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Gli effetti della delega di funzioni alla luce del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro

Nel periodo antecedente l’entrata in vigore del T.U.S. del 2008, la delega di funzioni non è prevista da alcuna disposizione legislativa.

Tale lacuna normativa viene colmata attraverso l’intervento della giurisprudenza, che individua gli elementi essenziali ai fini della configurabilità dell’istituto in esame.

A tal proposito, occorre evidenziare che per diversi anni la giurisprudenza limita l’applicazione della delega di funzioni esclusivamente alle imprese di grandi dimensioni o che si caratterizzano per la loro complessità organizzativa, denotando in tal modo un atteggiamento diffidente nei confronti di tale strumento di divisione del lavoro.

Invero, la delega costituirebbe un escamotage da parte dell’imprenditore per far slittare la responsabilità verso il basso, individuando dei “capri espiatori” soprattutto nei sottoposti.

Tale orientamento ad oggi risulta sconfessato dall’introduzione del T.U. n. 81/2008 e dal successivo Decreto correttivo del 2009 in quanto non si fa più riferimento a criteri dimensionali o di complessità aziendale per la configurabilità della delega di funzioni.

Infatti, quest’ultima rappresenta una normale modalità di adempimento dell’organizzazione aziendale, riconosciuta a livello costituzionale dall’art. 41.

L’importanza della delega di funzioni risiede nella corretta razionalizzazione delle risorse umane e nella conseguente individuazione di quei soggetti che sono competenti per le funzioni assegnate e che ricoprono una posizione di maggiore vicinanza al bene giuridico da tutelare.

Il D. Lgs. n. 81/2008, salvo l’eccezione evidenziata in precedenza e la forma scritta “ad substantiam”, recepisce i suggerimenti della giurisprudenza formatisi in materia e contribuisce a fornire maggiore chiarezza sull’istituto in oggetto.

In particolare, l’art. 16 elenca i seguenti requisiti di ammissibilità: la forma scritta dell’atto, che deve avere data certa; il possesso da parte del delegato della competenza e dell’esperienza richieste dalla specifica natura delle funzioni delegate; l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; l’attribuzione al delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo; l’accettazione per iscritto della delega.

Sanciti i requisiti di validità della delega, il T.U. prevede al terzo comma dell’art. 16 un residuo obbligo di vigilanza del delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Tale previsione normativa attiene, in particolare, al problema degli effetti della delega di funzioni, che è stato oggetto di oscillanti interpretazioni dottrinali.

Secondo la teoria formalistica-civilistica, la delega di funzioni non può incidere sulla tipicità, ma esclusivamente sul piano della colpevolezza.

Pertanto, essa non è idonea alla creazione di un’autonoma posizione di garanzia in capo al delegato.

Questa posizione interpretativa, da un lato, rispetta il principio di tassatività della norma penale, ma, dall’altro, evidenzia i suoi limiti nel riconoscimento di responsabilità di posizione, che violano il principio di responsabilità personale, almeno a titolo di colpa, previsto dall’art. 27, co. 1, Cost.

Seguendo, invece, la teoria funzionalistica, la delega di funzioni produce i suoi effetti già sul piano della tipicità ed estende l’ambito dei soggetti garanti.

Di conseguenza, il soggetto delegante viene totalmente esonerato dalla responsabilità penale, che ricade esclusivamente sul delegato.

Ai fini della titolarità degli obblighi penalmente rilevanti e delle responsabilità conseguenti alla loro violazione, ciò che conta sarebbe l’esercizio effettivo della funzione cui l’obbligo si riferisce. Chiamato a rispondere della realizzazione dell’evento sarebbe, dunque, il solo delegato, in quanto il delegante trasferisce le funzioni che a lui facevano capo, nonché la qualifica soggettiva di cui era titolare.

