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Il principio di legalità e l’articolo 7 della CEDU.

Il principio di legalità e l’articolo 7 CEDU

 

SOMMARIO: § 1. Origine storica ed evoluzione nell’ordinamento interno e sovranazionale. § 2. Legalità formale, sostanziale, mista. § 3. Il fondamento e i corollari del principio di legalità. §.4. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale. § 5. Le condizioni qualitative dell’articolo 7 CEDU: accessibilità e prevedibilità.

 

 

1. Origine storica ed evoluzione nell’ordinamento interno e sovranazionale.

 

Il principio di legalità costituisce il pilastro sul quale si fonda lo Stato di diritto moderno.

Tale principio invero, permea l’intero ordinamento giuridico ma assume maggiore pregnanza e rilievo nell’ambito del diritto penale, con riferimento al quale esso sancisce la necessaria predeterminazione legislativa delle fattispecie delittuose (reati), nonché delle sanzioni penali (pene), espressa dal brocardo latino “nullum crimen, nulla poena sine lege” .

La teorizzazione del principio di legalità affonda le sue radici nel pensiero illuministico ed in particolare nella teoria contrattualistica, di cui uno dei primi assertori fu Jean-Jacques Rousseau . Secondo tale concezione le istituzioni statali ricavano la loro legittimazione dall’accordo, il cosiddetto “contratto sociale”, liberamente stipulato dai privati cittadini, i quali detengono la sovranità, spinti dalla necessità di rinunciare a parte delle loro libertà in cambio della salvaguardia dei diritti naturali, garantita dalle istituzioni stesse .

Nell’ambito di questa ricostruzione filosofico-politica la legge assume il ruolo di fulcro dello Stato, essendo al contempo espressione della partecipazione dei privati cittadini alle istituzioni ed il limite al potere sovrano, quale baluardo posto a garanzia della libertà individuale.

La consistente rilevanza e l’assoluta centralità del principio di legalità è stata sostenuta inoltre da Cesare Beccaria, principale rappresentante dell’illuminismo italiano, il quale nella sua opera “Dei delitti e delle pene” , definita “manifesto del garantismo” , affermava che “le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla” e che “…le sole leggi possono decretar le pene su i delitti, e quest’autorità non può risedere che presso il legislatore, che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale…” .

La traduzione in termini giuridico-penali del fondamento politico del principio di legalità avviene, nei primi dell’Ottocento, ad opera del criminalista tedesco Feuerbach , il quale conia il brocardo latino “nulla poena sine lege”, raccordando la ratio del principio di legalità alla funzione della pena. In particolare, secondo l’autore tedesco, posto che la funzione della pena si identifica con la prevenzione generale, affinché la minaccia della pena funzioni occorre che i cittadini conoscano preventivamente quali sono i fatti la cui realizzazione comporta l’inflizione della sanzione .

Nell’ordinamento giuridico italiano il principio di legalità ha fatto il suo ingresso già a partire dai codici preunitari ed è stato in seguito sancito nello Statuto Albertino del 1848, nonché nel codice Zanardelli del 1889 (art. 1) ed ha trovato conferma, infine, nel codice Rocco del 1930 .

Con l’avvento della Costituzione il principio di legalità è stato consacrato nella disposizione di cui all’articolo 25, comma secondo, Cost., che prevede che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

L’oggetto della predeterminazione legislativa è duplice, dovendo essere preventivamente previste dalla legge le fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo, per le quali è stato concepito un sistema del “doppio binario”, in quanto nell’ambito delle conseguenze penali del reato si distinguono le pene (con connotazione prevalentemente afflittiva che, tuttavia, si è attenuata in virtù della previsione costituzionale del finalismo rieducativo della pena) dalle misure di sicurezza, rivolte al futuro e alla prevenzione della commissione di nuovi delitti.

Il rilievo ascritto al principio di legalità si estrinseca nella sua maggiore solidità con riferimento al diritto penale, essendo ritenuta la pena la punizione più severa, o utilizzando un’espressione di Nietzsche , “un mimo della guerra” e dunque l’extrema ratio ed essendo quindi, più pressanti le esigenze connesse alla previsione di garanzie a tutela del cittadino, che si sostanziano nella predeterminazione legislativa.

Tale principio rappresenta la base degli ordinamenti giuridici moderni e di talune Convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (detta “CEDU”) del 1950, ratificata dall’Italia con la legge 848/1955, che assume sempre maggiore importanza soprattutto per quanto concerne l’interpretazione del concetto di “pena”.

