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La gestione del patrimonio lP e la sua difesa nel mondo del luxury goods: l’esperienza di Pomellato

Relazione tenuta al Convegno "Fashion & the Ip Law", Università di Parma, 19 ottobre 2012
La gestione del patrimonio IP in generale riveste molta importanza per un’azienda indipendentemente per il settore in cui opera. Per le aziende operanti nel settore del lusso essa diventa ancor più rilevante in considerazione della particolare attenzione che tali aziende attribuiscono alla tutela e al prestigio del brand.In questo mio breve intervento cercherò di illustrare l’esperienza di Pomellato nella gestione e difesa del suo patrimonio IP. Pomellato, come è noto, da anni nel settore della gioielleria è una delle aziende di riferimento nella definizione delle tendenze del mercato. Grazie ad una felice intuizione dei fondatori l’azienda è stata la prima a creare un gioiello pret à porter, cioè a considerare il gioiello come un accessorio di moda. In omaggio a tale tradizione ogni anno viene creata una nuova collezione di gioielli, comprendente decine di nuovi modelli, proprio come avviene nel settore dell’abbigliamento e della moda.

È evidente quindi che tale attività richiede dei notevoli investimenti prima sotto il profilo della ricerca e della innovazione e poi sotto il profilo della comunicazione per pubblicizzare i nuovi prodotti.

Per tutelare nel migliore dei modi le nuove creazioni ogni anno i nuovi modelli vengono tutti registrati nell’Unione Europea e negli altri Paesi di maggiore interesse commerciale. Tale registrazione, per quanto molto onerosa, costituisce tuttavia un presupposto imprescindibile per un’efficace attività di tutela dei diritti.

In effetti la tutela di un brand e dei suoi prodotti si realizza attraverso una duplice fase:

- preventiva, nella quale è opportuno registrare i marchi e i modelli in modo estensivo per poterli più facilmente proteggere;

- successiva, nella quale vengono poste in essere le azioni tendenti a combattere le eventuali condotte illecite da parte di terzi.

Fatta questa premessa, devo dire che nella nostra esperienza i casi di contraffazione o di altre violazioni dei diritti di proprietà intellettuale continuano ad essere un fenomeno ancora prevalentemente italiano ovvero, anche quando vengono riscontrati all’estero, traggono la loro origine in Italia.

Ciò è dovuto sia al fatto che, nonostante l’irrompere del fenomeno asiatico, l’Italia è sempre stato un Paese nel quale il fenomeno dei falsi e delle copie è sempre stato piuttosto diffuso, ma anche al fatto che la contraffazione nel settore orafo (specialmente quando si tratta di prodotti dalle forme particolari) richiede comunque un certo know how posseduto dagli orafi italiani ma non ancora ben sviluppato altrove.

Bisogna inoltre dire che la causa dell’aumento dei fenomeni contraffattivi nel nostro settore è da ascriversi anche ad una serie di fattori tra loro interconnessi quali:

- la condizione di difficoltà di molte piccole imprese;

- la crescita di manodopera disponibile a fornire prestazioni lavorative in modo clandestino, occasionale ed a basso prezzo;

- le semplificazioni di molti processi produttivi posti in atto dalla quasi totalità delle medie e grandi imprese, al fine di ridurre i costi;

- la delocalizzazione di fasi della produzione;

- la crescente disponibilità sul mercato di strumenti e di attrezzature tecniche capaci di rendere agevole la duplicazione di prodotti già esistenti ed affermati.

Fatta questa premessa, ritengo anche utile soffermarmi brevemente sulla particolare legislazione riguardante il settore orafo. Nel settore infatti vi sono delle leggi che impongono ai commercianti e produttori particolari obblighi e comportamenti.

Mi riferisco al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251 recante la “Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, in attuazione dell’articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128” che impone che «i metalli preziosi e le loro leghe devono portare impresso il titolo in millesimi del fino contenuto ed il marchio di identificazione, .... ».

In sostanza ogni oggetto in oro deve recare impresso il titolo dell’oro (generalmente 750) e un marchio alfanumerico contenente la sigla della provincia in cui ha sede il produttore e un numero identificativo del medesimo produttore attribuitogli dalla camera di commercio.

