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Un viaggio di lavoro con l’amante è causa di addebito della separazione

Nota a Corte di Cassazione – Sezione Prima Civile, Sentenza 23 ottobre 2012, n. 18175
Un marito era andato in missione per motivi di lavoro facendosi accompagnare anche da una signora che, dopo la fine del suo matrimonio, sarebbe divenuta la sua “attuale compagna”.

Senza successo l’uomo ha contestato l’addebito sostenendo che, in realtà, il suo matrimonio era già finito perché la moglie faceva troppo spesso visita alla madre.

Per la Suprema Corte è invece “ineccepibile” il verdetto di “colpa” emesso dalla Corte d’Appello di Palermo che, a proposito del viaggio “galeotto” del manager rileva come sia stato un comportamento “reprensibile” in quanto “idoneo ad evidenziare, ai terzi, l’esistenza della relazione extraconiugale quand’anche in concreto non ancora intrattenuta con carattere di stabilità”.

E “senza dubbi la compromissione del rapporto coniugale era dipesa dall’infedeltà del marito”.

In fatto di tradimenti, la Cassazione ricorda che “la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale è particolarmente grave se attuato con una stabile relazione extraconiugale”.

Premesso che per la pronuncia di addebito non è sufficiente la violazione dei doveri coniugali sanciti dall’art. 143 c.c., essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, gli Ermellini – richiamando l’orientamento giurisprudenziale costante – ribadiscono tuttavia che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

La Corte accoglie invece il ricorso del marito sotto il profilo della mancata applicazione, da parte della Corte territoriale, dei criteri che presiedono il riconoscimento di un assegno di mantenimento per il coniuge debole.

Condizione essenziale per il riconoscimento del suddetto assegno in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri.

Indispensabile elemento di riferimento ai fini dell’attribuzione e della valutazione di congruità dell’assegno, è il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti: fattore che i Giudici territoriali non avevano considerato adeguatamente, così come non avevano ricostruito in modo attendibile il tenore di vita dei coniugi.

Debole, a parere della Corte, è peraltro la motivazione che il marito possa contare su un reddito sicuro in quanto lavoratore dipendente, a fronte del carattere altalenante del profitto dell’impresa gestita dalla moglie, non essendo dato di comprendere se, all’attualità, i guadagni della donna giustifichino o meno l’assegno, ovvero se esso sia stato riconosciuto per sopperire ad eventuali e future oscillazioni deficitarie del reddito d’impresa.



Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 ottobre 2012, n. 18175

Svolgimento del processo

1 - Con sentenza depositata il 25 marzo 2009 il tribunale di Termini Imerese pronunciava la separazione personale dei coniugi P.D. e A.M. , accogliendo la domanda di addebito avanzata dalla moglie e rigettando quella del marito. Veniva disposto l’affidamento condiviso del figlio minore G. , collocato prevalentemente presso la madre, alla quale veniva assegnata la casa coniugale. Veniva altresì disposto un assegno, a carico dell’A. , per il mantenimento del figlio, nella misura di Euro 500,00 nonché, a titolo di contributo per il mantenimento della moglie, di Euro 150,00.

1.1 - La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il gravame proposto dall’A. , con il quale si contestava sia la pronuncia di addebito che l’assegno disposto a favore della moglie, rilevando, quanto all’addebito della separazione, che il giudizio del tribunale in merito alla relazione adulterina mantenuta dal predetto, anche con riferimento all’anteriorità della sua instaurazione rispetto alla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nell’ambito del giudizio di separazione, era meritevole di conferma, in quanto fondato sulla deposizione del teste R. (che avrebbe effettuato nel mese di aprile del 2005 un viaggio di lavoro insieme all’A. , il quale era in compagnia della donna indicata quale attuale compagna), ritenuto maggiormente attendibile in quanto non legato da rapporti familiari con le parti. Quanto all’assegno in favore della P. , si riteneva che la contestazione dei presupposti per la sua attribuzione da parte dell’appellante non fosse fondata, in considerazione “dell’incertezza e del carattere altalenante del profitto” dell’impresa gestita dalla predetta, a fronte della certezza del reddito da lavoro dipendente del coniuge.

