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Il reato di diffamazione a mezzo internet

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 14 dicembre 2011, n. 46504

La sentenza in argomento, pur non rappresentando un elemento di novità nel panorama nomofilattico, presenta tuttavia una evidente rilevanza scientifica in quanto conferma come il delitto di diffamazione sia configurabile anche on line.

In effetti, il “reato di diffamazione (art. 595 c.p.) è annoverabile tra gli illeciti che con maggiore frequenza sono commessi su internet e sottoposti al vaglio dei giudici di merito e di quelli della Suprema Corte” [1] atteso che, com’è noto, la rete internet può “fungere da mezzo od oggetto per la commissione di fattispecie tradizionali di reato, le quali, in considerazione delle particolari caratteristiche delle tecnologie informatiche e telematiche, pongono problemi del tutto nuovi e di difficile soluzione” [2].

Infatti, la Suprema Corte di Cassazione, sez. V, già con la sentenza n. 4741 del 27/12/00 ha avuto modo di affermare che l’ “utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta "erga omnes", pertanto integra il reato di diffamazione aggravata”.

La Corte ha rilevato sempre in quell’occasione che "il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione la esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici (si veda, ad esempio, l’art. 623-bis c.p. in tema di reati contro la inviolabilità dei segreti), non ha ritenuto di dover mutare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati (e, tra questi, certamente quelli contro l’onore), la cui condotta consiste nella (o presuppone la) comunicazione dell’agente con terze persone”.

“E, tuttavia”, proseguono i Giudici di legittimità, il fatto “che i reati previsti dagli artt. 594 e 595 c.p. possano essere commessi anche per via telematica o informatica, è addirittura intuitivo; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica de delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)" [3].

Tale approdo motivazionale, per di più, è stato confermato in numerose pronunce con cui è stato affermato in eguale misura che la “diffamazione tramite internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità” dato che “essendo internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall’art. 21 cost., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni e i limiti dei diritti di cronaca e di critica” [4].

“In particolare si ritiene che l’abuso del diritto di cronaca può concretarsi anche tramite diffusione di messaggi via Internet, poiché il mezzo di diffusione non modifica l’essenza del fatto - valutabile alla stregua dei suindicati criteri che governano il libero e lecito esercizio del diritto di cronaca” [5].

Ebbene gli Ermellini hanno ribadito nella sentenza in commento tale filone interpretativo affermando come i siti telematici siano “soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti prevista dalla legge penale”.

Ragionare in diverso modo, infatti, a detta dei Giudici di “Piazza Cavour”, comporterebbe l’inaccettabile creazione di una sorta di zona franca che renderebbe immune dalla giurisdizione penale il fenomeno del web [6] fermo restando che comunque “la libertà di informazione in Internet pacificamente rientra sia nella tutela accordata dall’art. 21 della Costituzione, sia nella tutela accordata dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo” [7].

Peraltro “poiché è certamente possibile, attraverso i normali strumenti di dotazione di un qualsiasi personal computer, procedere alla stampa della "pagina web", il giornale telematico sembrerebbe quasi costituire un tertium genus tra la stampa e, appunto, gli altri mezzi di pubblicità” dato che chiunque “può riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque - nei limiti dell’esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza) - può "produrre" critica e cronaca” [8].

Di talchè ne consegue che “la diffusività, la pubblicità e la incontrollabilità di un sito Internet, nel quale sono inseriti immagini denigratorie, frasi ingiuriose o, come nella specie, dati personali associati a immagini offensive per la natura erotica e vulneranti il proprio patrimonio ideale costituito dal diritto alla salvaguardia della dignità, onorabilità, riservatezza, è pienamente corrispondente - costituendone la misura estrema e parossistica - agli altri mezzi di pubblicità che, con formula onnicomprensiva e lungimirante, contempla il codice” [9].

Ciò posto, vi sono tuttavia diversi profili di criticità sottesi all’applicazione della norma incriminatrice prevista dall’art. 595 c.p. in relazione al tema in argomento.

Tra questi un primo problema da esaminare è quello di stabilire se una pubblicazione di questo tipo sia equiparabile a quella cartacea.

Orbene, sul punto, la Cassazione ha escluso che possa configurarsi una equiparazione giacchè ai “fini della configurabilità di una fattispecie criminosa come reato commesso con il mezzo della stampa, le definizioni che di stampa e stampati fornisce l’art. 1, l. n. 47 del 1948 non sono suscettibili d’interpretazione analogica e/o estensiva” [10].

La dottrina, o almeno parte di essa, conferma tale valutazione giuridica sulla scorta di una interpretazione etimologica delle norme che disciplinano il settore dei mass media.

