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Reclamo e Mediazione: dubbi e criticità

[Relazione esposta al I Congresso Nazionale dell’Unione Camere Tributarie, Lecce, 8 e 9 ottobre 2011]

L’incipit potrebbe essere: “La montagna ha partorito il topolino” perché quella che avrebbe dovuto e potuto rappresentare una svolta nel processo tributario appare, come spesso accade, un ibrido, una riforma a metà con tante ombre e poche luci. Certamente era lecito attendersi un risultato coerente almeno con la ratio che ha ispirato il legislatore nella mediazione civile.

Prima, però, di affrontare, seppur sinteticamente, gli aspetti controversi della mediazione tributaria, appare opportuno riassumere le novità legislative.

L’art. 39, commi 9-12, del D.L. di stabilizzazione finanziaria n. 98 del 6 luglio 2011, convertito con Legge n° 111/2011, ha innovato profondamente il processo tributario aggiungendo al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 17-bis.

La detta disposizione – a decorrere dal 1° aprile 2012 – modificherà la fase introduttiva del contenzioso tributario, incidendo anche sul regime delle spese.

Il nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 pone l’obbligo in capo a colui che intende adire il Giudice tributario, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, preliminarmente, di presentare reclamo all’Ufficio che ha emesso l’atto, pena l’inammissibilità del ricorso giudiziario.

Il reclamo, volto all’“annullamento totale o parziale dell’atto” o finalizzato al componimento della controversia tramite “mediazione” (v. relazione ministeriale), dovrebbe consentire all’Ente impositore di rivalutare l’atto, in considerazione delle deduzioni e contestazioni mosse dal contribuente, “circostanza che dovrebbe evitare una visione amministrativa “unilaterale” della pretesa manifestata e un corretto confronto tra le parti interessate, anche alla luce delle clausole dello Statuto del contribuente” (Russo A., Manovra Correttiva – legittimità costituzionale del reclamo e della mediazione nel processo tributario, in “il fisco” n°30 del 25.07.11, pg. 1-4843).

Il reclamo deve essere presentato alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate e l’esame dello stesso è affidato ad apposite strutture a cui spetta la gestione del contenzioso. Queste strutture devono esaminare i reclami in totale autonomia, senza alcun legame con i diversi Uffici che hanno curato l’istruttoria degli atti reclamati.

Il termine e le modalità di presentazione del reclamo sono quelli previsti per l’introduzione del ricorso giurisdizionale, precisamente dagli artt. 12, 18, 19, 20, 21 e 22, comma 4, del d. lgs. n. 546 del 1992.

Sono esclusi espressamente i ricorsi avverso gli atti di recupero degli aiuti di Stato di cui all’art. 47-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché, indirettamente, quelli avverso il silenzio – rifiuto, poiché in tale ipotesi non sussiste un atto da contestare e/o mediare.

Nel corpus del reclamo vi potrà essere spazio per una motivata proposta di mediazione che può anche rideterminare l’ammontare della pretesa.

Nel caso in cui l’organo non intenda accogliere il reclamo, annullando totalmente o parzialmente l’atto, né aderire alla proposta “conciliativa” del contribuente, formula esso stesso, d’ufficio ed obbligatoriamente, una proposta di mediazione avuto riguardo all’incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa.

E così l’Amministrazione ha l’obbligo (almeno formale) di formulare una proposta di mediazione al contribuente che, invece, ne ha solo la facoltà.

Ciò potrebbe rilevarsi importante in sede giudiziale ai fini della condanna al pagamento delle spese di lite. Il comma 10 dell’art. 17 bis, infatti, prevede la condanna della parte soccombente oltre che alle spese di giudizio anche al pagamento di “una somma pari al 50 per cento di quest’ultime a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo” (è altresì prevista la possibilità di compensare le spese in presenza di giustificati motivi che devono essere espressamente indicati in sentenza).

Decorsi novanta giorni, senza che sia stato notificato l’accoglimento, totale o parziale del reclamo, la mediazione si intende conclusa e il reclamo produce gli effetti del ricorso, nel senso che, senza che possano essere aggiunti nuovi motivi di censura all’atto impugnato, dovrà essere depositato, nei termini di cui agli articoli 22 e 23 D.lgs. n°546/92, presso la Commissione Tributaria competente.

Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate dovesse respingere o accogliere parzialmente il reclamo prima dei novanti giorni, i termini degli artt. 22 e 23 suddetti, decorreranno dalla notifica del relativo provvedimento di rigetto.

La semplice e sintetica esposizione della disciplina del “reclamo – mediazione” ha consentito certamente di rilevarne i tanti aspetti critici.

Benefici pochi, forse nessuno; critiche e dubbi tanti!

Iniziamo proprio dal titolo “reclamo e mediazione”.

Folberg e Taylor definirono la mediazione: “prevalentemente, un processo che trascende il contenuto del conflitto che con essa si vorrebbe risolvere.”; “(…) il processo mediante il quale i partecipanti, con l’assistenza di una o più persone neutrali, isolano sistematicamente i problemi della disputa, dall’obiettivo di trovare soluzioni, considerare alternative e raggiungere un accordo adeguato alle loro reciproche necessità” (Folberg e Taylor, A Comprehensive guide to resolving conflicts without litigation, Jossey Bass Inc. Publishers, 1984).

Per Grover, Grosch e Olczak, la mediazione: “è l’intervento, in un conflitto, di una terza parte imparziale che aiuta le parti contrapposte a gestire o risolvere la loro disputa. La terza parte imparziale è il mediatore, che utilizza tecniche volte ad aiutare i contendenti a raggiungere un accordo consensuale con lo scopo di risolvere il loro conflitto. (…) Il verbo “aiutare” è importante in questo contesto. Si presuppone che i mediatori non forzino né impongano la soluzione. I mediatori preparano i contendenti affinché possano raggiungere i loro propri accordi, favorendo la discussione aperta e sviluppando soluzioni alternative” (Grover, K.; Grosch, J.W. e Olczak, P.V. La mediación y sus contextos de aplicación, Barcelona, Paidós, 1996).

La mediazione, pertanto, è una procedura volta a risolvere una controversia in cui è centrale e fondamentale il ruolo del mediatore, soggetto terzo, imparziale e neutrale.

Nella mediazione cd. “tributaria”, l’esame del reclamo è affidato ad “ apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”. Queste strutture, quindi, altro non sono che mere articolazioni della stessa Agenzia delle Entrate.

È palese, quindi, l’assenza di un elemento fondamentale della mediazione: la neutralità e terzietà del mediatore in quanto l’ufficio che tratterà i reclami è inglobato nella medesima Amministrazione che ha emesso l’atto reclamato! “Si rivela improprio, quindi, il riferimento alla mediazione, laddove trattasi evidentemente di una conciliazione stragiudiziale, cioè di un mezzo di autocomposizione della controversia, non molto dissimile dalla conciliazione fuori udienza prevista dall’art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, la cui disciplina – come si è premesso – è espressamente dichiarata applicabile alle controversie in questione nei consueti limiti della compatibilità.”

Sarebbe stato opportuno attribuire la trattazione dei reclami a soggetti terzi ed esterni all’Amministrazione come ad esempio gli Organismi di mediazione istituiti con il Dlgs. 4 marzo 2011 n.28, o il Difensore Civico, che già svolge istituzionalmente funzioni mediatorie tra cittadini e pubbliche amministrazioni, anche in ambiti fiscali, ma anche il Garante del Contribuente.

Se si considera, poi, che l’introduzione della mediazione tributaria è concomitante con quella prevista per il processo civile, è ancor più incomprensibile la scelta del legislatore che avrebbe potuto semplicemente applicare la disciplina del D.lgs. N° 28/11 al processo tributario, a prescindere dalle considerazioni soggettive sull’efficacia della mediazione, come istituto.

Una volta intrapresa una strada, la si può percorrere con linearità.

Sorprende, negativamente poi, l’assenza della necessità di un contraddittorio.

Il dialogo tra contribuente e Ufficio è, infatti, solo documentale, non essendo previsto alcun esplicito momento di confronto diretto tra le parti all’interno della nuova mediazione.

Manca, infine, a differenza di quanto accade nella mediazione civile, ma più in generale in tutti i procedimenti conciliativi, una disposizione che precluda l’utilizzazione in sede giudiziale di ciò che è emerso in sede di reclamo.