1.2 - Per la cassazione di tale decisione l’A. propone ricorso, affidato a quattro motivi. L’intimata non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

2 - Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.; si denuncia, in particolare, l’inadeguatezza della motivazione relativa al giudizio di attendibilità espresso dalla corte territoriale nei confronti del teste R. , considerata anche la difformità delle dichiarazioni da costui rese rispetto a quelle della C. , sua attuale compagna, la quale aveva affermato di non aver mai frequentato l’A. in epoca anteriore ai primi mesi dell’anno 2006.

2.1 - Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 151, comma 2, c.p.c.: viene in sostanza lamentata una carenza motivazionale in merito alla partecipazione della B. al predetto viaggio di lavoro come ipotesi di adulterio, nonché sulla rilevanza causale dell’episodio rispetto alla crisi coniugale.

2.2 - Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., sostenendosi che la corte territoriale avrebbe sostanzialmente omesso di applicare i criteri che presiedono all’attribuzione di un contributo in favore di uno dei coniugi.

2.3 - Con l’ultimo motivo si denuncia, sempre in relazione all’attribuzione dell’assegno alla P. , vizio motivazionale, essendo mancato qualsiasi riferimento alle situazioni patrimoniali di ciascun coniuge.

3- I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili, nella misura in cui tendono a introdurre un riesame di questioni riservate al giudice del merito, di certo non valutabili in questa sede, ed in parte infondati.

3.1 - Deve preliminarmente richiamarsi il principio secondo cui il vizio di motivazione deducibile con il ricorso ex art. 360 n. 5 c.p.c. non può consistere nella difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove compiuto dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte: sono, invero, riservati solo a quest’ultimo l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro ammissibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Anche la valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento prospettato dalle partì od a confutare ogni deduzione difensiva (cfr., ex multis, Cass., 19 marzo 2009, n. 6697).

3.2 - Il ricorrente, con riferimento al contenuto della testimonianza del proprio collega R. , non evidenzia alcuna intrinseca contraddizione, ponendo al contrario in evidenza la sua contrarietà con quanto dichiarato dalla C. , il cui legame di natura sentimentale con lo stesso A. non viene contestato, se non sotto il profilo dell’epoca della sua insorgenza. In considerazione di tale aspetto, la valutazione compiuta dalla corte territoriale, che ha considerato il R. maggiormente attendibile non essendo legato “da rapporti familiari con le parti”, pur nella sua sinteticità (laddove il termine “familiari” assume evidentemente, per sineddoche, un ampio significato, nel senso di “affettivi”), appare esente da censure sotto il profilo logico giuridico.

3.3 - Analoghe considerazioni, sotto il profilo della valutazione dei comportamenti umani secondo l’id quod plerumque accidit, vanno svolte in merito alla questione, interamente riservata al merito, circa il significato della partecipazione della C. al più volte indicato viaggio di lavoro, mentre la ragione di addebito della separazione personale all’A. appare ineccepibilmente ricondotta dalla Corte distrettuale al suo antecedente reprensibile contegno, idoneo ad evidenziare ai terzi l’esistenza della relazione extraconiugale, quand’anche in concreto non ancora intrattenuta con carattere di stabilità. D’altra parte, la corte territoriale ha ritenuto, con motivazione esente da vizi di natura logico-giuridica, anche per il profilo temporale, che la compromissione del rapporto coniugale era dipesa dall’infedeltà del marito. In proposito va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (a partire da Cass., Sez. un., 23 aprile 1982, n. 2494), la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 cod. civ. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. Non può tuttavia sottacersi che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass., 9 giugno 2000, n. 7859; Cass., 18 settembre 2003, n. 13747; Cass., 12 aprile 2006, n. 8512; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2059, proprio in tema di ripartizione del relativo onere della prova).

