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Cassazione: cessioni “parziali” di quote societarie e riciclaggio

Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 11 aprile 2012, n.13421

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 5.9.11 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 28.7.2011 dal GIP dello stesso Tribunale nei confronti di G. L. e M. per il delitto p. e p. D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 quinquies, (convertito, con modificazioni, in L. n. 356 del 1992), per intestazione fittizia della società AS a C.G. e D.F.M..

Ricorre il PM presso il Tribunale di Napoli contro detta ordinanza, di cui chiede l’annullamento per un solo articolato motivo con cui si duole di illogicità e contraddittorietà della motivazione ed erronea interpretazione della legge penale, atteso che la stessa impugnata ordinanza ha affermato, a pag. 10, che G.L. gestiva da padrone la AS; quanto all’altro requisito previsto dall’art. 12 quinquies, consistente nella finalizzazione dell’intestazione fittizia ad eludere misure di prevenzione patrimoniali e/o a compiere attività di riciclaggio e reimpiego, esso è desumibile - asserisce il PM - dai riferimenti che G. L. faceva ai propri problemi giudiziari (come emerso dalle intercettazioni), tali da consentire di leggere "in diretta" lo scopo consapevolmente perseguito di evitare sequestri ed altre iniziative dell’A.G.; ciò contraddice - si afferma in ricorso - l’assunto del Tribunale, secondo cui l’intestazione fittizia della società non sarebbe stata provata. Altra contraddizione - prosegue il PM - si rinviene nel punto in cui l’ordinanza ha riconosciuto la "ampia probabilità di un effettivo apporto di capitale da parte dei G.", vale a dire una condotta costituente il presupposto richiesto dalla norma, id est la finalizzazione dell’intestazione fittizia al riciclaggio e al reimpiego di capitali di provenienza illecita. Inoltre, nella motivazione il Tribunale si è del tutto disinteressato della posizione di G.M., regista occulto e ispiratore dell’operazione. Da ultimo, il PM ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato abbia confuso due piani che dovevano restare tra loro separati, nel senso che la sproporzione fra il valore dei beni e le capacità reddituali dei relativi intestatari concerne la confisca ex art. 12 sexies cit. D.l. e non la figura incriminatrice di cui all’articolo precedente, al più potendone essere mero elemento sintomatico, ma non caratterizzante.

Motivi della decisione

1 - Il ricorso è fondato nei sensi appresso chiariti.

L’impugnata ordinanza ha escluso la sussistenza di gravi indizi per non essere stata sufficientemente provata la totale intestazione fittizia a C.G. e D.F.M. della AS S.r.l., esistendo elementi indicativi di un loro apporto concreto, nel senso che costoro avrebbero avuto la disponibilità economica per essere gli effettivi proprietari della società, di cui - per altro - le indagini non hanno accertato il valore iniziale né quello attuale in modo da farne risaltare l’eventuale inconciliabilità con le capacità reddituali di quelli che figurano come soci.

Nel contempo - prosegue l’ordinanza impugnata - manca la prova diretta che i G. avessero fornito il capitale da investire o che, comunque, avessero alimentato con flussi finanziari la società, prova necessaria affinché si possa desumere che la fittizia intestazione sia intesa ad eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e/o ad occultare il riciclaggio di somme provento di reato.

Ciò nonostante, la stessa impugnata ordinanza da atto dell’elevata probabilità d’un effettivo apporto di capitale nella AS S.r.l. da parte dei G. e della circostanza per cui G. L. la gestiva, nei fatti, da padrone.

In tal modo, però, l’impugnata ordinanza incorre in un vizio di motivazione, oltre che di violazione dell’art. 273 c.p.p., bastando in sede cautelare - appunto - un’elevata probabilità e non una prova certa ed inconfutabile (nel caso di specie, della reale proprietà della società in discorso).

