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Dalla bioetica al consenso informato

Analisi della normativa internazionale e principali sviluppi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di eutanasia

Abstract

L’articolo esamina il quadro normativo e giurisprudenziale internazionale ed europeo in materia di bioetica, approfondendo gli aspetti legati al principio di autonomia del paziente in relazione alle cure mediche in fase terminale.

1. La bioetica ([1]) (dal greco bios, vita ed ethikos, teoria del vivere) nasce dall’esigenza degli Stati di delimitare il campo d’azione delle scienze mediche e biologiche in rapida e continua evoluzione ([2]). Si tratta infatti, di una disciplina moderna che si basa sulla riflessione etica apportata alla scienza e alla biomedicina. Grazie a questa caratteristica, il suo studio permette di valutare alcuni processi medici più recenti come il trapianto d’organi, l’eutanasia e la fecondazione assistita, al fine di bilanciare le applicazioni della scienza medica con i diritti fondamentali dell’uomo.

2. A partire dalla seconda guerra mondiale, gli Stati si sono adoperati per promuovere la protezione dei diritti fondamentali dell’individuo alla luce dello sviluppo della biologia molecolare e delle nuove tecniche di ingegneria genetica, fino ad arrivare alla stesura della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei diritti umani e delle dignità dell’essere umano con riguardo all’applicazione della biologia e della medicina ([3]), conosciuta ai più con il nome di Convenzione di Oviedo ([4]). Tale Convenzione si era mostrata uno strumento indispensabile a livello internazionale per colmare le lacune esistenti in materia, dato che né la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, né la Convenzione di Roma del 1950 e neppure i Patti internazionali del 1966 garantiscono una tutela specifica ai diritti nati in parallelo al rapido sviluppo della scienza medica. La Convenzione di Oviedo tuttavia, si è limitata a stabilire norme di carattere generale, ritenute inderogabili dagli Stati, ma ha rimandato alcuni aspetti più specifici della materia a strumenti giuridici ulteriori, quali la Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo ([5]), il Protocollo addizionale sul divieto di clonazione degli esseri umani, n. 168 ([6]) ed i progetti di Protocolli dedicati alla genetica umana ed ai trapianti di organi e tessuti, alla ricerca medica sull’essere umano ([7]), che a causa dello sviluppo della scienza medica possono apparire talvolta lacunosi.

3. Tra i tanti temi di cui si è occupata la bioetica, il principio di autonomia del paziente in relazione alle cure mediche rappresenta uno degli aspetti più studiati e di maggiore interesse, sia a livello nazionale che internazionale. La riflessione bioetica, con l’espressione «consenso informato», ha permesso di analizzare diverse questioni che vanno dal rifiuto al cosiddetto «accanimento terapeutico», alla scelta per il paziente delle cure alle quali sottoporsi, fino al «diritto alla verità» ([8]).

Il consenso informato è tutelato a livello internazionale dall’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina ([9]) ed ha fornito al legislatore comunitario l’occasione per occuparsi del tema, soprattutto in relazione alla salute e alla trasparenza dei rapporti tra professionisti. Uno degli aspetti più problematici in riferimento al consenso informato riguarda le «terapie di sostegno» ([10]), in particolare l’alimentazione e l’idratazione del paziente in stato vegetativo qualora la loro interruzione provochi come conseguenza certa la morte. La Convenzione di Oviedo non fornisce espresse indicazioni riguardo ai pazienti che si trovano in stato vegetativo, tuttavia stabilisce che la volontà del malato debba essere tenuta nella giusta considerazione, pur non consentendo, anche se su diretta richiesta dell’interessato, l’interruzione delle terapie per mantenerlo in vita. Anche la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del 1950 (ora innanzi C.e.d.u.) è in linea con quanto stabilito dalla Convenzione di Oviedo poiché afferma all’art. 5 che «nessuno può essere intenzionalmente privato della vita». Risultano essere dello stesso avviso sia la raccomandazione n. 1418 del 1999 sulla protezione dei diritti dell’uomo e della dignità del malato terminale e morente ([11]), sia gli atti non vincolanti dell’Organizzazione Mondiale della sanità. Tuttavia, entrambe non forniscono indicazioni in riferimento al consenso informato in relazione alle terapie di sostegno. Infine, è utile ricordare sempre in ambito internazionale, che la Dichiarazione di Amsterdam sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa del 1994 evidenzia che, quando il medico si trova a dover operare in una situazione d’urgenza ed il paziente è impossibilitato ad esprimere il suo consenso, quest’ultimo deve presumersi come accordato ([12]).

