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Ancora sui contratti di intermediazione finanziaria: forma, sottoscrizione e operatore qualificato

Nota a Tribunale di Novara, Sentenza 19 luglio 2012, n.7625

La Sentenza annotata [consultabile sul sito Il Caso.it] prende in esame alcune delle tematiche maggiormente dibattute nella Giurisprudenza.

In questa sede si intende limitare l’analisi unicamente all’argomento del contratto quadro firmato dal solo cliente e alla dichiarazione di operatore qualificato.

La prima questione analizzata dal Tribunale di Novara è quella della sottoscrizione del contratto quadro da parte del solo cliente.

La Corte di merito ritiene assolta la forma scritta imposta dall’articolo 23 T.U.F. anche nel caso in cui il contratto quadro manchi della sottoscrizione dell’intermediario.

Giunge a tale conclusione muovendo dalla funzione che la forma scritta assolve riguardo al contratto quadro.

Quest’ultima è vista come “veicolo certo di un flusso di informazioni dall’intermediario al cliente e dal cliente all’intermediario”.

Si tratta, quindi, “di forma scritta a sanzione di nullità che in parte si discosta dalla tradizionale distinzione di forma scritta ad substantiam o ad probationem in quanto pur essendo una forma per la validità del contratto, essa è di protezione per il cliente al punto che può essere fatta valere solo da quest’ultima”.

L’argomentazione però si presta ad alcune osservazioni.

Pur condividendo che il contratto di intermediazione mobiliare assolve la funzione di riequilibrare l’asimmetria informativa che caratterizza l’attività di investimento è pur vero che questo è anche il momento contrattuale in cui le parti disciplinano i propri futuri rapporti.

L’elemento normativo che caratterizza il contratto quadro è anch’esso elemento che determina la necessità della forma scritta.

Ecco quindi che può essere vista nella forma scritta una duplicità di funzioni.

Da un lato quella di garantire il reciproco flusso di informazioni tra le parti a garanzia del contraente “debole”; dall’altro però anche quella di dare certezza a tutte quelle previsioni normative che le parti concordano a disciplina della futura attività di investimento.

È sufficiente pensare al fatto che è proprio il contratto quadro l’atto nel quale le parti concordano, tra l’altro, le modalità di trasmissione di ordini e di comunicazioni tra cliente e intermediario.

Un diverso orientamento giurisprudenziale ha, invece, dichiarato la nullità del contratto quadro sottoscritto dal solo cliente, ponendo in evidenza proprio l’elemento contrattuale di tale negozio giuridico.

È stato rilevato, infatti, come l’atto sia “lo strumento necessario ed insostituibile della volontà produttiva degli effetti del negozio [...]”[1].

Con ciò si conferma che la validità del contratto è data dalla sottoscrizione delle due parti.

Tale orientamento evidenzia con chiarezza l’importanza del momento contrattuale che non risponde solo ad esigenze formali ma “è applicazione di principi generali inerenti la bilateralità degli accordi negoziali[2].

Altre decisioni di merito, pur confermando che l’assenza della sottoscrizione della banca intermediaria determina la nullità del contratto quadro, hanno inoltre evidenziato l’impossibilità di sanare tale nullità “relativa”.

Non può essere, infatti, sanata né dalla esecuzione del contratto stesso [3], né dalla produzione in giudizio dell’atto da parte del soggetto che non l’ha sottoscritto se medio tempore l’altro contraente abbia revocato il proprio consenso”[4].

A conclusione di queste brevi annotazioni può concludersi sul punto che la decisione in commento, pur dando rilievo all’elemento informativo e di protezione del cliente non considera gli aspetti strettamente connessi al contratto quadro come atto.

Il formalismo che l’articolo 23 T.U.F. impone non è solo posto a salvaguardia del contraente debole in termini informativi, ma è anche rivolto all’atto in sé, il quale deve avere le forme prescritte dalla norma in quanto è un contratto bilaterale che richiede in sé la valida espressione di volontà di entrambe le parti che lo sottoscrivono.