Il delegato, dunque, diverrebbe intraneus mentre il delegante, oramai privato di ogni qualifica e della diretta disponibilità di intervento sulla cosa, potrebbe rispondere ove sussistano gli estremi del concorso di persone nel reato o qualora venga casualmente a conoscenza dell’inadempimento del delegato, venendo meno in tale ipotesi gli effetti della delega a seguito della ricostituzione della posizione di garanzia in capo al garante originario.

Questa teoria, a differenza della precedente, mostra la sua valenza sul piano dell’effettività della tutela, ma collide con il principio di inderogabilità del diritto penale. In realtà, l’indirizzo interpretativo preferibile è rappresentato dalla teoria c.d. mediana, che ha il pregio di contemperare le posizioni estreme appena esposte e garantisce una maggiore aderenza ai principi del diritto penale.

La stessa lettera dell’art. 16, co. 3, del T.U. n. 81/2008 sembra aderire a quest’ultimo orientamento.

Infatti, l’utilizzo dell’istituto della delega di funzioni non permette all’imprenditore/datore di lavoro di disinteressarsi completamente dell’attività di controllo cui è tenuto nei confronti del delegato.

È opportuno osservare che il datore di lavoro, oltre al rispetto della normativa antinfortunistica, deve adottare ai sensi dell’art. 2087 c.c. tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

La suddetta disposizione rappresenta una particolare posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, che riecheggia anche nell’art. 17 del T.U.S., nel quale si prevede, come eccezione alla normale delegabilità, l’indelegabilità di determinate funzioni, quali la valutazione di rischi, la redazione del Documento di valutazione dei rischi e la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Naturalmente, “l’obbligo di vigilanza” che residua in capo al delegante non può concretizzarsi in un controllo minuzioso delle singole attività del delegato, ma deve interessare esclusivamente l’andamento generale della gestione della sicurezza ed i profili di criticità dell’organizzazione che sono legati a carenze strutturali.

Invero, la Cassazione con la sentenza n. 10702 del 19 marzo 2012 ha statuito che l’art. 16 del T.U.S. introduce un concetto di vigilanza "alta", che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato.

"Ciò che maggiormente interesse è che la vigilanza, quale che ne sia l’esatta estensione, di certo non può identificarsi con un’azione di vigilanza concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni che la legge affida, appunto, al garante. La delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui demanda i pertinenti poteri: al delegato vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo. Ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato."

Opinando diversamente, si finirebbe per contraddire la stessa ratio della delega di funzioni e si ammetterebbe un’ingerenza tale nelle funzioni delegate da provocare una revoca per fatti concludenti dell’istituto in esame.

Nell’ottica di un rafforzamento della tutela di beni giuridici, quali la salute e la vita dei lavoratori, il T.U.S. prevede una disposizione di chiusura con l’art. 299, statuendo che le posizioni di garanzia relative al datore di lavoro, al dirigente e al preposto gravano anche sul soggetto che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.

Dalla norma in questione si evince che il fulcro della responsabilità penale risiede nell’esercizio dei poteri tipici di una posizione di garanzia, mentre non è richiesta una corrispondente qualifica soggettiva.

Si potrà dunque verificare la situazione nella quale all’investitura formale non corrisponda alcun esercizio di poteri connessi alla posizione di garanzia, in quanto quest’ultima è stata oggetto di integrale trasferimento in capo ad altro soggetto privo di ogni qualifica soggettiva.

L’unica perplessità riguarda la scarsa determinatezza della formula legislativa, che si limita a parlare di “esercizio in concreto” dei poteri giuridici collegati alla carica, senza precisare meglio su quali presupposti possa ritenersi integrata tale situazione; interessante appare allora la proposta di autorevole dottrina, che, per riempire di significato il generico tenore dell’art. 299, suggerisce di fare riferimento all’art. 2639 c.c. dove, nel disciplinare la figura dei titolari di fatto, viene introdotto il requisito che essi “esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

Infine, per evitare indebite dilatazioni del principio di effettività, sembra opportuno interpretare l’art. 299 in modo da tenere in debito conto anche il dato “formale” delle scelte interne di ciascuna struttura complessa.