Infatti, da un lato, l’art. 1, l. n. 47 del 1948 fa riferimento alle sole riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici e quindi è “evidente l’incompatibilità della suddetta definizione con le modalità di diffusione delle pubblicazioni a mezzo internet, che avvengono attraverso la collocazione di dati ed informazioni trasmessi per via telematica, tramite l’utilizzo della rete telefonica, al server di un cosiddetto provider o webmaster, accessibile a migliaia di utenti contemporaneamente, presso il quale le informazioni restano a disposizione nei diversi siti in modo tale che ciascun interessato può leggerle e conservarle mediante il proprio computer” [11]; dall’altro, l’art. 30, comma 4, l. n. 223 del 1990 rende “applicabile il regime sanzionatorio previsto dall’art. 13, l. n. 47 del 1948 ai concessionari pubblici e privati e loro delegati, e dunque ad una serie di soggetti ben determinati e specificati, per i reati di diffamazione commessi attraverso «trasmissioni», espressione non meglio precisata, ma evidentemente riferita alle sole trasmissioni televisive e radiofoniche” [12].

Da ciò consegue come non dovrebbe essere applicabile al direttore di una testata giornalistica on line e del suo editore né l’art. 57 né l’art. 57 bis c.p..

Ad analoghe valutazioni si dovrebbe pervenire anche per quanto concerne l’internet provider in quanto una responsabilità omissiva a carico di questo gestore “rischierebbe non solo di contrastare con il principio di stretta legalità, ma anche con la direttiva 2000/31/CE, attuata dal d.lgs. n. 70 del 2003 che, all’art. 16, stabilisce testualmente: nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita; b) non appena a conoscenza di tali atti, su comunicazione delle autorità competenti agisca egli stesso per rimuovere le informazioni o disabilitarne l’accesso” [13].

D’altronde non sussiste “per gli internet provider, una norma equivalente all’art. 57 del codice penale, che recente giurisprudenza di merito ha anche esteso, sempre per il reato di diffamazione, al direttore responsabile della testata telematica” [14].

Tuttavia, un altro orientamento scientifico perviene ad una conclusione simmetricamente opposta.

Infatti, partendo dal presupposto secondo cui “ai sensi dell’art. 1, comma 1, della l. n. 62/2001, per "prodotto editoriale (...) si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico"” e “ai sensi dell’art. 1, comma 3, al "prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47” una certa letteratura scientifica perviene non solo alla conclusione secondo cui “le testate telematiche sono soggette all’obbligo di registrazione” e “i giornali on-line devono essere indicati il luogo e la data di pubblicazione, il nome del proprietario e del direttore responsabile (il quale deve essere iscritto negli elenchi dell’Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti)” [15] ma giunge altresì, come ulteriore conseguenza, alla considerazione per la quale “anche ad Internet dovrebbero dunque applicarsi le suindicate norme” [16].

In effetti alcune pronunce di merito sembrano avallare tale ipotesi ermeneutica e segnatamente:

a) la sentenza n. 529 emessa dal Tribunale di Lecce in data 16/05/07 secondo la quale: colui “che gestisce un sito internet (nella specie blog) risponde del reato di diffamazione aggravata, ex art. 595 c.p., unitamente all’autore materiale del testo, a seguito della pubblicazione di scritti sul sito stesso, se il gestore avendo un controllo preventivo sul materiale da pubblicare, non si è preoccupato di controllare la fonte dello stesso o la veridicità di quanto in esso descritto”;

b) la decisione n. 553 adottata dal Tribunale di Aosta il giorno 26/05/06 secondo cui: la “posizione del gestore di un "blog" è identica a quella di un direttore responsabile di una testata giornalistica stampata; ne consegue che il primo risponde ex art. 596 bis c.p. degli interventi diffamanti pubblicati sul sito internet posto che ha il totale controllo di quanto viene inserito e, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli offensivi”.

Tuttavia tra le due opzioni interpretative la prima sembra essere preferibile in quanto più consona ai dettami della nostra Costituzione.

Infatti, tra le norme su indicate, l’art. 57 c.p., così come è stato formulato dal legislatore, mal si presta, salvo voler procedere ad un’interpretazione analogica di questa norma, ad essere applicata pure per il direttore o vice-direttore di un periodico on line.

In effetti, a sostegno di questo assunto, militano, tra le tante, le seguenti considerazioni [17]:

1) l’ “art. 57 c.p., nell’attuale formulazione introdotta con la l. n. 127 del 1958, sancisce una responsabilità per fatto proprio di natura omissiva ed a titolo di colpa del direttore o del vice-direttore responsabile di un periodico o di una testata giornalistica nel caso in cui venga commesso un reato col mezzo della stampa” [18];

2) si tratta di un reato proprio o a «soggettività ristretta», dal momento che il soggetto agente può essere esclusivamente il direttore o il vice-direttore di un periodico [19];

3) né tale “distinguo” può reputarsi venuto meno in seguito all’entrata in vigore della legge n. 62 del 2001 posto che in quell’occasione “l’intenzione del legislatore non è stata quella di voler equiparare indistintamente tutti i siti Internet alla stampa” [20].