Tali obblighi, la cui finalità è principalmente quella di far sì che il consumatore sia in grado di conoscere il quantitativo di oro fino contenuto in un gioiello e il produttore che lo ha realizzato, hanno lo scopo evidente di prevenire la commissione di reati di vario genere quali la ricettazione, il riciclaggio, la truffa e anche la contraffazione.

Va tuttavia rilevato che, a fronte dell’inosservanza di tali obblighi, sono previste delle sanzioni amministrative assolutamente inadeguate. Basti pensare che chi pone in commercio o detiene per la vendita materie prime ed oggetti di metalli preziosi privi di marchio di identificazione o di titolo ovvero muniti di marchi illeggibili è soggetto alla sanzione amministrativa da euro 150 a euro 1.500.

È evidente che per chi vende oggetti preziosi si tratta di una sanzione irrisoria, che rappresenta un rischio sicuramente sostenibile a fronte dei lauti guadagni che si possono realizzare attraverso la contraffazione e altre pratiche illegali.

Nella nostra attività di contrasto ai fenomeni contraffattivi ci è capitato frequentemente di trovare in commercio gioielli chiaramente contraffatti privi del marchio di identificazione del fabbricante e, in taluni casi, anche dell’indicazione del titolo dell’oro. In tali casi è evidente la volontà del produttore del gioiello di omettere il proprio marchio di identificazione per evitare di essere facilmente individuato. Questo rende quindi molto difficile risalire al produttore di un gioiello contraffatto. Infatti, in assenza del marchio identificativo, l’individuazione del produttore è possibile solo in una fase successiva attraverso l’esame della documentazione contabile e fiscale.

L’assenza dei marchi identificativi e del titolo evidenzia anche la particolare insidiosità delle pratiche contraffattive nel settore orafo. Quando si acquistano prodotti orafi contraffatti e privi dei marchi identificativi si corre il rischio concreto che il prodotto acquistato non sia oro ovvero lo sia ma con una caratura inferiore a quella prevista per legge.

Fatta questa premessa di carattere normativo passiamo ad esaminare come in concreto può essere realizzato un oggetto contraffatto in oro. In tale contesto è necessario un breve cenno ai sistemi di lavorazione dell’oro. l gioielli possono essere prodotti fondamentalmente in due differenti maniere: per deformazione plastica ed asportazione (martellando, laminando, piegando, formando, stampando e limando) o per colaggio “a cera persa”.

Nel primo caso ci si avvicina progressivamente alla forma finale, modellando un semiprodotto

di partenza, che può essere una lamina, una lastra, una barra, un filo, un tubo.

Nel secondo caso si ottiene direttamente la forma finale per colaggio dal fuso. L’oggetto ottenuto va solamente “finito”, per dargli l’aspetto estetico desiderato.

Pomellato utilizza il sistema di produzione “a cera persa”.

Il processo di colaggio a cera persa è il più antico utilizzato dall’uomo per la produzione dei gioielli.

Il nome deriva dal fatto che si esegue un modello in cera, lo si avvolge in una camicia refrattaria, dopo di che si elimina la cera facendola fondere (cera persa) e nel calco così ottenuto si cola la lega d’oro.

Come avviene la contraffazione di prodotti orafi?

Come sono due i metodi di produzione sono due anche i metodi di contraffazione.

Uno consiste nel copiare un oggetto partendo da un semiprodotto simile e piegando, modellando, laminando e limando per renderlo quanto più possibile uguale al prodotto originale. È ovvio però che tale metodo è molto dispendioso in termini di tempo e soprattutto consente una produzione numericamente limitata.

L’altro metodo consiste molto più semplicemente nel realizzare uno stampo in gomma per riprodurre il modello in cera da utilizzare nel famoso procedimento “a cera persa”. Questo è più semplice perché basta fare lo stampo in gomma procurandosi un gioiello originale e da questo ricavare il modello in cera. Tale metodo ovviamente darà un risultato tanto più simile all’originale quanto maggiore sarà l’abilità del contraffattore nel riprodurre lo stampo in gomma.

Questo metodo comporta, tra l’altro, la completa riproduzione del gioiello con tanto di marchio, di titolo dell’oro e di punzone del fabbricante. Quindi la situazione paradossale è che, con tale sistema, possono essere immessi sul mercato gioielli contraffatti che riproducono tutti gli stessi marchi identificativi degli originali.