E’ noto, infatti, che anche dopo l’estensione applicativa dei commi 3 e 4 dell’art. 192 c.p.p. alla sede cautelare, grazie all’innesto, nel corpo dell’art. 273 c.p.p., del comma 1 bis introdotto dalla L. n. 63 del 2001, art. 11, resta ferma la diversità dell’oggetto della delibazione ai fini delle misure cautelari personali (preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza) rispetto a quella di merito (orientata, invece, ad acquisire la certezza processuale della penale responsabilità dell’imputato): cfr., ex aliis, Cass. Sez. 1^ n. 19517 del 1.4.2010, dep. 24.5.2010; Cass. S.U. n. 36267 del 30.5.06, dep. 31.10.06.

Inoltre, l’iter argomentativo della gravata ordinanza contiene un’erronea interpretazione descrittiva di significato della norma incriminatrice di cui all’art. 12 quinquies cit., sotto un duplice profilo:

a) da un lato, sostanzialmente ritiene indizio contrario alla configurabilità del delitto de quo la mancanza di prova della sproporzione tra il valore dei beni e le capacità reddituali dei relativi intestatari;

b) dall’altro, suppone che il delitto p. e p. ex art. 12 quinquies cit. D.L. possa sussistere solo se l’intestazione sia fittizia in loto e non anche quando sia solo parziale, nel senso che le quote di proprietà del bene dovrebbero essere tutte integralmente oggetto di fraudolenta cessione.

Non è così: se la sproporzione tra capacità reddituale e valore dei beni può essere indice sintomatico di intestazione fittizia (sproporzione che, per altro aspetto, costituisce vero e proprio presupposto della confisca ex art. 12 sexies), non è vera la proposizione reciproca, atteso che è ben possibile che soggetti pur muniti di redditi significativi possano prestarsi ad operazioni interpositorie nell’interesse di chi voglia eludere misure di prevenzione patrimoniali e/o intenda compiere attività di riciclaggio e reimpiego.

Da tale angolazione, la dimostrata capacità reddituale degli intestatari dei beni, proporzionata in tutto o in parte al loro valore, è circostanza di per sè neutra ai fini della prova del reato in discorso.

In tal senso è fondata la censura del PM ricorrente, laddove sostiene che la figura del prestanome non necessariamente deve essere quella canonica dell’impossidente che, proprio perché tale, è disposto a fungere da "testa di legno": non solo non lo prescrive il dato normativo, ma la stessa realtà delle organizzazioni criminali dimostra che esse hanno tutto l’interesse a coinvolgere in operazioni interpositorie soggetti che abbiano una propria autonoma capacità imprenditoriale.

Sotto il secondo profilo (rispetto al quale non constano precedenti di questa S.C.), si osservi che nulla - né il tenore letterale né la ratio legis - autorizza a ritenere che sia penalmente illecita ai sensi dell’art. 15 - quinquies cit. solo l’intestazione fittizia della totalità di uno o più beni.

Invero, se il proprietario solo pro quota di un determinato bene ne cede fraudolentemente la titolarità a chi legittimamente ed effettivamente ne detiene un’altra, per la porzione di bene così trasferita l’altro quotista si pone, rispetto a detto trasferimento, come mero prestanome; in tal caso, del reato p. e p. ex art. 12 quinquies non muta né l’elemento oggettivo, né quello soggettivo, né l’oggetto giuridico: siffatta condotta è comunque lesiva dell’interesse a che non venga frustrata l’effettività delle norme in tema di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando e a che siano represse le attività di riciclaggio e reimpiego.

Valgano le medesime considerazioni nell’ipotesi in cui, in presenza di due o più soci, ad uno di essi venga fraudolentemente attribuita una quota superiore al conferimento eseguito.

In altre parole, nel caso che ne occupa, una società può essere tanto fittiziamente intestata al 100% ad uno o più prestanomi quanto esserlo solo in diversa misura percentuale, senza che ciò influisca sulla configurabilità del delitto.

Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il Tribunale di Napoli, in diversa composizione, provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi innanzi esposti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 11 aprile 2012, n.13421

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 5.9.11 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 28.7.2011 dal GIP dello stesso Tribunale nei confronti di G. L. e M. per il delitto p. e p. D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 quinquies, (convertito, con modificazioni, in L. n. 356 del 1992), per intestazione fittizia della società AS a C.G. e D.F.M..

Ricorre il PM presso il Tribunale di Napoli contro detta ordinanza, di cui chiede l’annullamento per un solo articolato motivo con cui si duole di illogicità e contraddittorietà della motivazione ed erronea interpretazione della legge penale, atteso che la stessa impugnata ordinanza ha affermato, a pag. 10, che G.L. gestiva da padrone la AS; quanto all’altro requisito previsto dall’art. 12 quinquies, consistente nella finalizzazione dell’intestazione fittizia ad eludere misure di prevenzione patrimoniali e/o a compiere attività di riciclaggio e reimpiego, esso è desumibile - asserisce il PM - dai riferimenti che G. L. faceva ai propri problemi giudiziari (come emerso dalle intercettazioni), tali da consentire di leggere "in diretta" lo scopo consapevolmente perseguito di evitare sequestri ed altre iniziative dell’A.G.; ciò contraddice - si afferma in ricorso - l’assunto del Tribunale, secondo cui l’intestazione fittizia della società non sarebbe stata provata. Altra contraddizione - prosegue il PM - si rinviene nel punto in cui l’ordinanza ha riconosciuto la "ampia probabilità di un effettivo apporto di capitale da parte dei G.", vale a dire una condotta costituente il presupposto richiesto dalla norma, id est la finalizzazione dell’intestazione fittizia al riciclaggio e al reimpiego di capitali di provenienza illecita. Inoltre, nella motivazione il Tribunale si è del tutto disinteressato della posizione di G.M., regista occulto e ispiratore dell’operazione. Da ultimo, il PM ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato abbia confuso due piani che dovevano restare tra loro separati, nel senso che la sproporzione fra il valore dei beni e le capacità reddituali dei relativi intestatari concerne la confisca ex art. 12 sexies cit. D.l. e non la figura incriminatrice di cui all’articolo precedente, al più potendone essere mero elemento sintomatico, ma non caratterizzante.

Motivi della decisione

1 - Il ricorso è fondato nei sensi appresso chiariti.

L’impugnata ordinanza ha escluso la sussistenza di gravi indizi per non essere stata sufficientemente provata la totale intestazione fittizia a C.G. e D.F.M. della AS S.r.l., esistendo elementi indicativi di un loro apporto concreto, nel senso che costoro avrebbero avuto la disponibilità economica per essere gli effettivi proprietari della società, di cui - per altro - le indagini non hanno accertato il valore iniziale né quello attuale in modo da farne risaltare l’eventuale inconciliabilità con le capacità reddituali di quelli che figurano come soci.

Nel contempo - prosegue l’ordinanza impugnata - manca la prova diretta che i G. avessero fornito il capitale da investire o che, comunque, avessero alimentato con flussi finanziari la società, prova necessaria affinché si possa desumere che la fittizia intestazione sia intesa ad eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e/o ad occultare il riciclaggio di somme provento di reato.

Ciò nonostante, la stessa impugnata ordinanza da atto dell’elevata probabilità d’un effettivo apporto di capitale nella AS S.r.l. da parte dei G. e della circostanza per cui G. L. la gestiva, nei fatti, da padrone.

In tal modo, però, l’impugnata ordinanza incorre in un vizio di motivazione, oltre che di violazione dell’art. 273 c.p.p., bastando in sede cautelare - appunto - un’elevata probabilità e non una prova certa ed inconfutabile (nel caso di specie, della reale proprietà della società in discorso).

