il dato sociale esterno ci ricorda quanto ancora non è stato fatto, quanto ancora si è lontani dal porre un forte argine agli abusi e alle violenze sessuali sui minori.

Agli operatori del diritto spetta poi il delicato compito di contemperamento della tutela prevista dalle norme sostanziali in ordine agli abusi e alle violenze sui minori con le dinamiche processuali, nel difficile lavoro di ricostruzione della verità o, per meglio dire, del come sono andati i fatti.

E’ qui che si snoda il punto chiave di queste brevi considerazioni. Le norme di diritto sostanziale si intrecciano a quelle di diritto processuale creando una sorta di dicotomia dal finale non sempre collaborativo.

E’ noto che il processo penale minorile ha un impianto del tutto particolare rispetto al processo penale ordinario. Laddove la gustizia deve occuparsi di soggetti minorenni, l’accertamento del fatto - reato lascia il posto alla primaria finalità di recupero del minore[3].

Infatti, nel processo penale minorile il giudice ha il compito di valutare primariamente la personalità dell’imputato, non solo quale appare al momento del giudizio, ma anche nella sua possibile evoluzione, tenendo presente, come finalità primaria, quella educativa, alla quale occorre dare attuazione già nel processo[4].

Ma cosa accade quando il soggetto minore in qualità di vittima o di testimone di abusi o violenze sessuali entra nel processo penale ordinario, luogo creato e pensato per la persona adulta?

La delicatezza della sua condizione di soggetto debole richiede che l’accertamento del fatto-reato si esplichi con accorgimenti del tutto peculiari rispetto alle ordinarie ricostruzioni tipiche del processo penale. Questa esigenza è stata recepita dal legislatore che, all’interno del codice di rito, ha introdotto numerose eccezioni rispetto alle generali regole processuali di acquisizione e valutazione della prova.

Ciò genera una inevitabile tensione tra l’esigenza di tutela dei minori vittime di abusi sessuali ed il diritto alla prova dell’imputato.

E quando gli interessi in gioco sono così particolari, le difficoltà e le seduzioni processuali complicano, e non poco, il bilanciamento e la mediazione delle esigenze di tutela.

2. Due diritti a confronto, fra differenziazioni ed eccezioni, nell’architettura del codice di procedura penale: l’ordinanza n° 108/2003 della Corte Costituzionale

Nel nostro codice penale le norme di natura sostanziale a tutela dei soggetti minori da abusi e violenze sessuali si trovano nel Titolo XII: "Dei delitti contro la persona", Capo III riguardante i delitti contro la libertà individuale, Sezione I dedicata ai delitti contro la personalità individuale.

Il legislatore italiano, in attuazione degli impegni internazionali ed europei assunti in tema di protezione dei minori da condotte di abuso sessuale, è intervenuto a vari intervalli di tempo, con le leggi del 1996 e del 1998 prima, con la legge del 2006 successivamente e, in ultimo nel 2009, creando una fitta ed ampia rete di dispozioni a tutela dei minori da violenze e abusi.

Interessante è notare, in primo luogo, che l’art. 609 decies c.p. statuisce che quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli art. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 600 octies, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies e 609 octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609 quater, il Procuratore della Repubblica ne dà notizia al Tribunale per i minorenni.

Nei casi previsti dal primo comma l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede".

Pertanto, il soggetto minore d’età viene seguito ed assistito durante tutto il corso del processo con una sorta di ancoraggio alle forme e agli istituti tipici del processo penale minorile[5].

Ma la giurisprudenza[6] si è premurata di specificare che: "In tema di prova testimoniale, l’assistenza dei familiari o di un esperto in psicologia infantile all’esame testimoniale del minore è facoltativa e non obbligatoria (art. 498, comma n. 4 c.p.p.) nè è imposta dall’art. 609 decies c.p. che ha la diversa finalità di assicurare alla parte offesa minorenne una adeguata assistenza affettiva e psicologica durante tutto il corso del procedimento, nè dalle disposizioni degli artt. 392, comma 1 bis, 398, comma 3 bis e 473 del codice di rito". Questa prununcia della Suprema Corte sembrerebbe non voler enfatizzare eccessivamente la tutela del minore in ambito processuale a scapito del diritto alla prova[7].