Nonostante tale vuoto legislativo, il direttore di una testata on line o anche un semplice blogger potrà comunque rispondere del delitto di diffamazione a titolo concorsuale giacchè “anche un blog, così come un Provider, può pertanto porre in essere un contributo oggettivo di partecipazione penalmente rilevante, avente natura causale o comunque agevolatrice, rispetto alla commissione con tale mezzo di fatti illeciti da parte di soggetti terzi” [21].

A conferma della “bontà” di tale approdo scientifico si segnala (argomentando a contrario) la sentenza n. 35511 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. V, in data 16/07/10 con cui gli Ermellini hanno stabilito che tranne “per l’ipotesi di concorso, è da escludere qualsiasi tipo di responsabilità penale ex art. 57 c.p. per i coordinatori dei “blog” e dei "forum" su Internet”.

Sulla stessa linea argomentativa può reputarsi sussistente la responsabilità per omissione del gestore di un motore di ricerca “ove al provider si imputi una condotta di partecipazione a livello attivo e con un dolo particolarmente carico” [22].

Invece, per quanto concerne la problematica inerente la consumazione del reato in esame, da un lato la Cassazione ha presunto “la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti” [23], dall’altro, però, sempre i Giudici di legittimità hanno richiesto, affinchè il reato possa stimarsi consumato, che i terzi percepiscano “l’espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato" [24].

Peraltro il “reato di diffamazione consistente nell’immissione nella rete Internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie, deve ritenersi commesso nel luogo in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete, pur quando il sito "web" sia registrato all’estero” [25].

La Cassazione, dunque, oltre a chiarire quando e come un reato di questo tipo possa reputarsi perfezionato, pone all’attenzione del lettore un ulteriore profilo critico riguardante il tempus commissi delicti.

Infatti, è “di tutta evidenza come la caratterizzazione in chiave «transnazionale» delle comunicazioni telematiche sia idonea a rendere estremamente complessa l’individuazione del locus commissi delicti, o, rectius, del luogo in cui deve considerarsi consumato il delitto commesso a mezzo internet” [26].

Del resto, se da “un esame dello stretto diritto positivo, ed in particolare della disciplina di cui agli art. 3, 6, 9 e 10 c.p., è evidente che nessuna difficoltà insorge in ipotesi di reato commesso agendo dall’Italia in collegamento con un server parimenti installato in Italia, essendo il fatto interamente commesso nel territorio italiano e, conseguentemente, punibile alla stregua del principio generale di territorialità” [27] così come alla stessa considerazione si deve pervenire nel caso in cui “l’agente opera in e dall’Italia su un server installato all’estero sussiste la giurisdizione italiana ex art. 6, comma 2, c.p., alla stregua del quale il reato si considera commesso in Italia” [28] mentre diversa è la situazione qualora “l’agente opera all’estero, e all’estero è pure collocato il server al quale egli accede, ove si rifletta che il messaggio è ricevuto, oltre che nel resto del mondo, anche in Italia” [29].

Ebbene, per quest’ultima ipotesi, vi è un orientamento scientifico “incline a considerare la diffamazione un reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento esterno all’agente, sebbene collegato al comportamento di costui, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius, dei terzi) dell’espressione offensiva; la percezione, conseguentemente, non è un elemento costitutivo della condotta, non essendo in alcun modo ascrivibile all’agente, pur se si configura come una conseguenza del suo operato” [30].

Dal canto suo la Cassazione ha confermato tale costrutto teorico affermando che il “reato di diffamazione è configurabile anche quando la condotta dell’agente consista nella immissione di scritti o immagini lesivi dell’altrui reputazione nel sistema "internet", sussistendo, anzi, in tal caso, anche la circostanza aggravante di cui all’art. 595 comma 3 c.p. [31].

In detta ipotesi, infatti, secondo quanto esposto in sede di legittimità, qualora l’immissione sia avvenuta all’estero, trova applicazione, ai fini della perseguibilità del reato in Italia, la regola dettata dall’art. 6 comma 2 c.p., dovendosi intendere come "evento" del reato “la percezione del messaggio diffamatorio nel territorio nazionale da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema "internet", nulla rilevando che tra costoro vi sia o possa esservi lo stesso soggetto diffamato” [32].

Sicchè ne consegue, a rigor di logica ancor prima che giuridica, come possa sostenersi “l’applicabilità della legge italiana, invocando l’art. 6 c.p., poiché la teoria dell’ubiquità consente al giudice italiano di conoscere del fatto-reato tanto nel caso in cui sul territorio nazionale si sia verificata in tutto, ma anche in parte, l’azione o l’omissione, tanto in quello in cui su di esso si sia verificato l’evento: dunque, nel caso di iter criminis iniziato all’estero e conclusosi (con l’evento) nel nostro Paese, sussisterebbe la potestà punitiva dello Stato italiano” [33].

