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La disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non è applicabile alla corrispondenza dei detenuti

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 18 luglio 2012, n. 28997

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta per dirimere un contrasto giurisprudenziale, ha affermato che la “disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui agli artt. 266 e seguenti c.p.p., non è applicabile alla corrispondenza, dovendosi per la sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria del contenuto epistolare seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p., e, trattandosi di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall’art. 18-ter dell’Ordinamento Penitenziario”.

La motivazione addotta, per addivenire a siffatta conclusione decisoria, è stata il frutto di complesse e articolate argomentazioni corroborate da molteplici e pregiati ragionamenti giuridici.

Quindi vale la pena innanzitutto individuare gli snodi decisori attraverso i quali la Corte è pervenuta a formulare questo principio di diritto.

Innanzitutto la premessa giuridica, da cui è scaturita questa sentenza, è stata la seguente: “se alla sottoposizione a controllo e all’acquisizione probatoria della corrispondenza del detenuto possano estendersi le disposizioni relative alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”.

Orbene alla luce di tale quesito, la Cassazione ha preso in primo luogo atto dell’esistenza di due orientamenti nomofilattici contrapposti e, segnatamente:

a) quello secondo cui “la disciplina prevista per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 cod. proc. pen. sarebbe applicabile in via analogica anche alle operazioni di intercettazione della corrispondenza inviata da un detenuto o a lui trasmessa, rilevandosi che l’art. 18-ter Ord. Pen. - per il quale il detenuto deve essere immediatamente informato in caso di trattenimento della corrispondenza - “ha una finalità diversa, di natura preventiva, incompatibile con la fase delle indagini preliminari, disciplinata dalle norme del codice di procedura penale” [1];

b) quello secondo il quale è invece necessario che l’acquisizione della corrispondenza del detenuto (in entrata e in uscita) deve essere “preceduta da un provvedimento del magistrato di sorveglianza e che il detenuto sia immediatamente informato in ordine al trattenimento di detta corrispondenza” pena l’ “inutilizzabilità delle relative acquisizioni probatorie” [2].

Ciò premesso il Supremo Consesso, con questo obiter dictum, ha ritenuto il primo orientamento privo di fondamento giuridico per le seguenti ragioni.

“Innanzitutto, la Corte osserva che l’affermata natura esclusivamente “preventiva” del visto di controllo della corrispondenza disciplinato dall’art. 18-ter Ordinamento Penitenziario non risulta avere riscontro normativo, stante che tale articolo, incentrato sulle “Limitazioni e controlli della corrispondenza” (dei detenuti o internati negli istituti penitenziari) esordisce, al comma 1, con la espressione “Per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto”, con ciò evidentemente riferendosi a ogni finalità che muova l’autorità pubblica, compresa quella di ricerca degli elementi indiziari che orientano l’attività investigativa a seguito di una notizia di reato, che si colloca, appunto, nella fase delle indagini preliminari, regolate dagli artt. 326 e seguenti del codice di procedura penale”[3].

In secondo luogo, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno stimato privo di alcun “argomento critico” “l’assunto secondo cui la disciplina degli artt. 266 cod. proc. pen. sarebbe applicabile “in via analogica” anche alle operazioni di intercettazione della corrispondenza epistolare, inviata da un detenuto o a lui destinata” atteso che “la materia delle intrusioni investigative sulla “corrispondenza” è regolata dall’art. 254 cod. proc. pen., che, rispetto alla normativa generale in tema di sequestri (art. 253 cod. proc. pen.), si atteggia quale disciplina speciale, in quanto incidente su aspetti presidiati dall’art. 15 Cost. (nonché dall’art. 8 della CEDU), e che ha ad oggetto il sequestro della corrispondenza presso gestori (anche privati) di servizi postali”.

Gli Ermellini, dunque, partendo dal presupposto secondo cui nessuna speciale ragione di tutela “interferisce con l’adozione di un ordinario provvedimento di sequestro da eseguire in qualsiasi luogo ove si trovino lettere o pieghi non ancora avviati dal mittente al destinatario o già da quest’ultimo ricevuti”[4], sono pervenuti alla conclusione secondo la quale in casi questo tipo:

a) in base all’art. 254 c.p.p., deve essere disposto “il sequestro da parte dell’a.g. “di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza”;