Peraltro, il tema della prova si rivela immediatamente in tutta la sua difficoltà nel definirlo concettualmente e nel gestirlo in sede processuale[8]. E quando si tratta della testimonianza di un minore i problemi aumentano.

In dottrina[9], il diritto alla prova è stato definito come una espressione di sintesi che comprende il diritto di tutte le parti di ricercare le fonti di prova, di chiedere l’ammissione del relativo mezzo, di partecipare alla sua assunzione e di presentarne una valutazione al momento delle conclusioni.

Nel Gennaio del 2000 è entrata in vigore una nuova fonte di livello costituzionale che fornisce una tutela diretta del diritto alla prova spettante all’imputato.

In base al comma 3 dell’art. 111 Cost., l’accusato ha la facoltà "di interrogare o di far interrogare" davanti al giudice "le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore".

Questo dettato costituzionale ha l’importante obiettivo di riequilibrare le posizioni tra accusa e difesa nella ricostruzione del fatto. Il "luogo" naturale nella struttura del processo penale nel quale tutto ciò può essere garantito è ovviamente il dibattimento.

Ma quanto appena detto trova rilevanti eccezioni nel caso in cui il soggetto offeso ha subito abusi ed è minore d’età.

L’art. 392 c.p.p. stabilisce, infatti, che nei procedimenti per i delitti di cui agli art. 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis, 600, 600 bis 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater  1, 600 quinquies, 601 e 602 del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1".

In pratica, benchè l’incidente probatorio costituisca una sede assolutamente eccezionale per la formazione della prova, concessa in presenza di presupposti assai stringenti, nel caso di abusi e violenze sessuali in danno di minori questi presupposti possono non essere rischiesti.

L’art. 7 della Carta di Noto (aggiornata al 7 luglio 2002) riguardante le linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale dichiara che: "L’incidente probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento".

Ma v’è di più.

Ai sensi dell’ art. 398, 5bis, c.p.p., nel caso di indagini che riguardino ipotesi di reato previste dagli artt. 600, 600 bis, 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 612 bis del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni, con l’ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine, l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova".

La Corte Costituzionale ha sostenuto che l’art. 392, I° comma bis, c.p.p. “introduce un’eccezione alla regola dell’assunzione nel dibattimento delle prove che non abbiano oggettivo carattere di indifferibilità o di non ripetibilità” e che “quale che se ne ritenga la ratio, non è intesa, essenzialmente e direttamente, ad assicurare condizioni e modi di esame testimoniale idonei a proteggere la personalità del teste” (finalità alla quale sono preposte altre norme dello stesso codice), ma “appare piuttosto essenzialmente intesa ad assicurare efficacia e genuinità della prova, quando si tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire con il decorso del tempo per le particolari condizioni del minore condizionamenti che le possano rendere meno genuine e meno utili al fine degli accertamenti cui è volto il processo” (Corte Cost., ordinanza n. 583 del 2000, ordinanza n. 108 del 2003).

Questa pronuncia della Corte Costituzionale lascerebbe intravedere un’interessante angolazione interpretativa: tutelare con delle forme particolari la testimonianza del minore significa tutelare soprattutto una buona ricostruzione dei fatti[10]. Tutela del minore vittima di abusi in sede processuale e tutela del diritto alla prova non sarebbero interessi confliggenti, ma funzionali e interdipendenti.

3. Il minore come "testimone protetto", quando differenziare significa eguagliare

Le stesse rilevanti eccezioni previste in sede di indagini preliminari si ripetono, poi, in sede dibattimentale.