Infine, tornando a trattare la sentenza in commento [34], da tale pronuncia emerge come si possa procedere al sequestro preventivo dei siti internet laddove venga diffuso materiale diffamatorio.

Invero il Supremo Consesso ha reputato in quell’occasione legittimo il sequestro preventivo disposto nei confronti di un sito elettronico “in quanto unico mezzo idoneo per scongiurare la reiterazione del reato”.

Per giunta - già in una precedente occasione - la Cassazione ha apprezzato ammissibile il sequestro preventivo per combattere la diffamazione sul web giacchè la “misura cautelare reale, che si concretizza nell’oscuramento del sito internet che ospita l’attacco denigratorio, è disposta infatti dal giudice per evitare l’aggravarsi delle conseguenze del reato di cui all’art. 595 del codice penale” [35].

Infine lo scrivente non può che associarsi all’opinione di coloro che reputano necessario un intervento del legislatore in subiecta materia.

A tal proposito corre l’obbligo di ricordare il d.d.l. n. 7292 (Anedda, Selva e altri), presentato il 13 settembre 2000 alla Camera, con il quale si sarebbe potuto introdurre nel codice penale un nuovo art. 596 bis che avrebbe espressamente e specificamente punito la diffamazione a mezzo internet e avrebbe esteso al«le trasmissioni informatiche o telematiche» l’operatività degli art. 57 e 57 bis c.p..

Questa proposta de iure condendo, infatti, consentirebbe una ricostruzione della normativa in esame più coerente e lineare evitando un’applicazione analogica delle norme penali appena richiamate nonché colmando una palese lacuna legislativa.

[1] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[2] Ibidem;

[3] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[4] Cass. pen., sez. V, 1/07/08, n. 31392, Guida al dir. 2008, 40, 87 (s.m.), Dir. Informatica 2008, 6, 808);

[5] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[6] Cass. pen., sez. V, 19/09/11, n. 46504;

[7] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[8] Cass. pen., sez. V, 1/07/08, n. 31392, Guida al dir. 2008, 40, 87 (s.m.), Dir. Informatica 2008, 6, 808.

[9] Trib. Oristano, 25 maggio 2000, in For. It., 2000, c. 664.

[10]Tra le tante: Cass., 3 febbraio 1989, n. 259, in Giust. pen., 1990, 2, 1974);

[11] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[12] Ibidem;

[13] Adelmo Mamma, “La prima affermazione, a livello giurisprudenziale, della responsabilità penale dell’ internet provider: spunti di riflessione tra diritto e tecnica”, Giur. Cost., 2010, 2, 1856;

[14] Cfr. Trib. Firenze, 13 febbraio 2009, giudice Limongi, A.C., in Dir. inf. 2009, 911 ss.;

[15] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[16] Ibidem;

[17] Tratte da: “I presupposti della responsabilità penale del blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito” di Ivan Salvadori, Giur. Merito 2007, 4, 1069;

[18] Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, 3ª ed. rinn. e ampl., Milano, 2004, sub art. 57 c.p., 616 ss.; Musco, voce Stampa (dir. pen.), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 638 ss.; Mambriani, sub art. 57 c.p., in Dolcini-Marinucci (cur.), Codice penale commentato, 2ª ed., Milano, 2006, 728 ss.; Magnanensi, I reati commessi con il mezzo della stampa, in Dig. disc. pen., 1993, 176;

[19] Nuvolone, I reati di stampa, Milano, 1951, 188 ss.; Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 83 ss.);

[20] Ivan Salvadori, “I presupposti della responsabilità penale del blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito”, Giur. Merito 2007, 4, 1069;

[21] Ibidem;

[22] (Adelmo Manna, “La prima affermazione, a livello giurisprudenziale, della responsabilità penale dell’ internet provider: spunti di riflessione tra diritto e tecnica”, Giur. Cost., 2010, 2, 1856);

[23] Cass. pen., sez. V, 4/04/08, n. 16262;

[24] Cass. 5^, 21 giugno - 25 luglio 2006 n. 25875, Cicino ed altro, RV 234528, e, in precedenza, nello stesso senso, Cass. 5^, 17 novembre - 27 dicembre 2000 n. 4741, PM in proc. c. ignoti, RV 217745;

[25] Cass. pen., sez. II, 21/02/08, n. 36721;

[26] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[27] Ibidem;

[28] Ibidem;

[29] Ibidem;

[30] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[31] Cass. pen., sez. V, 17/11/00, n. 4741;

[32] Ibidem;

[33] Ibidem;

[34] Ovvero la decisione n. 46504 del 2011;

[35] Cass. pen., sez. V, 15/01/08, n. 17401.

