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In tema di “spending review”: i problemi della sanità si risolvono o si “tagliano”?

Le situazioni di emergenza di solito non rappresentano il momento migliore per fare delle scelte meditate, lungimiranti e soprattutto efficaci rispetto all’obiettivo che si vuole raggiungere. Il fatto che l’attuale governo sia costretto ad operare in una situazione di emergenza lo proietta in un compito arduo, di per sé difficilmente realizzabile. Ebbene, con riferimento alle misure contenute nel Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012, cosiddetto “spending review”, che riguardano la sanità, e la farmaceutica in particolare, non possiamo evitare di constatare che esse non sembrano ispirate a due importanti principi che dovrebbero altrimenti guidare le scelte e gli strumenti concretamente da attuare: in primis la “competenza”, poi “la tutela della salute pubblica”.

La materia, come gli addetti ai lavori ben sanno, trova origine dall’articolo 117 della Costituzione e dal sistema legislativo implementato a partire dalla Legge n. 405 del 16 novembre 2001 che, almeno dal punto di vista giuridico, hanno attribuito al nostro Servizio Sanitario Nazionale una competenza regionale. Se così è, come giustamente è stato osservato[1], qualsiasi intervento normativo che abbia l’obiettivo di intervenire sulla materia non può prescindere dal rispetto del ruolo del singole regioni. Con la conseguenza, però, che “rispetto” significa anche “responsabilità”, di governo ed economica.

Il problema è che, in un sistema così congegnato, ove le competenze statali sono dirette a garantire la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), la tentazione dello Stato di intervenire, sconfinando spesso dalla propria autonomia normativa, è sempre molto forte, a volte irresistibile laddove si tratta di anticipare o rimediare ad evidentissime e perduranti inefficienze delle Regioni. Ma, rebus sic stantibus, è lecito porsi una domanda: a cosa giova questa timida ed incerta impostazione federalista? Una risposta non potrebbe darla l’attuale governo in carica, ma il legislatore dovrebbe cominciare a porsela e, qualora la domanda avesse una risposta, occorrerebbe comunque correggere il tiro e ridisegnare con maggior chiarezza quali sono le effettive competenze e responsabilità.

È una questione seria perché la sanità ha rappresentato fino ad oggi, ed ormai da diversi anni, un settore pilota per la sperimentazione dell’assetto federalista in Italia. Ciò tuttavia sta iniziando a creare non pochi problemi di natura giuridica, anche nel settore farmaceutico[2], e solo parzialmente risolvibili attraverso misure di evidente sapore consociativista tra istituzioni, come quella che prevede l’attribuzione di buona parte dello sfondamento della spesa ospedaliera da parte degli enti regionali a carico delle imprese farmaceutiche.

In una recentissima indagine del CENSIS a proposito di tagli di bilancio e federalismo si afferma: “oggi alla luce dei recenti avvenimenti, ed in particolare con l’insorgere delle distinzioni negli interventi tra Regioni in Piano di Rientro e altre Regioni, sembra determinarsi una ulteriore frattura rispetto al rapporto della società con la sanità e la salute, che potrebbe rendere ancora più complesso il futuro del Servizio Sanitario in Italia”[3]. I cittadini che vivono in Regioni con piani di rientro sono infatti meno favorevoli ad una responsabilità regionale in materia di sanità.

Un orientamento che trova maggiori conferme nel rapporto tra finanziamento e spesa sanitaria, considerato che, secondo l’indagine del CENSIS, il 60% dei cittadini italiani è contrario ad una sanità finanziata con le sole tasse regionali, principalmente perché le conseguenze di una gestione inadeguata della sanità ricadrebbe solo sui più poveri delle Regioni con i bilanci in disordine.

Il fatto che la sanità sia qualcosa di fortemente percepito come servizio in bilico ed a rischio, è dimostrato dal fatto che il sentimento generale non è dei migliori, poiché oltre il 35% dei cittadini, valore in assoluto più alto registrato nell’indagine in esame, sembra temere maggiormente che aumentino troppo le differenze di qualità tra le sanità regionali.

In questo contesto non meraviglia scoprire che, tra le soluzioni che il campione intervistato riterrebbe significative vi è, in primis, l’aumento dell’efficienza delle strutture, dei servizi e del personale (oltre il 56% degli intervistati). È probabilmente una risposta del tutto attesa, ma nel contempo significativa nell’esprimere il percepito del disagio sociale, ciò che spesso corrisponde anche al punto in cui si annida l’inefficienza della gestione.

Certamente, c’è da chiedersi se le misure contenute nell’attuale articolo 15 del Decreto Legge, in fase di conversione, siano nella stessa direzione di quanto i cittadini si attendono o se invece affrontano solo semplicisticamente ed in maniera indiscriminata un settore, indubbiamente affetto da sprechi e mala gestione, che andrebbe invece esaminato con accuratezza selettiva.

[1] Si legga a tal fine l’articolo del 18 luglio 2012 dal titolo “La Sanità dopo lo spending review” di Attilio Gugiatti e Francesco Longo su LaVoce.info, al link: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003197.html.

[2] Sul punto si veda la recentissima ordinanza del TAR Emilia Romagna (Bologna), depositata in data 30 maggio 2012, di rimessione alla Corte Costituzionale, sul ruolo di iniziativa e di partecipazione delle regioni al procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci in materia di uso off label (al di fuori delle indicazioni autorizzate).

[3] CENSIS e Forum per la Ricerca Biomedica, Rapporto del 15 marzo 2012, “Quale Sanità dopo i tagli? Quale futuro per le risorse in Sanità?”, pagina 39 e ss.