Ai sensi dell’art. 472, comma 4, c.p.p., a prescindere dal titolo per il quale si procede, se deve essere esaminata una persona minorenne, il giudice ha il potere discrezionale di disporre che il relativo esame avvenga a porte chiuse.

Occorre sottolineare che, secondo quanto stabilito dall’art. 33, d.p.r. , 22 settembre 1988, n. 448, i procedimenti a carico di imputati minorenni si svolgono di regola a porte chiuse.

Inoltre, giova ricordare che, secondo le regole ordinarie, il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di porre domande soltanto dopo che le parti hanno concluso l’esame incrociato (art. 506, comma 2 c.p.p.). Successivamente alle domande poste dal giudice, le parti possono riprendere l’esame.

Ciò costituisce la dimostrazione che il sistema normativo attribuisce al giudice una funzione di mero chiarimento di punti trattati dalle parti in modo non completo.

Le cose stanno diversamente quando ad essere esaminato è un testimone minorenne.

In questo caso, il codice prevede all’art. 498, comma 4, c.p.p., forme particolari che comportano l’esclusione dell’esame incrociato e che danno una certa protezione al minore.

L’esame viene condotto dal presidente dell’organo collegiale, al quale le parti possono chiedere di porre domande o di fare contestazioni al soggetto minorenne.

Alla luce di quanto stabilito anche dall’art. 609 decies c.p., nel condurre l’interrogatorio il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile.

La ratio di tali eccezioni risiede nell’esigenza di tutelare la personalità del minore. Ciò posto, resta il fatto che, alla luce di quanto stabilito dall’art. 111 Cost., le parti sono pur sempre titolari del diritto alla prova e, pertanto, del diritto di ottenere che siano rivolte le domande che tendono a valutare la veridicità del minorenne.

Secondo quanto disposto dall’art. 498, comma 4 c.p.p., il presidente può anche disporre, sentite le parti, che la deposizione prosegua nelle forme dell’esame incrociato quando ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste.

In pratica, si sacrificano le forme ordinarie solo quando si potrebbe creare una situazione di disagio e di sofferenza per il minore. Al giudice spetta tale valutazione.

Allo stesso modo, v’è anche la possibilità opposta: se una parte lo chiede o il presidente lo ritiene necessario, si devono applicare le ulteriori "protezioni" previste dall’art. 398, comma 5 bis.

L’udienza può tenersi anche in un luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza. In caso di mancanza di quest’ultime, l’udienza può svolgersi presso l’abitazione del minore.

Bisogna notare che le dichiarazioni devono essere documentate con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva a pena di inutilizzabilità delle stesse.

Inoltre, quando si procede per i reati di violenza sessuale, di prostituzione minorile o di tratta di persone, l’esame del minore vittima del reato deve essere effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.

Seguendo la lettura del codice, si fa, in pratica, del minore una sorta di "testimone protetto", ma ciò non deve essere troppo aprioristicamente letto come una limitazione del diritto alla difesa dell’imputato.

Non bisogna dimenticare che non si possono tutelare e trattare situazioni diverse in modo uguale. Questo importante principio è stabilito dall’art. 3 della nostra Costituzione.

Operare delle diversificazioni significa proteggere con la stessa intensità situazioni diverse.

E i minori presentano delle differenze evidenti dagli adulti. Non si può ignorare questo dato che ci viene ribadito dalle scienze psichiatriche e cognitive.

Fino a qualche tempo fa, alcuni studiosi erano abbastanza scettici riguardo alla capacità dei minori di testimoniare.

Oggi molti ricercatori sostengono che anche il bambino può avere un ricordo accurato così come un adulto[11].

E’ stato rilevato[12] che il ricordo libero, cioè narrato dall’individuo senza alcuna domanda da parte dell’interlocutore, permette al bambino di ricostruire un ricordo dettagliato sebbene povero di particolari rispetto a quello di un adulto.