Vari autori, poi, hanno sollevato, giustamente, dubbi di costituzionalità dell’istituto in esame sotto vari profili. In primo luogo, si potrebbe configurare una violazione del diritto di difesa del contribuente il quale, alla luce del richiamo delle norme del D.Lgs. n. 546/1992 che disciplinano la forma e il contenuto del ricorso, sarà costretto, già nella fase amministrativa del procedimento, a rendere note in anticipo alla controparte tutte le eventuali difese ed eccezioni che saranno fatte valere dinanzi all’ A.G..

Ciò costituisce un ingiustificato vantaggio, di non poca importanza, per l’Agenzia delle Entrate.

Ed ancora: l’art. 17 bis potrebbe essere in contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, nonché con il principio di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 111, comma 2, della Costituzione.

È indubbio, infatti, che i tempi di instaurazione e definizione della lite si allungheranno notevolmente, visto che, tra la notifica dell’atto, oggetto di reclamo, e l’instaurazione del contraddittorio, dinanzi all’ A.G., intercorrano circa 210 giorni (cioè: 60 giorni dalla notifica dell’atto per la presentazione del reclamo, massimo 90 giorni per la mediazione, più altri 60 per la costituzione dell’ufficio ex art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992). Senza considerare eventuali ed ulteriori 90 giorni qualora venga presentata istanza di accertamento con adesione.

Viene, di fatto, rallentato un procedimento che è sempre stato uno dei più celeri del nostro ordinamento.

Si ripropone, poi, il problema dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria ricavabile dall’art. 53 della Costituzione, nonché dal principio di imparzialità nell’azione della Pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione.

Richiamando scritti di autorevoli autori (Selicato P., La Conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedimentali) emerge come la conciliazione tributaria non può avere mai un carattere transattivo in quanto manca la volontà delle parti “di farsi reciproche concessioni in ordine a diritti soggettivi sui quali hanno pieni poteri di disposizione, ma si realizza la convergenza di due posizioni eterogenee: quella del contribuente che tende comunque a realizzare il massimo risparmio di oneri; quella dell’Ufficio, rivolta in ogni caso a realizzare nel rispetto dei principi costituzionali di legalità, di capacità contributiva, di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, la corretta pretesa fiscale nei confronti di una fattispecie tributaria in ordine alla quale non sussistono sufficienti elementi di certezza”.

Viene svilito il principio di certezza ed uguaglianza del diritto.

Si tratta, invece, di un procedimento amministrativo di riesame dell’atto volto a modificare lo stesso prendendo in considerazione nuovi elementi non adeguatamente valutati nella precedente fase.

La mediazione “tributaria” è sì condizione di procedibilità del giudizio, ma di fatto analoga alla “conciliazione tributaria”, prevista dall’art. 48 del D.lgs. n° 546/92, differenziandosi, almeno a prima lettura, per le modalità temporali di svolgimento.

In conclusione la mediazione tributaria si rivela quasi un doppione di istituti già esistenti, essendo lampante la vicinanza e l’analogia anche con l’accertamento con adesione (in cui addirittura viene garantito un maggiore contraddittorio).

Non si può, quindi, a mio avviso, non concordare con la dottrina maggioritaria nell’affermare che il nuovo istituto sia stato voluto solo per giustificare il mini condono, essendo molti di più i rilievi critici che si possono muovere al nuovo istituto rispetto ad aspetti positivi.

BIBLIOGRAFIA

1) Russo A., Manovra Correttiva – legittimità costituzionale del reclamo e della mediazione nel processo tributario, in “il fisco” n°30 del 25.07.11, pg. 1-4843;

2) Cantillo G., Manovra correttiva (D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) - Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n.546/1992, in “il fisco” n. 31 dell’1 agosto 2011, pag. 1-4997;

3) Lucati I., Liti fiscali: la manovra correttiva introduce la conciliazione obbligatoria ed il condono, in Resp. civ., 2011, 8-9 Tributi;

4) Caputo A., Manovra correttiva 2011”:"Mediazione", Fisco e Difensore civico;

5) Folberg e Taylor, A Comprehensive guide to resolving conflicts without litigation, Jossey Bass Inc. Publishers, 1984;

6) Grover, K.; Grosch, J.W. e Olczak, P.V. La mediación y sus contextos de aplicación, Barcelona, Paidós, 1996;

7) Selicato P., La Conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedimentali.