Nel periodo antecedente l’entrata in vigore del T.U.S. del 2008, la delega di funzioni non è prevista da alcuna disposizione legislativa.

Tale lacuna normativa viene colmata attraverso l’intervento della giurisprudenza, che individua gli elementi essenziali ai fini della configurabilità dell’istituto in esame.

A tal proposito, occorre evidenziare che per diversi anni la giurisprudenza limita l’applicazione della delega di funzioni esclusivamente alle imprese di grandi dimensioni o che si caratterizzano per la loro complessità organizzativa, denotando in tal modo un atteggiamento diffidente nei confronti di tale strumento di divisione del lavoro.

Invero, la delega costituirebbe un escamotage da parte dell’imprenditore per far slittare la responsabilità verso il basso, individuando dei “capri espiatori” soprattutto nei sottoposti.

Tale orientamento ad oggi risulta sconfessato dall’introduzione del T.U. n. 81/2008 e dal successivo Decreto correttivo del 2009 in quanto non si fa più riferimento a criteri dimensionali o di complessità aziendale per la configurabilità della delega di funzioni.

Infatti, quest’ultima rappresenta una normale modalità di adempimento dell’organizzazione aziendale, riconosciuta a livello costituzionale dall’art. 41.

L’importanza della delega di funzioni risiede nella corretta razionalizzazione delle risorse umane e nella conseguente individuazione di quei soggetti che sono competenti per le funzioni assegnate e che ricoprono una posizione di maggiore vicinanza al bene giuridico da tutelare.

Il D. Lgs. n. 81/2008, salvo l’eccezione evidenziata in precedenza e la forma scritta “ad substantiam”, recepisce i suggerimenti della giurisprudenza formatisi in materia e contribuisce a fornire maggiore chiarezza sull’istituto in oggetto.

In particolare, l’art. 16 elenca i seguenti requisiti di ammissibilità: la forma scritta dell’atto, che deve avere data certa; il possesso da parte del delegato della competenza e dell’esperienza richieste dalla specifica natura delle funzioni delegate; l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; l’attribuzione al delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo; l’accettazione per iscritto della delega.

Sanciti i requisiti di validità della delega, il T.U. prevede al terzo comma dell’art. 16 un residuo obbligo di vigilanza del delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Tale previsione normativa attiene, in particolare, al problema degli effetti della delega di funzioni, che è stato oggetto di oscillanti interpretazioni dottrinali.

Secondo la teoria formalistica-civilistica, la delega di funzioni non può incidere sulla tipicità, ma esclusivamente sul piano della colpevolezza.

Pertanto, essa non è idonea alla creazione di un’autonoma posizione di garanzia in capo al delegato.

Questa posizione interpretativa, da un lato, rispetta il principio di tassatività della norma penale, ma, dall’altro, evidenzia i suoi limiti nel riconoscimento di responsabilità di posizione, che violano il principio di responsabilità personale, almeno a titolo di colpa, previsto dall’art. 27, co. 1, Cost.

Seguendo, invece, la teoria funzionalistica, la delega di funzioni produce i suoi effetti già sul piano della tipicità ed estende l’ambito dei soggetti garanti.

Di conseguenza, il soggetto delegante viene totalmente esonerato dalla responsabilità penale, che ricade esclusivamente sul delegato.

Ai fini della titolarità degli obblighi penalmente rilevanti e delle responsabilità conseguenti alla loro violazione, ciò che conta sarebbe l’esercizio effettivo della funzione cui l’obbligo si riferisce. Chiamato a rispondere della realizzazione dell’evento sarebbe, dunque, il solo delegato, in quanto il delegante trasferisce le funzioni che a lui facevano capo, nonché la qualifica soggettiva di cui era titolare.