Ciò di cui risentono i bambini è invece una sorta di suggestionabilità, soprattutto per particolari tipi di domande e per i modi in cui possono essere poste.

Ma in linea generale oggi si cerca di ridimensionare il convincimento che i minori tendano a confondere elementi reali con elementi immaginari.

E’ spesso l’ambiente processuale a creare stress nel minore, turbando la disponbilità a parlare. Per questo si rende necessario creare per i minori situazioni che possano ridurre le tensioni traumatiche tipiche del processo penale.

[1] Tratto da una fiaba per bambini: S. Agosti, Il ritorno di pinocchio, Solani Editore, 2010.

[2] La Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pronografia infantile ravvicina le legislazioni degli Stati membri affinchè configurino reato le forme più gravi di abuso e sfruttamento sessuale dei minori e sia assicurato un livello minimo di assistenza alle vittime.

[3] Cfr. M. Brouchard, Processo penale minorile (voce), in Dig. Pen., 1995, vol. X, P. 140; E. Roli, Dal reato alla personalità. Il modello diagnostico nella giustizia minorile, Giuffrè, 1996, p. 23 ss.

[4] A. Ceretti, Come pensa il Tribunale per i Minorenni, Franco Angeli, 1997, p. 176.

[5] Cfr. Marta Bertolino, Il Minore vittima di reato, Giappichelli Editore, 2010, p. 156, la quale sostiene che: "L’art. 609 decies c.p. è una norma comunque importante, perchè in termini innovativi apre le porte ad interventi mirati alla protezione di vittime esposte agli abusi sessuali, al fine di limitare, se non evitare il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria".

[6]Sez. 3 sent. 22066 del 20 -5-2003, rv. 225325.

[7] A tal proposito cfr. Cass. III, sent. 6464 del 11.2.2008 la quale stabilisce che: "In tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, le cautele e metodologie prescritte dalla cosiddetta "Carta di Noto", pur di autorevole rilevanza nell’interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione di detti soggetti, presentano carattere non tassativo, sicchè l’eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta nullità dell’esame stesso".

[8] Cfr. CONSO, La legislazione dell’emergenza tra realtà ed equivoci, Milano, 1979, p.3.

[9] Paolo Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2008, p. 218.

[10] In dottrina la duplice finalità della deroga dell’art. 392, comma 1 bis, di evitare la c.d. vittimizzazione secondaria, ma parimenti di offrire più garanzie circa la genuinità e l’attendibilità della prova, anticipando in termini di assoluta completezza l’assunzione delle dichiarazioni del minore prima che i ricordi del minore vengano meno o vengono inquinati è sostenuta da Camaldo, La testimonianza dei minori nel processo penale: nuove modalità di assunzione e criteri giurisprudenziali di valutazione, in Indice Penale, 2000, p. 178.

[11] G. Valvo, L’ascolto giudiziario del minore vittima di abuso sessuale, in Minori e giustizia, 1998, 2, p.91.

[12] De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffrè, Milano, 1998.

1. Tutela dei minori e diritto alla prova: un contemperamento difficile?

E’ stato scritto [1] che: "Ogni bambino è importantissimo. Vuol dire che ogni bambino è migliore di chi l’ha fatto nascere e sa più di quelli che sono nati prima di lui".

Questa frase, nella sua perentoria semplicità, cristallizza l’esigenza, fortemente sentita ai nostri tempi, di non dimenticarci dei bambini, della tutela della loro persona e del loro mondo, piccolo ma prezioso, fatto di relazioni fondamentali per lo sviluppo equilibrato della loro vita futura.

L’importanza del bambino come soggetto meritevole di tutela e protezione e titolare di diritti propri della sua particolare condizione di essere umano in divenire ha preso forma in un periodo relativamente recente. Fino ai primi del Novecento i bambini non venivano sufficientemente considerati dagli ordinamenti giuridici e solo le codificazioni e le convenzioni internazionali susseguenti al secondo conflitto mondiale hanno ricostruito intorno al soggetto di età inferiore ai diciotto anni una rete di norme a sua protezione.