Tale Convenzione prevede il principio del “nulla poena sine lege” all’articolo 7, che è stato interpretato dalla Corte di Strasburgo in modo da assegnare la natura di “pena” a talune misure qualificate diversamente negli ordinamenti interni degli Stati stipulanti.

 

2. Legalità formale, sostanziale, mista.

 

Il principio di legalità è stato concepito in differenti accezioni nel corso della storia e nei diversi sistemi giuridici.

Secondo una prima impostazione, formale , può essere ritenuto reato il solo fatto qualificato espressamente come illecito penale dalla legge e punito con pene dalla stessa previste (nullum crimen nulla poena sine lege) e non anche il fatto antisociale, offensivo o pericoloso.

Il principio di legalità nella sua accezione formale esprime una scelta politica individualistico-garantista volta a salvaguardare la libertà del singolo individuo, il cosiddetto favor libertatis .

Tale impostazione, pur avendo il pregio di rafforzare le garanzie poste a tutela del cittadino, sconta un’eccessiva rigidità, in quanto costituisce un ostacolo alla difesa sociale contro il crimine e produce fratture tra la criminalità legale e reale; essa inoltre, non offre garanzie contro l’arbitrio del legislatore .

Non consentendo di punire condotte non preventivamente previste come reato infatti, il principio di legalità inteso in senso formale avvantaggia la condotta di coloro che “agiscono ai margini della legge o che, sfruttandone le imperfezioni, scivolano impunemente tra le sue maglie” .

Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del principio di legalità, affermatasi soprattutto nella Russia sovietica e nella Germania nazionalsocialista, in omaggio alla quale sono considerati reati e dunque sottoposti a pena, i fatti socialmente pericolosi, anche se non espressamente previsti dalla legge (nullum crimen nulla poena sine periculo sociali).

Tale accezione sostanziale implica che debba essere ritenuto reato il fatto che offende l’ordine sociale, con il duplice corollario che sono punibili le azioni pericolose, che si distaccano dai modelli comportamentali riconosciuti e che non rispettano le attese sociali , anche se non espressamente incriminate dalla legge e viceversa, non sono punibili le azioni incriminate dalla legge se non sono socialmente pericolose.

Il principio di legalità sostanziale esprime una scelta politica collettivistico-utilitaristica a favore della difesa sociale e si fonda sul favor societatis .

L’impostazione sostanziale, pur possedendo l’indubbio pregio di consentire una giustizia più reale e sostanziale, tuttavia risulta difficilmente compatibile con le istanze garantistiche su cui si fonda lo Stato di diritto moderno e dunque, con l’esigenza di certezza del diritto, aprendo le porte all’arbitrio e alle discriminazioni.

La Costituzione invero, secondo parte della dottrina , accoglie una concezione mista di reato, né integralmente formale, né integralmente sostanziale, in ossequio alla quale è considerato reato il fatto previsto come tale dalla legge ed in conformità con i valori espressi dalla Costituzione.

Ne deriva che per la Costituzione italiana è reato e come tale viene punito, il fatto previsto dalla legge, materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore, offensivo di valori costituzionalmente significativi o non incompatibili con la Costituzione, causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto, sanzionato con pena proporzionata, in astratto, alla rilevanza del bene tutelato ed in concreto, alla personalità dell’agente e alla gravità della condotta, umanizzata e tendente alla rieducazione del condannato .

Sicché nella concezione mista del principio di legalità il fatto di reato deve essere compatibile con gli altri principi costituzionali di materialità (nullum crimen nulla poena sine actione) , di offensività (nullum crimen nulla poena sine iniura) , di colpevolezza (nullum crimen nulla poena sine culpa) e del finalismo rieducativo della pena .

 

3. Il fondamento e i corollari del principio di legalità

 

La ratio del principio di legalità si identifica con il favor libertatis e cioè, con l’esigenza di garantire il cittadino dagli abusi del potere esecutivo e del potere giudiziario. Esso costituisce pertanto un potente presidio della libertà dei cittadini ed una duplice garanzia, oltre che sul piano della certezza giuridica, su quello della legittimazione democratica e della qualità contenutistica della politica penale .

Tale principio si articolo nei tre corollari della riserva di legge, tassatività e irretroattività sfavorevole (o divieto di retroazione sfavorevole) .

Il principio di riserva di legge (nullum crimen nulla poena sine lege scripta) in particolare prevede che l’unico strumento idoneo a creare norme incriminatrici sia la legge ordinaria e cioè, la legge emanata dal potere legislativo, fulcro dell’assetto democratico, il cui procedimento di formazione è sancito dagli articoli 70 e seguenti della Costituzione. Assegnando il monopolio della criminalizzazione al Parlamento, il quale legifera nella dialettica tra maggioranza ed opposizione, si assicura l’attenta ponderazione ed avvedutezza nel vagliare la necessità del ricorso allo strumento penale, sottraendo tali scelte al potere esecutivo; sicché tale sotto-principio tutela il cittadino dagli arbitri del Governo .

Il principio di riserva di legge persegue un duplice obiettivo, in chiave di garanzia liberale dei cittadini e di legittimazione democratica delle norme penali, in quanto oltre ad assicurare che “lo Stato non li punirà senza preventivamente informarli su ciò che è vietato o comandato” , esso assicura anche la garanzia democratica, in termini di legittimazione politica delle scelte di tutela penale, poiché “la lex parlamentaria sarebbe dotata di una particolare dignità e credibilità, quale fonte tipica del diritto penale” .

Il corollario della tassatività (o di precisione, determinatezza) prevede che la legge debba determinare con chiarezza e precisione estreme la fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo (nullum crimen nulla poena sine lege stricta) .

La ratio di tale principio si identifica con l’esigenza di porre al riparo il cittadino dagli arbitri del potere giurisdizionale nell’interpretazione della legge ; tale attività interpretativa deve essere contenuta nell’ambito dei contorni della fattispecie penale, come descritta dal legislatore, non potendo andare oltre i margini di interpretazione del precetto e la cornice edittale prevista, il che integrerebbe una violazione del divieto di analogia in malam partem.

L’interpretazione-applicazione giudiziale consente la concretizzazione della legge stessa nei casi singoli ed il passaggio dalla legalità legislativa, astratta, alla legalità giudiziale, concreta e costituisce un’attività irrinunciabile.

Il principio di tassatività assume maggiore consistenza soprattutto con riferimento alle pene, delle quali devono essere descritte con assoluta precisione e chiarezza dalla legge (e soltanto da essa, non potendo essere previste da norme secondarie) sia le tipologie, sia le modalità di applicazione.

Il terzo corollario del principio di legalità è costituito dal divieto di retroazione sfavorevole (nullum crimen, nulla poena sine proevia lege poenali); esso prevede che la legge penale si applichi solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore.

Il fondamento di tale principio si sostanzia nell’esigenza di garantire il cittadino dall’incriminazione e dall’assoggettamento ad una pena prevista da una legge entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto; al principio di irretroattività, che costituisce il completamento logico dei principi di riserva di legge e tassatività, è sottesa la stessa ratio di garanzia del favor libertatis del cittadino, il quale deve essere posto nelle condizioni di poter calcolare le conseguenze penali che la legge fa derivare dalla sua condotta, nel momento in cui la pone in essere .

Il principio di irretroattività invero, deve essere inteso in senso relativo, nel senso della irretroattività della legge sfavorevole e di retroattività della legge favorevole.

A tale esito la dottrina e la giurisprudenza prevalenti pervengono sulla scorta dell’analisi dei lavori preparatori, ove si trova la precisa conferma che si è inteso limitare il divieto di retroazione alla sola legge sfavorevole, e sulla base dell’interpretazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di legalità, in omaggio al quale sarebbe discriminatorio ed irragionevole continuare ad applicare un certo trattamento sanzionatorio ad un fatto che, in base ad una mutata coscienza sociale la legge sanziona in modo più mite o considera penalmente lecito .

L’opinione dottrinale e giurisprudenziale prevalenti ritengono pertanto che il principio di retroattività favorevole, al pari del principio di irretroattività sfavorevole, abbia anch’esso rilievo costituzionale , fondandosi anch’esso sul favor rei.

 

4. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale

 

Il principio di legalità dei reati e delle pene con i suoi corollari è sancito da una serie di disposizioni, che si articolano su tre livelli di fonti normative.

In primo luogo occorre considerare le disposizioni contenute nei commi secondo e terzo dell’articolo 25 della Costituzione; in particolare il secondo comma sancisce che “nessuno può essere in punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Il terzo comma sancisce che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.

La Carta Costituzionale sancisce dunque la valenza costituzionale del principio di legalità, con i relativi corollari della riserva di legge e tassatività (desumibile quest’ultimo, secondo alcuni dallo stesso articolo 25 Cost., quale completamento logico del principio di riserva di legge, secondo altri , dall’articolo 13 Cost., il quale prevede l’inviolabilità della libertà personale, attribuendo al diritto penale la funzione di extrema ratio ed, in virtù di ciò, esigendo un’estrema precisione nella formulazione delle fattispecie incriminatrici) al contempo per i reati e per le misure di sicurezza.

Per quanto concerne invece il corollario dell’irretroattività sfavorevole, l’articolo 25 Cost. prevede che tale principio operi solo per i reati e non per le misure di sicurezza.

La Costituzione invero, sembra riferire il principio di legalità alla sola formulazione del precetto, mentre non sembra ricevere un’esplicita menzione a livello costituzionale il principio di legalità delle pene . Dall’analisi dei lavori preparatori tuttavia, si ricava che in una precedente formulazione dell’articolo 25 della Costituzione vi era l’inciso “e con le pene con essa stabilite”; la soppressione di tale inciso è stata giustificata dal timore che potesse essere pregiudicato, nel caso di successione di leggi penali, il principio dell’applicazione della disposizione più favorevole al reo .

Peraltro, il principio di legalità risulterebbe svuotato nella sua portata garantistica se si riferisse al solo precetto e non anche alle sanzioni .

Il rango costituzionale del principio di legalità delle pene è oggi pacificamente ammesso, tanto più se si considera che esso costituisce presupposto ineludibile perché possano concretamente operare altri principi costituzionali concernenti la pena, quali il principio di rieducazione e di colpevolezza .

A livello sub-costituzionale il principio di legalità è sancito dalle disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 199 e 200, del codice penale.

In particolare l’articolo 1 c.p. sancisce che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” (con i corollari della riserva di legge e della tassatività, ricavabile dall’avverbio “espressamente”); l’articolo 2 c.p., invece, detta la disciplina relativa alla successione delle leggi penali nel tempo, positivizzando in uno al principio di irretroattività sfavorevole nel comma primo, per cui “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”, anche il principio di retroattività favorevole delle norme abolitive (comma secondo) e della norme modificative (comma quarto), con i limiti del giudicato per la seconda ipotesi.

L’articolo 199 c.p. detta il principio di legalità (riserva di legge e tassatività) per le misure di sicurezza, stabilendo che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”; l’articolo 200 c.p. sancisce la disciplina successoria delle misure di sicurezza, stabilendo al comma primo che “le misure di sicurezza sono disciplinate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione” e al comma secondo che “se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione”.

Il principio di legalità inoltre, ha rilievo sovranazionale ed è disciplinato da talune Convenzioni internazionali, tra le quali la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) assume assoluto risalto nell’ordinamento interno, anche in considerazione di due sentenze rese dalla Corte Costituzionale , a seguito della riforma del titolo V della Costituzione ed in particolare dell’articolo 117 Cost. . Il primo comma dell’articolo 117 Cost., infatti, sancisce che il legislatore interno (statale e regionale) deve conformarsi agli “obblighi internazionali”, tra i quali sarebbero ricompresi quelli derivanti dall’adesione in specie alla CEDU. Sicché gli obblighi sanciti da tale Convenzione sarebbero entrati a far parte dell’ordinamento interno, costituendo norme interposte al fine di valutare la legittimità costituzionale delle norme interne.

Del rango assunto dalla CEDU nell’ordinamento interno e del dibattito sviluppatosi successivamente alla ratifica del Trattato di Lisbona del 2009 ci si occuperà nel prosieguo della trattazione, anche al fine di indagare sull’influenza delle norme della Convenzione e delle decisioni della Corte di Strasburgo nell’ambito del diritto penale italiano.

Il principio di legalità è sancito dall’articolo 7 CEDU, il quale sancisce al paragrafo 1 che “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”; il paragrafo 2 invece stabilisce che “Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”.

L’articolo 7 CEDU, che reca l’intestazione “nullum crimen, nulla poena sine lege” enuncia in particolare i principi di legalità e di irretroattività favorevole; come ha osservato la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo infatti, esso “non si limita a proibire l’applicazione retroattiva del diritto penale a detrimento dell’imputato. Consacra altresì, in modo più generale, il principio di legalità in ordine ai diritti e alle pene, e quello che impone la non applicazione estensiva o analogica della legge penale a detrimento dell’imputato: ne deriva che un illecito deve essere definito dalla legge in modo chiaro” .