4. I primi Stati ad essersi dotati di una normativa in materia di eutanasia e suicidio assistito, seppur tra molte polemiche, sono stati l’Australia nel 1995 ([13]) e l’Olanda nel 2001 ([14]). Quest’ultima, dopo aver emanato una legge nella quale veniva permessa l’eutanasia, aveva suscitato la reazione dell’opinione pubblica e del Comitato delle Nazioni Unite, il quale aveva chiesto chiarimenti in merito alla legalizzazione di tale pratica, soffermandosi in particolar modo sulle applicazioni pediatriche della stessa ([15]).

Tra gli Stati europei che si sono dotati di una legislazione in materia di eutanasia e suicidio assistito, la Germania è sicuramente tra quelli che meritano maggiore attenzione per non aver fatto riferimento agli strumenti internazionali. In seguito ad una vicenda processuale, simile per i contenuti a quella che aveva visto coinvolta Eluana Englaro in Italia ([16]), anche la Germania si è trovata a dover decidere in merito all’eutanasia ([17]). Il Bundesgerichshof (BGH), pur non menzionando né la Convenzione di Oviedo ([18]), né la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, aveva richiamato alcune norme interne ad hoc ([19]), affermando che queste ultime tutelano l’autonomia e la volontà dei pazienti anche se espresse prima dell’aggravarsi del loro stato di salute.

5. A prescindere dagli orientamenti e dalle scelte in materia legislativa dei singoli Stati, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha vigilato costantemente sulla tutela dei diritti dell’uomo, garantendo in particolare il rispetto del diritto alla vita.

La prima pronuncia della C.e.d.u. in materia di eutanasia risale al 2000 e riguarda un tetraplegico spagnolo, Ramon Sampedro, determinato a porre fine alla sua vita grazie ad un farmaco letale ([20]). A questa pronuncia ne seguirono altre, tra le quali la nota sentenza Pretty c. Regno Unito del 29 luglio 2002, grazie alla quale è agevole comprendere la posizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La signora Pretty affetta da una malattia incurabile che l’avrebbe di lì a poco portata ad una morte dolorosa aveva chiesto al marito di aiutarla a morire. La donna lamentava il fatto che il diritto interno della Gran Bretagna, Paese nel quale viveva, sanziona il comportamento di chi, su espressa richiesta e trovandosi in particolari stati di malattia, aiuta gli altri a morire. Al fine di evitare che il marito venisse condannato nel caso in cui l’avesse aiutata a porre fine alla sua vita, la signora Pretty ricorse senza successo prima al Director of Public Prosecution inglese, competente per l’esercizio dell’azione penale e poi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte dopo aver provveduto a compiere un esame approfondito sui motivi presentati nel ricorso affermò che «in un’epoca in cui si assiste ad una crescente sofisticazione della medicina e ad un aumento delle speranze di vita, numerose persone temono di non avere la forza di mantenersi in vita fino ad un’età molto avanzata, o in uno stato di grave decadimento fisico e mentale agli antipodi con la forte percezione che hanno di loro stesse e della loro identità personale» di conseguenza, gli Stati hanno il diritto di controllare, attraverso l’applicazione del diritto penale, le attività che possono risultare pregiudizievoli per la vita e la sicurezza dei cittadini, e di proteggere coloro che non sono in grado di prendere decisioni volte a mettere fine alla loro vita. La tutela generale del diritto al suicidio non è sproporzionata, apparendo opportuno per lo Stato prevedere un regime d’applicazione che permetta alla giustizia di avviare l’azione penale qualora ci sia un concreto interesse pubblico. Ne deriva che il divieto di suicidio assistito, fissato dall’ordinamento inglese, non viola l’art.8 della C.e.d.u. ([21]) e che, in questo caso, l’ingerenza della Gran Bretagna è giustificata poiché «necessaria, in una società democratica, per la protezione dei diritti altrui». La Corte Europea con la presente sentenza pone al centro delle sue motivazioni il principio del consenso sotto il profilo dell’autodeterminazione alla cure, dando la possibilità agli ordinamenti degli Stati di permettere che in alcuni casi sia praticata l’eutanasia passiva, volta a provocare la morte del paziente per interruzione delle cure mediche ([22]).

6. Di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata in favore di una possibile apertura degli Stati alla pratica del suicidio assistito. Nella sentenza Haas c. Svizzera del 20 gennaio 2011 ([23]), la Corte ha affermato che «le droit à la vie garanti par l’article 2 de la Convention oblige les Etats à mettre en place une procédure propre à assurer qu’une décision de mettre fin à sa vie corresponde bien à la libre volonté de l’intéressé. La Cour estime que l’exigence d’une ordonnance médicale, délivrée sur le fondement d’une expertise psychiatrique complète, est un moyen permettant de satisfaire à cette exigence. Cette solution correspond d’ailleurs à l’esprit de la Convention internationale sur les substances psychotropes et à celles adoptées dans certains Etats membres du Conseil de l’Europe» ([24]).