b) nel corso delle indagini preliminari, stante la previsione di cui all’art. 353, comma 3, cod. proc. pen., “gli ufficiali di polizia giudiziaria, se vi è l’urgente necessità di acquisire oggetti di corrispondenza, sono abilitati ad ordinare a chi è preposto al servizio postale di sospendere l’inoltro; ordine che cessa di effetto se il p.m. non dispone il sequestro entro le ventiquattro ore”;

c) il p.m., disposto il sequestro, d’iniziativa o su impulso della polizia giudiziaria, “in base al combinato disposto degli artt. 365 e 366 cod. proc. pen., deve depositare il relativo verbale, entro il terzo giorno successivo all’atto, dandone avviso al difensore dell’indagato (salva la facoltà di ritardare il deposito, per non oltre trenta giorni, ricorrendo i presupposti dell’art. 366, comma 2, cod. proc. pen.)”.

Del resto, la Suprema Corte di Cassazione ha reputato giustamente opportuno e doveroso rilevare come non si possa “dubitare che sia definibile “corrispondenza” anche quella che transita per gli istituti di detenzione, diretta verso l’esterno dal detenuto o a lui spedita; e che il detenuto ha diritto di vedere inoltrata o di ricevere, non trattandosi di res di cui abbia disponibilità l’amministrazione carceraria” siccome:

1) “proprio in base alla speciale condizione del detenuto, (…) deve essere comunque assicurato il rispetto dei diritti fondamentali compatibili con tale status (v., tra le altre, Corte cost., sentt. nn. 26 del 1999, 212 del 1997, 410 e 349 del 1993)”;

2) “i poteri di intrusione dell’autorità giudiziaria nella corrispondenza che transita per gli istituti penitenziari ricevono apposita regolamentazione, tra l’altro con previsione di limiti temporali e della facoltà di reclamo, ad opera dell’art. 18-ter ord. pen., inserito dalla legge 8 aprile 2004, n. 95, anche a seguito di numerose decisioni della Corte EDU (v., tra le tante, sentenze del 23 febbraio 1993 e del 28 settembre 2000, Messina c. Italia, del 15 novembre 1996, Domenichini c. Italia e del 26 luglio 2001, Di Giovine c. Italia”;

3) “né prima né dopo le novità introdotte, mediante l’art. 18-ter ord. pen., dalla citata legge n. 95 del 2004 - poteva e può essere disposto dall’a.g. è l’apprensione in forma occulta del contenuto della corrispondenza dei detenuti (neppure di quelli sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen.)”;

4) “a norma dell’art, 38, comma 10, reg. Ord. Pen. (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), ovverosia già anteriormente alle modifiche recate dalla predetta legge n. 95 del 2004, il detenuto doveva essere “immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta”, e analogamente ora dispone l’art. 18-ter, comma 5, Ord. Pen.”;

5) in base all’art. 15, comma secondo, Cost., la libertà e segretezza della corrispondenza può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria “con le garanzie stabilite dalla legge” e dunque, “in materia presidiata dalla riserva di legge e di giurisdizione, non è consentita interpretazione analogica o estensiva di discipline specificamente dettate per singoli settori, quale quella di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., che, particolarmente, si riferisce alle intercettazioni “di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione”[5].

Il Supremo Consesso, inoltre, ad ulteriore conforto di tale approdo motivazionale, partendo dalla premessa secondo cui “l’art. 189 cod. proc. pen., che evoca le c.d. “prove atipiche”, “presuppone logicamente la formazione lecita della prova e soltanto in questo caso la rende ammissibile”[6] è pervenuto alla considerazione secondo la quale:

1) “non può considerarsi non disciplinata dalla legge la prova basata su un’attività che la legge vieta”;

2) non è lecita “l’acquisizione del contenuto di corrispondenza di detenuti (ma lo stesso dovrebbe dirsi con riferimento a qualsivoglia tipologia e contesto di corrispondenza epistolare) al di fuori delle formalità e competenze previste tassativamente dalla legge”.

Ebbene, una volta individuati i passi salienti di questa decisione, lo scrivente non può che condividere tale tracciato motivazionale per le seguenti considerazioni.

Innanzitutto tale arresto giurisprudenziale salvaguarda la libertà fondamentale garantita dall’art. 15 Cost. e segnatamente, quella consistente nella libertà e nella segretezza della corrispondenza, atteso che, in questo precetto costituzionale, ricevono “protezione due distinti interessi; quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale”[7].