La disposizione citata, pur prevedendo il principio di tassatività (o “chiarezza” nella formulazione della norma) non prevede invece, il principio di riserva di legge, considerata l’esigenza sottesa alla Convenzione di assicurare la positivizzazione di una sorta di minimo comune denominatore di legalità e di sancire quindi, principi di diritto egualmente applicabili in tutti gli Stati firmatari, tra i quali alcuni adottano il sistema di common law, che si fonda sul diritto giurisprudenziale e sulla forza vincolante delle decisioni giudiziali (principio dello “stare decisis”), che mal si attaglierebbe alla previsione del principio di riserva di legge, così come inteso negli Stati di civil law, poichè implicherebbe l’obbligo di una legge scritta .

 

 

5. Le condizioni qualitative dell’articolo 7 CEDU: accessibilità e prevedibilità.

 

Ricostruito il principio di legalità nel sistema delle fonti nazionali e sovranazionali, occorre esaminare le “condizioni qualitative” attribuite alla nozione di legge, di cui all’articolo 7 CEDU.

Tale disposizione ha prodotto l’effetto di rafforzare ed innovare la portata garantistica dei principi di legalità ed irretroattività sfavorevole contemplati nel diritto penale interno, valorizzando gli aspetti qualitativi della legalità, concernenti anche i caratteri dell’accessibilità e della prevedibilità .

Per quanto concerne il primo, esso presuppone che il cittadino debba disporre di informazioni sufficienti sulle norme giuridiche applicate ad un dato caso .

Dunque, perché le norme siano sufficientemente accessibili, è necessario che esse siano pubblicate o comunque portate adeguatamente a conoscenza dei destinatari.

Per quanto concerne il requisito della prevedibilità, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo lo ha articolato in due ulteriori sottoprincipi, relativi, uno, al momento formativo della disposizione, l’altro, al momento interpretativo.

In primo luogo infatti, il principio di prevedibilità presuppone la determinatezza nella tecnica di formulazione della norma incriminatrice, ossia una “sufficiente precisione” (corollario applicativo del principio di legalità di cui al comma secondo dell’articolo 25 della Costituzione italiana).

La giurisprudenza CEDU in particolare, richiede che l’illecito penale e la pena siano chiaramente definiti dalla legge, precisando che il termine “legge” debba essere inteso in senso generico e dunque destinato a ricomprendere anche la consuetudine o la common law.

Sicché, anche la definizione giurisprudenziale deve rispondere agli stessi requisiti di determinatezza previsti per le fonti scritte.

Per quanto riguarda il tasso di determinatezza richiesto, la Corte ha affermato che “si può considerare “legge” solo una norma enunciata con precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta ; il cittadino pertanto, “deve essere in grado di prevedere, con un grado ragionevole di approssimazione in rapporto alle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un atto determinato” .

Tuttavia la Corte lascia notevoli spazi di discrezionalità agli Stati quanto al grado di precisione richiesto alla precisione penale; se si aderisse ad un principio di determinatezza inteso in senso troppo rigoroso, infatti, sarebbe compromesso il principio di generalità delle leggi, in ossequio al quale le leggi si servono necessariamente di formule più o meno elastiche e ricorrono alle categorie generali, al fine di evitare una rigidità eccessiva e di potersi adattare ai mutamenti di situazione .

Quanto ai parametri per valutare la determinatezza, la Corte EDU ritiene che si debba far riferimento al testo normativo, ma anche eventualmente al significato che la norma assume nel generale contesto della legge .

Con riferimento all’interpretazione della legge, il principio di determinatezza postula l’interpretazione ragionevole della disposizione penale, necessaria perché possa risultare prevedibile.

La giurisprudenza CEDU ha indicato i criteri idonei ad assicurare la ragionevole prevedibilità della norma penale; in particolare, la Corte di Strasburgo distingue tra una ragionevole interpretazione valutabile alla luce del testo normativo, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione tecnica”, da quella valutata tenendo conto dei precedenti risultati interpretativi, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione storica” .

Sul primo versante si ritiene sia ragionevole l’interpretazione restrittiva della norma, senza negare tuttavia, la ragionevolezza dell’interpretazione estensiva.

La prevedibilità invero, non è esclusa dall’interpretazione estensiva della norma, quando si riferisca ad una prassi giurisprudenziale consolidata e stabilizzata o nel caso in cui la nuova interpretazione risulti plausibile alla luce del mutato contesto storico-sociale, che richieda la necessità di una nuova lettura della norma.