La pronuncia è estremamente innovativa in quanto a differenza di quanto deciso nella sentenza Pretty c. Regno Unito, la Corte ha affermato che il diritto di scegliere quando terminare la propria vita è garantito dall’art. 2 della C.e.d.u., inoltre, gli Stati sono tenuti a garantire la possibilità a chi è affetto da gravi patologie di poter ricorrere al suicidio assistito, mettendo a disposizione procedure medico-legali dirette a tal fine. Dalla sentenza si deduce che lo Stato non è obbligato a garantire il ricorso al suicidio assistito, ma è tenuto a consentire che il richiedente possa terminare la sua vita grazie all’aiuto di terzi ([25]).

In generale, possiamo affermare che la Corte dà rilevanza al principio del consenso sotto il profilo dell’autodeterminazione alla cure. Se fino a poco tempo fa, i giudici di Strasburgo demandavano agli Stati la decisione di permettere o meno che fosse praticata l’eutanasia passiva ([26]), in seguito alla recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sembra che la nuova tendenza sia quella di garantire una maggiore tutela dell’autonomia individuale che si evidenzia nelle norme sul consenso informato e nel rispetto al diritto alla vita ed ai diritti ad esso connessi.

Il diritto alla vita appare, quindi, come il bene più prezioso da tutelare. Ad esso è strettamente legato il rispetto per la dignità dell’uomo, elemento imprescindibile e degno di tutela al di sopra di interessi collettivi ed individuali altrui ([27]).

[1] La prima definizione di bioetica è stata data da Reich, nell’Encyclopedia of Bioethic del 1978. In tale opera la bioetica venne definita come lo «studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei principi morali».

[2] I primi aberranti esperimenti medici sull’uomo risalgano ai campi di concentramento nazisti in M.H. PAPPOWORTH, Cavie Umane, Feltrinelli, Milano, 1986; R. J. LIFTON, I medici nazisti, Milano, 1988.

[3] Si tratta del più importante strumento internazionale per la tutela dell’essere umano nei riguardi della biomedicina. La Convenzione è composta da un Preambolo, seguito da quattordici Capitoli. E’ possibile trovare informazioni riguardo allo stato delle firme e delle ratifiche degli Stati al sito del Consiglio d’Europa: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=164&CM=8&DF=07/09/2011&CL=ITA

[4] La Convenzione che è conosciuta come Convenzione di Oviedo dal luogo in cui è stata firmata dagli Stati, il 4 aprile 1997, è entrata in vigore il 1 dicembre 1999 in seguito ad un negoziato che si è protratto per più di cinque anni.

[5] La Dichiarazione è stata adottata dall’UNESCO l’11 novembre 1997.

[6] Il Protocollo è stato firmato a Parigi il 12 gennaio 1998 ed è entrato in vigore il 1 marzo 2001. Attualmente non è ancora stato ratificato dall’Italia, come si può leggere al sito: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=168&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA Il nome completo del Protocollo è: Protocollo addizionale alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, sul divieto di clonazione di esseri umani. STCE n° : 168.

[7] Protocollo addizionale alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, relativo alla ricerca biomedica, STCE n°: 195, è stato firmato a Strasburgo il 25/01/2005 ed è entrato in vigore il 1 settembre 2007. http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=195&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA.

L’Italia ha apposto la sua firma il 19 ottobre 2005, ma non ha provveduto alla ratifica.

http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=195&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA

Si legga per approfondimenti A. BOMPIANI, Nota informativa sull’attività redigente di protocolli alla Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d’Europa, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2001, p.161 ss.

[8] G. BERLINGUER, Bioetica quotidiana, Giappichelli Editore, Torino, 2006.

[9] La Convenzione all’art. 5 evidenzia che: «qualsiasi trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso». La Convenzione non è ancora stata ratificata dall’Italia: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=164&CM=8&DF=07/09/2011&CL=ITA

[10] Gli aspetti che causano maggiori problemi sono quelli legati ai comportamenti da tenere nei riguardi di pazienti che si trovano in stato vegetativo, consistente nella perdita di autocoscienza. Le «terapie di sostegno» possono consistere nell’alimentazione e nell’idratazione del paziente che si trova in tale stato.

[11] All’art. 8, la rac. n. 14418 «raccomanda agli Stati di individuare i criteri di validità delle dichiarazioni anticipate di trattamento (nonché delle testimonianze raccolte da terzi)».