Il prefato elemento negoziale riveste ancor più importanza ove si ricordi che è proprio il contratto di intermediazione mobiliare il momento in cui le parti dettano la disciplina della futura attività di investimento.

La decisione in oggetto è chiamata inoltre a giudicare la dichiarazione di operatore qualificato resa dall’investitore.

Secondo l’articolo 31 R.C. 11522/98 vigente all’epoca dei fatti, la dichiarazione in oggetto permetteva la disapplicazione delle disposizioni sempre poste a tutela dell’investitore in termini di informativa, adeguatezza della operazione ed eventuale segnalazione di conflitto di interessi.

Il Tribunale di Novara, procedendo ad una attenta ricostruzione del dibattito giurisprudenziale sorto in merito alla dichiarazione in oggetto, ricorda come la Suprema Corte abbia in primo luogo affermato che la dichiarazione di operatore qualificato è da considerarsi argomento di prova e la natura di operatore qualificato derivi dalla contemporanea presenza di due elementi: l’esistenza di specifiche competenze ed esperienza in operazioni in valori mobiliari e la espressa dichiarazione-documento di possedere tale esperienza (Cass. 12138/09).

Ricorda il Collegio come gravi sul cliente la prova della sua non professionalità.

La decisione, sul punto, evidenzia un importante elemento di novità rispetto al dibattito tutt’ora in corso.

Al fine di provare la non professionalità la società attrice deduceva di essere società di piccole dimensioni il cui oggetto sociale non aveva niente a che fare con l’intermediazione mobiliare e a riprova di ciò deduceva il titolo di studio del legale rappresentante, nonché l’assenza al suo interno di personale specializzato in materia e di non aver mai posto in essere in precedenza contratti di tipo swap.

Posti gli elementi sopra richiamati che potrebbero essere definiti indici presuntivi di non professionalità, il Giudice di merito evidenziava come essi chiaramente contrastino con la dichiarazione.

Nel far questo, il Collegio giudicante evidenzia come “l’essenza della nozione di operatore qualificato debba essere individuata nel carattere professionale dell’attività finanziaria esercitata dal medesimo”.

È quindi lo svolgimento in modo professionale dell’attività finanziaria a determinare la professionalità dell’operatore.

Un dato, questo, che a parere di chi scrive arricchisce il dibattito che si è creato sulla figura dell’operatore qualificato, poiché indica un ulteriore elemento da cui poter presumere la non professionalità dello stesso.

Provare l’assenza di tale requisito è quindi possibile anche attraverso l’analisi della concreta attività svolta dal soggetto che si professa tale.

È, quindi, il concreto svolgimento dell’attività finanziaria a dimostrare la corrispondenza a vero della dichiarazione.

La decisione in commento appare fortemente innovativa sotto il profilo della valutazione della dichiarazione di operatore qualificato in quanto supera l’elemento formalistico della dichiarazione stessa e muovendo dalla concreta attività svolta dalla persona giuridica professatasi tale, rivolge l’indagine non più verso il dato dimensionale della società o il numero di operazioni di investimento precedentemente compiuto bensì si prefigge di indagare se l’esperienza dichiarata è frutto di una assidua attività di investimento capace di generare l’esperienza stessa che la società dichiara di avere.

Un aspetto questo del dibattito destinato, a parere di chi scrive, ad aprire nuovi scenari sull’argomento.

[1] C.A. Torino, sent. del 20.01.2012 in www.ilcaso.it sez. I, doc. 7177.

[2]Sentenza C.A. cit..

[3]Tribunale di Alba, sent. del 02.11.2010 in www.ilcaso.it.

[4]Sul punto si veda: Tribunale di Napoli, sent. del 14.11.2011 in www.ilcaso.it, Sez. I, n. 7155, Tribunale di Rimini, sent. del 27.10.2011 e Tribunale di Parma, sent. del 04.005.2011 in www.ilcaso.it.

