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La durata del tirocinio per l’accesso alle professioni: una norma chiara vanificata da discutibili e formalistiche interpretazioni

La norma contenuta nel decreto “liberalizzazioni” relativa alla fissazione dei termini massimi di durata del tirocinio per l’accesso alle professioni, a dispetto dell’apparente chiarezza nella sua formulazione, sta determinando grandissima incertezza interpretativa a danno soprattutto dei giovani laureati che si preparano a sostenere l’esame di abilitazione all’esercizio della professione.

Dispone l’art. 9, comma 6, del D. L. 1/2012, convertito con modificazioni in Legge 27/2012 “La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi; per i primi sei mesi, il tirocinio può essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle professioni sanitarie, per le quali resta confermata la normativa vigente”.

Emblematico il caso della pratica forense.

Alcuni Consigli degli Ordini degli avvocati hanno preso da subito una chiara e condivisibile posizione.

Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza con delibera del 3 maggio 2012 ha disposto “con effetto immediato, che la durata del tirocinio ai fini del rilascio del certificato di compiuta pratica sia di 18 mesi, in luogo dei 24 sino ad oggi previsti”.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze con delibera del 9 maggio 2012 ha deciso “di ritenere applicabile a tutti i praticanti, anche a quelli iscritti antecedentemente alla data del 24.1.2012, la durata di diciotto mesi del tirocinio e conseguentemente ritenere applicabile, al momento del rilascio del certificato di compiuta pratica, il DL n. 1/2012”.

Sennonché il 14 maggio il Ministro della Giustizia ha trasmesso al Presidente del Consiglio Nazionale Forense un parere dell’Ufficio Legislativo del Ministero, datato 18 aprile 2012, di opposto avviso.

Già discutibile di per sé il fatto che sia stato necessario un mese per trasmettere un parere, ignorando che ci sono migliaia di giovani laureati che vivono nell’incertezza di sapere come comportarsi e che avevano accolto con grande entusiasmo un provvedimento che offriva, in una situazione generale difficilissima, almeno quel barlume di speranza offerto da uno “sconto” di sei mesi su un percorso formativo notoriamente lungo e in salita.

E invece nulla; neanche la speranza.

Sostiene l’Ufficio Legislativo che “non vi sono margini interpretativi per ritenere che le nuove disposizioni sulla durata del tirocinio possano essere applicate retroattivamente”.

L’Ufficio giunge a tali conclusioni sulla base delle seguenti discutibili argomentazioni:

a) Mancano norme transitorie

b) Secondo l’art. 11 delle preleggi, la legge non ha efficacia retroattiva;

c) La concreta organizzazione del tirocinio viene normalmente pianificata in funzione della sua durata complessiva e pertanto l’applicazione delle nuove disposizioni ai tirocini iniziati anteriormente stravolgerebbe(!) i piani di tirocinio.

L’Ufficio si premura di chiarire che la modifica introdotta in sede di conversione in legge del decreto, che ha sostituito il verbo “potrà” con “può”, è una modifica di “mero drafting” e che “l’uso del tempo presente in luogo di quello futuro non può essere interpretato come espressione della mutata volontà del legislatore di applicare le nuove disposizioni anche ai tirocini in corso”.

Francamente il parere dell’Ufficio Legislativo non convince.

In primo luogo, per richiamare le preleggi come fatto dall’Ufficio, va ricordato che l’art. 12 fissa le regole di interpretazione.

L’interpretazione letterale non offre dubbi: “la durata del tirocinio…non può essere superiore a diciotto mesi”.

“Non può”, dice la norma, da oggi, per i tirocini senza distinzioni fra quelli in essere e quelli da avviare.

Ma ancora più chiara appare essere la volontà del legislatore.

Va ricordato che la disposizione in esame è stata introdotta con decreto legge in virtù “della straordinaria necessità ed urgenza” di intervenire, come prevede l’art. 77 della Costituzione.

E il Governo nel rispetto dell’art. 77 della Costituzione dichiara “Ritenuta la straordinarietà ed urgenza di emanare disposizioni per favorire la crescita economica e la competitività del Paese, al fine di allinearla a quella dei maggiori partners europei ed internazionali, anche attraverso l’introduzione di misure volte alla modernizzazione ed allo sviluppo delle infrastrutture nazionali, all’implementazione della concorrenza dei mercati, nonché alla facilitazione dell’accesso dei giovani nel mondo dell’impresa”.