[Relazione esposta al I Congresso Nazionale dell’Unione Camere Tributarie, Lecce, 8 e 9 ottobre 2011]

L’incipit potrebbe essere: “La montagna ha partorito il topolino” perché quella che avrebbe dovuto e potuto rappresentare una svolta nel processo tributario appare, come spesso accade, un ibrido, una riforma a metà con tante ombre e poche luci. Certamente era lecito attendersi un risultato coerente almeno con la ratio che ha ispirato il legislatore nella mediazione civile.

Prima, però, di affrontare, seppur sinteticamente, gli aspetti controversi della mediazione tributaria, appare opportuno riassumere le novità legislative.

L’art. 39, commi 9-12, del D.L. di stabilizzazione finanziaria n. 98 del 6 luglio 2011, convertito con Legge n° 111/2011, ha innovato profondamente il processo tributario aggiungendo al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 17-bis.

La detta disposizione – a decorrere dal 1° aprile 2012 – modificherà la fase introduttiva del contenzioso tributario, incidendo anche sul regime delle spese.

Il nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 pone l’obbligo in capo a colui che intende adire il Giudice tributario, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, preliminarmente, di presentare reclamo all’Ufficio che ha emesso l’atto, pena l’inammissibilità del ricorso giudiziario.

Il reclamo, volto all’“annullamento totale o parziale dell’atto” o finalizzato al componimento della controversia tramite “mediazione” (v. relazione ministeriale), dovrebbe consentire all’Ente impositore di rivalutare l’atto, in considerazione delle deduzioni e contestazioni mosse dal contribuente, “circostanza che dovrebbe evitare una visione amministrativa “unilaterale” della pretesa manifestata e un corretto confronto tra le parti interessate, anche alla luce delle clausole dello Statuto del contribuente” (Russo A., Manovra Correttiva – legittimità costituzionale del reclamo e della mediazione nel processo tributario, in “il fisco” n°30 del 25.07.11, pg. 1-4843).

Il reclamo deve essere presentato alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate e l’esame dello stesso è affidato ad apposite strutture a cui spetta la gestione del contenzioso. Queste strutture devono esaminare i reclami in totale autonomia, senza alcun legame con i diversi Uffici che hanno curato l’istruttoria degli atti reclamati.

Il termine e le modalità di presentazione del reclamo sono quelli previsti per l’introduzione del ricorso giurisdizionale, precisamente dagli artt. 12, 18, 19, 20, 21 e 22, comma 4, del d. lgs. n. 546 del 1992.

Sono esclusi espressamente i ricorsi avverso gli atti di recupero degli aiuti di Stato di cui all’art. 47-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché, indirettamente, quelli avverso il silenzio – rifiuto, poiché in tale ipotesi non sussiste un atto da contestare e/o mediare.

Nel corpus del reclamo vi potrà essere spazio per una motivata proposta di mediazione che può anche rideterminare l’ammontare della pretesa.

Nel caso in cui l’organo non intenda accogliere il reclamo, annullando totalmente o parzialmente l’atto, né aderire alla proposta “conciliativa” del contribuente, formula esso stesso, d’ufficio ed obbligatoriamente, una proposta di mediazione avuto riguardo all’incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa.

E così l’Amministrazione ha l’obbligo (almeno formale) di formulare una proposta di mediazione al contribuente che, invece, ne ha solo la facoltà.

Ciò potrebbe rilevarsi importante in sede giudiziale ai fini della condanna al pagamento delle spese di lite. Il comma 10 dell’art. 17 bis, infatti, prevede la condanna della parte soccombente oltre che alle spese di giudizio anche al pagamento di “una somma pari al 50 per cento di quest’ultime a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo” (è altresì prevista la possibilità di compensare le spese in presenza di giustificati motivi che devono essere espressamente indicati in sentenza).

Decorsi novanta giorni, senza che sia stato notificato l’accoglimento, totale o parziale del reclamo, la mediazione si intende conclusa e il reclamo produce gli effetti del ricorso, nel senso che, senza che possano essere aggiunti nuovi motivi di censura all’atto impugnato, dovrà essere depositato, nei termini di cui agli articoli 22 e 23 D.lgs. n°546/92, presso la Commissione Tributaria competente.

Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate dovesse respingere o accogliere parzialmente il reclamo prima dei novanti giorni, i termini degli artt. 22 e 23 suddetti, decorreranno dalla notifica del relativo provvedimento di rigetto.

La semplice e sintetica esposizione della disciplina del “reclamo – mediazione” ha consentito certamente di rilevarne i tanti aspetti critici.

Benefici pochi, forse nessuno; critiche e dubbi tanti!

Iniziamo proprio dal titolo “reclamo e mediazione”.

Folberg e Taylor definirono la mediazione: “prevalentemente, un processo che trascende il contenuto del conflitto che con essa si vorrebbe risolvere.”; “(…) il processo mediante il quale i partecipanti, con l’assistenza di una o più persone neutrali, isolano sistematicamente i problemi della disputa, dall’obiettivo di trovare soluzioni, considerare alternative e raggiungere un accordo adeguato alle loro reciproche necessità” (Folberg e Taylor, A Comprehensive guide to resolving conflicts without litigation, Jossey Bass Inc. Publishers, 1984).

Per Grover, Grosch e Olczak, la mediazione: “è l’intervento, in un conflitto, di una terza parte imparziale che aiuta le parti contrapposte a gestire o risolvere la loro disputa. La terza parte imparziale è il mediatore, che utilizza tecniche volte ad aiutare i contendenti a raggiungere un accordo consensuale con lo scopo di risolvere il loro conflitto. (…) Il verbo “aiutare” è importante in questo contesto. Si presuppone che i mediatori non forzino né impongano la soluzione. I mediatori preparano i contendenti affinché possano raggiungere i loro propri accordi, favorendo la discussione aperta e sviluppando soluzioni alternative” (Grover, K.; Grosch, J.W. e Olczak, P.V. La mediación y sus contextos de aplicación, Barcelona, Paidós, 1996).

La mediazione, pertanto, è una procedura volta a risolvere una controversia in cui è centrale e fondamentale il ruolo del mediatore, soggetto terzo, imparziale e neutrale.

Nella mediazione cd. “tributaria”, l’esame del reclamo è affidato ad “ apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”. Queste strutture, quindi, altro non sono che mere articolazioni della stessa Agenzia delle Entrate.

È palese, quindi, l’assenza di un elemento fondamentale della mediazione: la neutralità e terzietà del mediatore in quanto l’ufficio che tratterà i reclami è inglobato nella medesima Amministrazione che ha emesso l’atto reclamato! “Si rivela improprio, quindi, il riferimento alla mediazione, laddove trattasi evidentemente di una conciliazione stragiudiziale, cioè di un mezzo di autocomposizione della controversia, non molto dissimile dalla conciliazione fuori udienza prevista dall’art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, la cui disciplina – come si è premesso – è espressamente dichiarata applicabile alle controversie in questione nei consueti limiti della compatibilità.”

Sarebbe stato opportuno attribuire la trattazione dei reclami a soggetti terzi ed esterni all’Amministrazione come ad esempio gli Organismi di mediazione istituiti con il Dlgs. 4 marzo 2011 n.28, o il Difensore Civico, che già svolge istituzionalmente funzioni mediatorie tra cittadini e pubbliche amministrazioni, anche in ambiti fiscali, ma anche il Garante del Contribuente.

Se si considera, poi, che l’introduzione della mediazione tributaria è concomitante con quella prevista per il processo civile, è ancor più incomprensibile la scelta del legislatore che avrebbe potuto semplicemente applicare la disciplina del D.lgs. N° 28/11 al processo tributario, a prescindere dalle considerazioni soggettive sull’efficacia della mediazione, come istituto.

Una volta intrapresa una strada, la si può percorrere con linearità.

Sorprende, negativamente poi, l’assenza della necessità di un contraddittorio.

Il dialogo tra contribuente e Ufficio è, infatti, solo documentale, non essendo previsto alcun esplicito momento di confronto diretto tra le parti all’interno della nuova mediazione.

Manca, infine, a differenza di quanto accade nella mediazione civile, ma più in generale in tutti i procedimenti conciliativi, una disposizione che precluda l’utilizzazione in sede giudiziale di ciò che è emerso in sede di reclamo.