Molti contraffattori tuttavia provvedono spesso a cancellare il lago del brand. È infatti diffusa l’erronea convinzione che, non essendovi contraffazione del marchio, non vi sia contraffazione tout court. Quindi si pensa di poter riprodurre fedelmente un modello ritenendo che non apponendovi il marchio non si corre alcun rischio.

Passiamo quindi ad esaminare più nel dettaglio i casi di violazione dei diritti di proprietà intellettuale riscontrati nel tempo dalla nostra azienda, ma prima mi preme sottolineare un aspetto importantissimo che abbiamo avuto modo di rilevare nella nostra attività. La contraffazione nel settore orafo è particolarmente insidiosa anche per la metodologia con la quale si realizza. In questo caso non siamo infatti di fronte ad una contraffazione che si realizza “in strada” attraverso venditori improvvisati, ma siamo di fronte ad una contraffazione che si realizza attraverso canali ufficiali, cioè attraverso gioiellerie e laboratori che pongono in vendita gioielli contraffatti. Quindi è una contraffazione che si realizza in un mercato ufficiale, esiste una struttura, che può essere la gioielleria o il laboratorio orafo, che accredita il prodotto presso la clientela.

Nella nostra esperienza i casi più frequenti di violazioni dei nostri diritti di proprietà intellettuale sono costituiti dai casi di contraffazione dei modelli di design.

Si verifica e si è verificato spesso che alcuni mesi dopo l’immissione sul mercato da parte della nostra società di alcuni prodotti rivelatisi best sellers, abbiamo assistito al proliferare di copie dei medesimi prodotti all’interno di gioiellerie non appartenenti al network Pomellato, realizzati con materiali e pietre più poveri e di conseguenza con un prezzo molto più basso.

Da tali condotte deriva un danno rilevantissimo per la nostra società. Infatti: quanto al pubblico, è evidente lo sviamento di clientela ai danni della Pomellato. A ciò si aggiunge il fatto che l’immissione nel mercato di gioielli del tutto simili ai gioielli Pomellato, ma ad un prezzo e con una qualità inferiore, genera confusione nella clientela e può penalizzare il prestigio e l’immagine del marchio; quanto ai venditori autorizzati Pomellato, questi ultimi vedono i propri concorrenti vendere gioielli costituenti contraffazione dei modelli di cui la Pomellato dovrebbe avere l’esclusiva.

Di fronte a queste condotte la nostra azienda ha cercato di reagire in maniera molto decisa a tutela del brand e della propria rete distributiva.

Agli inizi le azioni sono state di carattere prevalentemente civilistico, ma devo dire che non sempre hanno dato i risultati sperati. Esse infatti si sono spesso rivelate eccessivamente macchinose comportando tempi lunghi anche per l’ottenimento di provvedimenti di carattere cautelare che, per loro natura, dovrebbero invece essere molto tempestivi. Tra l’altro mi sia anche consentito dire che in alcuni tribunali specializzati abbiamo anche trovato giudici non molto “specializzati” in materia.

In alcuni casi si è anche verificato che i contraffattori siano addivenuti alla sottoscrizione di transazioni con la nostra azienda, con le quali si impegnavano a cessare qualsiasi attività di produzione e/o commercializzazione di imitazioni dei nostri prodotti, ma dopo poco tempo hanno violato gli accordi assunti.

Per questi motivi abbiamo quindi deciso negli ultimi anni di optare decisamente per l’esercizio di azioni di carattere penale. Va evidenziato comunque che per le ipotesi di contraffazione di modello di design registrato il ricorso alla azione penale non è sempre così semplice. È noto infatti come in questo caso bisogna essere particolarmente attenti nel dimostrare la contraffazione realizzata in particolare in un settore merceologico “affollato” quale quello della gioielleria. È necessario pertanto in tal caso fornire ai magistrati prove concrete della contraffazione e facilmente apprezzabili, per questo motivo è sempre opportuno affiancare alla denuncia presentata anche una consulenza tecnica che, anche attraverso documentazione fotografica, evidenzi con chiarezza gli elementi che conducono a ritenere che un modello costituisca contraffazione di un modello registrato.