Le situazioni di emergenza di solito non rappresentano il momento migliore per fare delle scelte meditate, lungimiranti e soprattutto efficaci rispetto all’obiettivo che si vuole raggiungere. Il fatto che l’attuale governo sia costretto ad operare in una situazione di emergenza lo proietta in un compito arduo, di per sé difficilmente realizzabile. Ebbene, con riferimento alle misure contenute nel Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012, cosiddetto “spending review”, che riguardano la sanità, e la farmaceutica in particolare, non possiamo evitare di constatare che esse non sembrano ispirate a due importanti principi che dovrebbero altrimenti guidare le scelte e gli strumenti concretamente da attuare: in primis la “competenza”, poi “la tutela della salute pubblica”.

La materia, come gli addetti ai lavori ben sanno, trova origine dall’articolo 117 della Costituzione e dal sistema legislativo implementato a partire dalla Legge n. 405 del 16 novembre 2001 che, almeno dal punto di vista giuridico, hanno attribuito al nostro Servizio Sanitario Nazionale una competenza regionale. Se così è, come giustamente è stato osservato[1], qualsiasi intervento normativo che abbia l’obiettivo di intervenire sulla materia non può prescindere dal rispetto del ruolo del singole regioni. Con la conseguenza, però, che “rispetto” significa anche “responsabilità”, di governo ed economica.

Il problema è che, in un sistema così congegnato, ove le competenze statali sono dirette a garantire la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), la tentazione dello Stato di intervenire, sconfinando spesso dalla propria autonomia normativa, è sempre molto forte, a volte irresistibile laddove si tratta di anticipare o rimediare ad evidentissime e perduranti inefficienze delle Regioni. Ma, rebus sic stantibus, è lecito porsi una domanda: a cosa giova questa timida ed incerta impostazione federalista? Una risposta non potrebbe darla l’attuale governo in carica, ma il legislatore dovrebbe cominciare a porsela e, qualora la domanda avesse una risposta, occorrerebbe comunque correggere il tiro e ridisegnare con maggior chiarezza quali sono le effettive competenze e responsabilità.

È una questione seria perché la sanità ha rappresentato fino ad oggi, ed ormai da diversi anni, un settore pilota per la sperimentazione dell’assetto federalista in Italia. Ciò tuttavia sta iniziando a creare non pochi problemi di natura giuridica, anche nel settore farmaceutico[2], e solo parzialmente risolvibili attraverso misure di evidente sapore consociativista tra istituzioni, come quella che prevede l’attribuzione di buona parte dello sfondamento della spesa ospedaliera da parte degli enti regionali a carico delle imprese farmaceutiche.

In una recentissima indagine del CENSIS a proposito di tagli di bilancio e federalismo si afferma: “oggi alla luce dei recenti avvenimenti, ed in particolare con l’insorgere delle distinzioni negli interventi tra Regioni in Piano di Rientro e altre Regioni, sembra determinarsi una ulteriore frattura rispetto al rapporto della società con la sanità e la salute, che potrebbe rendere ancora più complesso il futuro del Servizio Sanitario in Italia”[3]. I cittadini che vivono in Regioni con piani di rientro sono infatti meno favorevoli ad una responsabilità regionale in materia di sanità.

Un orientamento che trova maggiori conferme nel rapporto tra finanziamento e spesa sanitaria, considerato che, secondo l’indagine del CENSIS, il 60% dei cittadini italiani è contrario ad una sanità finanziata con le sole tasse regionali, principalmente perché le conseguenze di una gestione inadeguata della sanità ricadrebbe solo sui più poveri delle Regioni con i bilanci in disordine.

Il fatto che la sanità sia qualcosa di fortemente percepito come servizio in bilico ed a rischio, è dimostrato dal fatto che il sentimento generale non è dei migliori, poiché oltre il 35% dei cittadini, valore in assoluto più alto registrato nell’indagine in esame, sembra temere maggiormente che aumentino troppo le differenze di qualità tra le sanità regionali.

In questo contesto non meraviglia scoprire che, tra le soluzioni che il campione intervistato riterrebbe significative vi è, in primis, l’aumento dell’efficienza delle strutture, dei servizi e del personale (oltre il 56% degli intervistati). È probabilmente una risposta del tutto attesa, ma nel contempo significativa nell’esprimere il percepito del disagio sociale, ciò che spesso corrisponde anche al punto in cui si annida l’inefficienza della gestione.

Certamente, c’è da chiedersi se le misure contenute nell’attuale articolo 15 del Decreto Legge, in fase di conversione, siano nella stessa direzione di quanto i cittadini si attendono o se invece affrontano solo semplicisticamente ed in maniera indiscriminata un settore, indubbiamente affetto da sprechi e mala gestione, che andrebbe invece esaminato con accuratezza selettiva.

[1] Si legga a tal fine l’articolo del 18 luglio 2012 dal titolo “La Sanità dopo lo spending review” di Attilio Gugiatti e Francesco Longo su LaVoce.info, al link: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003197.html.

[2] Sul punto si veda la recentissima ordinanza del TAR Emilia Romagna (Bologna), depositata in data 30 maggio 2012, di rimessione alla Corte Costituzionale, sul ruolo di iniziativa e di partecipazione delle regioni al procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci in materia di uso off label (al di fuori delle indicazioni autorizzate).

[3] CENSIS e Forum per la Ricerca Biomedica, Rapporto del 15 marzo 2012, “Quale Sanità dopo i tagli? Quale futuro per le risorse in Sanità?”, pagina 39 e ss.