3.4 - Tanto premesso deve evidenziarsi che la corte palermitana, dopo aver stigmatizzato, nei termini indicati, la relazione extraconiugale coltivata dall’A. , ha analizzato la condotta della P. , escludendo che l’effettuazione di visite alla propria madre gravemente ammalata, contrariamente a quanto sostenuto dal marito, costituisse violazione dei doveri coniugali.

4 - Il terzo e il quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente per lo loro stretta inerenza al tema del contributo in favore della P. , sono fondati.

Deve richiamarsi il consolidato principio secondo il quale condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica tra i coniugi.

La Corte territoriale avrebbe dovuto prendere in considerazione, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini dell’attribuzione e della valutazione di congruità dell’assegno, il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti della ricorrente (Cass., 19 marzo 2009, n. 6698; Cass., 24 aprile 2007, n. 9915; Cass., 27 giugno 2006, n. 14640; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20638; Cass., 28 aprile 1995, n. 4720). Tale compito non risulta assolto in maniera adeguata, posto che le rispettive condizioni patrimoniali non risultano neppure indicate, e che, soprattutto, manca una ricostruzione attendibile del tenore di vita dei coniugi, assolutamente imprescindibile ai fini di verificare l’adeguatezza o meno dei redditi di cui dispone la P. .

Per altro il riferimento all’incertezza e al “carattere altalenante del profitto d’impresa”, a fronte della “certezza del reddito da lavoro dipendente” percepito dall’A. , appare piuttosto labile, non essendo dato di comprendere se l’attuale situazione giustifichi o meno l’attribuzione dell’assegno, ovvero se essa sia stata disposta per sopperire ad eventuali e future oscillazioni deficitarie del reddito d’impresa della P. , di entità non meglio definita, alle quali, in realtà, si potrà porre rimedio, ove abbiano in concreto a verificarsi, attraverso la revisione delle condizioni della separazione prevista dall’art. 710 c.p.c.. La sentenza impugnata, in relazione all’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, deve quindi essere cassata, con rinvio alla corte di appello di Palermo, che, in diversa composizione, applicherà, senza incorrere nel rilevato vizio motivazionale, i principi sopra indicati, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.

Un marito era andato in missione per motivi di lavoro facendosi accompagnare anche da una signora che, dopo la fine del suo matrimonio, sarebbe divenuta la sua “attuale compagna”.

Senza successo l’uomo ha contestato l’addebito sostenendo che, in realtà, il suo matrimonio era già finito perché la moglie faceva troppo spesso visita alla madre.

Per la Suprema Corte è invece “ineccepibile” il verdetto di “colpa” emesso dalla Corte d’Appello di Palermo che, a proposito del viaggio “galeotto” del manager rileva come sia stato un comportamento “reprensibile” in quanto “idoneo ad evidenziare, ai terzi, l’esistenza della relazione extraconiugale quand’anche in concreto non ancora intrattenuta con carattere di stabilità”.

E “senza dubbi la compromissione del rapporto coniugale era dipesa dall’infedeltà del marito”.

In fatto di tradimenti, la Cassazione ricorda che “la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale è particolarmente grave se attuato con una stabile relazione extraconiugale”.

Premesso che per la pronuncia di addebito non è sufficiente la violazione dei doveri coniugali sanciti dall’art. 143 c.c., essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, gli Ermellini – richiamando l’orientamento giurisprudenziale costante – ribadiscono tuttavia che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

La Corte accoglie invece il ricorso del marito sotto il profilo della mancata applicazione, da parte della Corte territoriale, dei criteri che presiedono il riconoscimento di un assegno di mantenimento per il coniuge debole.

Condizione essenziale per il riconoscimento del suddetto assegno in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri.

Indispensabile elemento di riferimento ai fini dell’attribuzione e della valutazione di congruità dell’assegno, è il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti: fattore che i Giudici territoriali non avevano considerato adeguatamente, così come non avevano ricostruito in modo attendibile il tenore di vita dei coniugi.