In particolare, secondo l’art. 34 della Convenzione sui diritti dei bambini, firmata a New York il 20 Novembe 1989, i bambini hanno diritto ad essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso sessuale.

Oggi, infatti, la situazione è completamente cambiata. La consapevolezza che i minori debbano essere tutelati da abusi e violenze attraverso norme giuridiche sempre più incisive, precise e puntuali è ben presente nell’operato del legislatore nazionale, internazionale ed europeo.

A tal proposito, basti ricordare che il punto 6 della premessa alla recentissima Direttiva del 4 Novembre 2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio realtiva alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI[2] dichiara che: "Reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pronografia minorile richiedono un approccio globale che comprenda l’azione penale contro gli autori del reato, la protezione delle vittime minorenni e la prevenzione del fenomeno".

Ma quasi paradossalmente, mentre si elaborano norme, spunti dottrinari e letture giurisprudenziali capaci di proteggere i bambini, il dato sociale esterno ci ricorda quanto ancora non è stato fatto, quanto ancora si è lontani dal porre un forte argine agli abusi e alle violenze sessuali sui minori.

Agli operatori del diritto spetta poi il delicato compito di contemperamento della tutela prevista dalle norme sostanziali in ordine agli abusi e alle violenze sui minori con le dinamiche processuali, nel difficile lavoro di ricostruzione della verità o, per meglio dire, del come sono andati i fatti.

E’ qui che si snoda il punto chiave di queste brevi considerazioni. Le norme di diritto sostanziale si intrecciano a quelle di diritto processuale creando una sorta di dicotomia dal finale non sempre collaborativo.

E’ noto che il processo penale minorile ha un impianto del tutto particolare rispetto al processo penale ordinario. Laddove la gustizia deve occuparsi di soggetti minorenni, l’accertamento del fatto - reato lascia il posto alla primaria finalità di recupero del minore[3].

Infatti, nel processo penale minorile il giudice ha il compito di valutare primariamente la personalità dell’imputato, non solo quale appare al momento del giudizio, ma anche nella sua possibile evoluzione, tenendo presente, come finalità primaria, quella educativa, alla quale occorre dare attuazione già nel processo[4].

Ma cosa accade quando il soggetto minore in qualità di vittima o di testimone di abusi o violenze sessuali entra nel processo penale ordinario, luogo creato e pensato per la persona adulta?

La delicatezza della sua condizione di soggetto debole richiede che l’accertamento del fatto-reato si esplichi con accorgimenti del tutto peculiari rispetto alle ordinarie ricostruzioni tipiche del processo penale. Questa esigenza è stata recepita dal legislatore che, all’interno del codice di rito, ha introdotto numerose eccezioni rispetto alle generali regole processuali di acquisizione e valutazione della prova.

Ciò genera una inevitabile tensione tra l’esigenza di tutela dei minori vittime di abusi sessuali ed il diritto alla prova dell’imputato.

E quando gli interessi in gioco sono così particolari, le difficoltà e le seduzioni processuali complicano, e non poco, il bilanciamento e la mediazione delle esigenze di tutela.

2. Due diritti a confronto, fra differenziazioni ed eccezioni, nell’architettura del codice di procedura penale: l’ordinanza n° 108/2003 della Corte Costituzionale

Nel nostro codice penale le norme di natura sostanziale a tutela dei soggetti minori da abusi e violenze sessuali si trovano nel Titolo XII: "Dei delitti contro la persona", Capo III riguardante i delitti contro la libertà individuale, Sezione I dedicata ai delitti contro la personalità individuale.

Il legislatore italiano, in attuazione degli impegni internazionali ed europei assunti in tema di protezione dei minori da condotte di abuso sessuale, è intervenuto a vari intervalli di tempo, con le leggi del 1996 e del 1998 prima, con la legge del 2006 successivamente e, in ultimo nel 2009, creando una fitta ed ampia rete di dispozioni a tutela dei minori da violenze e abusi.

