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Reato di ricettazione non è configurabile per l’acquirente finale di prodotti contraffatti

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 8 giugno 2012, n.22225

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza dell’8 giugno 2012, n. 22225 stabiliscono che “per l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, non può configurarsi una responsabilità a titolo di ricettazione o di acquisto di sospetta provenienza, ma piuttosto l’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 35 il quale va considerato prevalente”.

Il caso contestato dinnanzi al giudice di prime cure consisteva in un ordine tramite corriere espresso finalizzato all’acquisto di un orologio Rolex contraffatto proveniente dalla Cina, il quale, comunque, non era giunto all’acquirente a causa di un controllo doganale con esito negativo.

Ricordiamo il tenore letterale che il nostro codice penale dedica al reato di ricettazione ex art. 648, 1 comma: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da Euro 516 a Euro 10.329”[1].

Il delitto di ricettazione è collocato nel Titolo XIII tra i delitti contro il patrimonio e sul piano soggettivo richiede:

- la coscienza e volontà di acquistare, ricevere od occultare;

- lo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto.

Il reato si consuma nel momento in cui si realizza l’acquisto, la ricezione o l’occultamento del denaro o della cosa, ovvero nell’ipotesi di mediazione, quando sia compiuta l’intromissione dell’agente.

Presupposto necessario del reato è che anteriormente ad esso sia stato commesso un altro delitto (c.d. reato presupposto).

Infine, il reato è ovviamente punibile anche a solo titolo di tentativo[2] (come nel caso di specie, in quanto l’oggetto voluto non è arrivato all’acquirente, escludendo così la consumazione del reato medesimo).

Inoltre, è da aggiungere che il reato di ricettazione per pacifica giurisprudenza è punibile anche a titolo di dolo eventuale, infatti: “La ricettazione può essere sorretta anche dal dolo eventuale. Esso, tuttavia, non può desumersi da semplici motivi di sospetto, né può consistere in un mero sospetto, configurandosi piuttosto in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza illecita della cosa[3]”.

L’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 a sua volta recita: “7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 Euro fino a 7.000 Euro l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. Salvo che il fatto costituisca reato, qualora l’acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall’acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria é stabilita da un minimo di 20.000 Euro fino ad un milione di Euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all’accertamento delle violazioni provvedono, d’ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa”.

La decisione finale assunta dalla Suprema Corte, traendo spunto sia da un confronto teleologico tra le due disposizioni che da una ricostruzione storico-legislativa, risolve il discusso tema dell’eventuale concorso tra fattispecie penale e illecito amministrativo con l’applicazione del criterio di c.d. specialità funzionale (il quale escluderebbe in nuce il concorso), comportando l’applicazione dell’illecito amministrativo piuttosto che della fattispecie codicistica penale, in quanto sarebbe da privilegiare una interpretazione sistematica delle norme, secondo la Corte più rispondente alla ratio legis[4].

[1] Si veda R. Conte in www.ildirittoamministrativo.it nella parte in cui viene operata la distinzione tra ricettazione vera e propria e intermediazione nella ricettazione.

[2] Il delitto c.d. tentato comporta una riduzione variabile di pena rispetto ai limiti edittali previsti dalla fattispecie penale di riferimento (nel caso esaminato posto che la ricettazione è punibile con la reclusione da due a otto anni, la diminuzione di pena può variare da un terzo a due terzi), norma base è l’art. 56 c.p..

[3] Cassazione, Sezioni Unite Penali, 30 marzo 2010, n. 12433.

[4] Le Sezioni Unite rilevano: “Dovendosi raffrontare il delitto di ricettazione con l’illecito amministrativo, occorre tener presenti i criteri sull’individuazione della norma speciale di recente ridefiniti dalla giurisprudenza di legittimità, posto che il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative è disciplinato dall’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in base al quale, se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale piuttosto che il concorso tra sanzione penale e violazione amministrativa”, e ancora “il concetto di “cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale”, costituisce specificazione di quello di “cose provenienti da un qualsiasi delitto” di cui al l’art. 648 cod. pen”, “è speciale il soggetto agente che, mentre per la ricettazione ed incauto acquisto può essere “chiunque”, per l’illecito amministrativo può trattarsi esclusivamente dell’acquirente finale”, ed infine “è più esteso l’ambito di applicazione dell’elemento psicologico, poiché a seguito dell’intervenuta modifica ad opera della l. 99/2009, la formula “inducano a ritenere” permette di ricomprendere non solo il sospetto della provenienza illecita del bene ma anche la sua piena consapevolezza”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza dell’8 giugno 2012, n. 22225 stabiliscono che “per l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, non può configurarsi una responsabilità a titolo di ricettazione o di acquisto di sospetta provenienza, ma piuttosto l’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 35 il quale va considerato prevalente”.