Se la chiara volontà del legislatore è quella di favorire l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, quale elemento che caratterizza la straordinarietà e l’urgenza dell’intervento normativo, appare evidente che l’intenzione era quella di estendere a tutti i giovani, subito, la riduzione del periodo di preparazione all’accesso alla professione.

Come palesemente ha sottolineato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze “una interpretazione restrittiva della norma, rappresenterebbe dei profili di dubbia costituzionalità sotto il profilo della disparità di trattamento perché si vengono a determinare casi di praticanti iscritti dopo il 24.1.2012 che riuscirebbero a sostenere l’esame di avvocato con un anno di anticipo rispetto a chi invece si è iscritto, anche solo di pochi giorni, prima di tale data, provocando quindi una discriminazione per l’acquisizione del titolo e conseguentemente per l’entrata nel mondo del lavoro”.

Ed inoltre “la mancanza di una norma transitoria che disciplini i casi di quei praticanti già iscritti alla data del 24.1.2012 ma che completino la pratica in data successiva e la scelta legislativa della decretazione in via d’urgenza, depongono per una applicazione immediata della legge a tutti i tirocini in corso”.

L’eccesso di formalismo ravvisabile nel parere dell’Ufficio Legislativo del Ministero stride fortemente con l’intenzione del legislatore e mal si concilia con lo stesso tenore letterale della norma.

L’Ufficio parla di “drafting normativo volto ad eliminare ogni dubbio circa l’efficacia precettiva della norma” e poi giunge ad una interpretazione che ne limita fortemente ed ingiustificatamente la portata innovativa e di immediata applicazione propria del decreto legge.

È auspicabile dunque un ripensamento; è auspicabile che prevalga nel Consiglio Nazionale Forense l’autonomia di giudizio nel disciplinare la materia che riguarda il futuro di migliaia di persone.

È auspicabile che il Governo faccia chiarezza definitiva su un provvedimento normativo annunciato per facilitare il percorso di inserimento nel mondo dl lavoro e che invece rischia ancora una volta di vanificare anche la semplice speranza di ridurre il percorso temporale, per interpretazioni formalistiche e discutibile di una norma di legge.

La norma contenuta nel decreto “liberalizzazioni” relativa alla fissazione dei termini massimi di durata del tirocinio per l’accesso alle professioni, a dispetto dell’apparente chiarezza nella sua formulazione, sta determinando grandissima incertezza interpretativa a danno soprattutto dei giovani laureati che si preparano a sostenere l’esame di abilitazione all’esercizio della professione.

Dispone l’art. 9, comma 6, del D. L. 1/2012, convertito con modificazioni in Legge 27/2012 “La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi; per i primi sei mesi, il tirocinio può essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle professioni sanitarie, per le quali resta confermata la normativa vigente”.

Emblematico il caso della pratica forense.

Alcuni Consigli degli Ordini degli avvocati hanno preso da subito una chiara e condivisibile posizione.

Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza con delibera del 3 maggio 2012 ha disposto “con effetto immediato, che la durata del tirocinio ai fini del rilascio del certificato di compiuta pratica sia di 18 mesi, in luogo dei 24 sino ad oggi previsti”.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze con delibera del 9 maggio 2012 ha deciso “di ritenere applicabile a tutti i praticanti, anche a quelli iscritti antecedentemente alla data del 24.1.2012, la durata di diciotto mesi del tirocinio e conseguentemente ritenere applicabile, al momento del rilascio del certificato di compiuta pratica, il DL n. 1/2012”.

Sennonché il 14 maggio il Ministro della Giustizia ha trasmesso al Presidente del Consiglio Nazionale Forense un parere dell’Ufficio Legislativo del Ministero, datato 18 aprile 2012, di opposto avviso.

Già discutibile di per sé il fatto che sia stato necessario un mese per trasmettere un parere, ignorando che ci sono migliaia di giovani laureati che vivono nell’incertezza di sapere come comportarsi e che avevano accolto con grande entusiasmo un provvedimento che offriva, in una situazione generale difficilissima, almeno quel barlume di speranza offerto da uno “sconto” di sei mesi su un percorso formativo notoriamente lungo e in salita.

E invece nulla; neanche la speranza.