Interessante è notare, in primo luogo, che l’art. 609 decies c.p. statuisce che quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli art. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 600 octies, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies e 609 octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609 quater, il Procuratore della Repubblica ne dà notizia al Tribunale per i minorenni.

Nei casi previsti dal primo comma l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede".

Pertanto, il soggetto minore d’età viene seguito ed assistito durante tutto il corso del processo con una sorta di ancoraggio alle forme e agli istituti tipici del processo penale minorile[5].

Ma la giurisprudenza[6] si è premurata di specificare che: "In tema di prova testimoniale, l’assistenza dei familiari o di un esperto in psicologia infantile all’esame testimoniale del minore è facoltativa e non obbligatoria (art. 498, comma n. 4 c.p.p.) nè è imposta dall’art. 609 decies c.p. che ha la diversa finalità di assicurare alla parte offesa minorenne una adeguata assistenza affettiva e psicologica durante tutto il corso del procedimento, nè dalle disposizioni degli artt. 392, comma 1 bis, 398, comma 3 bis e 473 del codice di rito". Questa prununcia della Suprema Corte sembrerebbe non voler enfatizzare eccessivamente la tutela del minore in ambito processuale a scapito del diritto alla prova[7].

Peraltro, il tema della prova si rivela immediatamente in tutta la sua difficoltà nel definirlo concettualmente e nel gestirlo in sede processuale[8]. E quando si tratta della testimonianza di un minore i problemi aumentano.

In dottrina[9], il diritto alla prova è stato definito come una espressione di sintesi che comprende il diritto di tutte le parti di ricercare le fonti di prova, di chiedere l’ammissione del relativo mezzo, di partecipare alla sua assunzione e di presentarne una valutazione al momento delle conclusioni.

Nel Gennaio del 2000 è entrata in vigore una nuova fonte di livello costituzionale che fornisce una tutela diretta del diritto alla prova spettante all’imputato.

In base al comma 3 dell’art. 111 Cost., l’accusato ha la facoltà "di interrogare o di far interrogare" davanti al giudice "le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore".

Questo dettato costituzionale ha l’importante obiettivo di riequilibrare le posizioni tra accusa e difesa nella ricostruzione del fatto. Il "luogo" naturale nella struttura del processo penale nel quale tutto ciò può essere garantito è ovviamente il dibattimento.

Ma quanto appena detto trova rilevanti eccezioni nel caso in cui il soggetto offeso ha subito abusi ed è minore d’età.

L’art. 392 c.p.p. stabilisce, infatti, che nei procedimenti per i delitti di cui agli art. 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis, 600, 600 bis 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater  1, 600 quinquies, 601 e 602 del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1".

In pratica, benchè l’incidente probatorio costituisca una sede assolutamente eccezionale per la formazione della prova, concessa in presenza di presupposti assai stringenti, nel caso di abusi e violenze sessuali in danno di minori questi presupposti possono non essere rischiesti.

L’art. 7 della Carta di Noto (aggiornata al 7 luglio 2002) riguardante le linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale dichiara che: "L’incidente probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento".

Ma v’è di più.

Ai sensi dell’ art. 398, 5bis, c.p.p., nel caso di indagini che riguardino ipotesi di reato previste dagli artt. 600, 600 bis, 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 612 bis del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni, con l’ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine, l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova".

La Corte Costituzionale ha sostenuto che l’art. 392, I° comma bis, c.p.p. “introduce un’eccezione alla regola dell’assunzione nel dibattimento delle prove che non abbiano oggettivo carattere di indifferibilità o di non ripetibilità” e che “quale che se ne ritenga la ratio, non è intesa, essenzialmente e direttamente, ad assicurare condizioni e modi di esame testimoniale idonei a proteggere la personalità del teste” (finalità alla quale sono preposte altre norme dello stesso codice), ma “appare piuttosto essenzialmente intesa ad assicurare efficacia e genuinità della prova, quando si tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire con il decorso del tempo per le particolari condizioni del minore condizionamenti che le possano rendere meno genuine e meno utili al fine degli accertamenti cui è volto il processo” (Corte Cost., ordinanza n. 583 del 2000, ordinanza n. 108 del 2003).