Come accennato le azioni penali sinora svolte hanno dato dei risultati molto soddisfacenti portando nel corso degli anni a sequestri di migliaia di modelli costituenti contraffazioni di modelli Pomellato e in alcuni casi al sequestro di interi laboratori dediti quasi esclusivamente all’attività di copia delle nostre collezioni nei quali sono stati ritrovati anche modelli in cera e stampi in gomma utilizzati per l’attività di riproduzione. In alcuni casi abbiamo scoperto che è stato addirittura riprodotto in modo identico persino il packaging Pomellato.

Tali azioni hanno infine trovato conferma anche in sede giudicante, nella quale sono state emesse numerose sentenze favorevoli alla nostra società, venendo così a creare una giurisprudenza costante che abbiamo potuto richiamare anche nelle azioni successive.

Devo tuttavia dire che, nonostante le sanzioni penali da un punto di vista formale possano anche considerarsi adeguate, di fatto hanno una scarsa applicazione effettiva. In particolare abbiamo riscontrato nel tempo che operatori commerciali condannati per contraffazione (e talvolta persino per ricettazione) hanno continuato tranquillamente ad esercitare l’attività di commercio di oggetti preziosi senza neppure un breve periodo di sospensione della stessa.

Ciò appare singolare soprattutto in relazione ad un’attività, quale quella del commercio di oggetti preziosi, che ancora oggi è rimasta una delle poche attività soggette ad obbligo di rilascio di licenza di Pubblica Sicurezza, rilascio soggetto ad un procedimento di scrupolosa verifica della condotta e dei precedenti penali del richiedente. Appare quindi singolare che se per ottenere il rilascio di tale licenza si debbano possedere alcuni requisiti, gli stessi requisiti non vengano più valutati nel prosieguo dell’attività per cui nonostante una condanna penale l’operatore intestatario di licenza continua ad esercitare l’attività senza alcuna interruzione.

Infine il giudice penale non sempre si pronuncia sul profilo dei danni pertanto in molti casi al termine dell’azione penale bisogna promuovere un’azione civile per il risarcimento del danno.

Accanto alla attività di contrasto ai fenomeni contraffattivi di tipo tradizionale voglio infine fare un cenno alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale che abbiamo riscontrato on line.

Purtroppo anche in questo campo abbiamo sperimentato nel corso degli anni frequenti casi di contraffazione, concorrenza sleale e altre varie pratiche illecite.

In questo campo abbiamo trovato più difficoltà nel tutelare i nostri diritti sia per la scarsa collaborazione gei gestori dei siti di vendita on line ma anche per gli ostacoli posti dalla normativa sull’e-commerce che non prevede obblighi a carico di tali gestori in relazione alle informazioni che il sito trasmette o memorizza, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. L’attività di contrasto ai fenomeni illeciti praticati on line è quindi molto dispendiosa in termini di tempo in quanto richiede un costante monitoraggio della rete e dei siti più significativi.

In conclusione voglio sottolineare che la tutela della proprietà intellettuale per un’azienda operante nel mondo dei luxury goods è una priorità ed è anche uno strumento per accrescere la propria credibilità nei confronti del mercato.

Si tratta tuttavia di un’attività che comporta costi notevoli a livello preventivo derivanti dalla registrazione diffusa dei marchi e dei modelli, costi che sono imprescindibili se si vuole ottenere un’efficace tutela del proprio patrimonio IP, ma anche a livello successivo per i costi legali e consulenziali che inevitabilmente si devono affrontare. A ciò si devono aggiungere gli investimenti per il mantenimento all’interno delle aziende di strutture e persone che si occupano di combattere la contraffazione. A fronte di questi investimenti e di questi sforzi delle imprese sarebbe auspicabile da parte delle Istituzioni una maggiore attenzione e sensibilità verso il fenomeno della contraffazione che ancora oggi, nonostante tutte le campagne di sensibilizzazione, non sempre viene adeguatamente valutato. Non si deve infatti dimenticare che molto spesso alla contraffazione sono associati fenomeni quali l’evasione fiscale, il lavoro nero ed altre pratiche commerciali e fiscali scorrette.