In effetti, com’è noto, “il sequestro della corrispondenza epistolare, il cui carattere di riservatezza è tutelato dall’art. 15 Cost. (oltre che dall’art. 8 della Convenzione e.d.u.), è disciplinato in guisa da assicurare la riserva di giurisdizione, specialmente quando interviene presso gli agenti del servizio di recapito (art. 254 e 353, comma 3, c.p.p.)”[8].

Né, ad ulteriore conferma della fondatezza di questa sentenza, tali diritti possono reputarsi non valevoli in sede carceraria dato che la “dignità della persona (art. 3, primo comma, della Costituzione) (…) è dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale, conformemente, del resto, all’impronta generale che l’art. 1, primo comma, della legge n. 354 del 1975 ha inteso dare all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario”[9].

“Il detenuto, infatti, pur trovandosi in situazione di privazione della libertà personale in forza della sentenza di condanna, è pur sempre titolare di diritti incomprimibili, il cui esercizio non è rimesso alla semplice discrezionalità dell’autorità amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva, e la cui tutela pertanto non sfugge al giudice dei diritti”[10] proprio perché “la tutela costituzionale dei diritti fondamentali dell’uomo, ed in particolare la garanzia della inviolabilità della libertà personale sancita dall’art. 13 della Costituzione, opera anche nei confronti di chi é stato sottoposto a legittime restrizioni della libertà personale durante la fase esecutiva della pena, sia pure con le limitazioni che, com’é ovvio, lo stato di detenzione necessariamente comporta (v. sentt. n. 204 del 1974, n. 185 del 1985, n. 312 del 1985, 374 del 1987, n. 53 del 1993)”[11].

Peraltro, sulla medesima linea ermeneutica, si sono schierati gli stessi Giudici di legittimità i quali hanno affermato come rientrino “nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli art. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge”[12].

D’altronde, già autorevole dottrina ha osservato da tempo che “una interpretazione conforme a Costituzione, impone di ritenere che l’art. 189 c.p.p. precluda l’ingresso processuale di prove atipiche lesive dei diritti fondamentali proprio perché non prevede i casi e i modi di tale compressione”[13].

In sede carceraria, l’art. 18 ter o.p., così come correttamente interpretato dalla Cassazione in questa decisione, quindi, non rappresenta altro che una norma attuativa di tale principio in quanto tale disposizione legislativa prevede le uniche “modalità attraverso le quali può essere sottoposta a controllo ed eventualmente a sequestro la corrispondenza”[14].

La norma de qua, in effetti, statuisce che “per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo; c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima”[15].

E’ evidente quindi come la ratio di questa disposizione legislativa sia quella di evitare che “limitazioni tanto rilevanti dei diritti dei detenuti si prolunghino senza sostanziale soluzione di continuità oltre i termini previsti”[16].

Tali provvedimenti, a loro volta, sono adottabili “con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto: a) nei confronti dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell’articolo 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del Tribunale o della Corte di assise”[17].

Questa regola legislativa, inoltre, “ha adeguato l’ordinamento interno a quelli che erano stati i dettami della Corte europea dei diritti dell’uomo, che, con numerose pronunce e, in particolare con la sentenza 28 settembre 2000, 25498/94 (Messina contro Italia) aveva affrontato il problema della tutela della corrispondenza dei detenuti”[18].

La giurisprudenza comunitaria, infatti, ha affermato da tempo come l’ “ingerenza di una autorità pubblica contrasta con il diritto al rispetto della corrispondenza garantito dal par. 1 dell’art. 8”[19] qualora:

1) non venga disciplinata “né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti né i motivi che possono giustificarle”[20];

2) non venga indicata “con sufficiente chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti nell’ambito considerato”[21].

Le garanzie particolari per il controllo sulla corrispondenza dei detenuti, pertanto, sono state previste “anche a seguito di ripetuti e notori provvedimenti di condanna assunti dalla Corte e.d.u. nei confronti dell’Italia”[22].

Inoltre, a conferma di tale assunto, v’è insigne dottrina la quale ha evidenziato che l’art. 8 CEDU, nel tutelare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, “abbracci” “espressamente il diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza”[23].

Di talchè ne consegue che la “strada intrapresa” dalle Sezioni Unite in questo arresto giurisprudenziale è l’unica possibile giacchè, ai sensi dell’art. 191, co. II, c.p.p., l’ “acquisizione della corrispondenza del detenuto ai fini di prova nel processo penale, in assenza della procedura prevista dalla legge, ne determina l’assoluta inutilizzabilità”[24].

La violazione della normativa penitenziaria (art. 18 ter l. n. 354 del 1975) che disciplina le forme e le garanzie contemplate per il "visto di controllo", invero, determina l’ “inutilizzabilità dei relativi risultati probatori”[25].

Invece, al contrario, la “possibilità di acquisizione ai fini probatori della corrispondenza dei detenuti viene fatta salva qualora il sequestro sia avvenuto successivamente ad una legittimo provvedimento di controllo, disposto ai sensi dell’articolo 18ter Op, ovvero, prima dell’introduzione di tale norma, secondo le modalità di cui all’articolo 18 comma 7 e 9 Op.”[26] rilevato che, in questo diverso caso, si tratterebbe “di acquisizione di corrispondenza già esistente presso l’amministrazione penitenziaria e acquisita dalla stessa in forza di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria”[27].

Da ultimo, la linea ermeneutica adottata dalla Cassazione in questo decisum, è sicuramente quella più consona al dettato costituzionale.

L’interpretazione fornita in questo obiter dictum, in effetti, è la più idonea a garantire “la stretta attinenza della libertà e della segretezza della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità”[28].

Questa “attinenza”, difatti, non solo induce a qualificare il corrispondente diritto "come parte necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana"[29] ma determina anche “un particolare vincolo interpretativo diretto a conferire a quella libertà, per quanto possibile, un significato espansivo”[30].

[1] Cass. pen., Sez. 5, n. 3579 del 18/10/2007, dep. 2008, Costa, Rv. 238902.

[2] Cass. pen., Sez. 5, n. 16575 del 29/04/2010, Azoulay, Rv. 246870, in senso conforme: Sez. 2, n. 20228 del 13/06/2006, Rescigno, Rv. 234652, Sez. 6, n. 47009 del 13/10/2009, Giacalone, Rv. 245183.

[3] Anna Teresa Paciotti, “Se non si rispettano le regole dell’Ordinamento Penitenziario la corrispondenza intercettata è inutilizzabile nel processo”, tratto da http://www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/43421

[4] Tale nozione, infatti, implica “un’attività di spedizione in corso o alla quale il mittente abbia dato comunque impulso consegnandola ad altri per il recapito” (sentenza in commento).

[5] Stante il fatto che laddove il legislatore aveva ritenuto necessario integrare la disciplina codicistica in materia di intercettazioni, esso è intervenuto con una specifica innovazione normativa come dimostra quella operata con la sfociata “legge 23 dicembre 1993, n. 547, introduttiva dell’art. 266-bis cod. proc. pen..

[6] Cass. pen., Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234270.

[7] Corte Costituzionale, 6/04/73, n. 34, in senso conforme: sentt. nn. 120 del 1975, 98 del 1976, 223 del 1987, 366 del 1991.

[8] Guglielmo Leo, “Le Sezioni unite escludono la legittimità di controlli occulti sulla corrispondenza dei detenuti (e non solo)”, tratto da: http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1639- le_sezioni_unite_escludono_la_legittimit___di_controlli_occulti_sulla_corrispondenza_dei_detenuti__e_non_solo/.

[9] Corte Costituzionale, 11/02/99, n. 26.

[10] Corte Costituzionale, 3/07/97, n. 212.

[11] Corte Costituzionale, 28/07/93, n. 349.

[12] Cass. pen., Sezioni Unite, 13/07/98, n. 21.

[13] CONTI, voce Inutilizzabilità, in Enc. giur. Treccani, 2004, vol. XVII, p. 9-10.

[14] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[15] Ibidem.

[16] Cass. pen., sez. I, 25/03/11, n. 25849.

[17] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[18] Ibidem.

[19] Corte EDU, 15/11/96, n. 15943.

[20] Corte EDU, sez. II, 28/09/00, n. 25498.

[21] Ibidem.

[22] Guglielmo Leo, “Le Sezioni unite escludono la legittimità di controlli occulti sulla corrispondenza dei detenuti (e non solo)”, tratto da: http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1639- le_sezioni_unite_escludono_la_legittimit___di_controlli_occulti_sulla_corrispondenza_dei_detenuti__e_non_solo/.

[23] VIGANÒ, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, p. 55.

[24] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[25] Cass. pen., sez. VI, 13/10/09, n. 47009; in senso conforme: Cass. pen., sez. V, 4/02/10, n. 16575, Cass. pen., sez. II, 23/05/06, n. 20228.

[26] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[27] Ibidem.

[28] Corte Costituzionale, 11/03/93, n. 81.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta per dirimere un contrasto giurisprudenziale, ha affermato che la “disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui agli artt. 266 e seguenti c.p.p., non è applicabile alla corrispondenza, dovendosi per la sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria del contenuto epistolare seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p., e, trattandosi di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall’art. 18-ter dell’Ordinamento Penitenziario”.

La motivazione addotta, per addivenire a siffatta conclusione decisoria, è stata il frutto di complesse e articolate argomentazioni corroborate da molteplici e pregiati ragionamenti giuridici.

Quindi vale la pena innanzitutto individuare gli snodi decisori attraverso i quali la Corte è pervenuta a formulare questo principio di diritto.

Innanzitutto la premessa giuridica, da cui è scaturita questa sentenza, è stata la seguente: “se alla sottoposizione a controllo e all’acquisizione probatoria della corrispondenza del detenuto possano estendersi le disposizioni relative alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”.

Orbene alla luce di tale quesito, la Cassazione ha preso in primo luogo atto dell’esistenza di due orientamenti nomofilattici contrapposti e, segnatamente:

a) quello secondo cui “la disciplina prevista per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 cod. proc. pen. sarebbe applicabile in via analogica anche alle operazioni di intercettazione della corrispondenza inviata da un detenuto o a lui trasmessa, rilevandosi che l’art. 18-ter Ord. Pen. - per il quale il detenuto deve essere immediatamente informato in caso di trattenimento della corrispondenza - “ha una finalità diversa, di natura preventiva, incompatibile con la fase delle indagini preliminari, disciplinata dalle norme del codice di procedura penale” [1];

b) quello secondo il quale è invece necessario che l’acquisizione della corrispondenza del detenuto (in entrata e in uscita) deve essere “preceduta da un provvedimento del magistrato di sorveglianza e che il detenuto sia immediatamente informato in ordine al trattenimento di detta corrispondenza” pena l’ “inutilizzabilità delle relative acquisizioni probatorie” [2].

Ciò premesso il Supremo Consesso, con questo obiter dictum, ha ritenuto il primo orientamento privo di fondamento giuridico per le seguenti ragioni.

“Innanzitutto, la Corte osserva che l’affermata natura esclusivamente “preventiva” del visto di controllo della corrispondenza disciplinato dall’art. 18-ter Ordinamento Penitenziario non risulta avere riscontro normativo, stante che tale articolo, incentrato sulle “Limitazioni e controlli della corrispondenza” (dei detenuti o internati negli istituti penitenziari) esordisce, al comma 1, con la espressione “Per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto”, con ciò evidentemente riferendosi a ogni finalità che muova l’autorità pubblica, compresa quella di ricerca degli elementi indiziari che orientano l’attività investigativa a seguito di una notizia di reato, che si colloca, appunto, nella fase delle indagini preliminari, regolate dagli artt. 326 e seguenti del codice di procedura penale”[3].

In secondo luogo, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno stimato privo di alcun “argomento critico” “l’assunto secondo cui la disciplina degli artt. 266 cod. proc. pen. sarebbe applicabile “in via analogica” anche alle operazioni di intercettazione della corrispondenza epistolare, inviata da un detenuto o a lui destinata” atteso che “la materia delle intrusioni investigative sulla “corrispondenza” è regolata dall’art. 254 cod. proc. pen., che, rispetto alla normativa generale in tema di sequestri (art. 253 cod. proc. pen.), si atteggia quale disciplina speciale, in quanto incidente su aspetti presidiati dall’art. 15 Cost. (nonché dall’art. 8 della CEDU), e che ha ad oggetto il sequestro della corrispondenza presso gestori (anche privati) di servizi postali”.

Gli Ermellini, dunque, partendo dal presupposto secondo cui nessuna speciale ragione di tutela “interferisce con l’adozione di un ordinario provvedimento di sequestro da eseguire in qualsiasi luogo ove si trovino lettere o pieghi non ancora avviati dal mittente al destinatario o già da quest’ultimo ricevuti”[4], sono pervenuti alla conclusione secondo la quale in casi questo tipo:

a) in base all’art. 254 c.p.p., deve essere disposto “il sequestro da parte dell’a.g. “di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza”;

b) nel corso delle indagini preliminari, stante la previsione di cui all’art. 353, comma 3, cod. proc. pen., “gli ufficiali di polizia giudiziaria, se vi è l’urgente necessità di acquisire oggetti di corrispondenza, sono abilitati ad ordinare a chi è preposto al servizio postale di sospendere l’inoltro; ordine che cessa di effetto se il p.m. non dispone il sequestro entro le ventiquattro ore”;

c) il p.m., disposto il sequestro, d’iniziativa o su impulso della polizia giudiziaria, “in base al combinato disposto degli artt. 365 e 366 cod. proc. pen., deve depositare il relativo verbale, entro il terzo giorno successivo all’atto, dandone avviso al difensore dell’indagato (salva la facoltà di ritardare il deposito, per non oltre trenta giorni, ricorrendo i presupposti dell’art. 366, comma 2, cod. proc. pen.)”.

Del resto, la Suprema Corte di Cassazione ha reputato giustamente opportuno e doveroso rilevare come non si possa “dubitare che sia definibile “corrispondenza” anche quella che transita per gli istituti di detenzione, diretta verso l’esterno dal detenuto o a lui spedita; e che il detenuto ha diritto di vedere inoltrata o di ricevere, non trattandosi di res di cui abbia disponibilità l’amministrazione carceraria” siccome:

1) “proprio in base alla speciale condizione del detenuto, (…) deve essere comunque assicurato il rispetto dei diritti fondamentali compatibili con tale status (v., tra le altre, Corte cost., sentt. nn. 26 del 1999, 212 del 1997, 410 e 349 del 1993)”;

2) “i poteri di intrusione dell’autorità giudiziaria nella corrispondenza che transita per gli istituti penitenziari ricevono apposita regolamentazione, tra l’altro con previsione di limiti temporali e della facoltà di reclamo, ad opera dell’art. 18-ter ord. pen., inserito dalla legge 8 aprile 2004, n. 95, anche a seguito di numerose decisioni della Corte EDU (v., tra le tante, sentenze del 23 febbraio 1993 e del 28 settembre 2000, Messina c. Italia, del 15 novembre 1996, Domenichini c. Italia e del 26 luglio 2001, Di Giovine c. Italia”;

3) “né prima né dopo le novità introdotte, mediante l’art. 18-ter ord. pen., dalla citata legge n. 95 del 2004 - poteva e può essere disposto dall’a.g. è l’apprensione in forma occulta del contenuto della corrispondenza dei detenuti (neppure di quelli sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen.)”;

4) “a norma dell’art, 38, comma 10, reg. Ord. Pen. (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), ovverosia già anteriormente alle modifiche recate dalla predetta legge n. 95 del 2004, il detenuto doveva essere “immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta”, e analogamente ora dispone l’art. 18-ter, comma 5, Ord. Pen.”;

5) in base all’art. 15, comma secondo, Cost., la libertà e segretezza della corrispondenza può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria “con le garanzie stabilite dalla legge” e dunque, “in materia presidiata dalla riserva di legge e di giurisdizione, non è consentita interpretazione analogica o estensiva di discipline specificamente dettate per singoli settori, quale quella di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., che, particolarmente, si riferisce alle intercettazioni “di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione”[5].

Il Supremo Consesso, inoltre, ad ulteriore conforto di tale approdo motivazionale, partendo dalla premessa secondo cui “l’art. 189 cod. proc. pen., che evoca le c.d. “prove atipiche”, “presuppone logicamente la formazione lecita della prova e soltanto in questo caso la rende ammissibile”[6] è pervenuto alla considerazione secondo la quale:

1) “non può considerarsi non disciplinata dalla legge la prova basata su un’attività che la legge vieta”;

2) non è lecita “l’acquisizione del contenuto di corrispondenza di detenuti (ma lo stesso dovrebbe dirsi con riferimento a qualsivoglia tipologia e contesto di corrispondenza epistolare) al di fuori delle formalità e competenze previste tassativamente dalla legge”.

Ebbene, una volta individuati i passi salienti di questa decisione, lo scrivente non può che condividere tale tracciato motivazionale per le seguenti considerazioni.

Innanzitutto tale arresto giurisprudenziale salvaguarda la libertà fondamentale garantita dall’art. 15 Cost. e segnatamente, quella consistente nella libertà e nella segretezza della corrispondenza, atteso che, in questo precetto costituzionale, ricevono “protezione due distinti interessi; quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale”[7].

In effetti, com’è noto, “il sequestro della corrispondenza epistolare, il cui carattere di riservatezza è tutelato dall’art. 15 Cost. (oltre che dall’art. 8 della Convenzione e.d.u.), è disciplinato in guisa da assicurare la riserva di giurisdizione, specialmente quando interviene presso gli agenti del servizio di recapito (art. 254 e 353, comma 3, c.p.p.)”[8].

Né, ad ulteriore conferma della fondatezza di questa sentenza, tali diritti possono reputarsi non valevoli in sede carceraria dato che la “dignità della persona (art. 3, primo comma, della Costituzione) (…) è dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale, conformemente, del resto, all’impronta generale che l’art. 1, primo comma, della legge n. 354 del 1975 ha inteso dare all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario”[9].

“Il detenuto, infatti, pur trovandosi in situazione di privazione della libertà personale in forza della sentenza di condanna, è pur sempre titolare di diritti incomprimibili, il cui esercizio non è rimesso alla semplice discrezionalità dell’autorità amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva, e la cui tutela pertanto non sfugge al giudice dei diritti”[10] proprio perché “la tutela costituzionale dei diritti fondamentali dell’uomo, ed in particolare la garanzia della inviolabilità della libertà personale sancita dall’art. 13 della Costituzione, opera anche nei confronti di chi é stato sottoposto a legittime restrizioni della libertà personale durante la fase esecutiva della pena, sia pure con le limitazioni che, com’é ovvio, lo stato di detenzione necessariamente comporta (v. sentt. n. 204 del 1974, n. 185 del 1985, n. 312 del 1985, 374 del 1987, n. 53 del 1993)”[11].

Peraltro, sulla medesima linea ermeneutica, si sono schierati gli stessi Giudici di legittimità i quali hanno affermato come rientrino “nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli art. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge”[12].

D’altronde, già autorevole dottrina ha osservato da tempo che “una interpretazione conforme a Costituzione, impone di ritenere che l’art. 189 c.p.p. precluda l’ingresso processuale di prove atipiche lesive dei diritti fondamentali proprio perché non prevede i casi e i modi di tale compressione”[13].

In sede carceraria, l’art. 18 ter o.p., così come correttamente interpretato dalla Cassazione in questa decisione, quindi, non rappresenta altro che una norma attuativa di tale principio in quanto tale disposizione legislativa prevede le uniche “modalità attraverso le quali può essere sottoposta a controllo ed eventualmente a sequestro la corrispondenza”[14].

La norma de qua, in effetti, statuisce che “per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo; c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima”[15].

E’ evidente quindi come la ratio di questa disposizione legislativa sia quella di evitare che “limitazioni tanto rilevanti dei diritti dei detenuti si prolunghino senza sostanziale soluzione di continuità oltre i termini previsti”[16].

Tali provvedimenti, a loro volta, sono adottabili “con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto: a) nei confronti dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell’articolo 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del Tribunale o della Corte di assise”[17].

Questa regola legislativa, inoltre, “ha adeguato l’ordinamento interno a quelli che erano stati i dettami della Corte europea dei diritti dell’uomo, che, con numerose pronunce e, in particolare con la sentenza 28 settembre 2000, 25498/94 (Messina contro Italia) aveva affrontato il problema della tutela della corrispondenza dei detenuti”[18].

La giurisprudenza comunitaria, infatti, ha affermato da tempo come l’ “ingerenza di una autorità pubblica contrasta con il diritto al rispetto della corrispondenza garantito dal par. 1 dell’art. 8”[19] qualora:

1) non venga disciplinata “né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti né i motivi che possono giustificarle”[20];

2) non venga indicata “con sufficiente chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti nell’ambito considerato”[21].

Le garanzie particolari per il controllo sulla corrispondenza dei detenuti, pertanto, sono state previste “anche a seguito di ripetuti e notori provvedimenti di condanna assunti dalla Corte e.d.u. nei confronti dell’Italia”[22].

Inoltre, a conferma di tale assunto, v’è insigne dottrina la quale ha evidenziato che l’art. 8 CEDU, nel tutelare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, “abbracci” “espressamente il diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza”[23].

Di talchè ne consegue che la “strada intrapresa” dalle Sezioni Unite in questo arresto giurisprudenziale è l’unica possibile giacchè, ai sensi dell’art. 191, co. II, c.p.p., l’ “acquisizione della corrispondenza del detenuto ai fini di prova nel processo penale, in assenza della procedura prevista dalla legge, ne determina l’assoluta inutilizzabilità”[24].

La violazione della normativa penitenziaria (art. 18 ter l. n. 354 del 1975) che disciplina le forme e le garanzie contemplate per il "visto di controllo", invero, determina l’ “inutilizzabilità dei relativi risultati probatori”[25].