Il caso contestato dinnanzi al giudice di prime cure consisteva in un ordine tramite corriere espresso finalizzato all’acquisto di un orologio Rolex contraffatto proveniente dalla Cina, il quale, comunque, non era giunto all’acquirente a causa di un controllo doganale con esito negativo.

Ricordiamo il tenore letterale che il nostro codice penale dedica al reato di ricettazione ex art. 648, 1 comma: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da Euro 516 a Euro 10.329”[1].

Il delitto di ricettazione è collocato nel Titolo XIII tra i delitti contro il patrimonio e sul piano soggettivo richiede:

- la coscienza e volontà di acquistare, ricevere od occultare;

- lo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto.

Il reato si consuma nel momento in cui si realizza l’acquisto, la ricezione o l’occultamento del denaro o della cosa, ovvero nell’ipotesi di mediazione, quando sia compiuta l’intromissione dell’agente.

Presupposto necessario del reato è che anteriormente ad esso sia stato commesso un altro delitto (c.d. reato presupposto).

Infine, il reato è ovviamente punibile anche a solo titolo di tentativo[2] (come nel caso di specie, in quanto l’oggetto voluto non è arrivato all’acquirente, escludendo così la consumazione del reato medesimo).

Inoltre, è da aggiungere che il reato di ricettazione per pacifica giurisprudenza è punibile anche a titolo di dolo eventuale, infatti: “La ricettazione può essere sorretta anche dal dolo eventuale. Esso, tuttavia, non può desumersi da semplici motivi di sospetto, né può consistere in un mero sospetto, configurandosi piuttosto in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza illecita della cosa[3]”.

L’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 a sua volta recita: “7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 Euro fino a 7.000 Euro l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. Salvo che il fatto costituisca reato, qualora l’acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall’acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria é stabilita da un minimo di 20.000 Euro fino ad un milione di Euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all’accertamento delle violazioni provvedono, d’ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa”.

La decisione finale assunta dalla Suprema Corte, traendo spunto sia da un confronto teleologico tra le due disposizioni che da una ricostruzione storico-legislativa, risolve il discusso tema dell’eventuale concorso tra fattispecie penale e illecito amministrativo con l’applicazione del criterio di c.d. specialità funzionale (il quale escluderebbe in nuce il concorso), comportando l’applicazione dell’illecito amministrativo piuttosto che della fattispecie codicistica penale, in quanto sarebbe da privilegiare una interpretazione sistematica delle norme, secondo la Corte più rispondente alla ratio legis[4].

[1] Si veda R. Conte in www.ildirittoamministrativo.it nella parte in cui viene operata la distinzione tra ricettazione vera e propria e intermediazione nella ricettazione.

[2] Il delitto c.d. tentato comporta una riduzione variabile di pena rispetto ai limiti edittali previsti dalla fattispecie penale di riferimento (nel caso esaminato posto che la ricettazione è punibile con la reclusione da due a otto anni, la diminuzione di pena può variare da un terzo a due terzi), norma base è l’art. 56 c.p..

[3] Cassazione, Sezioni Unite Penali, 30 marzo 2010, n. 12433.

[4] Le Sezioni Unite rilevano: “Dovendosi raffrontare il delitto di ricettazione con l’illecito amministrativo, occorre tener presenti i criteri sull’individuazione della norma speciale di recente ridefiniti dalla giurisprudenza di legittimità, posto che il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative è disciplinato dall’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in base al quale, se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale piuttosto che il concorso tra sanzione penale e violazione amministrativa”, e ancora “il concetto di “cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale”, costituisce specificazione di quello di “cose provenienti da un qualsiasi delitto” di cui al l’art. 648 cod. pen”, “è speciale il soggetto agente che, mentre per la ricettazione ed incauto acquisto può essere “chiunque”, per l’illecito amministrativo può trattarsi esclusivamente dell’acquirente finale”, ed infine “è più esteso l’ambito di applicazione dell’elemento psicologico, poiché a seguito dell’intervenuta modifica ad opera della l. 99/2009, la formula “inducano a ritenere” permette di ricomprendere non solo il sospetto della provenienza illecita del bene ma anche la sua piena consapevolezza”.