Vari autori, poi, hanno sollevato, giustamente, dubbi di costituzionalità dell’istituto in esame sotto vari profili. In primo luogo, si potrebbe configurare una violazione del diritto di difesa del contribuente il quale, alla luce del richiamo delle norme del D.Lgs. n. 546/1992 che disciplinano la forma e il contenuto del ricorso, sarà costretto, già nella fase amministrativa del procedimento, a rendere note in anticipo alla controparte tutte le eventuali difese ed eccezioni che saranno fatte valere dinanzi all’ A.G..

Ciò costituisce un ingiustificato vantaggio, di non poca importanza, per l’Agenzia delle Entrate.

Ed ancora: l’art. 17 bis potrebbe essere in contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, nonché con il principio di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 111, comma 2, della Costituzione.

È indubbio, infatti, che i tempi di instaurazione e definizione della lite si allungheranno notevolmente, visto che, tra la notifica dell’atto, oggetto di reclamo, e l’instaurazione del contraddittorio, dinanzi all’ A.G., intercorrano circa 210 giorni (cioè: 60 giorni dalla notifica dell’atto per la presentazione del reclamo, massimo 90 giorni per la mediazione, più altri 60 per la costituzione dell’ufficio ex art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992). Senza considerare eventuali ed ulteriori 90 giorni qualora venga presentata istanza di accertamento con adesione.

Viene, di fatto, rallentato un procedimento che è sempre stato uno dei più celeri del nostro ordinamento.

Si ripropone, poi, il problema dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria ricavabile dall’art. 53 della Costituzione, nonché dal principio di imparzialità nell’azione della Pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione.

Richiamando scritti di autorevoli autori (Selicato P., La Conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedimentali) emerge come la conciliazione tributaria non può avere mai un carattere transattivo in quanto manca la volontà delle parti “di farsi reciproche concessioni in ordine a diritti soggettivi sui quali hanno pieni poteri di disposizione, ma si realizza la convergenza di due posizioni eterogenee: quella del contribuente che tende comunque a realizzare il massimo risparmio di oneri; quella dell’Ufficio, rivolta in ogni caso a realizzare nel rispetto dei principi costituzionali di legalità, di capacità contributiva, di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, la corretta pretesa fiscale nei confronti di una fattispecie tributaria in ordine alla quale non sussistono sufficienti elementi di certezza”.

Viene svilito il principio di certezza ed uguaglianza del diritto.

Si tratta, invece, di un procedimento amministrativo di riesame dell’atto volto a modificare lo stesso prendendo in considerazione nuovi elementi non adeguatamente valutati nella precedente fase.

La mediazione “tributaria” è sì condizione di procedibilità del giudizio, ma di fatto analoga alla “conciliazione tributaria”, prevista dall’art. 48 del D.lgs. n° 546/92, differenziandosi, almeno a prima lettura, per le modalità temporali di svolgimento.

In conclusione la mediazione tributaria si rivela quasi un doppione di istituti già esistenti, essendo lampante la vicinanza e l’analogia anche con l’accertamento con adesione (in cui addirittura viene garantito un maggiore contraddittorio).

Non si può, quindi, a mio avviso, non concordare con la dottrina maggioritaria nell’affermare che il nuovo istituto sia stato voluto solo per giustificare il mini condono, essendo molti di più i rilievi critici che si possono muovere al nuovo istituto rispetto ad aspetti positivi.

BIBLIOGRAFIA

1) Russo A., Manovra Correttiva – legittimità costituzionale del reclamo e della mediazione nel processo tributario, in “il fisco” n°30 del 25.07.11, pg. 1-4843;

2) Cantillo G., Manovra correttiva (D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito) - Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. n.546/1992, in “il fisco” n. 31 dell’1 agosto 2011, pag. 1-4997;

3) Lucati I., Liti fiscali: la manovra correttiva introduce la conciliazione obbligatoria ed il condono, in Resp. civ., 2011, 8-9 Tributi;

4) Caputo A., Manovra correttiva 2011”:"Mediazione", Fisco e Difensore civico;

5) Folberg e Taylor, A Comprehensive guide to resolving conflicts without litigation, Jossey Bass Inc. Publishers, 1984;

6) Grover, K.; Grosch, J.W. e Olczak, P.V. La mediación y sus contextos de aplicación, Barcelona, Paidós, 1996;

7) Selicato P., La Conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedimentali.