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La contesa determinazione delle aliquote dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RCA) in Sicilia

Sommario:

1. L’attribuzione alle Province del tributo

2. La competenza in ordine alla variazione dell’aliquota

3. La normativa regionale

4. Le ragioni di fondo

5. L’ipotesi della convalida

6. Conclusioni.

In un quadro normativo mutevole e dominato dall’esigenza di ridurre la spesa pubblica complessiva, tutti gli attori del pluralismo istituzionale sono chiamati a dare il proprio contributo. Tra tagli, accorpamenti e fantasiose forme di razionalizzazione dei rispettivi sistemi di governance, l’ente territoriale di governo che certamente più degli altri è preso di mira dalle politiche di spending review è la Provincia. Peraltro, questo “condannato” ente intermedio della Repubblica è impegnato in questi giorni ad attivare le poche, se non uniche, forme di autonomia impositiva riconosciute dal recente sistema del federalismo fiscale.

1. L’attribuzione alle Province del tributo

L’art. 17 del D.lgs. n. 16 del 6 maggio 2011, rubricato “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonche’ di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”, al comma 1 stabilisce che “A decorrere dall’anno 2012 l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita’ civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato delle province”. Il 2° comma del medesimo articolo prevede che “L’aliquota dell’imposta di cui al comma 1 è pari al 12,5 per cento. A decorrere dall’anno 2011 le province possono aumentare o diminuire l’aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali. Gli aumenti o le diminuzioni delle aliquote avranno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito informatico del Ministero dell’economia e delle finanze”.

La novella disciplina tributaria si applica esclusivamente alle Province delle regioni a statuto ordinario. Il 5° comma infatti prescrive che “La decorrenza e le modalita’ di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo nei confronti delle province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle province autonome sono stabilite, in conformita’ con i relativi statuti, con le procedure previste dall’articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009”.

Con il decreto legge n. 16 del 02/03/2012, convertito nella legge n. 44 del 26/04/2012, il legislatore statale ha intesto estendere anche alle Province delle regioni a statuto speciale la disciplina in questione. L’articolo 4 di detto decreto legge così recita: “Le disposizioni concernenti l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita’ civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, si applicano, (in deroga all’articolo 16 del citato decreto legislativo n. 68 del 2011), su tutto il territorio nazionale”.

A questo punto si pone il problema dell’organo delle Province deputato ad applicare la normativa e, quindi, ad adottare la delibera di eventuale variazione dell’aliquota dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore per singolo territorio provinciale, atteso il silenzio del legislatore sull’argomento.

Per le Province delle regioni a statuto ordinario sembra soccorrere a colmare il vuoto legislativo il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 3/06/2011 che, nel disciplinare le modalità di pubblicazione delle deliberazioni di variazioni dell’aliquota dell’imposta RCA, all’art. 2 richiama espressamente la delibera della giunta provinciale. L’individuata competenza in capo alla giunta provinciale, come sottolineato dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso la risoluzione n. 2 del 16/06/2012, deriva dalla, più generale, competenza residuale che il T.U.E.L. attribuisce all’organo esecutivo dell’ente locale allorquando il legislatore omette di farne espressa individuazione[1].

Per le Province delle regioni ad autonomia speciale l’individuazione dell’organo competente risente inevitabilmente dell’esigenza, già avvertita al citato comma 5 dell’art. 17 del D.lgs. n. 16/2011, di stabilire le modalita’ di applicazione delle disposizioni tributarie in materia di RCA, in conformita’ con i relativi statuti.

2. La competenza in ordine alla variazione dell’aliquota

In materia di tributi il D.lgs. n. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali) all’art. 42, 2° comma, lett. f), stabilisce la competenza dell’organo consiliare ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote. Con l’entrata in vigore del citato Testo Unico, ha trovato definitiva soluzione la vexata quaestio relativa all’individuazione, nel vigore dell’art. 32 della legge n.142/1990, dell’organo dell’ente locale competente ad adottare i provvedimenti di determinazione delle aliquote dei tributi locali, escludendo espressamente la materia tra quelle di attribuzione del consiglio.

Infatti, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, nella vigenza della legge n. 142/90, competente in via esclusiva ad adottare i provvedimenti relativi alla determinazione e all’adeguamento delle aliquote del tributo era il predetto organo consiliare[2]. In pratica il legislatore del T.U., facendosi carico dell’esistenza nella legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali di una norma che non distingueva tra istituzione di tributi e determinazione di aliquote, ha preferito eliminare la seconda dalle competenze attribuite all’organo consiliare. Pertanto, stante il principio del potere residuale in capo alla giunta, è legittimo affermare che, negli enti locali delle regioni a statuto ordinario, la determinazione delle aliquote dei tributi locali appartenga all’organo esecutivo dell’ente e quindi alla giunta.

Bisogna tuttavia precisare che tale competenza riguarda la mera determinazione delle aliquote, riconoscendosi alla sfera di competenza dell’organo consiliare tutto ciò che esorbita dalla semplice indicazione di un parametro numerico. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza amministrativa non risulta legittima una delibera di giunta comunale che contenga valutazioni che vanno al di là della fissazione delle aliquote, risolvendosi in una modalità di esercizio della potestà impositiva decisamente assimilabile ad un atto di pianificazione del prelievo fiscale[3]. Dello stesso avviso è la Corte di Cassazione secondo la quale “…l’adeguamento delle tariffe implica l’esercizio di un potere impositivo attribuito dalla legge in via esclusivo all’organo comunale rappresentativo, altro non essendo che la determinazione ex novo del quantum debeatur, sicchè non ha natura diversa dall’atto istitutivo della prestazione patrimoniale”[4].

3. La normativa regionale

Nell’ordinamento siciliano, che com’è noto gode di potestà legislativa esclusiva in materia di enti locali in forza dell’art. 14 dello Statuto, l’art. 32, lett. g), della L. n. 142/1990, che attribuisce all’organo consiliare la competenza ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, è stato recepito in modo statico dall’art. 1, lett. e), L.r. n. 48/1991. Il citato accorgimento legislativo apportato dal Testo Unico non sembra quindi direttamente applicabile nell’ordinamento siciliano.

Non sfugge il diverso avviso del Consiglio di Giustizia Amministrativa[5] al quale tuttavia si ritiene di non aderire. Il C.G.A. affermando che, “… all’espressa esclusione della competenza consiliare in tema di determinazione delle aliquote e alla mancata espressa attribuzione alla giunta della suddetta competenza deriva la residuale competenza del sindaco”, parte infatti dal presupposto, sotteso, che la normativa statale di cui al citato T.U. sia direttamente applicabile in Sicilia in forza di un rinvio dinamico. Ma così non appare anche alla luce di quanto sostenuto dal medesimo Consiglio di Giustizia Amministrativa, secondo cui trattasi di rinvio materiale o recettizio quando il legislatore regionale fa propria la norma statale (con eventuali modifiche ed integrazioni) rendendola quindi estranea alla normativa statale. Diversamente il rinvio si configura formale e dinamico, ma anche in tale ipotesi il legislatore regionale pone invero limiti di compatibilità, di competenze dei soggetti, di assetto procedimentale, contingenti o di successiva legislazione. Con il rinvio recettizio e materiale (o statico) l’ordinamento regionale non subisce automatiche modifiche per l’intervento (o, specularmente, per l’eliminazione) di norme statali[6]. Invero, l’art. 1 della L.r. n. 48/91, nel richiamare le norme della L. n. 142/90, ha operato un rinvio recettizio e statico e non già formale e dinamico, sicchè l’ordinamento regionale non subisce automatiche modifiche per l’intervento (o specularmente, per l’eliminazione) di norme statali.

Pertanto, per una corretta ricostruzione del quadro dei rapporti tra fonti statali e regionali, si può sostenere che l’abrogazione a livello statale delle disposizioni di cui alla legge n. 142/90, avvenuta col T.U., non incide sulla sopravvivenza delle relative norme nello spazio giuridico siciliano, trattandosi, nel caso in specie, di rinvio statico. Si ritiene quindi di non poter condividere quanto affermato dal C.G.A., privilegiando in questa sede proprio l’impossibilità di applicare nell’ambito regionale, per le ragioni sopra esposte, quella espressa esclusione dalla competenza consiliare (di cui alla lett. f), comma 2, dell’art. 42 D.lgs. n. 267/00) della materia relativa alla determinazione delle aliquote dei tributi. Versione questa peraltro condivisa dalla giurisprudenza più recente[7]. Senza contare che anche per un altro tributo locale (TIA/TARSU), la giurisprudenza ha consolidato il proprio orientamento in ordine all’organo comunale chiamato ad adottare i relativi atti. Il Giudice Tributario d’appello regionale, recentemente si è espresso nei seguenti termini: “…sono illegittimi gli aumenti tariffari effettuati dal Comune perché deliberati dalla Giunta Comunale e non dal Consiglio Comunale, pertanto la delibera della Giunta è viziata per difetto di competenza dell’Organismo deliberante a deliberare le modifiche delle tariffe tarsu. L’art. 42 del D.lgs. n. 267/2000 in effetti prevede che la competenza in materia di tariffe TARSU sia della Giunta Comunale, ma tale norma non trova applicazione nelle regioni a Statuto Speciale come la Sicilia, dove ai sensi della L.r. n. 30/2000, la competenza a determinare e/o modificare le aliquote TARSU è esclusivamente del Consiglio Comunale così come ha affermato il TAR Sicilia con diverse sentenze”[8].

In tale contesto non può neanche ipotizzarsi una forma di competenza residuale in capo all’organo monocratico. Vero è infatti che le giunte nell’ordinamento regionale non sono più organi a competenza residuale generale e che tale competenza ricada in capo agli organi monocratici[9], ma questo si verifica solo nel caso in cui la legge non dispone diversamente. Invero, l’art. 13 della L.r. n. 7/92, come modificato dall’art. 41 della L.r. n. 26/93, così recita: “Il Sindaco convoca e presiede la Giunta, compie tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi del comune…”.

Più recentemente, sempre il Giudice amministrativo d’appello per la Regione Sicilia[10], nel sindacare una controversia in materia di tributi locali comunali si è così espresso: “Ciò posto, non sembra dubbio al Collegio che l’organo competente ad adottare le deliberazioni impugnate sia la Giunta municipale, dovendosi avere riguardo alla riserva contenuta nell’art. 4 della L. n. 142/1990, recepita in Sicilia con l’art. 1, lett. a), della L.R. 11 dicembre 1991, n. 48, a mente del quale <<lo statuto nell’ambito dei principi fissati dalla legge stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’Ente e in particolare determina le attribuzioni degli organi>>. Nella specie, lo Statuto del Comune di Cattolica Eraclea, approvato con atto consiliare del 15 luglio 2005, n. 32, ha, all’art. 7, attribuito alla Giunta municipale <<la specifica competenza in materia di determinazione e variazione delle tariffe dei servizi, delle aliquote di imposte e tasse>>”.

In sostanza, il C.G.A., richiamando l’art. 1, lett. a) della L.r. n. 48/91, ha ritenuto legittimo l’operato della giunta di un comune siciliano che, in forza di una specifica previsione statutaria che demandava alla giunta la competenza in ordine all’approvazione della TARSU, ha deliberato l’approvazione delle aliquote della TARSU. Anche tale conclusione non può essere condivisa. La decisione in commento appare infatti chiaramente influenzata dall’equivoco relativo alla capacità derogatoria degli statuti in riferimento alle norme di principio ed a quelle di dettaglio e confonde queste ultime con le norme di regolamentazione diretta della materia.

Orbene, poiché l’art. 32, lett. g), della L. n. 142/1990, come richiamato dall’art. 1 della L.r. n. 48/91, prevede espressamente che l’organo consiliare ha la competenza ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, lo statuto non può assolutamente derogarvi in quanto non si tratta di una norma di dettaglio eccedente la competenza attribuita alla fonte, ma una disposizione di diretta applicazione del principio, che segna, al contrario, quel minimo inderogabile di competenze che il legislatore stesso ha stabilito in capo all’organo consiliare. Le fonti normative locali (statuto e regolamenti) come già affermato in dottrina “non possono incidere l’ordine delle competenze previsto dalle fonti normative primarie, a pena di porsi in contrasto insanabile con esse e, pertanto, di dimostrarsi illegittime al vaglio disincantato dei giudici”[11]. Anche la giurisprudenza, granitica sull’argomento[12], ha infatti affermato che “lo statuto municipale non è abilitato a derogare competenze per legge stabilite”. Dello stesso avviso sembra essere anche la Commissione Tributaria Provinciale di Enna, chiamata da un contribuente a pronunciarsi in ordine alla legittimità di un avviso di accertamento TARSU relativo all’anno 2010, secondo la quale “…uno statuto del 2004 non poteva derogare alla ripartizione delle competenze tra Giunta e Consiglio stabilite dalla legge regionale n. 48 del 1991 in materia di tributi locali. Con la conseguenza che l’invocata norma statutaria, limitatamente alla TARSU, è viziata da violazioni di legge e, come tale, va disapplicata dalla Commissione Tributaria”.

Per una più corretta interpretazione del sistema normativo, l’art. 1, lett. a) della L.r. n. 48/91, lungi dal consentire agli statuti la possibilità di derogare ai principi di legalità e di gerarchia tra le fonti, ha anzi affermato nella medesima disposizione l’esatto contrario, cioè quello di assegnare le attribuzioni degli organi nell’ambito dei principi fissati dalla legge. Coerente con tale interpretazione è, come già visto, l’art. 13 della L.r. n. 7/92, come modificato dall’art. 41 della L.r. n. 26/93, che attribuisce all’organo monocratico la competenza su tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi dell’ente.

4. Le ragioni di fondo

Il fondamento legislativo della potestà impositiva deriva secondo parte della giurisprudenza “dalla necessità di fare in modo che la prestazione tributaria imposta ai membri della collettività sia frutto di quella dialettica democratica che può essere dispiegata compiutamente solo nella sede assembleare, ove i rappresentanti del popolo (o della comunità locale di riferimento) possono liberamente confrontarsi. Siffatta modalità di esercizio della potestà impositiva richiede senz’altro la estrinsecazione delle dinamiche proprie del dibattito consiliare al fine di permettere ai rappresentanti del corpo elettorale locale di valutare appieno le conseguenze che un prelievo fiscale così concepito può provocare sulla comunità di riferimento e, più in specie, sugli utenti del servizio”[13].

Peraltro oggi, condividendo l’analisi di chi ha contribuito all’adozione legislativa della 1° riforma delle autonomie locali, “Responsabili verso i cittadini dell’attuazione del programma sono dunque sia il sindaco che il consiglio, attraverso la sua maggioranza, e ciascuno secondo le proprie competenze, attuativa il primo ed indirizzo e controllo il secondo. Il Sindaco se non è mero esecutore delle decisioni del Consiglio, e non lo è, non è neanche titolare della linea politica programmatica che elabora autonomamente e sottopone alla sola ratifica il controllo del Consiglio. Insomma al Consiglio spettano gli indirizzi ed il controllo della loro attuazione e al Sindaco spetta proporli al Consiglio e attuarli così come approvati e modificati dal Consiglio stesso. Al di fuori di questa linea definita dalla legge 142/90 e dalla 81/93 c’è soltanto una rottura dell’equilibrio delicato e difficile fra i due organi dell’ente locale, o per ritornare ad un primato del Consiglio sul suo esecutivo dipendente perché da lui eletto, o per andare ad un sistema presidenziale in cui il Sindaco è titolare del Governo ed il Consiglio si limita a controllarlo. Questi due eccessi, a ragione o a torto, si è cercato di evitarli. Nessuna di queste due soluzioni è stata voluta dalla cultura autonomistica che è alla base della legge 142 e della legge 81”[14].

L’attuale ordinamento degli enti locali, è caratterizzato, com’è noto, da un rigido riparto di competenze tra gli organi elettivi, laddove l’assemblea elettiva assume la configurazione di organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo, mentre all’organo monocratico e alla giunta spettano le funzioni residuali, con l’inibitoria di assumere atti di competenza del consiglio comunale, tranne che per le variazioni di bilancio. E tuttavia, l’attribuzione della «pari dignità istituzionale», in uno all’abrogazione dei controlli esterni ad opera della Costituzione nei confronti dell’ente locale, ha finito per valorizzare anche il ruolo dell’assemblea elettiva. Non mancano infatti prospettive più evolute anche in giurisprudenza.

Per la giurisprudenza amministrativa, “un compiuto approfondimento della tematica implicherebbe una riflessione sul mutamento del rapporto tra consiglio e giunta in un sistema in cui il rinnovato ruolo della maggioranza consiliare configura il consiglio non più solo come controllore della giunta, ma come compartecipe dell’attuazione del programma della maggioranza eletta democraticamente dal popolo, in una posizione che non è contrapposizione, ma di cooperazione nel governo della realtà comunale.. Le radicali novità introdotte con la legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V della Costituzione – con la sostanziale abolizione del controllo regionale sugli atti degli enti locali – apportano a loro volte ulteriori elementi di riflessione sul tema oggetto di giudizio, ma tali innovazioni appaiono di non univoca incidenza sull’argomento in trattazione, posto che, se da un lato l’abolizione del controllo dei Co.re.co. indurrebbe a immaginare – quasi in compensazione – un ampliamento del <<controllo>> giurisdizionale tramite il riconoscimento della legittimazione a ricorrere dei consiglieri di minoranza, dall’altro è legittimo il dubbio circa la rispondenza di una siffatta <<compensazione>> rispetto allo spirito ed alla ratio della riforma, che risiedono anche nella volontà del Legislatore costituente di riconoscere una maggiore incisività di azione ed efficienza al governo del Enti Locali”[15].

Pertanto, solo l’organo consiliare, in sede di discussione del bilancio di previsione, può autorizzare l’aumento di un prelievo tributario per far fronte alle esigenze di governo dell’ente locale, non rientrando nelle prerogative della giunta, né dell’organo monocratico, disporre delle risorse necessarie per modificare assetti generali di finanza locale.

In tale contesto normativo non è sempre esclusa la competenza del Presidente della Provincia o della giunta provinciale nella trattazione delle questioni sottese all’aumento delle aliquote dell’imposta RCA allorquando l’approvazione delle relative aliquote non comporta alcuna scelta d’indirizzo politico (rectius, decisione ex novo sul quantum dovuto) che, interessando gli equilibri di bilancio dello strumento finanziario sia in termini di saldi che di ripartizione tra le varie risorse, incide subitaneamente sulla posizione patrimoniale dei contribuenti. Condivisibile è quindi l’assunto del Tar di Catania[16] che ha affermato l’infondatezza della censura di incompetenza funzionale, atteso che con la determina sindacale non si è provveduto né a determinare né a modificare le tariffe della TARSU ma a confermare quelle dell’anno precedente.

5. l’ipotesi della convalida

Nel caso in cui l’aumento delle aliquote dell’imposta RCA è stato erroneamente deliberato dalla giunta provinciale il difetto di competenza funzionale potrà essere sanato attraverso l’istituto della convalida, dando per scontato che la carenza di potere è relativa e l’atto adottato annullabile, considerato che solo la legge, nel rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, può ammettere una modifica all’ordine legale delle competenze, prevedendo esplicitamente la possibilità che l’organo titolare di un potere e della correlata competenza, possa modificare l’ordine assegnando parte di tale potere e competenze ad altro organo.

Legittimamente il consiglio provinciale può convalidare un atto che rientra nella propria competenza ma che era stato adottato dalla giunta, ai sensi dell’art. 6, legge 18 marzo 1968 n. 249 (secondo cui "Alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale") e dell’art. 21-nonies, 2° comma, legge n. 241/1990 (secondo cui "E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento ")[17]. L’art. 21-nonies della legge n. 241/90 si applica infatti anche in Sicilia grazie al rinvio formale dinamico contenuto nell’art. 37 della L.r. n. 10/91).

Se quindi il consiglio provinciale convalida la variazione dell’aliquota RCA viene superato il vizio di legittimità derivante dal difetto di competenza. Tuttavia, se l’organo consiliare, nel trattare l’argomento, decidesse, nella sua autonomia, di rideterminare l’ammontare del tributo (riducendolo o aumentandolo), rispetto a quanto fatto dalla giunta, allora non saremmo più in presenza di convalida, che notoriamente sortisce effetti ex tunc, ma di rinnovazione, cioè di una nuova volontà veicolata attraverso un nuovo atto amministrativo con effetti ex nunc.

L’avvertenza non è ultronea se si considera che a differenza degli altri tributi locali i cui effetti giuridici retroagiscono al 1° gennaio dell’anno di riferimento, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di approvazione del bilancio di previsione, per espressa previsione di legge (art. 17, comma 2, del D.lgs. n. 68/2011) gli aumenti o le diminuizioni delle aliquote avranno effetto solo dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito www.finanze.gov.it.

Inoltre, appare utile evidenziare che in materia tributaria il principio positivizzato dal legislatore del “tempo ragionevole”, sotteso all’applicazione dell’istituto della convalida, obbliga il rispetto di una sequenza procedimentale e temporale ben definita. Infatti, il consiglio provinciale potrà convalidare l’atto deliberativo adottato dalla giunta provinciale nel contesto dell’adozione del bilancio di previsione e, qualora già approvato, non oltre l’anno solare di riferimento. La materia tributaria è infatti retta da principi generali poco compatibili con una tempistica indeterminata che spesso caratterizza i procedimenti amministrativi. In questa direzione, interessante è la sentenza del Giudice Tributario per la provincia di Enna secondo cui “…la sequenza procedimentale volta a prelevare coattivamente denaro dai contribuenti è disciplinata nei modi e nei tempi in modo specifico e con termini precisi ed insuperabili (secondo il principio della non esposizione a tempo indeterminato del cittadino di fronte al Fisco)”[18].

6. Conclusioni

In conclusione possiamo ragionevolmente affermare che la competenza in materia di approvazione delle aliquote dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RCA) in Sicilia appartiene:

a) all’organo consiliare della Provincia Regionale nel caso di variazione in aumento o in diminuizione della relativa aliquota;

b) al Presidente della Provincia in forza del potere residuale, ovvero alla giunta provinciale se diversamente previsto dallo statuto, nel caso in cui si determini di confermare l’ammontare dell’anno precedente.

In presenza di approvazione delle variazioni delle aliquote adottate dalla giunta provinciale, il consiglio provinciale potrà convalidare l’atto, senza apportare modifiche, in sede di bilancio di previsione e comunque non oltre l’anno solare di riferimento.

In presenza di una diversa volontà del consiglio prov.le in ordine all’ammontare dell’aliquota l’atto deliberativo adottato dalla giunta dovrà ritenersi tacitamente abrogato e gli effetti giuridici della variazione delle aliquote saranno considerati ex nunc.

[1] Un tributo locale che, a differenza di altri che hanno trovato specifica copertura normativa come l’ICI e l’addizionale comunale IRPEF, ancora oggi fa discutere giurisprudenza e dottrina in ordine all’organo comunale competente all’adozione delle variazioni delle relative aliquote, con particolare riferimento al caso siciliano, è la TIA/TARSU. Per un approfondimento della tematica si consenta il rinvio a M. Greco, “La contesa approvazione della TARSU in Sicilia”, su Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo http://WWW.diritto.it., ISSN 1127-8579, 23/09/2010; “In Sicilia l’approvazione della TIA (tariffa d’igiene ambientale) rimane in capo ai consigli comunali”, su Rassegna Amministrativa Siciliana, Rivista trimestrale di giurisprudenza e legislazione regionale, n. 3/2009; “Ancora incertezze sull’organo competente all’adozione della TARSU in Sicilia”, su Filo Diritto, rivista giuridica pubblicata su internet all’indirizzo www.filodiritto.it, 28/07/2011.

[2] Cass. civ., sez. Trib., 09/11/2004, sent. n. 21310; 11/11/2003, sent. n. 16870.

[3] Tar Puglia – Lecce, sez. I°, sent. 28/01/2010 n. 328.

[4] Cass civ., sez. trib., 15/06/2010, sent. N. 14376.

[5] C.G.A. SS.RR., parere n.101/2006 e sent. 26/7/2006 n. 420.

[6] C.G.A., SS.RR , parere n. 592 del 16/11/1993 e C.G.A sent. n. 403/2010.

[7] Tar di Palermo, sentenze nn. 1150 del 1/10/2009 e 2017 del 15/12/2009; Tar Catania, ord. n.231/2010; Corte Cass. civ., sent. n. 14376/2010.

[8] Comm. Trib. Reg.le, sent. 39/30/12 del 28/02/2012.

[9] Assessorato Reg.le Enti locali, Circolare n. 6 del 08/08/1996; Tar Palermo, sez. II°, sent. n. 4284/1999.

[10] C.G.A. sent. 30/06/2011 n. 455.

[11] Luigi Oliveri “L’araba fenice della separazione delle competenze”, Giust.it, n. 11-2001.

[12] Cons. di Stato sez. V°, 15/11/2001, sent. n. 5833; sez. V°, 21/11/2003 sent. n. 7632; sez. V°, 03/03/2005, sent. n. 832.

[13] Tar Puglia, Lecce, sez. I, 28/01/2010 sent. n. 328.

[14] Adriano Ciaffi, Relatore legge n. 142/90, Relazione al Seminario Nazionale UPI, 17/03/1998, Crotone.

[15] Tar Napoli, Sez. I°, 18 novembre 2002 n. 7203.

[16] Tar Catania, sent. n. 3696/2010.

[17] Cons. Stato, Sez. V° - sent. 11 agosto 2010 n. 5636.

[18] Comm. Trib. Prov., sent. n. 252/01/12 del 30/03/2012.

Sommario:

1. L’attribuzione alle Province del tributo

2. La competenza in ordine alla variazione dell’aliquota

3. La normativa regionale

4. Le ragioni di fondo

5. L’ipotesi della convalida

6. Conclusioni.

In un quadro normativo mutevole e dominato dall’esigenza di ridurre la spesa pubblica complessiva, tutti gli attori del pluralismo istituzionale sono chiamati a dare il proprio contributo. Tra tagli, accorpamenti e fantasiose forme di razionalizzazione dei rispettivi sistemi di governance, l’ente territoriale di governo che certamente più degli altri è preso di mira dalle politiche di spending review è la Provincia. Peraltro, questo “condannato” ente intermedio della Repubblica è impegnato in questi giorni ad attivare le poche, se non uniche, forme di autonomia impositiva riconosciute dal recente sistema del federalismo fiscale.

1. L’attribuzione alle Province del tributo

L’art. 17 del D.lgs. n. 16 del 6 maggio 2011, rubricato “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonche’ di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”, al comma 1 stabilisce che “A decorrere dall’anno 2012 l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita’ civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato delle province”. Il 2° comma del medesimo articolo prevede che “L’aliquota dell’imposta di cui al comma 1 è pari al 12,5 per cento. A decorrere dall’anno 2011 le province possono aumentare o diminuire l’aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali. Gli aumenti o le diminuzioni delle aliquote avranno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito informatico del Ministero dell’economia e delle finanze”.

La novella disciplina tributaria si applica esclusivamente alle Province delle regioni a statuto ordinario. Il 5° comma infatti prescrive che “La decorrenza e le modalita’ di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo nei confronti delle province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle province autonome sono stabilite, in conformita’ con i relativi statuti, con le procedure previste dall’articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009”.

Con il decreto legge n. 16 del 02/03/2012, convertito nella legge n. 44 del 26/04/2012, il legislatore statale ha intesto estendere anche alle Province delle regioni a statuto speciale la disciplina in questione. L’articolo 4 di detto decreto legge così recita: “Le disposizioni concernenti l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita’ civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, si applicano, (in deroga all’articolo 16 del citato decreto legislativo n. 68 del 2011), su tutto il territorio nazionale”.

A questo punto si pone il problema dell’organo delle Province deputato ad applicare la normativa e, quindi, ad adottare la delibera di eventuale variazione dell’aliquota dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore per singolo territorio provinciale, atteso il silenzio del legislatore sull’argomento.

Per le Province delle regioni a statuto ordinario sembra soccorrere a colmare il vuoto legislativo il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 3/06/2011 che, nel disciplinare le modalità di pubblicazione delle deliberazioni di variazioni dell’aliquota dell’imposta RCA, all’art. 2 richiama espressamente la delibera della giunta provinciale. L’individuata competenza in capo alla giunta provinciale, come sottolineato dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso la risoluzione n. 2 del 16/06/2012, deriva dalla, più generale, competenza residuale che il T.U.E.L. attribuisce all’organo esecutivo dell’ente locale allorquando il legislatore omette di farne espressa individuazione[1].

Per le Province delle regioni ad autonomia speciale l’individuazione dell’organo competente risente inevitabilmente dell’esigenza, già avvertita al citato comma 5 dell’art. 17 del D.lgs. n. 16/2011, di stabilire le modalita’ di applicazione delle disposizioni tributarie in materia di RCA, in conformita’ con i relativi statuti.

2. La competenza in ordine alla variazione dell’aliquota

In materia di tributi il D.lgs. n. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali) all’art. 42, 2° comma, lett. f), stabilisce la competenza dell’organo consiliare ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote. Con l’entrata in vigore del citato Testo Unico, ha trovato definitiva soluzione la vexata quaestio relativa all’individuazione, nel vigore dell’art. 32 della legge n.142/1990, dell’organo dell’ente locale competente ad adottare i provvedimenti di determinazione delle aliquote dei tributi locali, escludendo espressamente la materia tra quelle di attribuzione del consiglio.

Infatti, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, nella vigenza della legge n. 142/90, competente in via esclusiva ad adottare i provvedimenti relativi alla determinazione e all’adeguamento delle aliquote del tributo era il predetto organo consiliare[2]. In pratica il legislatore del T.U., facendosi carico dell’esistenza nella legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali di una norma che non distingueva tra istituzione di tributi e determinazione di aliquote, ha preferito eliminare la seconda dalle competenze attribuite all’organo consiliare. Pertanto, stante il principio del potere residuale in capo alla giunta, è legittimo affermare che, negli enti locali delle regioni a statuto ordinario, la determinazione delle aliquote dei tributi locali appartenga all’organo esecutivo dell’ente e quindi alla giunta.

Bisogna tuttavia precisare che tale competenza riguarda la mera determinazione delle aliquote, riconoscendosi alla sfera di competenza dell’organo consiliare tutto ciò che esorbita dalla semplice indicazione di un parametro numerico. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza amministrativa non risulta legittima una delibera di giunta comunale che contenga valutazioni che vanno al di là della fissazione delle aliquote, risolvendosi in una modalità di esercizio della potestà impositiva decisamente assimilabile ad un atto di pianificazione del prelievo fiscale[3]. Dello stesso avviso è la Corte di Cassazione secondo la quale “…l’adeguamento delle tariffe implica l’esercizio di un potere impositivo attribuito dalla legge in via esclusivo all’organo comunale rappresentativo, altro non essendo che la determinazione ex novo del quantum debeatur, sicchè non ha natura diversa dall’atto istitutivo della prestazione patrimoniale”[4].

3. La normativa regionale

Nell’ordinamento siciliano, che com’è noto gode di potestà legislativa esclusiva in materia di enti locali in forza dell’art. 14 dello Statuto, l’art. 32, lett. g), della L. n. 142/1990, che attribuisce all’organo consiliare la competenza ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, è stato recepito in modo statico dall’art. 1, lett. e), L.r. n. 48/1991. Il citato accorgimento legislativo apportato dal Testo Unico non sembra quindi direttamente applicabile nell’ordinamento siciliano.

Non sfugge il diverso avviso del Consiglio di Giustizia Amministrativa[5] al quale tuttavia si ritiene di non aderire. Il C.G.A. affermando che, “… all’espressa esclusione della competenza consiliare in tema di determinazione delle aliquote e alla mancata espressa attribuzione alla giunta della suddetta competenza deriva la residuale competenza del sindaco”, parte infatti dal presupposto, sotteso, che la normativa statale di cui al citato T.U. sia direttamente applicabile in Sicilia in forza di un rinvio dinamico. Ma così non appare anche alla luce di quanto sostenuto dal medesimo Consiglio di Giustizia Amministrativa, secondo cui trattasi di rinvio materiale o recettizio quando il legislatore regionale fa propria la norma statale (con eventuali modifiche ed integrazioni) rendendola quindi estranea alla normativa statale. Diversamente il rinvio si configura formale e dinamico, ma anche in tale ipotesi il legislatore regionale pone invero limiti di compatibilità, di competenze dei soggetti, di assetto procedimentale, contingenti o di successiva legislazione. Con il rinvio recettizio e materiale (o statico) l’ordinamento regionale non subisce automatiche modifiche per l’intervento (o, specularmente, per l’eliminazione) di norme statali[6]. Invero, l’art. 1 della L.r. n. 48/91, nel richiamare le norme della L. n. 142/90, ha operato un rinvio recettizio e statico e non già formale e dinamico, sicchè l’ordinamento regionale non subisce automatiche modifiche per l’intervento (o specularmente, per l’eliminazione) di norme statali.

Pertanto, per una corretta ricostruzione del quadro dei rapporti tra fonti statali e regionali, si può sostenere che l’abrogazione a livello statale delle disposizioni di cui alla legge n. 142/90, avvenuta col T.U., non incide sulla sopravvivenza delle relative norme nello spazio giuridico siciliano, trattandosi, nel caso in specie, di rinvio statico. Si ritiene quindi di non poter condividere quanto affermato dal C.G.A., privilegiando in questa sede proprio l’impossibilità di applicare nell’ambito regionale, per le ragioni sopra esposte, quella espressa esclusione dalla competenza consiliare (di cui alla lett. f), comma 2, dell’art. 42 D.lgs. n. 267/00) della materia relativa alla determinazione delle aliquote dei tributi. Versione questa peraltro condivisa dalla giurisprudenza più recente[7]. Senza contare che anche per un altro tributo locale (TIA/TARSU), la giurisprudenza ha consolidato il proprio orientamento in ordine all’organo comunale chiamato ad adottare i relativi atti. Il Giudice Tributario d’appello regionale, recentemente si è espresso nei seguenti termini: “…sono illegittimi gli aumenti tariffari effettuati dal Comune perché deliberati dalla Giunta Comunale e non dal Consiglio Comunale, pertanto la delibera della Giunta è viziata per difetto di competenza dell’Organismo deliberante a deliberare le modifiche delle tariffe tarsu. L’art. 42 del D.lgs. n. 267/2000 in effetti prevede che la competenza in materia di tariffe TARSU sia della Giunta Comunale, ma tale norma non trova applicazione nelle regioni a Statuto Speciale come la Sicilia, dove ai sensi della L.r. n. 30/2000, la competenza a determinare e/o modificare le aliquote TARSU è esclusivamente del Consiglio Comunale così come ha affermato il TAR Sicilia con diverse sentenze”[8].

In tale contesto non può neanche ipotizzarsi una forma di competenza residuale in capo all’organo monocratico. Vero è infatti che le giunte nell’ordinamento regionale non sono più organi a competenza residuale generale e che tale competenza ricada in capo agli organi monocratici[9], ma questo si verifica solo nel caso in cui la legge non dispone diversamente. Invero, l’art. 13 della L.r. n. 7/92, come modificato dall’art. 41 della L.r. n. 26/93, così recita: “Il Sindaco convoca e presiede la Giunta, compie tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi del comune…”.

Più recentemente, sempre il Giudice amministrativo d’appello per la Regione Sicilia[10], nel sindacare una controversia in materia di tributi locali comunali si è così espresso: “Ciò posto, non sembra dubbio al Collegio che l’organo competente ad adottare le deliberazioni impugnate sia la Giunta municipale, dovendosi avere riguardo alla riserva contenuta nell’art. 4 della L. n. 142/1990, recepita in Sicilia con l’art. 1, lett. a), della L.R. 11 dicembre 1991, n. 48, a mente del quale <<lo statuto nell’ambito dei principi fissati dalla legge stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’Ente e in particolare determina le attribuzioni degli organi>>. Nella specie, lo Statuto del Comune di Cattolica Eraclea, approvato con atto consiliare del 15 luglio 2005, n. 32, ha, all’art. 7, attribuito alla Giunta municipale <<la specifica competenza in materia di determinazione e variazione delle tariffe dei servizi, delle aliquote di imposte e tasse>>”.

In sostanza, il C.G.A., richiamando l’art. 1, lett. a) della L.r. n. 48/91, ha ritenuto legittimo l’operato della giunta di un comune siciliano che, in forza di una specifica previsione statutaria che demandava alla giunta la competenza in ordine all’approvazione della TARSU, ha deliberato l’approvazione delle aliquote della TARSU. Anche tale conclusione non può essere condivisa. La decisione in commento appare infatti chiaramente influenzata dall’equivoco relativo alla capacità derogatoria degli statuti in riferimento alle norme di principio ed a quelle di dettaglio e confonde queste ultime con le norme di regolamentazione diretta della materia.

Orbene, poiché l’art. 32, lett. g), della L. n. 142/1990, come richiamato dall’art. 1 della L.r. n. 48/91, prevede espressamente che l’organo consiliare ha la competenza ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, lo statuto non può assolutamente derogarvi in quanto non si tratta di una norma di dettaglio eccedente la competenza attribuita alla fonte, ma una disposizione di diretta applicazione del principio, che segna, al contrario, quel minimo inderogabile di competenze che il legislatore stesso ha stabilito in capo all’organo consiliare. Le fonti normative locali (statuto e regolamenti) come già affermato in dottrina “non possono incidere l’ordine delle competenze previsto dalle fonti normative primarie, a pena di porsi in contrasto insanabile con esse e, pertanto, di dimostrarsi illegittime al vaglio disincantato dei giudici”[11]. Anche la giurisprudenza, granitica sull’argomento[12], ha infatti affermato che “lo statuto municipale non è abilitato a derogare competenze per legge stabilite”. Dello stesso avviso sembra essere anche la Commissione Tributaria Provinciale di Enna, chiamata da un contribuente a pronunciarsi in ordine alla legittimità di un avviso di accertamento TARSU relativo all’anno 2010, secondo la quale “…uno statuto del 2004 non poteva derogare alla ripartizione delle competenze tra Giunta e Consiglio stabilite dalla legge regionale n. 48 del 1991 in materia di tributi locali. Con la conseguenza che l’invocata norma statutaria, limitatamente alla TARSU, è viziata da violazioni di legge e, come tale, va disapplicata dalla Commissione Tributaria”.

Per una più corretta interpretazione del sistema normativo, l’art. 1, lett. a) della L.r. n. 48/91, lungi dal consentire agli statuti la possibilità di derogare ai principi di legalità e di gerarchia tra le fonti, ha anzi affermato nella medesima disposizione l’esatto contrario, cioè quello di assegnare le attribuzioni degli organi nell’ambito dei principi fissati dalla legge. Coerente con tale interpretazione è, come già visto, l’art. 13 della L.r. n. 7/92, come modificato dall’art. 41 della L.r. n. 26/93, che attribuisce all’organo monocratico la competenza su tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi dell’ente.

4. Le ragioni di fondo

Il fondamento legislativo della potestà impositiva deriva secondo parte della giurisprudenza “dalla necessità di fare in modo che la prestazione tributaria imposta ai membri della collettività sia frutto di quella dialettica democratica che può essere dispiegata compiutamente solo nella sede assembleare, ove i rappresentanti del popolo (o della comunità locale di riferimento) possono liberamente confrontarsi. Siffatta modalità di esercizio della potestà impositiva richiede senz’altro la estrinsecazione delle dinamiche proprie del dibattito consiliare al fine di permettere ai rappresentanti del corpo elettorale locale di valutare appieno le conseguenze che un prelievo fiscale così concepito può provocare sulla comunità di riferimento e, più in specie, sugli utenti del servizio”[13].

Peraltro oggi, condividendo l’analisi di chi ha contribuito all’adozione legislativa della 1° riforma delle autonomie locali, “Responsabili verso i cittadini dell’attuazione del programma sono dunque sia il sindaco che il consiglio, attraverso la sua maggioranza, e ciascuno secondo le proprie competenze, attuativa il primo ed indirizzo e controllo il secondo. Il Sindaco se non è mero esecutore delle decisioni del Consiglio, e non lo è, non è neanche titolare della linea politica programmatica che elabora autonomamente e sottopone alla sola ratifica il controllo del Consiglio. Insomma al Consiglio spettano gli indirizzi ed il controllo della loro attuazione e al Sindaco spetta proporli al Consiglio e attuarli così come approvati e modificati dal Consiglio stesso. Al di fuori di questa linea definita dalla legge 142/90 e dalla 81/93 c’è soltanto una rottura dell’equilibrio delicato e difficile fra i due organi dell’ente locale, o per ritornare ad un primato del Consiglio sul suo esecutivo dipendente perché da lui eletto, o per andare ad un sistema presidenziale in cui il Sindaco è titolare del Governo ed il Consiglio si limita a controllarlo. Questi due eccessi, a ragione o a torto, si è cercato di evitarli. Nessuna di queste due soluzioni è stata voluta dalla cultura autonomistica che è alla base della legge 142 e della legge 81”[14].

L’attuale ordinamento degli enti locali, è caratterizzato, com’è noto, da un rigido riparto di competenze tra gli organi elettivi, laddove l’assemblea elettiva assume la configurazione di organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo, mentre all’organo monocratico e alla giunta spettano le funzioni residuali, con l’inibitoria di assumere atti di competenza del consiglio comunale, tranne che per le variazioni di bilancio. E tuttavia, l’attribuzione della «pari dignità istituzionale», in uno all’abrogazione dei controlli esterni ad opera della Costituzione nei confronti dell’ente locale, ha finito per valorizzare anche il ruolo dell’assemblea elettiva. Non mancano infatti prospettive più evolute anche in giurisprudenza.

Per la giurisprudenza amministrativa, “un compiuto approfondimento della tematica implicherebbe una riflessione sul mutamento del rapporto tra consiglio e giunta in un sistema in cui il rinnovato ruolo della maggioranza consiliare configura il consiglio non più solo come controllore della giunta, ma come compartecipe dell’attuazione del programma della maggioranza eletta democraticamente dal popolo, in una posizione che non è contrapposizione, ma di cooperazione nel governo della realtà comunale.. Le radicali novità introdotte con la legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V della Costituzione – con la sostanziale abolizione del controllo regionale sugli atti degli enti locali – apportano a loro volte ulteriori elementi di riflessione sul tema oggetto di giudizio, ma tali innovazioni appaiono di non univoca incidenza sull’argomento in trattazione, posto che, se da un lato l’abolizione del controllo dei Co.re.co. indurrebbe a immaginare – quasi in compensazione – un ampliamento del <<controllo>> giurisdizionale tramite il riconoscimento della legittimazione a ricorrere dei consiglieri di minoranza, dall’altro è legittimo il dubbio circa la rispondenza di una siffatta <<compensazione>> rispetto allo spirito ed alla ratio della riforma, che risiedono anche nella volontà del Legislatore costituente di riconoscere una maggiore incisività di azione ed efficienza al governo del Enti Locali”[15].

Pertanto, solo l’organo consiliare, in sede di discussione del bilancio di previsione, può autorizzare l’aumento di un prelievo tributario per far fronte alle esigenze di governo dell’ente locale, non rientrando nelle prerogative della giunta, né dell’organo monocratico, disporre delle risorse necessarie per modificare assetti generali di finanza locale.

In tale contesto normativo non è sempre esclusa la competenza del Presidente della Provincia o della giunta provinciale nella trattazione delle questioni sottese all’aumento delle aliquote dell’imposta RCA allorquando l’approvazione delle relative aliquote non comporta alcuna scelta d’indirizzo politico (rectius, decisione ex novo sul quantum dovuto) che, interessando gli equilibri di bilancio dello strumento finanziario sia in termini di saldi che di ripartizione tra le varie risorse, incide subitaneamente sulla posizione patrimoniale dei contribuenti. Condivisibile è quindi l’assunto del Tar di Catania[16] che ha affermato l’infondatezza della censura di incompetenza funzionale, atteso che con la determina sindacale non si è provveduto né a determinare né a modificare le tariffe della TARSU ma a confermare quelle dell’anno precedente.

5. l’ipotesi della convalida

Nel caso in cui l’aumento delle aliquote dell’imposta RCA è stato erroneamente deliberato dalla giunta provinciale il difetto di competenza funzionale potrà essere sanato attraverso l’istituto della convalida, dando per scontato che la carenza di potere è relativa e l’atto adottato annullabile, considerato che solo la legge, nel rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, può ammettere una modifica all’ordine legale delle competenze, prevedendo esplicitamente la possibilità che l’organo titolare di un potere e della correlata competenza, possa modificare l’ordine assegnando parte di tale potere e competenze ad altro organo.

Legittimamente il consiglio provinciale può convalidare un atto che rientra nella propria competenza ma che era stato adottato dalla giunta, ai sensi dell’art. 6, legge 18 marzo 1968 n. 249 (secondo cui "Alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale") e dell’art. 21-nonies, 2° comma, legge n. 241/1990 (secondo cui "E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento ")[17]. L’art. 21-nonies della legge n. 241/90 si applica infatti anche in Sicilia grazie al rinvio formale dinamico contenuto nell’art. 37 della L.r. n. 10/91).

Se quindi il consiglio provinciale convalida la variazione dell’aliquota RCA viene superato il vizio di legittimità derivante dal difetto di competenza. Tuttavia, se l’organo consiliare, nel trattare l’argomento, decidesse, nella sua autonomia, di rideterminare l’ammontare del tributo (riducendolo o aumentandolo), rispetto a quanto fatto dalla giunta, allora non saremmo più in presenza di convalida, che notoriamente sortisce effetti ex tunc, ma di rinnovazione, cioè di una nuova volontà veicolata attraverso un nuovo atto amministrativo con effetti ex nunc.

L’avvertenza non è ultronea se si considera che a differenza degli altri tributi locali i cui effetti giuridici retroagiscono al 1° gennaio dell’anno di riferimento, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di approvazione del bilancio di previsione, per espressa previsione di legge (art. 17, comma 2, del D.lgs. n. 68/2011) gli aumenti o le diminuizioni delle aliquote avranno effetto solo dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito www.finanze.gov.it.

Inoltre, appare utile evidenziare che in materia tributaria il principio positivizzato dal legislatore del “tempo ragionevole”, sotteso all’applicazione dell’istituto della convalida, obbliga il rispetto di una sequenza procedimentale e temporale ben definita. Infatti, il consiglio provinciale potrà convalidare l’atto deliberativo adottato dalla giunta provinciale nel contesto dell’adozione del bilancio di previsione e, qualora già approvato, non oltre l’anno solare di riferimento. La materia tributaria è infatti retta da principi generali poco compatibili con una tempistica indeterminata che spesso caratterizza i procedimenti amministrativi. In questa direzione, interessante è la sentenza del Giudice Tributario per la provincia di Enna secondo cui “…la sequenza procedimentale volta a prelevare coattivamente denaro dai contribuenti è disciplinata nei modi e nei tempi in modo specifico e con termini precisi ed insuperabili (secondo il principio della non esposizione a tempo indeterminato del cittadino di fronte al Fisco)”[18].

6. Conclusioni

In conclusione possiamo ragionevolmente affermare che la competenza in materia di approvazione delle aliquote dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RCA) in Sicilia appartiene:

a) all’organo consiliare della Provincia Regionale nel caso di variazione in aumento o in diminuizione della relativa aliquota;

b) al Presidente della Provincia in forza del potere residuale, ovvero alla giunta provinciale se diversamente previsto dallo statuto, nel caso in cui si determini di confermare l’ammontare dell’anno precedente.

In presenza di approvazione delle variazioni delle aliquote adottate dalla giunta provinciale, il consiglio provinciale potrà convalidare l’atto, senza apportare modifiche, in sede di bilancio di previsione e comunque non oltre l’anno solare di riferimento.

In presenza di una diversa volontà del consiglio prov.le in ordine all’ammontare dell’aliquota l’atto deliberativo adottato dalla giunta dovrà ritenersi tacitamente abrogato e gli effetti giuridici della variazione delle aliquote saranno considerati ex nunc.

[1] Un tributo locale che, a differenza di altri che hanno trovato specifica copertura normativa come l’ICI e l’addizionale comunale IRPEF, ancora oggi fa discutere giurisprudenza e dottrina in ordine all’organo comunale competente all’adozione delle variazioni delle relative aliquote, con particolare riferimento al caso siciliano, è la TIA/TARSU. Per un approfondimento della tematica si consenta il rinvio a M. Greco, “La contesa approvazione della TARSU in Sicilia”, su Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo http://WWW.diritto.it., ISSN 1127-8579, 23/09/2010; “In Sicilia l’approvazione della TIA (tariffa d’igiene ambientale) rimane in capo ai consigli comunali”, su Rassegna Amministrativa Siciliana, Rivista trimestrale di giurisprudenza e legislazione regionale, n. 3/2009; “Ancora incertezze sull’organo competente all’adozione della TARSU in Sicilia”, su Filo Diritto, rivista giuridica pubblicata su internet all’indirizzo www.filodiritto.it, 28/07/2011.

[2] Cass. civ., sez. Trib., 09/11/2004, sent. n. 21310; 11/11/2003, sent. n. 16870.

[3] Tar Puglia – Lecce, sez. I°, sent. 28/01/2010 n. 328.

[4] Cass civ., sez. trib., 15/06/2010, sent. N. 14376.

[5] C.G.A. SS.RR., parere n.101/2006 e sent. 26/7/2006 n. 420.

[6] C.G.A., SS.RR , parere n. 592 del 16/11/1993 e C.G.A sent. n. 403/2010.

[7] Tar di Palermo, sentenze nn. 1150 del 1/10/2009 e 2017 del 15/12/2009; Tar Catania, ord. n.231/2010; Corte Cass. civ., sent. n. 14376/2010.

[8] Comm. Trib. Reg.le, sent. 39/30/12 del 28/02/2012.

[9] Assessorato Reg.le Enti locali, Circolare n. 6 del 08/08/1996; Tar Palermo, sez. II°, sent. n. 4284/1999.

[10] C.G.A. sent. 30/06/2011 n. 455.

[11] Luigi Oliveri “L’araba fenice della separazione delle competenze”, Giust.it, n. 11-2001.

[12] Cons. di Stato sez. V°, 15/11/2001, sent. n. 5833; sez. V°, 21/11/2003 sent. n. 7632; sez. V°, 03/03/2005, sent. n. 832.

[13] Tar Puglia, Lecce, sez. I, 28/01/2010 sent. n. 328.

[14] Adriano Ciaffi, Relatore legge n. 142/90, Relazione al Seminario Nazionale UPI, 17/03/1998, Crotone.

[15] Tar Napoli, Sez. I°, 18 novembre 2002 n. 7203.

[16] Tar Catania, sent. n. 3696/2010.

[17] Cons. Stato, Sez. V° - sent. 11 agosto 2010 n. 5636.

[18] Comm. Trib. Prov., sent. n. 252/01/12 del 30/03/2012.