La sentenza in argomento, pur non rappresentando un elemento di novità nel panorama nomofilattico, presenta tuttavia una evidente rilevanza scientifica in quanto conferma come il delitto di diffamazione sia configurabile anche on line.

In effetti, il “reato di diffamazione (art. 595 c.p.) è annoverabile tra gli illeciti che con maggiore frequenza sono commessi su internet e sottoposti al vaglio dei giudici di merito e di quelli della Suprema Corte” [1] atteso che, com’è noto, la rete internet può “fungere da mezzo od oggetto per la commissione di fattispecie tradizionali di reato, le quali, in considerazione delle particolari caratteristiche delle tecnologie informatiche e telematiche, pongono problemi del tutto nuovi e di difficile soluzione” [2].

Infatti, la Suprema Corte di Cassazione, sez. V, già con la sentenza n. 4741 del 27/12/00 ha avuto modo di affermare che l’ “utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta "erga omnes", pertanto integra il reato di diffamazione aggravata”.

La Corte ha rilevato sempre in quell’occasione che "il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione la esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici (si veda, ad esempio, l’art. 623-bis c.p. in tema di reati contro la inviolabilità dei segreti), non ha ritenuto di dover mutare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati (e, tra questi, certamente quelli contro l’onore), la cui condotta consiste nella (o presuppone la) comunicazione dell’agente con terze persone”.

“E, tuttavia”, proseguono i Giudici di legittimità, il fatto “che i reati previsti dagli artt. 594 e 595 c.p. possano essere commessi anche per via telematica o informatica, è addirittura intuitivo; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica de delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)" [3].

Tale approdo motivazionale, per di più, è stato confermato in numerose pronunce con cui è stato affermato in eguale misura che la “diffamazione tramite internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità” dato che “essendo internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall’art. 21 cost., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni e i limiti dei diritti di cronaca e di critica” [4].

“In particolare si ritiene che l’abuso del diritto di cronaca può concretarsi anche tramite diffusione di messaggi via Internet, poiché il mezzo di diffusione non modifica l’essenza del fatto - valutabile alla stregua dei suindicati criteri che governano il libero e lecito esercizio del diritto di cronaca” [5].

Ebbene gli Ermellini hanno ribadito nella sentenza in commento tale filone interpretativo affermando come i siti telematici siano “soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti prevista dalla legge penale”.

Ragionare in diverso modo, infatti, a detta dei Giudici di “Piazza Cavour”, comporterebbe l’inaccettabile creazione di una sorta di zona franca che renderebbe immune dalla giurisdizione penale il fenomeno del web [6] fermo restando che comunque “la libertà di informazione in Internet pacificamente rientra sia nella tutela accordata dall’art. 21 della Costituzione, sia nella tutela accordata dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo” [7].

Peraltro “poiché è certamente possibile, attraverso i normali strumenti di dotazione di un qualsiasi personal computer, procedere alla stampa della "pagina web", il giornale telematico sembrerebbe quasi costituire un tertium genus tra la stampa e, appunto, gli altri mezzi di pubblicità” dato che chiunque “può riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque - nei limiti dell’esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza) - può "produrre" critica e cronaca” [8].

Di talchè ne consegue che “la diffusività, la pubblicità e la incontrollabilità di un sito Internet, nel quale sono inseriti immagini denigratorie, frasi ingiuriose o, come nella specie, dati personali associati a immagini offensive per la natura erotica e vulneranti il proprio patrimonio ideale costituito dal diritto alla salvaguardia della dignità, onorabilità, riservatezza, è pienamente corrispondente - costituendone la misura estrema e parossistica - agli altri mezzi di pubblicità che, con formula onnicomprensiva e lungimirante, contempla il codice” [9].

Ciò posto, vi sono tuttavia diversi profili di criticità sottesi all’applicazione della norma incriminatrice prevista dall’art. 595 c.p. in relazione al tema in argomento.

Tra questi un primo problema da esaminare è quello di stabilire se una pubblicazione di questo tipo sia equiparabile a quella cartacea.

Orbene, sul punto, la Cassazione ha escluso che possa configurarsi una equiparazione giacchè ai “fini della configurabilità di una fattispecie criminosa come reato commesso con il mezzo della stampa, le definizioni che di stampa e stampati fornisce l’art. 1, l. n. 47 del 1948 non sono suscettibili d’interpretazione analogica e/o estensiva” [10].

La dottrina, o almeno parte di essa, conferma tale valutazione giuridica sulla scorta di una interpretazione etimologica delle norme che disciplinano il settore dei mass media.