Infine sarebbe auspicabile una maggiore attenzione e sensibilità anche da parte dei consumatori stessi, perché, è inutile nasconderlo, se il falso prolifera è anche a causa della domanda di falso che proviene dal mercato.

La gestione del patrimonio IP in generale riveste molta importanza per un’azienda indipendentemente per il settore in cui opera. Per le aziende operanti nel settore del lusso essa diventa ancor più rilevante in considerazione della particolare attenzione che tali aziende attribuiscono alla tutela e al prestigio del brand.In questo mio breve intervento cercherò di illustrare l’esperienza di Pomellato nella gestione e difesa del suo patrimonio IP. Pomellato, come è noto, da anni nel settore della gioielleria è una delle aziende di riferimento nella definizione delle tendenze del mercato. Grazie ad una felice intuizione dei fondatori l’azienda è stata la prima a creare un gioiello pret à porter, cioè a considerare il gioiello come un accessorio di moda. In omaggio a tale tradizione ogni anno viene creata una nuova collezione di gioielli, comprendente decine di nuovi modelli, proprio come avviene nel settore dell’abbigliamento e della moda.

È evidente quindi che tale attività richiede dei notevoli investimenti prima sotto il profilo della ricerca e della innovazione e poi sotto il profilo della comunicazione per pubblicizzare i nuovi prodotti.

Per tutelare nel migliore dei modi le nuove creazioni ogni anno i nuovi modelli vengono tutti registrati nell’Unione Europea e negli altri Paesi di maggiore interesse commerciale. Tale registrazione, per quanto molto onerosa, costituisce tuttavia un presupposto imprescindibile per un’efficace attività di tutela dei diritti.

In effetti la tutela di un brand e dei suoi prodotti si realizza attraverso una duplice fase:

- preventiva, nella quale è opportuno registrare i marchi e i modelli in modo estensivo per poterli più facilmente proteggere;

- successiva, nella quale vengono poste in essere le azioni tendenti a combattere le eventuali condotte illecite da parte di terzi.

Fatta questa premessa, devo dire che nella nostra esperienza i casi di contraffazione o di altre violazioni dei diritti di proprietà intellettuale continuano ad essere un fenomeno ancora prevalentemente italiano ovvero, anche quando vengono riscontrati all’estero, traggono la loro origine in Italia.

Ciò è dovuto sia al fatto che, nonostante l’irrompere del fenomeno asiatico, l’Italia è sempre stato un Paese nel quale il fenomeno dei falsi e delle copie è sempre stato piuttosto diffuso, ma anche al fatto che la contraffazione nel settore orafo (specialmente quando si tratta di prodotti dalle forme particolari) richiede comunque un certo know how posseduto dagli orafi italiani ma non ancora ben sviluppato altrove.

Bisogna inoltre dire che la causa dell’aumento dei fenomeni contraffattivi nel nostro settore è da ascriversi anche ad una serie di fattori tra loro interconnessi quali:

- la condizione di difficoltà di molte piccole imprese;

- la crescita di manodopera disponibile a fornire prestazioni lavorative in modo clandestino, occasionale ed a basso prezzo;

- le semplificazioni di molti processi produttivi posti in atto dalla quasi totalità delle medie e grandi imprese, al fine di ridurre i costi;

- la delocalizzazione di fasi della produzione;

- la crescente disponibilità sul mercato di strumenti e di attrezzature tecniche capaci di rendere agevole la duplicazione di prodotti già esistenti ed affermati.

Fatta questa premessa, ritengo anche utile soffermarmi brevemente sulla particolare legislazione riguardante il settore orafo. Nel settore infatti vi sono delle leggi che impongono ai commercianti e produttori particolari obblighi e comportamenti.

Mi riferisco al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251 recante la “Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, in attuazione dell’articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128” che impone che «i metalli preziosi e le loro leghe devono portare impresso il titolo in millesimi del fino contenuto ed il marchio di identificazione, .... ».

In sostanza ogni oggetto in oro deve recare impresso il titolo dell’oro (generalmente 750) e un marchio alfanumerico contenente la sigla della provincia in cui ha sede il produttore e un numero identificativo del medesimo produttore attribuitogli dalla camera di commercio.