La Sentenza annotata [consultabile sul sito Il Caso.it] prende in esame alcune delle tematiche maggiormente dibattute nella Giurisprudenza.

In questa sede si intende limitare l’analisi unicamente all’argomento del contratto quadro firmato dal solo cliente e alla dichiarazione di operatore qualificato.

La prima questione analizzata dal Tribunale di Novara è quella della sottoscrizione del contratto quadro da parte del solo cliente.

La Corte di merito ritiene assolta la forma scritta imposta dall’articolo 23 T.U.F. anche nel caso in cui il contratto quadro manchi della sottoscrizione dell’intermediario.

Giunge a tale conclusione muovendo dalla funzione che la forma scritta assolve riguardo al contratto quadro.

Quest’ultima è vista come “veicolo certo di un flusso di informazioni dall’intermediario al cliente e dal cliente all’intermediario”.

Si tratta, quindi, “di forma scritta a sanzione di nullità che in parte si discosta dalla tradizionale distinzione di forma scritta ad substantiam o ad probationem in quanto pur essendo una forma per la validità del contratto, essa è di protezione per il cliente al punto che può essere fatta valere solo da quest’ultima”.

L’argomentazione però si presta ad alcune osservazioni.

Pur condividendo che il contratto di intermediazione mobiliare assolve la funzione di riequilibrare l’asimmetria informativa che caratterizza l’attività di investimento è pur vero che questo è anche il momento contrattuale in cui le parti disciplinano i propri futuri rapporti.

L’elemento normativo che caratterizza il contratto quadro è anch’esso elemento che determina la necessità della forma scritta.

Ecco quindi che può essere vista nella forma scritta una duplicità di funzioni.

Da un lato quella di garantire il reciproco flusso di informazioni tra le parti a garanzia del contraente “debole”; dall’altro però anche quella di dare certezza a tutte quelle previsioni normative che le parti concordano a disciplina della futura attività di investimento.

È sufficiente pensare al fatto che è proprio il contratto quadro l’atto nel quale le parti concordano, tra l’altro, le modalità di trasmissione di ordini e di comunicazioni tra cliente e intermediario.

Un diverso orientamento giurisprudenziale ha, invece, dichiarato la nullità del contratto quadro sottoscritto dal solo cliente, ponendo in evidenza proprio l’elemento contrattuale di tale negozio giuridico.

È stato rilevato, infatti, come l’atto sia “lo strumento necessario ed insostituibile della volontà produttiva degli effetti del negozio [...]”[1].

Con ciò si conferma che la validità del contratto è data dalla sottoscrizione delle due parti.

Tale orientamento evidenzia con chiarezza l’importanza del momento contrattuale che non risponde solo ad esigenze formali ma “è applicazione di principi generali inerenti la bilateralità degli accordi negoziali[2].

Altre decisioni di merito, pur confermando che l’assenza della sottoscrizione della banca intermediaria determina la nullità del contratto quadro, hanno inoltre evidenziato l’impossibilità di sanare tale nullità “relativa”.

Non può essere, infatti, sanata né dalla esecuzione del contratto stesso [3], né dalla produzione in giudizio dell’atto da parte del soggetto che non l’ha sottoscritto se medio tempore l’altro contraente abbia revocato il proprio consenso”[4].

A conclusione di queste brevi annotazioni può concludersi sul punto che la decisione in commento, pur dando rilievo all’elemento informativo e di protezione del cliente non considera gli aspetti strettamente connessi al contratto quadro come atto.

Il formalismo che l’articolo 23 T.U.F. impone non è solo posto a salvaguardia del contraente debole in termini informativi, ma è anche rivolto all’atto in sé, il quale deve avere le forme prescritte dalla norma in quanto è un contratto bilaterale che richiede in sé la valida espressione di volontà di entrambe le parti che lo sottoscrivono.