Questa pronuncia della Corte Costituzionale lascerebbe intravedere un’interessante angolazione interpretativa: tutelare con delle forme particolari la testimonianza del minore significa tutelare soprattutto una buona ricostruzione dei fatti[10]. Tutela del minore vittima di abusi in sede processuale e tutela del diritto alla prova non sarebbero interessi confliggenti, ma funzionali e interdipendenti.

3. Il minore come "testimone protetto", quando differenziare significa eguagliare

Le stesse rilevanti eccezioni previste in sede di indagini preliminari si ripetono, poi, in sede dibattimentale.

Ai sensi dell’art. 472, comma 4, c.p.p., a prescindere dal titolo per il quale si procede, se deve essere esaminata una persona minorenne, il giudice ha il potere discrezionale di disporre che il relativo esame avvenga a porte chiuse.

Occorre sottolineare che, secondo quanto stabilito dall’art. 33, d.p.r. , 22 settembre 1988, n. 448, i procedimenti a carico di imputati minorenni si svolgono di regola a porte chiuse.

Inoltre, giova ricordare che, secondo le regole ordinarie, il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di porre domande soltanto dopo che le parti hanno concluso l’esame incrociato (art. 506, comma 2 c.p.p.). Successivamente alle domande poste dal giudice, le parti possono riprendere l’esame.

Ciò costituisce la dimostrazione che il sistema normativo attribuisce al giudice una funzione di mero chiarimento di punti trattati dalle parti in modo non completo.

Le cose stanno diversamente quando ad essere esaminato è un testimone minorenne.

In questo caso, il codice prevede all’art. 498, comma 4, c.p.p., forme particolari che comportano l’esclusione dell’esame incrociato e che danno una certa protezione al minore.

L’esame viene condotto dal presidente dell’organo collegiale, al quale le parti possono chiedere di porre domande o di fare contestazioni al soggetto minorenne.

Alla luce di quanto stabilito anche dall’art. 609 decies c.p., nel condurre l’interrogatorio il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile.

La ratio di tali eccezioni risiede nell’esigenza di tutelare la personalità del minore. Ciò posto, resta il fatto che, alla luce di quanto stabilito dall’art. 111 Cost., le parti sono pur sempre titolari del diritto alla prova e, pertanto, del diritto di ottenere che siano rivolte le domande che tendono a valutare la veridicità del minorenne.

Secondo quanto disposto dall’art. 498, comma 4 c.p.p., il presidente può anche disporre, sentite le parti, che la deposizione prosegua nelle forme dell’esame incrociato quando ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste.

In pratica, si sacrificano le forme ordinarie solo quando si potrebbe creare una situazione di disagio e di sofferenza per il minore. Al giudice spetta tale valutazione.

Allo stesso modo, v’è anche la possibilità opposta: se una parte lo chiede o il presidente lo ritiene necessario, si devono applicare le ulteriori "protezioni" previste dall’art. 398, comma 5 bis.

L’udienza può tenersi anche in un luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza. In caso di mancanza di quest’ultime, l’udienza può svolgersi presso l’abitazione del minore.

Bisogna notare che le dichiarazioni devono essere documentate con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva a pena di inutilizzabilità delle stesse.

Inoltre, quando si procede per i reati di violenza sessuale, di prostituzione minorile o di tratta di persone, l’esame del minore vittima del reato deve essere effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.

Seguendo la lettura del codice, si fa, in pratica, del minore una sorta di "testimone protetto", ma ciò non deve essere troppo aprioristicamente letto come una limitazione del diritto alla difesa dell’imputato.