Tali obblighi, la cui finalità è principalmente quella di far sì che il consumatore sia in grado di conoscere il quantitativo di oro fino contenuto in un gioiello e il produttore che lo ha realizzato, hanno lo scopo evidente di prevenire la commissione di reati di vario genere quali la ricettazione, il riciclaggio, la truffa e anche la contraffazione.

Va tuttavia rilevato che, a fronte dell’inosservanza di tali obblighi, sono previste delle sanzioni amministrative assolutamente inadeguate. Basti pensare che chi pone in commercio o detiene per la vendita materie prime ed oggetti di metalli preziosi privi di marchio di identificazione o di titolo ovvero muniti di marchi illeggibili è soggetto alla sanzione amministrativa da euro 150 a euro 1.500.

È evidente che per chi vende oggetti preziosi si tratta di una sanzione irrisoria, che rappresenta un rischio sicuramente sostenibile a fronte dei lauti guadagni che si possono realizzare attraverso la contraffazione e altre pratiche illegali.

Nella nostra attività di contrasto ai fenomeni contraffattivi ci è capitato frequentemente di trovare in commercio gioielli chiaramente contraffatti privi del marchio di identificazione del fabbricante e, in taluni casi, anche dell’indicazione del titolo dell’oro. In tali casi è evidente la volontà del produttore del gioiello di omettere il proprio marchio di identificazione per evitare di essere facilmente individuato. Questo rende quindi molto difficile risalire al produttore di un gioiello contraffatto. Infatti, in assenza del marchio identificativo, l’individuazione del produttore è possibile solo in una fase successiva attraverso l’esame della documentazione contabile e fiscale.

L’assenza dei marchi identificativi e del titolo evidenzia anche la particolare insidiosità delle pratiche contraffattive nel settore orafo. Quando si acquistano prodotti orafi contraffatti e privi dei marchi identificativi si corre il rischio concreto che il prodotto acquistato non sia oro ovvero lo sia ma con una caratura inferiore a quella prevista per legge.

Fatta questa premessa di carattere normativo passiamo ad esaminare come in concreto può essere realizzato un oggetto contraffatto in oro. In tale contesto è necessario un breve cenno ai sistemi di lavorazione dell’oro. l gioielli possono essere prodotti fondamentalmente in due differenti maniere: per deformazione plastica ed asportazione (martellando, laminando, piegando, formando, stampando e limando) o per colaggio “a cera persa”.

Nel primo caso ci si avvicina progressivamente alla forma finale, modellando un semiprodotto

di partenza, che può essere una lamina, una lastra, una barra, un filo, un tubo.

Nel secondo caso si ottiene direttamente la forma finale per colaggio dal fuso. L’oggetto ottenuto va solamente “finito”, per dargli l’aspetto estetico desiderato.

Pomellato utilizza il sistema di produzione “a cera persa”.

Il processo di colaggio a cera persa è il più antico utilizzato dall’uomo per la produzione dei gioielli.

Il nome deriva dal fatto che si esegue un modello in cera, lo si avvolge in una camicia refrattaria, dopo di che si elimina la cera facendola fondere (cera persa) e nel calco così ottenuto si cola la lega d’oro.

Come avviene la contraffazione di prodotti orafi?

Come sono due i metodi di produzione sono due anche i metodi di contraffazione.

Uno consiste nel copiare un oggetto partendo da un semiprodotto simile e piegando, modellando, laminando e limando per renderlo quanto più possibile uguale al prodotto originale. È ovvio però che tale metodo è molto dispendioso in termini di tempo e soprattutto consente una produzione numericamente limitata.

L’altro metodo consiste molto più semplicemente nel realizzare uno stampo in gomma per riprodurre il modello in cera da utilizzare nel famoso procedimento “a cera persa”. Questo è più semplice perché basta fare lo stampo in gomma procurandosi un gioiello originale e da questo ricavare il modello in cera. Tale metodo ovviamente darà un risultato tanto più simile all’originale quanto maggiore sarà l’abilità del contraffattore nel riprodurre lo stampo in gomma.

Questo metodo comporta, tra l’altro, la completa riproduzione del gioiello con tanto di marchio, di titolo dell’oro e di punzone del fabbricante. Quindi la situazione paradossale è che, con tale sistema, possono essere immessi sul mercato gioielli contraffatti che riproducono tutti gli stessi marchi identificativi degli originali.