Debole, a parere della Corte, è peraltro la motivazione che il marito possa contare su un reddito sicuro in quanto lavoratore dipendente, a fronte del carattere altalenante del profitto dell’impresa gestita dalla moglie, non essendo dato di comprendere se, all’attualità, i guadagni della donna giustifichino o meno l’assegno, ovvero se esso sia stato riconosciuto per sopperire ad eventuali e future oscillazioni deficitarie del reddito d’impresa.



Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 ottobre 2012, n. 18175

Svolgimento del processo

1 - Con sentenza depositata il 25 marzo 2009 il tribunale di Termini Imerese pronunciava la separazione personale dei coniugi P.D. e A.M. , accogliendo la domanda di addebito avanzata dalla moglie e rigettando quella del marito. Veniva disposto l’affidamento condiviso del figlio minore G. , collocato prevalentemente presso la madre, alla quale veniva assegnata la casa coniugale. Veniva altresì disposto un assegno, a carico dell’A. , per il mantenimento del figlio, nella misura di Euro 500,00 nonché, a titolo di contributo per il mantenimento della moglie, di Euro 150,00.

1.1 - La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il gravame proposto dall’A. , con il quale si contestava sia la pronuncia di addebito che l’assegno disposto a favore della moglie, rilevando, quanto all’addebito della separazione, che il giudizio del tribunale in merito alla relazione adulterina mantenuta dal predetto, anche con riferimento all’anteriorità della sua instaurazione rispetto alla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nell’ambito del giudizio di separazione, era meritevole di conferma, in quanto fondato sulla deposizione del teste R. (che avrebbe effettuato nel mese di aprile del 2005 un viaggio di lavoro insieme all’A. , il quale era in compagnia della donna indicata quale attuale compagna), ritenuto maggiormente attendibile in quanto non legato da rapporti familiari con le parti. Quanto all’assegno in favore della P. , si riteneva che la contestazione dei presupposti per la sua attribuzione da parte dell’appellante non fosse fondata, in considerazione “dell’incertezza e del carattere altalenante del profitto” dell’impresa gestita dalla predetta, a fronte della certezza del reddito da lavoro dipendente del coniuge.

1.2 - Per la cassazione di tale decisione l’A. propone ricorso, affidato a quattro motivi. L’intimata non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

2 - Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.; si denuncia, in particolare, l’inadeguatezza della motivazione relativa al giudizio di attendibilità espresso dalla corte territoriale nei confronti del teste R. , considerata anche la difformità delle dichiarazioni da costui rese rispetto a quelle della C. , sua attuale compagna, la quale aveva affermato di non aver mai frequentato l’A. in epoca anteriore ai primi mesi dell’anno 2006.

2.1 - Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 151, comma 2, c.p.c.: viene in sostanza lamentata una carenza motivazionale in merito alla partecipazione della B. al predetto viaggio di lavoro come ipotesi di adulterio, nonché sulla rilevanza causale dell’episodio rispetto alla crisi coniugale.

2.2 - Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., sostenendosi che la corte territoriale avrebbe sostanzialmente omesso di applicare i criteri che presiedono all’attribuzione di un contributo in favore di uno dei coniugi.

2.3 - Con l’ultimo motivo si denuncia, sempre in relazione all’attribuzione dell’assegno alla P. , vizio motivazionale, essendo mancato qualsiasi riferimento alle situazioni patrimoniali di ciascun coniuge.

3- I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili, nella misura in cui tendono a introdurre un riesame di questioni riservate al giudice del merito, di certo non valutabili in questa sede, ed in parte infondati.

3.1 - Deve preliminarmente richiamarsi il principio secondo cui il vizio di motivazione deducibile con il ricorso ex art. 360 n. 5 c.p.c. non può consistere nella difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove compiuto dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte: sono, invero, riservati solo a quest’ultimo l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro ammissibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Anche la valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento prospettato dalle partì od a confutare ogni deduzione difensiva (cfr., ex multis, Cass., 19 marzo 2009, n. 6697).