Invece, al contrario, la “possibilità di acquisizione ai fini probatori della corrispondenza dei detenuti viene fatta salva qualora il sequestro sia avvenuto successivamente ad una legittimo provvedimento di controllo, disposto ai sensi dell’articolo 18ter Op, ovvero, prima dell’introduzione di tale norma, secondo le modalità di cui all’articolo 18 comma 7 e 9 Op.”[26] rilevato che, in questo diverso caso, si tratterebbe “di acquisizione di corrispondenza già esistente presso l’amministrazione penitenziaria e acquisita dalla stessa in forza di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria”[27].

Da ultimo, la linea ermeneutica adottata dalla Cassazione in questo decisum, è sicuramente quella più consona al dettato costituzionale.

L’interpretazione fornita in questo obiter dictum, in effetti, è la più idonea a garantire “la stretta attinenza della libertà e della segretezza della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità”[28].

Questa “attinenza”, difatti, non solo induce a qualificare il corrispondente diritto "come parte necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana"[29] ma determina anche “un particolare vincolo interpretativo diretto a conferire a quella libertà, per quanto possibile, un significato espansivo”[30].

[1] Cass. pen., Sez. 5, n. 3579 del 18/10/2007, dep. 2008, Costa, Rv. 238902.

[2] Cass. pen., Sez. 5, n. 16575 del 29/04/2010, Azoulay, Rv. 246870, in senso conforme: Sez. 2, n. 20228 del 13/06/2006, Rescigno, Rv. 234652, Sez. 6, n. 47009 del 13/10/2009, Giacalone, Rv. 245183.

[3] Anna Teresa Paciotti, “Se non si rispettano le regole dell’Ordinamento Penitenziario la corrispondenza intercettata è inutilizzabile nel processo”, tratto da http://www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/43421

[4] Tale nozione, infatti, implica “un’attività di spedizione in corso o alla quale il mittente abbia dato comunque impulso consegnandola ad altri per il recapito” (sentenza in commento).

[5] Stante il fatto che laddove il legislatore aveva ritenuto necessario integrare la disciplina codicistica in materia di intercettazioni, esso è intervenuto con una specifica innovazione normativa come dimostra quella operata con la sfociata “legge 23 dicembre 1993, n. 547, introduttiva dell’art. 266-bis cod. proc. pen..

[6] Cass. pen., Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234270.

[7] Corte Costituzionale, 6/04/73, n. 34, in senso conforme: sentt. nn. 120 del 1975, 98 del 1976, 223 del 1987, 366 del 1991.

[8] Guglielmo Leo, “Le Sezioni unite escludono la legittimità di controlli occulti sulla corrispondenza dei detenuti (e non solo)”, tratto da: http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1639- le_sezioni_unite_escludono_la_legittimit___di_controlli_occulti_sulla_corrispondenza_dei_detenuti__e_non_solo/.

[9] Corte Costituzionale, 11/02/99, n. 26.

[10] Corte Costituzionale, 3/07/97, n. 212.

[11] Corte Costituzionale, 28/07/93, n. 349.

[12] Cass. pen., Sezioni Unite, 13/07/98, n. 21.

[13] CONTI, voce Inutilizzabilità, in Enc. giur. Treccani, 2004, vol. XVII, p. 9-10.

[14] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[15] Ibidem.

[16] Cass. pen., sez. I, 25/03/11, n. 25849.

[17] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[18] Ibidem.

[19] Corte EDU, 15/11/96, n. 15943.

[20] Corte EDU, sez. II, 28/09/00, n. 25498.

[21] Ibidem.

[22] Guglielmo Leo, “Le Sezioni unite escludono la legittimità di controlli occulti sulla corrispondenza dei detenuti (e non solo)”, tratto da: http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1639- le_sezioni_unite_escludono_la_legittimit___di_controlli_occulti_sulla_corrispondenza_dei_detenuti__e_non_solo/.

[23] VIGANÒ, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, p. 55.

[24] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[25] Cass. pen., sez. VI, 13/10/09, n. 47009; in senso conforme: Cass. pen., sez. V, 4/02/10, n. 16575, Cass. pen., sez. II, 23/05/06, n. 20228.

[26] Luca Blasi, Lettere ai reclusi acquisite contra legem Senza garanzie no all’uso a fini probatori, D&G, 2006, 33, 38.

[27] Ibidem.

[28] Corte Costituzionale, 11/03/93, n. 81.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.