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Finti artigiani e lavoro subordinato

Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e il delitto di truffa ai danni dell’INPS

Nel mare magnum della legislazione del lavoro, in particolare sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro, sul discrimine da quello di tipo subordinato da altre fattispecie atipiche previste dal nostro ordinamento, si collocano, in soventi condizioni, questioni assai spinose che mettono in difficoltà anche un giurista più illuminato e competente in materia.

In effetti, è ragionevole qualificare un rapporto di lavoro “in nero” perché sconosciuto alla Pubblica Amministrazione e ricondurlo a quello tipico di cui all’art 2094 del codice civile, ma cosa assai più complessa è vagliare un rapporto di lavoro dipendente reso da un apparente artigiano iscritto alla Camera di Commercio già dipendente dell’azienda con cui aveva prestato la propria opera come lavoratore subordinato e che emette fatture per operazioni inesistenti, incorrendo in violazioni penalmente rilevanti e nascondendo la vera natura del costituito rapporto di lavoro.

E’ il caso che ora andremo ad esaminare, il cui riferimento a situazioni e fatti è da ritenersi del tutto casuale e non esclusivo.

Nel corso di una verifica da parte di  funzionari dell’Agenzia delle Entrate presso una ditta esercente lavori di carrozzeria industriale, veniva trovato intento a lavoro nella medesima struttura, tra gli altri, un artigiano, il quale a fianco di altrettanti operai dipendenti di quella Ditta svolgeva le mansioni di verniciatore.

La ditta oggetto di verifica a giustificazione e a sostegno della legittima presenza di quell’artigiano, già dipendente all’interno della unità produttiva, opponeva a quegli accertatori le fatture mensili emesse dall’artigiano, nonché due contratti stipulati tra le parti che nel tempo mutavano solo il titolo, ma non in concreto le modalità esecutive. Un contratto, qualificato ex art. 2222 del codice civile, ovvero il cosiddetto contratto d’opera “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”, e un contratto, in altro tempo battezzato come di appalto ex art. 1655 del codice civile “l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

Orbene, dalla disamina delle fatture, nonché da altri elementi oggettivi e soggettivi e non di meno dalla circostanza che quell’artigiano aveva omesso di presentare da diversi anni la dichiarazione annuale ai fini Irpef, l’Agenzia delle Entrate individuava di fatto quell’imprenditore come lavoratore dipendente e ne determinava il reddito sulla base delle retribuzioni percepite a mezzo fattura e indicate nel modello 770 dell’azienda che aveva fruito delle sue prestazioni, sulla base degli operai assunti come lavoratori subordinati e che avevano svolto attività lavorativa per 365 giorni.

Inoltre, quel medesimo Ufficio rimetteva la condotta di quel finto artigiano al giudizio dell’Autorità Giudiziaria per l’ipotizzata violazione di cui all’articolo 8 del d. lgs. 74 del 2000 perché riteneva le fatture emesse per conto del committente (datore di lavoro) operazioni inesistenti. Ciononostante, quei funzionari lasciavano da parte altre ipotesi di rilievo penale pur esistenti o comunque ipotizzabili sulla base di quelle loro stesse argomentazioni.

In effetti, quell’accertamento veniva successivamente sottoposto al vaglio dell’organo ispettivo competente in materia di lavoro e legislazione sociale. Quest’ultimo, non solo confermava che le modalità esecutive così come acclarate dissimulavano un rapporto di lavoro subordinato ma accanto all’ipotesi di cui all’articolo 8 del d. lgs. 74/2000, rapportava all’Autorità Giudiziaria anche il reato di truffa a danno dell’INPS per le seguenti motivazioni, di cui se ne indica parte del contenuto a titolo esemplificativo ma non esaustivo.

Come è noto -, “elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria - secondo l’orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee essenziali, della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass. S.U. n.379/99; Cass. n. 9623/02) - altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e coordinamento con   l’attività imprenditoriale, assenza di   rischio   per   il lavoratore, forma della retribuzione), che - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall’assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del rapporto - possono, tuttavia,    essere   valutati   globalmente   come   indizi    della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto”.(Cassazione Civile-Sez. lavoro nr. 04500 del 27.02.2007).

Le prestazioni di fatto rese dal “fasullo” artigiano, i contratti di lavoro così confezionati, nonché l’emissione di fatture, non giustificavano la sussistenza di un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato e, appunto per questo, quella documentazione così rappresentata alla Pubblica Amministrazione, connotava chiaramente una dichiarazione non veritiera e ingannevole, idonea essa stessa ad ostacolare anche l’attività di accertamento da parte di altri organi istituzionali (INPS ad esempio), ma oggettivamente capace di raggiungere lo scopo di eludere le norme in materia previdenziale.