3.2 - Il ricorrente, con riferimento al contenuto della testimonianza del proprio collega R. , non evidenzia alcuna intrinseca contraddizione, ponendo al contrario in evidenza la sua contrarietà con quanto dichiarato dalla C. , il cui legame di natura sentimentale con lo stesso A. non viene contestato, se non sotto il profilo dell’epoca della sua insorgenza. In considerazione di tale aspetto, la valutazione compiuta dalla corte territoriale, che ha considerato il R. maggiormente attendibile non essendo legato “da rapporti familiari con le parti”, pur nella sua sinteticità (laddove il termine “familiari” assume evidentemente, per sineddoche, un ampio significato, nel senso di “affettivi”), appare esente da censure sotto il profilo logico giuridico.

3.3 - Analoghe considerazioni, sotto il profilo della valutazione dei comportamenti umani secondo l’id quod plerumque accidit, vanno svolte in merito alla questione, interamente riservata al merito, circa il significato della partecipazione della C. al più volte indicato viaggio di lavoro, mentre la ragione di addebito della separazione personale all’A. appare ineccepibilmente ricondotta dalla Corte distrettuale al suo antecedente reprensibile contegno, idoneo ad evidenziare ai terzi l’esistenza della relazione extraconiugale, quand’anche in concreto non ancora intrattenuta con carattere di stabilità. D’altra parte, la corte territoriale ha ritenuto, con motivazione esente da vizi di natura logico-giuridica, anche per il profilo temporale, che la compromissione del rapporto coniugale era dipesa dall’infedeltà del marito. In proposito va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (a partire da Cass., Sez. un., 23 aprile 1982, n. 2494), la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 cod. civ. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. Non può tuttavia sottacersi che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass., 9 giugno 2000, n. 7859; Cass., 18 settembre 2003, n. 13747; Cass., 12 aprile 2006, n. 8512; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2059, proprio in tema di ripartizione del relativo onere della prova).

3.4 - Tanto premesso deve evidenziarsi che la corte palermitana, dopo aver stigmatizzato, nei termini indicati, la relazione extraconiugale coltivata dall’A. , ha analizzato la condotta della P. , escludendo che l’effettuazione di visite alla propria madre gravemente ammalata, contrariamente a quanto sostenuto dal marito, costituisse violazione dei doveri coniugali.

4 - Il terzo e il quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente per lo loro stretta inerenza al tema del contributo in favore della P. , sono fondati.

Deve richiamarsi il consolidato principio secondo il quale condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica tra i coniugi.

La Corte territoriale avrebbe dovuto prendere in considerazione, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini dell’attribuzione e della valutazione di congruità dell’assegno, il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti della ricorrente (Cass., 19 marzo 2009, n. 6698; Cass., 24 aprile 2007, n. 9915; Cass., 27 giugno 2006, n. 14640; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20638; Cass., 28 aprile 1995, n. 4720). Tale compito non risulta assolto in maniera adeguata, posto che le rispettive condizioni patrimoniali non risultano neppure indicate, e che, soprattutto, manca una ricostruzione attendibile del tenore di vita dei coniugi, assolutamente imprescindibile ai fini di verificare l’adeguatezza o meno dei redditi di cui dispone la P. .

Per altro il riferimento all’incertezza e al “carattere altalenante del profitto d’impresa”, a fronte della “certezza del reddito da lavoro dipendente” percepito dall’A. , appare piuttosto labile, non essendo dato di comprendere se l’attuale situazione giustifichi o meno l’attribuzione dell’assegno, ovvero se essa sia stata disposta per sopperire ad eventuali e future oscillazioni deficitarie del reddito d’impresa della P. , di entità non meglio definita, alle quali, in realtà, si potrà porre rimedio, ove abbiano in concreto a verificarsi, attraverso la revisione delle condizioni della separazione prevista dall’art. 710 c.p.c.. La sentenza impugnata, in relazione all’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, deve quindi essere cassata, con rinvio alla corte di appello di Palermo, che, in diversa composizione, applicherà, senza incorrere nel rilevato vizio motivazionale, i principi sopra indicati, provvedendo altresì al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.