[12] Ciò, a meno che non risulti evidente da una precedente espressione di volontà, che il consenso sarebbe stato negato. Nel caso in cui è necessario il consenso di un rappresentante legale e l’intervento medico è urgente, il consenso si presume nel caso in cui non sia possibile ottenerlo. L’art. 3 al comma 7 dispone che «in tutte le altre situazioni dove il paziente è nell’incapacità di dare il consenso informato e laddove non c’è un legale rappresentante designato dal paziente a questo scopo, dovranno essere prese le misure adeguate per effettuare un processo decisionale sostitutivo, nel quale va tenuto in considerazione ciò che si conosce e, nel modo più esteso possibile, ciò si può presumere riguardo alla volontà del paziente».

[13] L’Australia emanò il Rights of the Terminally Ill Act 1995 (NT), a cui seguì l’Euthanasia Laws Act del 1997.

[14] La legge 12 aprile 2001 è entrata in vigore il 1 aprile 2002.

[15] Si rimanda in proposito a : Comitato per i diritti umani, UN Doc. CCPPR/C/NET/4 del 30 luglio 2008, al § 38 e ss.

[16] Si rimanda alla sentenza della Corte di Cassazione del 4 -16 ottobre 2007, n. 21748.

[17] La sentenza emanata dal Bundesgerichshof (BGH) è quella del 25 giugno 2010.

[18] La Convenzione di Oviedo non è stata menzionata nella sentenza perché non è stata firmata dalla Germania all’epoca dei fatti.

[19] Si tratta della Terza legge per la modifica della disciplina del rapporto fiduciario (Drittes Gesetz zur Anderung des Betreuungsrechts) del 29 luglio 2009, che ha introdotto nell’ordinamento tedesco il testamento biologico, § 1901 a e 1901 b.

[20] Ramon Sampedro era un giovane pescatore spagnolo che a seguito di un tuffo nelle acque della Galizia rimase paralizzato per ventinove anni. Il giovane desiderava morire, ma la tetraplagia, malattia di cui era affetto, non gli consentiva di arrecarsi da solo la morte. Per tale ragione, Ramon intentò una causa chiedendo che gli venisse garantito il diritto a morire grazie all’aiuto di qualcuno. Si trattava della prima causa spagnola che affrontava il tema del suicidio assistito. I giudici spagnoli rigettarono la sua richiesta aggiungendo che chiunque si fosse reso partecipe alla sua morte avrebbe commesso reato. Ramon, grazie all’aiuto della cognata si rivolse alla Corte di Strasburgo la quale preferì non pronunciarsi sull’argomento, affermando che «le système de recours individuel prévu à l’article 34 de la Convention exclut les requêtes introduites par la voie de l’actio popularis. Les requêtes doivent donc être introduites par ou au nom des personnes se prétendant victimes d’une violation d’une ou de plusieurs dispositions de la Convention. […] Pour qu’un requérant puisse se prétendre victime d’une violation de la Convention, il doit pouvoir démontrer qu’il a été directement affecté par la mesure incriminée». In merito si rimanda alla sentenza di ammissibilità del 26. 10. 2000, ric. n. 48335/99.

[21] In merito si legga l’art. 8 della C.e.d.u. La norma dispone che: «1.Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine o alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

[22] V. Fortuna, Il consenso informato e l’eutanasia nella casistica giudiziaria di Stati Uniti, Europa e Italia, in Riv. It. Medicina legale, 2008, pp.999-1002.

[23] In proposito si legga la sentenza Haas contro Svizzera, ricorso n. 31322/2007, decisione del 20.01.2011.

[24] Nel caso Haas c. Svizzera, la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 8 della C.e.d.u. da parte della Svizzera. I medici svizzeri si erano rifiutati di prescrivere la ricetta richiesta dal ricorrente, sig. Haas, per l’acquisto di una medicina necessaria per poter terminare la sua vita. I giudici di Strasburgo hanno affermato che il ricorrente era incapace di intendere e di volere e che il rifiuto da parte dei medici di prescrivere il farmaco richiesto rappresenta una prova in tal senso.

[25] Si legga in proposito l’articolo di Antonello Ciervo, L’insostenibile leggerezza del margine di apprezzamento, al sito internet http://www.diritticomparati.it/2011/09/my-entry.html.

[26] Decisione giustificata da restrizioni necessarie a tutelare interessi collettivi (art.8, § 2 C.e.d.u).

[27] La Convenzione di Oviedo, intitolata a «la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della…medicina», si propone di «proteggere l’essere umano nella sua dignità», ex. art.1.