A tal guisa, l’ipotesi delittuosa del reato di truffa ex art. 640 codice penale si ritiene sussistente anche se, secondo il principio di diritto i reati in materia fiscale di cui agli articoli  2 e 8 del d. lgs. 10 marzo 2000 nr. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa.

Secondo quanto narrato sopra, a ben vedere, il delitto di truffa ipotizzato non mette in pericolo o in discussione il rapporto di specialità tra le due norme, qualora la medesima condotta, come nel caso di cui trattasi, viene utilizzata per finalità anche diverse da quella di frode fiscale ex articolo 8 del d. lgs.  n. 74 del 2000; di conseguenza, quando con lo stesso agire si violano diverse disposizioni di legge, quale quella fiscale e di evasione dei contributi previdenziali, entrambi i reati possono coesistere senza alcun pregiudizio o sconfinamento.

Giova ricordare che lo pseudo artigiano era sconosciuto all’erario e all’INPS e che l’effettivo e reale datore di lavoro aveva omesso di versare i contributi previdenziali e assistenziali in ragione di quei contratti dissimulanti un rapporto di lavoro esclusivamente di natura subordinata, circostanza non di poco conto, in virtù delle fatture emesse peraltro a cadenza mensile e per importi anche inferiori al minimale di legge per chi svolge i compiti di carrozziere verniciatore in qualità di dipendente.

Dunque, ben possono concorrere le norme suddette, poiché entrambi i soggetti - il datore di lavoro e il “fittizio” artigiano - hanno conseguito dalla loro condotta un vantaggio anche extratributario con l’evasione dei contributi INPS (Cassazione Penale terza sezione n. 24169 del 16.06.2011 e Cassazione Penale SS. UU. nr.1235 del 19.01.2011).

In definitiva, tentativi goffi di mascherare contratti di lavoro subordinato con prestazioni rese da finti artigiani o diversamente qualificati, contrarie e dissonanti rispetto al reale e concreto agire dei contraenti, possono condurre, una volta accertate saggiamente, alla contestazione di ipotesi già giuridicamente rilevanti, ma valutabili finanche sotto il profilo penale.

 

 

Nel mare magnum della legislazione del lavoro, in particolare sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro, sul discrimine da quello di tipo subordinato da altre fattispecie atipiche previste dal nostro ordinamento, si collocano, in soventi condizioni, questioni assai spinose che mettono in difficoltà anche un giurista più illuminato e competente in materia.

In effetti, è ragionevole qualificare un rapporto di lavoro “in nero” perché sconosciuto alla Pubblica Amministrazione e ricondurlo a quello tipico di cui all’art 2094 del codice civile, ma cosa assai più complessa è vagliare un rapporto di lavoro dipendente reso da un apparente artigiano iscritto alla Camera di Commercio già dipendente dell’azienda con cui aveva prestato la propria opera come lavoratore subordinato e che emette fatture per operazioni inesistenti, incorrendo in violazioni penalmente rilevanti e nascondendo la vera natura del costituito rapporto di lavoro.

E’ il caso che ora andremo ad esaminare, il cui riferimento a situazioni e fatti è da ritenersi del tutto casuale e non esclusivo.

Nel corso di una verifica da parte di  funzionari dell’Agenzia delle Entrate presso una ditta esercente lavori di carrozzeria industriale, veniva trovato intento a lavoro nella medesima struttura, tra gli altri, un artigiano, il quale a fianco di altrettanti operai dipendenti di quella Ditta svolgeva le mansioni di verniciatore.

La ditta oggetto di verifica a giustificazione e a sostegno della legittima presenza di quell’artigiano, già dipendente all’interno della unità produttiva, opponeva a quegli accertatori le fatture mensili emesse dall’artigiano, nonché due contratti stipulati tra le parti che nel tempo mutavano solo il titolo, ma non in concreto le modalità esecutive. Un contratto, qualificato ex art. 2222 del codice civile, ovvero il cosiddetto contratto d’opera “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”, e un contratto, in altro tempo battezzato come di appalto ex art. 1655 del codice civile “l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

Orbene, dalla disamina delle fatture, nonché da altri elementi oggettivi e soggettivi e non di meno dalla circostanza che quell’artigiano aveva omesso di presentare da diversi anni la dichiarazione annuale ai fini Irpef, l’Agenzia delle Entrate individuava di fatto quell’imprenditore come lavoratore dipendente e ne determinava il reddito sulla base delle retribuzioni percepite a mezzo fattura e indicate nel modello 770 dell’azienda che aveva fruito delle sue prestazioni, sulla base degli operai assunti come lavoratori subordinati e che avevano svolto attività lavorativa per 365 giorni.