Il prefato elemento negoziale riveste ancor più importanza ove si ricordi che è proprio il contratto di intermediazione mobiliare il momento in cui le parti dettano la disciplina della futura attività di investimento.

La decisione in oggetto è chiamata inoltre a giudicare la dichiarazione di operatore qualificato resa dall’investitore.

Secondo l’articolo 31 R.C. 11522/98 vigente all’epoca dei fatti, la dichiarazione in oggetto permetteva la disapplicazione delle disposizioni sempre poste a tutela dell’investitore in termini di informativa, adeguatezza della operazione ed eventuale segnalazione di conflitto di interessi.

Il Tribunale di Novara, procedendo ad una attenta ricostruzione del dibattito giurisprudenziale sorto in merito alla dichiarazione in oggetto, ricorda come la Suprema Corte abbia in primo luogo affermato che la dichiarazione di operatore qualificato è da considerarsi argomento di prova e la natura di operatore qualificato derivi dalla contemporanea presenza di due elementi: l’esistenza di specifiche competenze ed esperienza in operazioni in valori mobiliari e la espressa dichiarazione-documento di possedere tale esperienza (Cass. 12138/09).

Ricorda il Collegio come gravi sul cliente la prova della sua non professionalità.

La decisione, sul punto, evidenzia un importante elemento di novità rispetto al dibattito tutt’ora in corso.

Al fine di provare la non professionalità la società attrice deduceva di essere società di piccole dimensioni il cui oggetto sociale non aveva niente a che fare con l’intermediazione mobiliare e a riprova di ciò deduceva il titolo di studio del legale rappresentante, nonché l’assenza al suo interno di personale specializzato in materia e di non aver mai posto in essere in precedenza contratti di tipo swap.

Posti gli elementi sopra richiamati che potrebbero essere definiti indici presuntivi di non professionalità, il Giudice di merito evidenziava come essi chiaramente contrastino con la dichiarazione.

Nel far questo, il Collegio giudicante evidenzia come “l’essenza della nozione di operatore qualificato debba essere individuata nel carattere professionale dell’attività finanziaria esercitata dal medesimo”.

È quindi lo svolgimento in modo professionale dell’attività finanziaria a determinare la professionalità dell’operatore.

Un dato, questo, che a parere di chi scrive arricchisce il dibattito che si è creato sulla figura dell’operatore qualificato, poiché indica un ulteriore elemento da cui poter presumere la non professionalità dello stesso.

Provare l’assenza di tale requisito è quindi possibile anche attraverso l’analisi della concreta attività svolta dal soggetto che si professa tale.

È, quindi, il concreto svolgimento dell’attività finanziaria a dimostrare la corrispondenza a vero della dichiarazione.

La decisione in commento appare fortemente innovativa sotto il profilo della valutazione della dichiarazione di operatore qualificato in quanto supera l’elemento formalistico della dichiarazione stessa e muovendo dalla concreta attività svolta dalla persona giuridica professatasi tale, rivolge l’indagine non più verso il dato dimensionale della società o il numero di operazioni di investimento precedentemente compiuto bensì si prefigge di indagare se l’esperienza dichiarata è frutto di una assidua attività di investimento capace di generare l’esperienza stessa che la società dichiara di avere.

Un aspetto questo del dibattito destinato, a parere di chi scrive, ad aprire nuovi scenari sull’argomento.

[1] C.A. Torino, sent. del 20.01.2012 in www.ilcaso.it sez. I, doc. 7177.

[2]Sentenza C.A. cit..

[3]Tribunale di Alba, sent. del 02.11.2010 in www.ilcaso.it.

[4]Sul punto si veda: Tribunale di Napoli, sent. del 14.11.2011 in www.ilcaso.it, Sez. I, n. 7155, Tribunale di Rimini, sent. del 27.10.2011 e Tribunale di Parma, sent. del 04.005.2011 in www.ilcaso.it.