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Il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi previsto dall’art. 2629-bis c.c.

La Legge n. 262/2005, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, ha ampliato il novero delle disposizioni penali in materia di società e consorzi del codice civile, inserendo, con l’art. 31, l’art. 2629-bis. La norma mira a rafforzare, attraverso la criminalizzazione del comportamento dell’amministratore, la sanzione civile (l’impugnativa della delibera del CdA) prevista dall’art. 2391, co. 3, c.c.

La fattispecie incriminatrice

Omessa comunicazione del conflitto di interessi (art. 2629-bis c.c.)

L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, della legge 12 agosto 1982, n. 576, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.

Interessi degli amministratori (art. 2391 c.c.)

L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.

Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.

Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.

L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 2629-bis c.c.

Il delitto è strutturato come una violazione di precetti, contemplati nella norma civilistica di riferimento e rivolti a taluni soggetti, dalla quale derivano “danni alla società o a terzi”. La presenza di una necessaria componente di danno determina la natura non meramente sanzionatoria ovvero formalistica della disposizione in esame. Non si può quindi sostenere che l’obbligo per l’amministratore di dare notizia di qualsivoglia interesse, la c.d. full disclosure, assuma di per sè rilevanza penale con conseguente tutela penalistica della trasparenza nella gestione societaria. E’ necessaria, dunque, l’esistenza di un danno alla società o ai terzi. Pertanto, l’interesse protetto dalla norma è il patrimonio della società o dei terzi, in armonia con i principi ispiratori del nuovo sistema penale societario.

Il rapporto tra l’art. 2629-bis c.c. e l’art. 2391, co. 1, c.c.

Si rileva una discrasia tra la rubrica dell’art. 2629-bis c.c. ed il disposto dell’art. 2391, co. 1, c.c., ove viene imposto all’amministratore un obbligo di comunicazione dell’interesse proprio o per conto di terzi nell’operazione da compiere in nome della società, a prescindere da una situazione di conflitto. Invero, a seguito della riforma, il dovere di informativa incombe ogni qual volta l’amministratore vanti un interesse in una vicenda societaria, sia esso in contrasto, compatibile o persino coincidente con quello sociale.

I soggetti attivi

Il reato proprio, previsto e punito dall’art. 2629-bis c.c., può essere commesso dall’amministratore o dal componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 T.U.F. e s.m.i. o di un soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, della Consob o dell’Isvap. La fattispecie non si applica invece ai componenti degli organi di controllo che rientrano, ex art. 2391, co. 1, c.c., tra i destinatari della notizia dell’esistenza di un interesse.

La condotta

La prima fase della condotta consiste nella violazione degli obblighi sanciti dall’art. 2391, co. 1, c.c.; tale norma stabilisce per l’amministratore l’obbligo di dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Per l’amministratore delegato è imposto inoltre l’obbligo di astenersi dal compiere l’operazione e di investire della stessa l’organo collegiale. Infine, per l’amministratore unico è stabilito l’obbligo di dare notizia dell’esistenza dell’interesse, oltre che al collegio sindacale, anche alla prima assemblea utile. Il componente del consiglio di amministrazione non ha quindi un obbligo di astensione dal partecipare alla riunione consiliare, ma solo di mettere al corrente gli altri amministratori ed il collegio sindacale della presenza di un interesse, suo o per conto di terzi. Anzi, il non partecipare alla riunione non dispensa l’amministratore dall’obbligo di svelare il proprio interesse.

La seconda fase della condotta è invece a forma libera e consiste in qualsiasi comportamento, aggiuntivo rispetto alla violazione degli obblighi civilistici, che provochi un danno alla società o a terzi. A tal proposito, vengono in considerazione gli atti dispositivi dei beni sociali, del tipo di quelli rilevanti ex art. 2634 c.c., ma anche comportamenti omissivi.

Le modalità della comunicazione

La comunicazione può avvenire nel modo in cui l’interessato ritiene più idoneo per poter dimostrare all’occorrenza di aver adempiuto all’obbligo che gli è imposto (si pensi ad una dichiarazione durante la riunione del CdA ed inserita nel relativo verbale).

Ci si interroga se si debba includere nella sfera della rilevanza penale anche le violazioni riguardanti la completezza dell’obbligo di comunicazione (ad esempio, mancata indicazione della natura, dei termini, dell’origine o della portata dell’interesse). In ossequio al canone di extrema ratio dell’intervento penale, appare opportuno limitare l’applicazione della fattispecie al solo caso di omissione totale di ogni informativa da parte dell’amministratore.

La nozione di conflitto di interessi

Nessuna disposizione di legge, escluso l’art. 2390 c.c. in tema di divieto di concorrenza, spiega quando un’operazione può effettivamente considerarsi in conflitto di interessi con la società. La nozione comunemente accettata di conflitto di interessi è quella dell’amministratore, cui è rimessa istituzionalmente la cura dell’interesse della società, che si trova ad essere contemporaneamente portatore di un altro interesse, la cui soddisfazione non può avvenire senza il sacrificio di quello sociale. L’amministratore, nel momento che precede la decisione, non può agire “liberamente” in quanto vi è pericolo che non assuma la decisione nell’esclusivo interesse della società. La situazione di conflitto deve essere valutata in concreto, con riferimento all’esame della singola operazione che il consiglio si trova in quel momento ad affrontare. Pertanto, è preferibile individuare nell’interesse i seguenti requisiti:

• oggettività;

• effettività;

• concretezza;

• attualità.

Alcune ipotesi esemplificative

• Quando la società acquista un immobile di proprietà di uno degli amministratori: è evidente che l’interesse della società acquirente e quello dell’amministratore alienante sono in questo caso contrapposti, la società avendo interesse ad acquistare al minor prezzo possibile e l’amministratore a vendere al prezzo più alto possibile. • Quando l’amministratore o una propria ditta individuale sono parte in un contratto o in un’operazione con la società amministrata.

• Quando l’amministratore è a sua volta amministratore, dirigente o socio della società con cui ha luogo il contratto o l’operazione. • Quando esiste un rapporto giuridico fra l’amministratore ed il terzo che pone in essere il contratto o l’operazione con la società amministrata.

• Quando vengono effettuate operazioni infragruppo ed un soggetto sia amministratore in entrambe le società coinvolte.

• Quando il socio-amministratore è chiamato a votare nell’assemblea ordinaria che delibera sui compensi degli amministratori: a tal proposito il Codice di Autodisciplina delle società quotate dispone espressamente che “nessun amministratore prende parte alle riunioni del comitato per la remunerazione in cui vengono formulate le proposte al consiglio di amministrazione relative alla propria remunerazione” (articolo 6.C.6).

L’evento

Nonostante la fuorviante formula legislativa, il danno alla società o ai terzi non costituisce una condizione obiettiva di punibilità, ma un elemento costitutivo del reato.

Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie si richiede che si verifichi un danno alla società o a terzi; danno che in mancanza di aggettivazione potrebbe in sede applicativa essere interpretato estensivamente fino a ricomprendere, per quel che concerne la società, anche un pregiudizio per l’immagine.

La generica categoria dei terzi si presta a ricomprendere i soci ed i creditori sociali, tra i quali vanno inclusi anche i risparmiatori (acquirenti di azioni della società, sottoscrittori di obbligazioni).

L’elemento soggettivo

Il reato in esame richiede sul versante soggettivo il dolo generico. A differenza delle altre fattispecie poste a protezione del patrimonio sociale, in particolare l’infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., il legislatore del 2005 non ha ritenuto opportuno prevedere il dolo specifico di ingiusto profitto quale elemento di discrimen tra il rischio imprenditoriale ed il comportamento abusivo sui patrimoni altrui, evidentemente al fine di favorire l’applicazione della fattispecie, rendendone più agevole l’accertamento.

La responsabilità amministrativa degli enti

Il reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi è stato inserito dall’art. 31 L. n. 262/2005 nella categoria dei reati societari che costituiscono il presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, così come previsto dall’art. 25-ter, commi 1, lett. r) e 2, del D. Lgs. n. 231/2001: “In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi nell’interesse della società da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano le seguenti sanzioni pecuniarie: r) per il delitto di aggiotaggio previsto dall’articolo 2637 del codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi previsto dall’articolo 2629 bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote; Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.”

Problemi applicativi

Nella maggior parte dei casi di operazioni poste in essere dagli amministratori in conflitto di interessi, la società è il soggetto danneggiato, come peraltro evidenziato dallo stesso art. 2629-bis c.c. A tal proposito, occorre sottolineare che nella fattispecie assimilabile delle infedeltà patrimoniali (artt. 2634 e 2635 c.c.), la responsabilità amministrativa è stata esclusa proprio in considerazione della posizione della società, normalmente vittima di un simile comportamento posto in essere dall’amministratore.

Quindi, l’ipotesi di maggior rilievo sembra essere quella in cui la condotta omissiva dell’amministratore abbia causato danni non alla società di appartenenza, bensì ai terzi che sono venuti in contatto ed hanno concluso con la società medesima rapporti giuridici di qualsiasi genere. Si pensi, ad esempio, ai terzi creditori (fornitori, prestatori di garanzie, ecc.) della società i quali, in seguito alla conclusione di un affare da parte di un amministratore che abbia anche un proprio interesse coinvolto nell’operazione, abbiano visto pregiudicata la propria pretesa creditoria, oppure a terzi che, in buona fede, hanno fatto affidamento sulle operazioni concluse dalla società.

I gruppi societari

Queste situazioni potrebbero emergere non solo in relazione ai comportamenti adottati dalle società individualmente, ma anche in una prospettiva di gruppo, laddove alcune operazioni potenzialmente svantaggiose, benché siano concluse nella prospettiva dei vantaggi compensativi del gruppo e, quindi, siano valutate nell’interesse dell’intera struttura societaria, possono presentare invece svantaggi per i soggetti terzi rispetto al gruppo (si pensi alla canalizzazione di utili verso società in perdita o residenti in Paesi a più bassa fiscalità, onde ridurre il carico tributario complessivo).

La Legge n. 262/2005, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, ha ampliato il novero delle disposizioni penali in materia di società e consorzi del codice civile, inserendo, con l’art. 31, l’art. 2629-bis. La norma mira a rafforzare, attraverso la criminalizzazione del comportamento dell’amministratore, la sanzione civile (l’impugnativa della delibera del CdA) prevista dall’art. 2391, co. 3, c.c.

La fattispecie incriminatrice

Omessa comunicazione del conflitto di interessi (art. 2629-bis c.c.)

L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, della legge 12 agosto 1982, n. 576, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.

Interessi degli amministratori (art. 2391 c.c.)

L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.

Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.

Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.

L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 2629-bis c.c.

Il delitto è strutturato come una violazione di precetti, contemplati nella norma civilistica di riferimento e rivolti a taluni soggetti, dalla quale derivano “danni alla società o a terzi”. La presenza di una necessaria componente di danno determina la natura non meramente sanzionatoria ovvero formalistica della disposizione in esame. Non si può quindi sostenere che l’obbligo per l’amministratore di dare notizia di qualsivoglia interesse, la c.d. full disclosure, assuma di per sè rilevanza penale con conseguente tutela penalistica della trasparenza nella gestione societaria. E’ necessaria, dunque, l’esistenza di un danno alla società o ai terzi. Pertanto, l’interesse protetto dalla norma è il patrimonio della società o dei terzi, in armonia con i principi ispiratori del nuovo sistema penale societario.

Il rapporto tra l’art. 2629-bis c.c. e l’art. 2391, co. 1, c.c.

Si rileva una discrasia tra la rubrica dell’art. 2629-bis c.c. ed il disposto dell’art. 2391, co. 1, c.c., ove viene imposto all’amministratore un obbligo di comunicazione dell’interesse proprio o per conto di terzi nell’operazione da compiere in nome della società, a prescindere da una situazione di conflitto. Invero, a seguito della riforma, il dovere di informativa incombe ogni qual volta l’amministratore vanti un interesse in una vicenda societaria, sia esso in contrasto, compatibile o persino coincidente con quello sociale.

I soggetti attivi

Il reato proprio, previsto e punito dall’art. 2629-bis c.c., può essere commesso dall’amministratore o dal componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 T.U.F. e s.m.i. o di un soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, della Consob o dell’Isvap. La fattispecie non si applica invece ai componenti degli organi di controllo che rientrano, ex art. 2391, co. 1, c.c., tra i destinatari della notizia dell’esistenza di un interesse.

La condotta

La prima fase della condotta consiste nella violazione degli obblighi sanciti dall’art. 2391, co. 1, c.c.; tale norma stabilisce per l’amministratore l’obbligo di dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Per l’amministratore delegato è imposto inoltre l’obbligo di astenersi dal compiere l’operazione e di investire della stessa l’organo collegiale. Infine, per l’amministratore unico è stabilito l’obbligo di dare notizia dell’esistenza dell’interesse, oltre che al collegio sindacale, anche alla prima assemblea utile. Il componente del consiglio di amministrazione non ha quindi un obbligo di astensione dal partecipare alla riunione consiliare, ma solo di mettere al corrente gli altri amministratori ed il collegio sindacale della presenza di un interesse, suo o per conto di terzi. Anzi, il non partecipare alla riunione non dispensa l’amministratore dall’obbligo di svelare il proprio interesse.

La seconda fase della condotta è invece a forma libera e consiste in qualsiasi comportamento, aggiuntivo rispetto alla violazione degli obblighi civilistici, che provochi un danno alla società o a terzi. A tal proposito, vengono in considerazione gli atti dispositivi dei beni sociali, del tipo di quelli rilevanti ex art. 2634 c.c., ma anche comportamenti omissivi.

Le modalità della comunicazione

La comunicazione può avvenire nel modo in cui l’interessato ritiene più idoneo per poter dimostrare all’occorrenza di aver adempiuto all’obbligo che gli è imposto (si pensi ad una dichiarazione durante la riunione del CdA ed inserita nel relativo verbale).

Ci si interroga se si debba includere nella sfera della rilevanza penale anche le violazioni riguardanti la completezza dell’obbligo di comunicazione (ad esempio, mancata indicazione della natura, dei termini, dell’origine o della portata dell’interesse). In ossequio al canone di extrema ratio dell’intervento penale, appare opportuno limitare l’applicazione della fattispecie al solo caso di omissione totale di ogni informativa da parte dell’amministratore.

La nozione di conflitto di interessi

Nessuna disposizione di legge, escluso l’art. 2390 c.c. in tema di divieto di concorrenza, spiega quando un’operazione può effettivamente considerarsi in conflitto di interessi con la società. La nozione comunemente accettata di conflitto di interessi è quella dell’amministratore, cui è rimessa istituzionalmente la cura dell’interesse della società, che si trova ad essere contemporaneamente portatore di un altro interesse, la cui soddisfazione non può avvenire senza il sacrificio di quello sociale. L’amministratore, nel momento che precede la decisione, non può agire “liberamente” in quanto vi è pericolo che non assuma la decisione nell’esclusivo interesse della società. La situazione di conflitto deve essere valutata in concreto, con riferimento all’esame della singola operazione che il consiglio si trova in quel momento ad affrontare. Pertanto, è preferibile individuare nell’interesse i seguenti requisiti:

• oggettività;

• effettività;

• concretezza;

• attualità.

Alcune ipotesi esemplificative

• Quando la società acquista un immobile di proprietà di uno degli amministratori: è evidente che l’interesse della società acquirente e quello dell’amministratore alienante sono in questo caso contrapposti, la società avendo interesse ad acquistare al minor prezzo possibile e l’amministratore a vendere al prezzo più alto possibile. • Quando l’amministratore o una propria ditta individuale sono parte in un contratto o in un’operazione con la società amministrata.

• Quando l’amministratore è a sua volta amministratore, dirigente o socio della società con cui ha luogo il contratto o l’operazione. • Quando esiste un rapporto giuridico fra l’amministratore ed il terzo che pone in essere il contratto o l’operazione con la società amministrata.

• Quando vengono effettuate operazioni infragruppo ed un soggetto sia amministratore in entrambe le società coinvolte.

• Quando il socio-amministratore è chiamato a votare nell’assemblea ordinaria che delibera sui compensi degli amministratori: a tal proposito il Codice di Autodisciplina delle società quotate dispone espressamente che “nessun amministratore prende parte alle riunioni del comitato per la remunerazione in cui vengono formulate le proposte al consiglio di amministrazione relative alla propria remunerazione” (articolo 6.C.6).

L’evento

Nonostante la fuorviante formula legislativa, il danno alla società o ai terzi non costituisce una condizione obiettiva di punibilità, ma un elemento costitutivo del reato.

Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie si richiede che si verifichi un danno alla società o a terzi; danno che in mancanza di aggettivazione potrebbe in sede applicativa essere interpretato estensivamente fino a ricomprendere, per quel che concerne la società, anche un pregiudizio per l’immagine.

La generica categoria dei terzi si presta a ricomprendere i soci ed i creditori sociali, tra i quali vanno inclusi anche i risparmiatori (acquirenti di azioni della società, sottoscrittori di obbligazioni).

L’elemento soggettivo

Il reato in esame richiede sul versante soggettivo il dolo generico. A differenza delle altre fattispecie poste a protezione del patrimonio sociale, in particolare l’infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c., il legislatore del 2005 non ha ritenuto opportuno prevedere il dolo specifico di ingiusto profitto quale elemento di discrimen tra il rischio imprenditoriale ed il comportamento abusivo sui patrimoni altrui, evidentemente al fine di favorire l’applicazione della fattispecie, rendendone più agevole l’accertamento.

La responsabilità amministrativa degli enti

Il reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi è stato inserito dall’art. 31 L. n. 262/2005 nella categoria dei reati societari che costituiscono il presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, così come previsto dall’art. 25-ter, commi 1, lett. r) e 2, del D. Lgs. n. 231/2001: “In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi nell’interesse della società da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano le seguenti sanzioni pecuniarie: r) per il delitto di aggiotaggio previsto dall’articolo 2637 del codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi previsto dall’articolo 2629 bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote; Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.”

Problemi applicativi

Nella maggior parte dei casi di operazioni poste in essere dagli amministratori in conflitto di interessi, la società è il soggetto danneggiato, come peraltro evidenziato dallo stesso art. 2629-bis c.c. A tal proposito, occorre sottolineare che nella fattispecie assimilabile delle infedeltà patrimoniali (artt. 2634 e 2635 c.c.), la responsabilità amministrativa è stata esclusa proprio in considerazione della posizione della società, normalmente vittima di un simile comportamento posto in essere dall’amministratore.

Quindi, l’ipotesi di maggior rilievo sembra essere quella in cui la condotta omissiva dell’amministratore abbia causato danni non alla società di appartenenza, bensì ai terzi che sono venuti in contatto ed hanno concluso con la società medesima rapporti giuridici di qualsiasi genere. Si pensi, ad esempio, ai terzi creditori (fornitori, prestatori di garanzie, ecc.) della società i quali, in seguito alla conclusione di un affare da parte di un amministratore che abbia anche un proprio interesse coinvolto nell’operazione, abbiano visto pregiudicata la propria pretesa creditoria, oppure a terzi che, in buona fede, hanno fatto affidamento sulle operazioni concluse dalla società.

I gruppi societari

Queste situazioni potrebbero emergere non solo in relazione ai comportamenti adottati dalle società individualmente, ma anche in una prospettiva di gruppo, laddove alcune operazioni potenzialmente svantaggiose, benché siano concluse nella prospettiva dei vantaggi compensativi del gruppo e, quindi, siano valutate nell’interesse dell’intera struttura societaria, possono presentare invece svantaggi per i soggetti terzi rispetto al gruppo (si pensi alla canalizzazione di utili verso società in perdita o residenti in Paesi a più bassa fiscalità, onde ridurre il carico tributario complessivo).