Infatti, da un lato, l’art. 1, l. n. 47 del 1948 fa riferimento alle sole riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici e quindi è “evidente l’incompatibilità della suddetta definizione con le modalità di diffusione delle pubblicazioni a mezzo internet, che avvengono attraverso la collocazione di dati ed informazioni trasmessi per via telematica, tramite l’utilizzo della rete telefonica, al server di un cosiddetto provider o webmaster, accessibile a migliaia di utenti contemporaneamente, presso il quale le informazioni restano a disposizione nei diversi siti in modo tale che ciascun interessato può leggerle e conservarle mediante il proprio computer” [11]; dall’altro, l’art. 30, comma 4, l. n. 223 del 1990 rende “applicabile il regime sanzionatorio previsto dall’art. 13, l. n. 47 del 1948 ai concessionari pubblici e privati e loro delegati, e dunque ad una serie di soggetti ben determinati e specificati, per i reati di diffamazione commessi attraverso «trasmissioni», espressione non meglio precisata, ma evidentemente riferita alle sole trasmissioni televisive e radiofoniche” [12].

Da ciò consegue come non dovrebbe essere applicabile al direttore di una testata giornalistica on line e del suo editore né l’art. 57 né l’art. 57 bis c.p..

Ad analoghe valutazioni si dovrebbe pervenire anche per quanto concerne l’internet provider in quanto una responsabilità omissiva a carico di questo gestore “rischierebbe non solo di contrastare con il principio di stretta legalità, ma anche con la direttiva 2000/31/CE, attuata dal d.lgs. n. 70 del 2003 che, all’art. 16, stabilisce testualmente: nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita; b) non appena a conoscenza di tali atti, su comunicazione delle autorità competenti agisca egli stesso per rimuovere le informazioni o disabilitarne l’accesso” [13].

D’altronde non sussiste “per gli internet provider, una norma equivalente all’art. 57 del codice penale, che recente giurisprudenza di merito ha anche esteso, sempre per il reato di diffamazione, al direttore responsabile della testata telematica” [14].

Tuttavia, un altro orientamento scientifico perviene ad una conclusione simmetricamente opposta.

Infatti, partendo dal presupposto secondo cui “ai sensi dell’art. 1, comma 1, della l. n. 62/2001, per "prodotto editoriale (...) si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico"” e “ai sensi dell’art. 1, comma 3, al "prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47” una certa letteratura scientifica perviene non solo alla conclusione secondo cui “le testate telematiche sono soggette all’obbligo di registrazione” e “i giornali on-line devono essere indicati il luogo e la data di pubblicazione, il nome del proprietario e del direttore responsabile (il quale deve essere iscritto negli elenchi dell’Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti)” [15] ma giunge altresì, come ulteriore conseguenza, alla considerazione per la quale “anche ad Internet dovrebbero dunque applicarsi le suindicate norme” [16].

In effetti alcune pronunce di merito sembrano avallare tale ipotesi ermeneutica e segnatamente:

a) la sentenza n. 529 emessa dal Tribunale di Lecce in data 16/05/07 secondo la quale: colui “che gestisce un sito internet (nella specie blog) risponde del reato di diffamazione aggravata, ex art. 595 c.p., unitamente all’autore materiale del testo, a seguito della pubblicazione di scritti sul sito stesso, se il gestore avendo un controllo preventivo sul materiale da pubblicare, non si è preoccupato di controllare la fonte dello stesso o la veridicità di quanto in esso descritto”;

b) la decisione n. 553 adottata dal Tribunale di Aosta il giorno 26/05/06 secondo cui: la “posizione del gestore di un "blog" è identica a quella di un direttore responsabile di una testata giornalistica stampata; ne consegue che il primo risponde ex art. 596 bis c.p. degli interventi diffamanti pubblicati sul sito internet posto che ha il totale controllo di quanto viene inserito e, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli offensivi”.

Tuttavia tra le due opzioni interpretative la prima sembra essere preferibile in quanto più consona ai dettami della nostra Costituzione.

Infatti, tra le norme su indicate, l’art. 57 c.p., così come è stato formulato dal legislatore, mal si presta, salvo voler procedere ad un’interpretazione analogica di questa norma, ad essere applicata pure per il direttore o vice-direttore di un periodico on line.

In effetti, a sostegno di questo assunto, militano, tra le tante, le seguenti considerazioni [17]:

1) l’ “art. 57 c.p., nell’attuale formulazione introdotta con la l. n. 127 del 1958, sancisce una responsabilità per fatto proprio di natura omissiva ed a titolo di colpa del direttore o del vice-direttore responsabile di un periodico o di una testata giornalistica nel caso in cui venga commesso un reato col mezzo della stampa” [18];

2) si tratta di un reato proprio o a «soggettività ristretta», dal momento che il soggetto agente può essere esclusivamente il direttore o il vice-direttore di un periodico [19];

3) né tale “distinguo” può reputarsi venuto meno in seguito all’entrata in vigore della legge n. 62 del 2001 posto che in quell’occasione “l’intenzione del legislatore non è stata quella di voler equiparare indistintamente tutti i siti Internet alla stampa” [20].