Inoltre, quel medesimo Ufficio rimetteva la condotta di quel finto artigiano al giudizio dell’Autorità Giudiziaria per l’ipotizzata violazione di cui all’articolo 8 del d. lgs. 74 del 2000 perché riteneva le fatture emesse per conto del committente (datore di lavoro) operazioni inesistenti. Ciononostante, quei funzionari lasciavano da parte altre ipotesi di rilievo penale pur esistenti o comunque ipotizzabili sulla base di quelle loro stesse argomentazioni.

In effetti, quell’accertamento veniva successivamente sottoposto al vaglio dell’organo ispettivo competente in materia di lavoro e legislazione sociale. Quest’ultimo, non solo confermava che le modalità esecutive così come acclarate dissimulavano un rapporto di lavoro subordinato ma accanto all’ipotesi di cui all’articolo 8 del d. lgs. 74/2000, rapportava all’Autorità Giudiziaria anche il reato di truffa a danno dell’INPS per le seguenti motivazioni, di cui se ne indica parte del contenuto a titolo esemplificativo ma non esaustivo.

Come è noto -, “elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria - secondo l’orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee essenziali, della giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass. S.U. n.379/99; Cass. n. 9623/02) - altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e coordinamento con   l’attività imprenditoriale, assenza di   rischio   per   il lavoratore, forma della retribuzione), che - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall’assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del rapporto - possono, tuttavia,    essere   valutati   globalmente   come   indizi    della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto”.(Cassazione Civile-Sez. lavoro nr. 04500 del 27.02.2007).

Le prestazioni di fatto rese dal “fasullo” artigiano, i contratti di lavoro così confezionati, nonché l’emissione di fatture, non giustificavano la sussistenza di un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato e, appunto per questo, quella documentazione così rappresentata alla Pubblica Amministrazione, connotava chiaramente una dichiarazione non veritiera e ingannevole, idonea essa stessa ad ostacolare anche l’attività di accertamento da parte di altri organi istituzionali (INPS ad esempio), ma oggettivamente capace di raggiungere lo scopo di eludere le norme in materia previdenziale.

A tal guisa, l’ipotesi delittuosa del reato di truffa ex art. 640 codice penale si ritiene sussistente anche se, secondo il principio di diritto i reati in materia fiscale di cui agli articoli  2 e 8 del d. lgs. 10 marzo 2000 nr. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa.

Secondo quanto narrato sopra, a ben vedere, il delitto di truffa ipotizzato non mette in pericolo o in discussione il rapporto di specialità tra le due norme, qualora la medesima condotta, come nel caso di cui trattasi, viene utilizzata per finalità anche diverse da quella di frode fiscale ex articolo 8 del d. lgs.  n. 74 del 2000; di conseguenza, quando con lo stesso agire si violano diverse disposizioni di legge, quale quella fiscale e di evasione dei contributi previdenziali, entrambi i reati possono coesistere senza alcun pregiudizio o sconfinamento.

Giova ricordare che lo pseudo artigiano era sconosciuto all’erario e all’INPS e che l’effettivo e reale datore di lavoro aveva omesso di versare i contributi previdenziali e assistenziali in ragione di quei contratti dissimulanti un rapporto di lavoro esclusivamente di natura subordinata, circostanza non di poco conto, in virtù delle fatture emesse peraltro a cadenza mensile e per importi anche inferiori al minimale di legge per chi svolge i compiti di carrozziere verniciatore in qualità di dipendente.

Dunque, ben possono concorrere le norme suddette, poiché entrambi i soggetti - il datore di lavoro e il “fittizio” artigiano - hanno conseguito dalla loro condotta un vantaggio anche extratributario con l’evasione dei contributi INPS (Cassazione Penale terza sezione n. 24169 del 16.06.2011 e Cassazione Penale SS. UU. nr.1235 del 19.01.2011).

In definitiva, tentativi goffi di mascherare contratti di lavoro subordinato con prestazioni rese da finti artigiani o diversamente qualificati, contrarie e dissonanti rispetto al reale e concreto agire dei contraenti, possono condurre, una volta accertate saggiamente, alla contestazione di ipotesi già giuridicamente rilevanti, ma valutabili finanche sotto il profilo penale.