Non bisogna dimenticare che non si possono tutelare e trattare situazioni diverse in modo uguale. Questo importante principio è stabilito dall’art. 3 della nostra Costituzione.

Operare delle diversificazioni significa proteggere con la stessa intensità situazioni diverse.

E i minori presentano delle differenze evidenti dagli adulti. Non si può ignorare questo dato che ci viene ribadito dalle scienze psichiatriche e cognitive.

Fino a qualche tempo fa, alcuni studiosi erano abbastanza scettici riguardo alla capacità dei minori di testimoniare.

Oggi molti ricercatori sostengono che anche il bambino può avere un ricordo accurato così come un adulto[11].

E’ stato rilevato[12] che il ricordo libero, cioè narrato dall’individuo senza alcuna domanda da parte dell’interlocutore, permette al bambino di ricostruire un ricordo dettagliato sebbene povero di particolari rispetto a quello di un adulto.

Ciò di cui risentono i bambini è invece una sorta di suggestionabilità, soprattutto per particolari tipi di domande e per i modi in cui possono essere poste.

Ma in linea generale oggi si cerca di ridimensionare il convincimento che i minori tendano a confondere elementi reali con elementi immaginari.

E’ spesso l’ambiente processuale a creare stress nel minore, turbando la disponbilità a parlare. Per questo si rende necessario creare per i minori situazioni che possano ridurre le tensioni traumatiche tipiche del processo penale.

[1] Tratto da una fiaba per bambini: S. Agosti, Il ritorno di pinocchio, Solani Editore, 2010.

[2] La Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pronografia infantile ravvicina le legislazioni degli Stati membri affinchè configurino reato le forme più gravi di abuso e sfruttamento sessuale dei minori e sia assicurato un livello minimo di assistenza alle vittime.

[3] Cfr. M. Brouchard, Processo penale minorile (voce), in Dig. Pen., 1995, vol. X, P. 140; E. Roli, Dal reato alla personalità. Il modello diagnostico nella giustizia minorile, Giuffrè, 1996, p. 23 ss.

[4] A. Ceretti, Come pensa il Tribunale per i Minorenni, Franco Angeli, 1997, p. 176.

[5] Cfr. Marta Bertolino, Il Minore vittima di reato, Giappichelli Editore, 2010, p. 156, la quale sostiene che: "L’art. 609 decies c.p. è una norma comunque importante, perchè in termini innovativi apre le porte ad interventi mirati alla protezione di vittime esposte agli abusi sessuali, al fine di limitare, se non evitare il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria".

[6]Sez. 3 sent. 22066 del 20 -5-2003, rv. 225325.

[7] A tal proposito cfr. Cass. III, sent. 6464 del 11.2.2008 la quale stabilisce che: "In tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, le cautele e metodologie prescritte dalla cosiddetta "Carta di Noto", pur di autorevole rilevanza nell’interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione di detti soggetti, presentano carattere non tassativo, sicchè l’eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta nullità dell’esame stesso".

[8] Cfr. CONSO, La legislazione dell’emergenza tra realtà ed equivoci, Milano, 1979, p.3.

[9] Paolo Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2008, p. 218.

[10] In dottrina la duplice finalità della deroga dell’art. 392, comma 1 bis, di evitare la c.d. vittimizzazione secondaria, ma parimenti di offrire più garanzie circa la genuinità e l’attendibilità della prova, anticipando in termini di assoluta completezza l’assunzione delle dichiarazioni del minore prima che i ricordi del minore vengano meno o vengono inquinati è sostenuta da Camaldo, La testimonianza dei minori nel processo penale: nuove modalità di assunzione e criteri giurisprudenziali di valutazione, in Indice Penale, 2000, p. 178.

[11] G. Valvo, L’ascolto giudiziario del minore vittima di abuso sessuale, in Minori e giustizia, 1998, 2, p.91.

[12] De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffrè, Milano, 1998.