Nonostante tale vuoto legislativo, il direttore di una testata on line o anche un semplice blogger potrà comunque rispondere del delitto di diffamazione a titolo concorsuale giacchè “anche un blog, così come un Provider, può pertanto porre in essere un contributo oggettivo di partecipazione penalmente rilevante, avente natura causale o comunque agevolatrice, rispetto alla commissione con tale mezzo di fatti illeciti da parte di soggetti terzi” [21].

A conferma della “bontà” di tale approdo scientifico si segnala (argomentando a contrario) la sentenza n. 35511 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. V, in data 16/07/10 con cui gli Ermellini hanno stabilito che tranne “per l’ipotesi di concorso, è da escludere qualsiasi tipo di responsabilità penale ex art. 57 c.p. per i coordinatori dei “blog” e dei "forum" su Internet”.

Sulla stessa linea argomentativa può reputarsi sussistente la responsabilità per omissione del gestore di un motore di ricerca “ove al provider si imputi una condotta di partecipazione a livello attivo e con un dolo particolarmente carico” [22].

Invece, per quanto concerne la problematica inerente la consumazione del reato in esame, da un lato la Cassazione ha presunto “la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti” [23], dall’altro, però, sempre i Giudici di legittimità hanno richiesto, affinchè il reato possa stimarsi consumato, che i terzi percepiscano “l’espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato" [24].

Peraltro il “reato di diffamazione consistente nell’immissione nella rete Internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie, deve ritenersi commesso nel luogo in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete, pur quando il sito "web" sia registrato all’estero” [25].

La Cassazione, dunque, oltre a chiarire quando e come un reato di questo tipo possa reputarsi perfezionato, pone all’attenzione del lettore un ulteriore profilo critico riguardante il tempus commissi delicti.

Infatti, è “di tutta evidenza come la caratterizzazione in chiave «transnazionale» delle comunicazioni telematiche sia idonea a rendere estremamente complessa l’individuazione del locus commissi delicti, o, rectius, del luogo in cui deve considerarsi consumato il delitto commesso a mezzo internet” [26].

Del resto, se da “un esame dello stretto diritto positivo, ed in particolare della disciplina di cui agli art. 3, 6, 9 e 10 c.p., è evidente che nessuna difficoltà insorge in ipotesi di reato commesso agendo dall’Italia in collegamento con un server parimenti installato in Italia, essendo il fatto interamente commesso nel territorio italiano e, conseguentemente, punibile alla stregua del principio generale di territorialità” [27] così come alla stessa considerazione si deve pervenire nel caso in cui “l’agente opera in e dall’Italia su un server installato all’estero sussiste la giurisdizione italiana ex art. 6, comma 2, c.p., alla stregua del quale il reato si considera commesso in Italia” [28] mentre diversa è la situazione qualora “l’agente opera all’estero, e all’estero è pure collocato il server al quale egli accede, ove si rifletta che il messaggio è ricevuto, oltre che nel resto del mondo, anche in Italia” [29].

Ebbene, per quest’ultima ipotesi, vi è un orientamento scientifico “incline a considerare la diffamazione un reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento esterno all’agente, sebbene collegato al comportamento di costui, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius, dei terzi) dell’espressione offensiva; la percezione, conseguentemente, non è un elemento costitutivo della condotta, non essendo in alcun modo ascrivibile all’agente, pur se si configura come una conseguenza del suo operato” [30].

Dal canto suo la Cassazione ha confermato tale costrutto teorico affermando che il “reato di diffamazione è configurabile anche quando la condotta dell’agente consista nella immissione di scritti o immagini lesivi dell’altrui reputazione nel sistema "internet", sussistendo, anzi, in tal caso, anche la circostanza aggravante di cui all’art. 595 comma 3 c.p. [31].

In detta ipotesi, infatti, secondo quanto esposto in sede di legittimità, qualora l’immissione sia avvenuta all’estero, trova applicazione, ai fini della perseguibilità del reato in Italia, la regola dettata dall’art. 6 comma 2 c.p., dovendosi intendere come "evento" del reato “la percezione del messaggio diffamatorio nel territorio nazionale da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema "internet", nulla rilevando che tra costoro vi sia o possa esservi lo stesso soggetto diffamato” [32].

Sicchè ne consegue, a rigor di logica ancor prima che giuridica, come possa sostenersi “l’applicabilità della legge italiana, invocando l’art. 6 c.p., poiché la teoria dell’ubiquità consente al giudice italiano di conoscere del fatto-reato tanto nel caso in cui sul territorio nazionale si sia verificata in tutto, ma anche in parte, l’azione o l’omissione, tanto in quello in cui su di esso si sia verificato l’evento: dunque, nel caso di iter criminis iniziato all’estero e conclusosi (con l’evento) nel nostro Paese, sussisterebbe la potestà punitiva dello Stato italiano” [33].