Sostiene l’Ufficio Legislativo che “non vi sono margini interpretativi per ritenere che le nuove disposizioni sulla durata del tirocinio possano essere applicate retroattivamente”.

L’Ufficio giunge a tali conclusioni sulla base delle seguenti discutibili argomentazioni:

a) Mancano norme transitorie

b) Secondo l’art. 11 delle preleggi, la legge non ha efficacia retroattiva;

c) La concreta organizzazione del tirocinio viene normalmente pianificata in funzione della sua durata complessiva e pertanto l’applicazione delle nuove disposizioni ai tirocini iniziati anteriormente stravolgerebbe(!) i piani di tirocinio.

L’Ufficio si premura di chiarire che la modifica introdotta in sede di conversione in legge del decreto, che ha sostituito il verbo “potrà” con “può”, è una modifica di “mero drafting” e che “l’uso del tempo presente in luogo di quello futuro non può essere interpretato come espressione della mutata volontà del legislatore di applicare le nuove disposizioni anche ai tirocini in corso”.

Francamente il parere dell’Ufficio Legislativo non convince.

In primo luogo, per richiamare le preleggi come fatto dall’Ufficio, va ricordato che l’art. 12 fissa le regole di interpretazione.

L’interpretazione letterale non offre dubbi: “la durata del tirocinio…non può essere superiore a diciotto mesi”.

“Non può”, dice la norma, da oggi, per i tirocini senza distinzioni fra quelli in essere e quelli da avviare.

Ma ancora più chiara appare essere la volontà del legislatore.

Va ricordato che la disposizione in esame è stata introdotta con decreto legge in virtù “della straordinaria necessità ed urgenza” di intervenire, come prevede l’art. 77 della Costituzione.

E il Governo nel rispetto dell’art. 77 della Costituzione dichiara “Ritenuta la straordinarietà ed urgenza di emanare disposizioni per favorire la crescita economica e la competitività del Paese, al fine di allinearla a quella dei maggiori partners europei ed internazionali, anche attraverso l’introduzione di misure volte alla modernizzazione ed allo sviluppo delle infrastrutture nazionali, all’implementazione della concorrenza dei mercati, nonché alla facilitazione dell’accesso dei giovani nel mondo dell’impresa”.

Se la chiara volontà del legislatore è quella di favorire l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, quale elemento che caratterizza la straordinarietà e l’urgenza dell’intervento normativo, appare evidente che l’intenzione era quella di estendere a tutti i giovani, subito, la riduzione del periodo di preparazione all’accesso alla professione.

Come palesemente ha sottolineato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze “una interpretazione restrittiva della norma, rappresenterebbe dei profili di dubbia costituzionalità sotto il profilo della disparità di trattamento perché si vengono a determinare casi di praticanti iscritti dopo il 24.1.2012 che riuscirebbero a sostenere l’esame di avvocato con un anno di anticipo rispetto a chi invece si è iscritto, anche solo di pochi giorni, prima di tale data, provocando quindi una discriminazione per l’acquisizione del titolo e conseguentemente per l’entrata nel mondo del lavoro”.

Ed inoltre “la mancanza di una norma transitoria che disciplini i casi di quei praticanti già iscritti alla data del 24.1.2012 ma che completino la pratica in data successiva e la scelta legislativa della decretazione in via d’urgenza, depongono per una applicazione immediata della legge a tutti i tirocini in corso”.

L’eccesso di formalismo ravvisabile nel parere dell’Ufficio Legislativo del Ministero stride fortemente con l’intenzione del legislatore e mal si concilia con lo stesso tenore letterale della norma.

L’Ufficio parla di “drafting normativo volto ad eliminare ogni dubbio circa l’efficacia precettiva della norma” e poi giunge ad una interpretazione che ne limita fortemente ed ingiustificatamente la portata innovativa e di immediata applicazione propria del decreto legge.

È auspicabile dunque un ripensamento; è auspicabile che prevalga nel Consiglio Nazionale Forense l’autonomia di giudizio nel disciplinare la materia che riguarda il futuro di migliaia di persone.

È auspicabile che il Governo faccia chiarezza definitiva su un provvedimento normativo annunciato per facilitare il percorso di inserimento nel mondo dl lavoro e che invece rischia ancora una volta di vanificare anche la semplice speranza di ridurre il percorso temporale, per interpretazioni formalistiche e discutibile di una norma di legge.