Il delegato, dunque, diverrebbe intraneus mentre il delegante, oramai privato di ogni qualifica e della diretta disponibilità di intervento sulla cosa, potrebbe rispondere ove sussistano gli estremi del concorso di persone nel reato o qualora venga casualmente a conoscenza dell’inadempimento del delegato, venendo meno in tale ipotesi gli effetti della delega a seguito della ricostituzione della posizione di garanzia in capo al garante originario.

Questa teoria, a differenza della precedente, mostra la sua valenza sul piano dell’effettività della tutela, ma collide con il principio di inderogabilità del diritto penale. In realtà, l’indirizzo interpretativo preferibile è rappresentato dalla teoria c.d. mediana, che ha il pregio di contemperare le posizioni estreme appena esposte e garantisce una maggiore aderenza ai principi del diritto penale.

La stessa lettera dell’art. 16, co. 3, del T.U. n. 81/2008 sembra aderire a quest’ultimo orientamento.

Infatti, l’utilizzo dell’istituto della delega di funzioni non permette all’imprenditore/datore di lavoro di disinteressarsi completamente dell’attività di controllo cui è tenuto nei confronti del delegato.

È opportuno osservare che il datore di lavoro, oltre al rispetto della normativa antinfortunistica, deve adottare ai sensi dell’art. 2087 c.c. tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

La suddetta disposizione rappresenta una particolare posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, che riecheggia anche nell’art. 17 del T.U.S., nel quale si prevede, come eccezione alla normale delegabilità, l’indelegabilità di determinate funzioni, quali la valutazione di rischi, la redazione del Documento di valutazione dei rischi e la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Naturalmente, “l’obbligo di vigilanza” che residua in capo al delegante non può concretizzarsi in un controllo minuzioso delle singole attività del delegato, ma deve interessare esclusivamente l’andamento generale della gestione della sicurezza ed i profili di criticità dell’organizzazione che sono legati a carenze strutturali.

Invero, la Cassazione con la sentenza n. 10702 del 19 marzo 2012 ha statuito che l’art. 16 del T.U.S. introduce un concetto di vigilanza "alta", che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato.

"Ciò che maggiormente interesse è che la vigilanza, quale che ne sia l’esatta estensione, di certo non può identificarsi con un’azione di vigilanza concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni che la legge affida, appunto, al garante. La delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui demanda i pertinenti poteri: al delegato vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo. Ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato."

Opinando diversamente, si finirebbe per contraddire la stessa ratio della delega di funzioni e si ammetterebbe un’ingerenza tale nelle funzioni delegate da provocare una revoca per fatti concludenti dell’istituto in esame.

Nell’ottica di un rafforzamento della tutela di beni giuridici, quali la salute e la vita dei lavoratori, il T.U.S. prevede una disposizione di chiusura con l’art. 299, statuendo che le posizioni di garanzia relative al datore di lavoro, al dirigente e al preposto gravano anche sul soggetto che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.

Dalla norma in questione si evince che il fulcro della responsabilità penale risiede nell’esercizio dei poteri tipici di una posizione di garanzia, mentre non è richiesta una corrispondente qualifica soggettiva.

Si potrà dunque verificare la situazione nella quale all’investitura formale non corrisponda alcun esercizio di poteri connessi alla posizione di garanzia, in quanto quest’ultima è stata oggetto di integrale trasferimento in capo ad altro soggetto privo di ogni qualifica soggettiva.

L’unica perplessità riguarda la scarsa determinatezza della formula legislativa, che si limita a parlare di “esercizio in concreto” dei poteri giuridici collegati alla carica, senza precisare meglio su quali presupposti possa ritenersi integrata tale situazione; interessante appare allora la proposta di autorevole dottrina, che, per riempire di significato il generico tenore dell’art. 299, suggerisce di fare riferimento all’art. 2639 c.c. dove, nel disciplinare la figura dei titolari di fatto, viene introdotto il requisito che essi “esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

Infine, per evitare indebite dilatazioni del principio di effettività, sembra opportuno interpretare l’art. 299 in modo da tenere in debito conto anche il dato “formale” delle scelte interne di ciascuna struttura complessa.