E’ noto, infatti, che anche dopo l’estensione applicativa dei commi 3 e 4 dell’art. 192 c.p.p. alla sede cautelare, grazie all’innesto, nel corpo dell’art. 273 c.p.p., del comma 1 bis introdotto dalla L. n. 63 del 2001, art. 11, resta ferma la diversità dell’oggetto della delibazione ai fini delle misure cautelari personali (preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza) rispetto a quella di merito (orientata, invece, ad acquisire la certezza processuale della penale responsabilità dell’imputato): cfr., ex aliis, Cass. Sez. 1^ n. 19517 del 1.4.2010, dep. 24.5.2010; Cass. S.U. n. 36267 del 30.5.06, dep. 31.10.06.

Inoltre, l’iter argomentativo della gravata ordinanza contiene un’erronea interpretazione descrittiva di significato della norma incriminatrice di cui all’art. 12 quinquies cit., sotto un duplice profilo:

a) da un lato, sostanzialmente ritiene indizio contrario alla configurabilità del delitto de quo la mancanza di prova della sproporzione tra il valore dei beni e le capacità reddituali dei relativi intestatari;

b) dall’altro, suppone che il delitto p. e p. ex art. 12 quinquies cit. D.L. possa sussistere solo se l’intestazione sia fittizia in loto e non anche quando sia solo parziale, nel senso che le quote di proprietà del bene dovrebbero essere tutte integralmente oggetto di fraudolenta cessione.

Non è così: se la sproporzione tra capacità reddituale e valore dei beni può essere indice sintomatico di intestazione fittizia (sproporzione che, per altro aspetto, costituisce vero e proprio presupposto della confisca ex art. 12 sexies), non è vera la proposizione reciproca, atteso che è ben possibile che soggetti pur muniti di redditi significativi possano prestarsi ad operazioni interpositorie nell’interesse di chi voglia eludere misure di prevenzione patrimoniali e/o intenda compiere attività di riciclaggio e reimpiego.

Da tale angolazione, la dimostrata capacità reddituale degli intestatari dei beni, proporzionata in tutto o in parte al loro valore, è circostanza di per sè neutra ai fini della prova del reato in discorso.

In tal senso è fondata la censura del PM ricorrente, laddove sostiene che la figura del prestanome non necessariamente deve essere quella canonica dell’impossidente che, proprio perché tale, è disposto a fungere da "testa di legno": non solo non lo prescrive il dato normativo, ma la stessa realtà delle organizzazioni criminali dimostra che esse hanno tutto l’interesse a coinvolgere in operazioni interpositorie soggetti che abbiano una propria autonoma capacità imprenditoriale.

Sotto il secondo profilo (rispetto al quale non constano precedenti di questa S.C.), si osservi che nulla - né il tenore letterale né la ratio legis - autorizza a ritenere che sia penalmente illecita ai sensi dell’art. 15 - quinquies cit. solo l’intestazione fittizia della totalità di uno o più beni.

Invero, se il proprietario solo pro quota di un determinato bene ne cede fraudolentemente la titolarità a chi legittimamente ed effettivamente ne detiene un’altra, per la porzione di bene così trasferita l’altro quotista si pone, rispetto a detto trasferimento, come mero prestanome; in tal caso, del reato p. e p. ex art. 12 quinquies non muta né l’elemento oggettivo, né quello soggettivo, né l’oggetto giuridico: siffatta condotta è comunque lesiva dell’interesse a che non venga frustrata l’effettività delle norme in tema di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando e a che siano represse le attività di riciclaggio e reimpiego.

Valgano le medesime considerazioni nell’ipotesi in cui, in presenza di due o più soci, ad uno di essi venga fraudolentemente attribuita una quota superiore al conferimento eseguito.

In altre parole, nel caso che ne occupa, una società può essere tanto fittiziamente intestata al 100% ad uno o più prestanomi quanto esserlo solo in diversa misura percentuale, senza che ciò influisca sulla configurabilità del delitto.

Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il Tribunale di Napoli, in diversa composizione, provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi innanzi esposti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.