Infine, tornando a trattare la sentenza in commento [34], da tale pronuncia emerge come si possa procedere al sequestro preventivo dei siti internet laddove venga diffuso materiale diffamatorio.

Invero il Supremo Consesso ha reputato in quell’occasione legittimo il sequestro preventivo disposto nei confronti di un sito elettronico “in quanto unico mezzo idoneo per scongiurare la reiterazione del reato”.

Per giunta - già in una precedente occasione - la Cassazione ha apprezzato ammissibile il sequestro preventivo per combattere la diffamazione sul web giacchè la “misura cautelare reale, che si concretizza nell’oscuramento del sito internet che ospita l’attacco denigratorio, è disposta infatti dal giudice per evitare l’aggravarsi delle conseguenze del reato di cui all’art. 595 del codice penale” [35].

Infine lo scrivente non può che associarsi all’opinione di coloro che reputano necessario un intervento del legislatore in subiecta materia.

A tal proposito corre l’obbligo di ricordare il d.d.l. n. 7292 (Anedda, Selva e altri), presentato il 13 settembre 2000 alla Camera, con il quale si sarebbe potuto introdurre nel codice penale un nuovo art. 596 bis che avrebbe espressamente e specificamente punito la diffamazione a mezzo internet e avrebbe esteso al«le trasmissioni informatiche o telematiche» l’operatività degli art. 57 e 57 bis c.p..

Questa proposta de iure condendo, infatti, consentirebbe una ricostruzione della normativa in esame più coerente e lineare evitando un’applicazione analogica delle norme penali appena richiamate nonché colmando una palese lacuna legislativa.

[1] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[2] Ibidem;

[3] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[4] Cass. pen., sez. V, 1/07/08, n. 31392, Guida al dir. 2008, 40, 87 (s.m.), Dir. Informatica 2008, 6, 808);

[5] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[6] Cass. pen., sez. V, 19/09/11, n. 46504;

[7] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[8] Cass. pen., sez. V, 1/07/08, n. 31392, Guida al dir. 2008, 40, 87 (s.m.), Dir. Informatica 2008, 6, 808.

[9] Trib. Oristano, 25 maggio 2000, in For. It., 2000, c. 664.

[10]Tra le tante: Cass., 3 febbraio 1989, n. 259, in Giust. pen., 1990, 2, 1974);

[11] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[12] Ibidem;

[13] Adelmo Mamma, “La prima affermazione, a livello giurisprudenziale, della responsabilità penale dell’ internet provider: spunti di riflessione tra diritto e tecnica”, Giur. Cost., 2010, 2, 1856;

[14] Cfr. Trib. Firenze, 13 febbraio 2009, giudice Limongi, A.C., in Dir. inf. 2009, 911 ss.;

[15] Sabrina Peron, “L’informazione on line”, Resp. Civ. e prev., 2001, 02, 486;

[16] Ibidem;

[17] Tratte da: “I presupposti della responsabilità penale del blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito” di Ivan Salvadori, Giur. Merito 2007, 4, 1069;

[18] Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, 3ª ed. rinn. e ampl., Milano, 2004, sub art. 57 c.p., 616 ss.; Musco, voce Stampa (dir. pen.), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 638 ss.; Mambriani, sub art. 57 c.p., in Dolcini-Marinucci (cur.), Codice penale commentato, 2ª ed., Milano, 2006, 728 ss.; Magnanensi, I reati commessi con il mezzo della stampa, in Dig. disc. pen., 1993, 176;

[19] Nuvolone, I reati di stampa, Milano, 1951, 188 ss.; Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 83 ss.);

[20] Ivan Salvadori, “I presupposti della responsabilità penale del blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito”, Giur. Merito 2007, 4, 1069;

[21] Ibidem;

[22] (Adelmo Manna, “La prima affermazione, a livello giurisprudenziale, della responsabilità penale dell’ internet provider: spunti di riflessione tra diritto e tecnica”, Giur. Cost., 2010, 2, 1856);

[23] Cass. pen., sez. V, 4/04/08, n. 16262;

[24] Cass. 5^, 21 giugno - 25 luglio 2006 n. 25875, Cicino ed altro, RV 234528, e, in precedenza, nello stesso senso, Cass. 5^, 17 novembre - 27 dicembre 2000 n. 4741, PM in proc. c. ignoti, RV 217745;

[25] Cass. pen., sez. II, 21/02/08, n. 36721;

[26] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[27] Ibidem;

[28] Ibidem;

[29] Ibidem;

[30] Valeria Spagnoletti, “Profili problematici del reato di diffamazione a mezzo internet”, Giur. Merito, 2003, 7-8, 1616;

[31] Cass. pen., sez. V, 17/11/00, n. 4741;

[32] Ibidem;

[33] Ibidem;

[34] Ovvero la decisione n. 46504 del 2011;

[35] Cass. pen., sez. V, 15/01/08, n. 17401.