Abstract

L’articolo esamina il quadro normativo e giurisprudenziale internazionale ed europeo in materia di bioetica, approfondendo gli aspetti legati al principio di autonomia del paziente in relazione alle cure mediche in fase terminale.

1. La bioetica ([1]) (dal greco bios, vita ed ethikos, teoria del vivere) nasce dall’esigenza degli Stati di delimitare il campo d’azione delle scienze mediche e biologiche in rapida e continua evoluzione ([2]). Si tratta infatti, di una disciplina moderna che si basa sulla riflessione etica apportata alla scienza e alla biomedicina. Grazie a questa caratteristica, il suo studio permette di valutare alcuni processi medici più recenti come il trapianto d’organi, l’eutanasia e la fecondazione assistita, al fine di bilanciare le applicazioni della scienza medica con i diritti fondamentali dell’uomo.

2. A partire dalla seconda guerra mondiale, gli Stati si sono adoperati per promuovere la protezione dei diritti fondamentali dell’individuo alla luce dello sviluppo della biologia molecolare e delle nuove tecniche di ingegneria genetica, fino ad arrivare alla stesura della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei diritti umani e delle dignità dell’essere umano con riguardo all’applicazione della biologia e della medicina ([3]), conosciuta ai più con il nome di Convenzione di Oviedo ([4]). Tale Convenzione si era mostrata uno strumento indispensabile a livello internazionale per colmare le lacune esistenti in materia, dato che né la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, né la Convenzione di Roma del 1950 e neppure i Patti internazionali del 1966 garantiscono una tutela specifica ai diritti nati in parallelo al rapido sviluppo della scienza medica. La Convenzione di Oviedo tuttavia, si è limitata a stabilire norme di carattere generale, ritenute inderogabili dagli Stati, ma ha rimandato alcuni aspetti più specifici della materia a strumenti giuridici ulteriori, quali la Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo ([5]), il Protocollo addizionale sul divieto di clonazione degli esseri umani, n. 168 ([6]) ed i progetti di Protocolli dedicati alla genetica umana ed ai trapianti di organi e tessuti, alla ricerca medica sull’essere umano ([7]), che a causa dello sviluppo della scienza medica possono apparire talvolta lacunosi.

3. Tra i tanti temi di cui si è occupata la bioetica, il principio di autonomia del paziente in relazione alle cure mediche rappresenta uno degli aspetti più studiati e di maggiore interesse, sia a livello nazionale che internazionale. La riflessione bioetica, con l’espressione «consenso informato», ha permesso di analizzare diverse questioni che vanno dal rifiuto al cosiddetto «accanimento terapeutico», alla scelta per il paziente delle cure alle quali sottoporsi, fino al «diritto alla verità» ([8]).

Il consenso informato è tutelato a livello internazionale dall’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina ([9]) ed ha fornito al legislatore comunitario l’occasione per occuparsi del tema, soprattutto in relazione alla salute e alla trasparenza dei rapporti tra professionisti. Uno degli aspetti più problematici in riferimento al consenso informato riguarda le «terapie di sostegno» ([10]), in particolare l’alimentazione e l’idratazione del paziente in stato vegetativo qualora la loro interruzione provochi come conseguenza certa la morte. La Convenzione di Oviedo non fornisce espresse indicazioni riguardo ai pazienti che si trovano in stato vegetativo, tuttavia stabilisce che la volontà del malato debba essere tenuta nella giusta considerazione, pur non consentendo, anche se su diretta richiesta dell’interessato, l’interruzione delle terapie per mantenerlo in vita. Anche la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del 1950 (ora innanzi C.e.d.u.) è in linea con quanto stabilito dalla Convenzione di Oviedo poiché afferma all’art. 5 che «nessuno può essere intenzionalmente privato della vita». Risultano essere dello stesso avviso sia la raccomandazione n. 1418 del 1999 sulla protezione dei diritti dell’uomo e della dignità del malato terminale e morente ([11]), sia gli atti non vincolanti dell’Organizzazione Mondiale della sanità. Tuttavia, entrambe non forniscono indicazioni in riferimento al consenso informato in relazione alle terapie di sostegno. Infine, è utile ricordare sempre in ambito internazionale, che la Dichiarazione di Amsterdam sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa del 1994 evidenzia che, quando il medico si trova a dover operare in una situazione d’urgenza ed il paziente è impossibilitato ad esprimere il suo consenso, quest’ultimo deve presumersi come accordato ([12]).