Molti contraffattori tuttavia provvedono spesso a cancellare il lago del brand. È infatti diffusa l’erronea convinzione che, non essendovi contraffazione del marchio, non vi sia contraffazione tout court. Quindi si pensa di poter riprodurre fedelmente un modello ritenendo che non apponendovi il marchio non si corre alcun rischio.

Passiamo quindi ad esaminare più nel dettaglio i casi di violazione dei diritti di proprietà intellettuale riscontrati nel tempo dalla nostra azienda, ma prima mi preme sottolineare un aspetto importantissimo che abbiamo avuto modo di rilevare nella nostra attività. La contraffazione nel settore orafo è particolarmente insidiosa anche per la metodologia con la quale si realizza. In questo caso non siamo infatti di fronte ad una contraffazione che si realizza “in strada” attraverso venditori improvvisati, ma siamo di fronte ad una contraffazione che si realizza attraverso canali ufficiali, cioè attraverso gioiellerie e laboratori che pongono in vendita gioielli contraffatti. Quindi è una contraffazione che si realizza in un mercato ufficiale, esiste una struttura, che può essere la gioielleria o il laboratorio orafo, che accredita il prodotto presso la clientela.

Nella nostra esperienza i casi più frequenti di violazioni dei nostri diritti di proprietà intellettuale sono costituiti dai casi di contraffazione dei modelli di design.

Si verifica e si è verificato spesso che alcuni mesi dopo l’immissione sul mercato da parte della nostra società di alcuni prodotti rivelatisi best sellers, abbiamo assistito al proliferare di copie dei medesimi prodotti all’interno di gioiellerie non appartenenti al network Pomellato, realizzati con materiali e pietre più poveri e di conseguenza con un prezzo molto più basso.

Da tali condotte deriva un danno rilevantissimo per la nostra società. Infatti: quanto al pubblico, è evidente lo sviamento di clientela ai danni della Pomellato. A ciò si aggiunge il fatto che l’immissione nel mercato di gioielli del tutto simili ai gioielli Pomellato, ma ad un prezzo e con una qualità inferiore, genera confusione nella clientela e può penalizzare il prestigio e l’immagine del marchio; quanto ai venditori autorizzati Pomellato, questi ultimi vedono i propri concorrenti vendere gioielli costituenti contraffazione dei modelli di cui la Pomellato dovrebbe avere l’esclusiva.

Di fronte a queste condotte la nostra azienda ha cercato di reagire in maniera molto decisa a tutela del brand e della propria rete distributiva.

Agli inizi le azioni sono state di carattere prevalentemente civilistico, ma devo dire che non sempre hanno dato i risultati sperati. Esse infatti si sono spesso rivelate eccessivamente macchinose comportando tempi lunghi anche per l’ottenimento di provvedimenti di carattere cautelare che, per loro natura, dovrebbero invece essere molto tempestivi. Tra l’altro mi sia anche consentito dire che in alcuni tribunali specializzati abbiamo anche trovato giudici non molto “specializzati” in materia.

In alcuni casi si è anche verificato che i contraffattori siano addivenuti alla sottoscrizione di transazioni con la nostra azienda, con le quali si impegnavano a cessare qualsiasi attività di produzione e/o commercializzazione di imitazioni dei nostri prodotti, ma dopo poco tempo hanno violato gli accordi assunti.

Per questi motivi abbiamo quindi deciso negli ultimi anni di optare decisamente per l’esercizio di azioni di carattere penale. Va evidenziato comunque che per le ipotesi di contraffazione di modello di design registrato il ricorso alla azione penale non è sempre così semplice. È noto infatti come in questo caso bisogna essere particolarmente attenti nel dimostrare la contraffazione realizzata in particolare in un settore merceologico “affollato” quale quello della gioielleria. È necessario pertanto in tal caso fornire ai magistrati prove concrete della contraffazione e facilmente apprezzabili, per questo motivo è sempre opportuno affiancare alla denuncia presentata anche una consulenza tecnica che, anche attraverso documentazione fotografica, evidenzi con chiarezza gli elementi che conducono a ritenere che un modello costituisca contraffazione di un modello registrato.