4. I primi Stati ad essersi dotati di una normativa in materia di eutanasia e suicidio assistito, seppur tra molte polemiche, sono stati l’Australia nel 1995 ([13]) e l’Olanda nel 2001 ([14]). Quest’ultima, dopo aver emanato una legge nella quale veniva permessa l’eutanasia, aveva suscitato la reazione dell’opinione pubblica e del Comitato delle Nazioni Unite, il quale aveva chiesto chiarimenti in merito alla legalizzazione di tale pratica, soffermandosi in particolar modo sulle applicazioni pediatriche della stessa ([15]).

Tra gli Stati europei che si sono dotati di una legislazione in materia di eutanasia e suicidio assistito, la Germania è sicuramente tra quelli che meritano maggiore attenzione per non aver fatto riferimento agli strumenti internazionali. In seguito ad una vicenda processuale, simile per i contenuti a quella che aveva visto coinvolta Eluana Englaro in Italia ([16]), anche la Germania si è trovata a dover decidere in merito all’eutanasia ([17]). Il Bundesgerichshof (BGH), pur non menzionando né la Convenzione di Oviedo ([18]), né la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, aveva richiamato alcune norme interne ad hoc ([19]), affermando che queste ultime tutelano l’autonomia e la volontà dei pazienti anche se espresse prima dell’aggravarsi del loro stato di salute.

5. A prescindere dagli orientamenti e dalle scelte in materia legislativa dei singoli Stati, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha vigilato costantemente sulla tutela dei diritti dell’uomo, garantendo in particolare il rispetto del diritto alla vita.

La prima pronuncia della C.e.d.u. in materia di eutanasia risale al 2000 e riguarda un tetraplegico spagnolo, Ramon Sampedro, determinato a porre fine alla sua vita grazie ad un farmaco letale ([20]). A questa pronuncia ne seguirono altre, tra le quali la nota sentenza Pretty c. Regno Unito del 29 luglio 2002, grazie alla quale è agevole comprendere la posizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La signora Pretty affetta da una malattia incurabile che l’avrebbe di lì a poco portata ad una morte dolorosa aveva chiesto al marito di aiutarla a morire. La donna lamentava il fatto che il diritto interno della Gran Bretagna, Paese nel quale viveva, sanziona il comportamento di chi, su espressa richiesta e trovandosi in particolari stati di malattia, aiuta gli altri a morire. Al fine di evitare che il marito venisse condannato nel caso in cui l’avesse aiutata a porre fine alla sua vita, la signora Pretty ricorse senza successo prima al Director of Public Prosecution inglese, competente per l’esercizio dell’azione penale e poi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte dopo aver provveduto a compiere un esame approfondito sui motivi presentati nel ricorso affermò che «in un’epoca in cui si assiste ad una crescente sofisticazione della medicina e ad un aumento delle speranze di vita, numerose persone temono di non avere la forza di mantenersi in vita fino ad un’età molto avanzata, o in uno stato di grave decadimento fisico e mentale agli antipodi con la forte percezione che hanno di loro stesse e della loro identità personale» di conseguenza, gli Stati hanno il diritto di controllare, attraverso l’applicazione del diritto penale, le attività che possono risultare pregiudizievoli per la vita e la sicurezza dei cittadini, e di proteggere coloro che non sono in grado di prendere decisioni volte a mettere fine alla loro vita. La tutela generale del diritto al suicidio non è sproporzionata, apparendo opportuno per lo Stato prevedere un regime d’applicazione che permetta alla giustizia di avviare l’azione penale qualora ci sia un concreto interesse pubblico. Ne deriva che il divieto di suicidio assistito, fissato dall’ordinamento inglese, non viola l’art.8 della C.e.d.u. ([21]) e che, in questo caso, l’ingerenza della Gran Bretagna è giustificata poiché «necessaria, in una società democratica, per la protezione dei diritti altrui». La Corte Europea con la presente sentenza pone al centro delle sue motivazioni il principio del consenso sotto il profilo dell’autodeterminazione alla cure, dando la possibilità agli ordinamenti degli Stati di permettere che in alcuni casi sia praticata l’eutanasia passiva, volta a provocare la morte del paziente per interruzione delle cure mediche ([22]).

6. Di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata in favore di una possibile apertura degli Stati alla pratica del suicidio assistito. Nella sentenza Haas c. Svizzera del 20 gennaio 2011 ([23]), la Corte ha affermato che «le droit à la vie garanti par l’article 2 de la Convention oblige les Etats à mettre en place une procédure propre à assurer qu’une décision de mettre fin à sa vie corresponde bien à la libre volonté de l’intéressé. La Cour estime que l’exigence d’une ordonnance médicale, délivrée sur le fondement d’une expertise psychiatrique complète, est un moyen permettant de satisfaire à cette exigence. Cette solution correspond d’ailleurs à l’esprit de la Convention internationale sur les substances psychotropes et à celles adoptées dans certains Etats membres du Conseil de l’Europe» ([24]).

La pronuncia è estremamente innovativa in quanto a differenza di quanto deciso nella sentenza Pretty c. Regno Unito, la Corte ha affermato che il diritto di scegliere quando terminare la propria vita è garantito dall’art. 2 della C.e.d.u., inoltre, gli Stati sono tenuti a garantire la possibilità a chi è affetto da gravi patologie di poter ricorrere al suicidio assistito, mettendo a disposizione procedure medico-legali dirette a tal fine. Dalla sentenza si deduce che lo Stato non è obbligato a garantire il ricorso al suicidio assistito, ma è tenuto a consentire che il richiedente possa terminare la sua vita grazie all’aiuto di terzi ([25]).

In generale, possiamo affermare che la Corte dà rilevanza al principio del consenso sotto il profilo dell’autodeterminazione alla cure. Se fino a poco tempo fa, i giudici di Strasburgo demandavano agli Stati la decisione di permettere o meno che fosse praticata l’eutanasia passiva ([26]), in seguito alla recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sembra che la nuova tendenza sia quella di garantire una maggiore tutela dell’autonomia individuale che si evidenzia nelle norme sul consenso informato e nel rispetto al diritto alla vita ed ai diritti ad esso connessi.

Il diritto alla vita appare, quindi, come il bene più prezioso da tutelare. Ad esso è strettamente legato il rispetto per la dignità dell’uomo, elemento imprescindibile e degno di tutela al di sopra di interessi collettivi ed individuali altrui ([27]).

[1] La prima definizione di bioetica è stata data da Reich, nell’Encyclopedia of Bioethic del 1978. In tale opera la bioetica venne definita come lo «studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei principi morali».

[2] I primi aberranti esperimenti medici sull’uomo risalgano ai campi di concentramento nazisti in M.H. PAPPOWORTH, Cavie Umane, Feltrinelli, Milano, 1986; R. J. LIFTON, I medici nazisti, Milano, 1988.

[3] Si tratta del più importante strumento internazionale per la tutela dell’essere umano nei riguardi della biomedicina. La Convenzione è composta da un Preambolo, seguito da quattordici Capitoli. E’ possibile trovare informazioni riguardo allo stato delle firme e delle ratifiche degli Stati al sito del Consiglio d’Europa: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=164&CM=8&DF=07/09/2011&CL=ITA

[4] La Convenzione che è conosciuta come Convenzione di Oviedo dal luogo in cui è stata firmata dagli Stati, il 4 aprile 1997, è entrata in vigore il 1 dicembre 1999 in seguito ad un negoziato che si è protratto per più di cinque anni.

[5] La Dichiarazione è stata adottata dall’UNESCO l’11 novembre 1997.

[6] Il Protocollo è stato firmato a Parigi il 12 gennaio 1998 ed è entrato in vigore il 1 marzo 2001. Attualmente non è ancora stato ratificato dall’Italia, come si può leggere al sito: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=168&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA Il nome completo del Protocollo è: Protocollo addizionale alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, sul divieto di clonazione di esseri umani. STCE n° : 168.

[7] Protocollo addizionale alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, relativo alla ricerca biomedica, STCE n°: 195, è stato firmato a Strasburgo il 25/01/2005 ed è entrato in vigore il 1 settembre 2007. http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=195&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA.

L’Italia ha apposto la sua firma il 19 ottobre 2005, ma non ha provveduto alla ratifica.

http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=195&CM=8&DF=12/09/2011&CL=ITA

Si legga per approfondimenti A. BOMPIANI, Nota informativa sull’attività redigente di protocolli alla Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d’Europa, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2001, p.161 ss.

[8] G. BERLINGUER, Bioetica quotidiana, Giappichelli Editore, Torino, 2006.

[9] La Convenzione all’art. 5 evidenzia che: «qualsiasi trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso». La Convenzione non è ancora stata ratificata dall’Italia: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=164&CM=8&DF=07/09/2011&CL=ITA

[10] Gli aspetti che causano maggiori problemi sono quelli legati ai comportamenti da tenere nei riguardi di pazienti che si trovano in stato vegetativo, consistente nella perdita di autocoscienza. Le «terapie di sostegno» possono consistere nell’alimentazione e nell’idratazione del paziente che si trova in tale stato.

[11] All’art. 8, la rac. n. 14418 «raccomanda agli Stati di individuare i criteri di validità delle dichiarazioni anticipate di trattamento (nonché delle testimonianze raccolte da terzi)».