Come accennato le azioni penali sinora svolte hanno dato dei risultati molto soddisfacenti portando nel corso degli anni a sequestri di migliaia di modelli costituenti contraffazioni di modelli Pomellato e in alcuni casi al sequestro di interi laboratori dediti quasi esclusivamente all’attività di copia delle nostre collezioni nei quali sono stati ritrovati anche modelli in cera e stampi in gomma utilizzati per l’attività di riproduzione. In alcuni casi abbiamo scoperto che è stato addirittura riprodotto in modo identico persino il packaging Pomellato.

Tali azioni hanno infine trovato conferma anche in sede giudicante, nella quale sono state emesse numerose sentenze favorevoli alla nostra società, venendo così a creare una giurisprudenza costante che abbiamo potuto richiamare anche nelle azioni successive.

Devo tuttavia dire che, nonostante le sanzioni penali da un punto di vista formale possano anche considerarsi adeguate, di fatto hanno una scarsa applicazione effettiva. In particolare abbiamo riscontrato nel tempo che operatori commerciali condannati per contraffazione (e talvolta persino per ricettazione) hanno continuato tranquillamente ad esercitare l’attività di commercio di oggetti preziosi senza neppure un breve periodo di sospensione della stessa.

Ciò appare singolare soprattutto in relazione ad un’attività, quale quella del commercio di oggetti preziosi, che ancora oggi è rimasta una delle poche attività soggette ad obbligo di rilascio di licenza di Pubblica Sicurezza, rilascio soggetto ad un procedimento di scrupolosa verifica della condotta e dei precedenti penali del richiedente. Appare quindi singolare che se per ottenere il rilascio di tale licenza si debbano possedere alcuni requisiti, gli stessi requisiti non vengano più valutati nel prosieguo dell’attività per cui nonostante una condanna penale l’operatore intestatario di licenza continua ad esercitare l’attività senza alcuna interruzione.

Infine il giudice penale non sempre si pronuncia sul profilo dei danni pertanto in molti casi al termine dell’azione penale bisogna promuovere un’azione civile per il risarcimento del danno.

Accanto alla attività di contrasto ai fenomeni contraffattivi di tipo tradizionale voglio infine fare un cenno alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale che abbiamo riscontrato on line.

Purtroppo anche in questo campo abbiamo sperimentato nel corso degli anni frequenti casi di contraffazione, concorrenza sleale e altre varie pratiche illecite.

In questo campo abbiamo trovato più difficoltà nel tutelare i nostri diritti sia per la scarsa collaborazione gei gestori dei siti di vendita on line ma anche per gli ostacoli posti dalla normativa sull’e-commerce che non prevede obblighi a carico di tali gestori in relazione alle informazioni che il sito trasmette o memorizza, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. L’attività di contrasto ai fenomeni illeciti praticati on line è quindi molto dispendiosa in termini di tempo in quanto richiede un costante monitoraggio della rete e dei siti più significativi.

In conclusione voglio sottolineare che la tutela della proprietà intellettuale per un’azienda operante nel mondo dei luxury goods è una priorità ed è anche uno strumento per accrescere la propria credibilità nei confronti del mercato.

Si tratta tuttavia di un’attività che comporta costi notevoli a livello preventivo derivanti dalla registrazione diffusa dei marchi e dei modelli, costi che sono imprescindibili se si vuole ottenere un’efficace tutela del proprio patrimonio IP, ma anche a livello successivo per i costi legali e consulenziali che inevitabilmente si devono affrontare. A ciò si devono aggiungere gli investimenti per il mantenimento all’interno delle aziende di strutture e persone che si occupano di combattere la contraffazione. A fronte di questi investimenti e di questi sforzi delle imprese sarebbe auspicabile da parte delle Istituzioni una maggiore attenzione e sensibilità verso il fenomeno della contraffazione che ancora oggi, nonostante tutte le campagne di sensibilizzazione, non sempre viene adeguatamente valutato. Non si deve infatti dimenticare che molto spesso alla contraffazione sono associati fenomeni quali l’evasione fiscale, il lavoro nero ed altre pratiche commerciali e fiscali scorrette.

Infine sarebbe auspicabile una maggiore attenzione e sensibilità anche da parte dei consumatori stessi, perché, è inutile nasconderlo, se il falso prolifera è anche a causa della domanda di falso che proviene dal mercato.