[12] Ciò, a meno che non risulti evidente da una precedente espressione di volontà, che il consenso sarebbe stato negato. Nel caso in cui è necessario il consenso di un rappresentante legale e l’intervento medico è urgente, il consenso si presume nel caso in cui non sia possibile ottenerlo. L’art. 3 al comma 7 dispone che «in tutte le altre situazioni dove il paziente è nell’incapacità di dare il consenso informato e laddove non c’è un legale rappresentante designato dal paziente a questo scopo, dovranno essere prese le misure adeguate per effettuare un processo decisionale sostitutivo, nel quale va tenuto in considerazione ciò che si conosce e, nel modo più esteso possibile, ciò si può presumere riguardo alla volontà del paziente».

[13] L’Australia emanò il Rights of the Terminally Ill Act 1995 (NT), a cui seguì l’Euthanasia Laws Act del 1997.

[14] La legge 12 aprile 2001 è entrata in vigore il 1 aprile 2002.

[15] Si rimanda in proposito a : Comitato per i diritti umani, UN Doc. CCPPR/C/NET/4 del 30 luglio 2008, al § 38 e ss.

[16] Si rimanda alla sentenza della Corte di Cassazione del 4 -16 ottobre 2007, n. 21748.

[17] La sentenza emanata dal Bundesgerichshof (BGH) è quella del 25 giugno 2010.

[18] La Convenzione di Oviedo non è stata menzionata nella sentenza perché non è stata firmata dalla Germania all’epoca dei fatti.

[19] Si tratta della Terza legge per la modifica della disciplina del rapporto fiduciario (Drittes Gesetz zur Anderung des Betreuungsrechts) del 29 luglio 2009, che ha introdotto nell’ordinamento tedesco il testamento biologico, § 1901 a e 1901 b.

[20] Ramon Sampedro era un giovane pescatore spagnolo che a seguito di un tuffo nelle acque della Galizia rimase paralizzato per ventinove anni. Il giovane desiderava morire, ma la tetraplagia, malattia di cui era affetto, non gli consentiva di arrecarsi da solo la morte. Per tale ragione, Ramon intentò una causa chiedendo che gli venisse garantito il diritto a morire grazie all’aiuto di qualcuno. Si trattava della prima causa spagnola che affrontava il tema del suicidio assistito. I giudici spagnoli rigettarono la sua richiesta aggiungendo che chiunque si fosse reso partecipe alla sua morte avrebbe commesso reato. Ramon, grazie all’aiuto della cognata si rivolse alla Corte di Strasburgo la quale preferì non pronunciarsi sull’argomento, affermando che «le système de recours individuel prévu à l’article 34 de la Convention exclut les requêtes introduites par la voie de l’actio popularis. Les requêtes doivent donc être introduites par ou au nom des personnes se prétendant victimes d’une violation d’une ou de plusieurs dispositions de la Convention. […] Pour qu’un requérant puisse se prétendre victime d’une violation de la Convention, il doit pouvoir démontrer qu’il a été directement affecté par la mesure incriminée». In merito si rimanda alla sentenza di ammissibilità del 26. 10. 2000, ric. n. 48335/99.

[21] In merito si legga l’art. 8 della C.e.d.u. La norma dispone che: «1.Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine o alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

[22] V. Fortuna, Il consenso informato e l’eutanasia nella casistica giudiziaria di Stati Uniti, Europa e Italia, in Riv. It. Medicina legale, 2008, pp.999-1002.

[23] In proposito si legga la sentenza Haas contro Svizzera, ricorso n. 31322/2007, decisione del 20.01.2011.

[24] Nel caso Haas c. Svizzera, la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 8 della C.e.d.u. da parte della Svizzera. I medici svizzeri si erano rifiutati di prescrivere la ricetta richiesta dal ricorrente, sig. Haas, per l’acquisto di una medicina necessaria per poter terminare la sua vita. I giudici di Strasburgo hanno affermato che il ricorrente era incapace di intendere e di volere e che il rifiuto da parte dei medici di prescrivere il farmaco richiesto rappresenta una prova in tal senso.

[25] Si legga in proposito l’articolo di Antonello Ciervo, L’insostenibile leggerezza del margine di apprezzamento, al sito internet http://www.diritticomparati.it/2011/09/my-entry.html.

[26] Decisione giustificata da restrizioni necessarie a tutelare interessi collettivi (art.8, § 2 C.e.d.u).

[27] La Convenzione di Oviedo, intitolata a «la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della…medicina», si propone di «proteggere l’essere umano nella sua dignità», ex. art.1.