L’interpretazione estensiva inoltre è ritenuta ragionevole quando la sua prevedibilità derivi da una prassi interpretativa estensiva, nonché dal mutamento delle condizioni socio-culturali che determinano un’interpretazione evolutiva “storicamente prevedibile” .

Ne deriva che gli elementi costitutivi del reato possano essere in via interpretativa “precisati e adattati a circostanze nuove che possano ragionevolmente rientrare nella originaria concezione di reato” .

 

 

 

 

Il principio di legalità e l’articolo 7 CEDU

 

SOMMARIO: § 1. Origine storica ed evoluzione nell’ordinamento interno e sovranazionale. § 2. Legalità formale, sostanziale, mista. § 3. Il fondamento e i corollari del principio di legalità. §.4. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale. § 5. Le condizioni qualitative dell’articolo 7 CEDU: accessibilità e prevedibilità.

 

 

1. Origine storica ed evoluzione nell’ordinamento interno e sovranazionale.

 

Il principio di legalità costituisce il pilastro sul quale si fonda lo Stato di diritto moderno.

Tale principio invero, permea l’intero ordinamento giuridico ma assume maggiore pregnanza e rilievo nell’ambito del diritto penale, con riferimento al quale esso sancisce la necessaria predeterminazione legislativa delle fattispecie delittuose (reati), nonché delle sanzioni penali (pene), espressa dal brocardo latino “nullum crimen, nulla poena sine lege” .

La teorizzazione del principio di legalità affonda le sue radici nel pensiero illuministico ed in particolare nella teoria contrattualistica, di cui uno dei primi assertori fu Jean-Jacques Rousseau . Secondo tale concezione le istituzioni statali ricavano la loro legittimazione dall’accordo, il cosiddetto “contratto sociale”, liberamente stipulato dai privati cittadini, i quali detengono la sovranità, spinti dalla necessità di rinunciare a parte delle loro libertà in cambio della salvaguardia dei diritti naturali, garantita dalle istituzioni stesse .

Nell’ambito di questa ricostruzione filosofico-politica la legge assume il ruolo di fulcro dello Stato, essendo al contempo espressione della partecipazione dei privati cittadini alle istituzioni ed il limite al potere sovrano, quale baluardo posto a garanzia della libertà individuale.

La consistente rilevanza e l’assoluta centralità del principio di legalità è stata sostenuta inoltre da Cesare Beccaria, principale rappresentante dell’illuminismo italiano, il quale nella sua opera “Dei delitti e delle pene” , definita “manifesto del garantismo” , affermava che “le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla” e che “…le sole leggi possono decretar le pene su i delitti, e quest’autorità non può risedere che presso il legislatore, che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale…” .

La traduzione in termini giuridico-penali del fondamento politico del principio di legalità avviene, nei primi dell’Ottocento, ad opera del criminalista tedesco Feuerbach , il quale conia il brocardo latino “nulla poena sine lege”, raccordando la ratio del principio di legalità alla funzione della pena. In particolare, secondo l’autore tedesco, posto che la funzione della pena si identifica con la prevenzione generale, affinché la minaccia della pena funzioni occorre che i cittadini conoscano preventivamente quali sono i fatti la cui realizzazione comporta l’inflizione della sanzione .

Nell’ordinamento giuridico italiano il principio di legalità ha fatto il suo ingresso già a partire dai codici preunitari ed è stato in seguito sancito nello Statuto Albertino del 1848, nonché nel codice Zanardelli del 1889 (art. 1) ed ha trovato conferma, infine, nel codice Rocco del 1930 .

Con l’avvento della Costituzione il principio di legalità è stato consacrato nella disposizione di cui all’articolo 25, comma secondo, Cost., che prevede che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

L’oggetto della predeterminazione legislativa è duplice, dovendo essere preventivamente previste dalla legge le fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo, per le quali è stato concepito un sistema del “doppio binario”, in quanto nell’ambito delle conseguenze penali del reato si distinguono le pene (con connotazione prevalentemente afflittiva che, tuttavia, si è attenuata in virtù della previsione costituzionale del finalismo rieducativo della pena) dalle misure di sicurezza, rivolte al futuro e alla prevenzione della commissione di nuovi delitti.

Il rilievo ascritto al principio di legalità si estrinseca nella sua maggiore solidità con riferimento al diritto penale, essendo ritenuta la pena la punizione più severa, o utilizzando un’espressione di Nietzsche , “un mimo della guerra” e dunque l’extrema ratio ed essendo quindi, più pressanti le esigenze connesse alla previsione di garanzie a tutela del cittadino, che si sostanziano nella predeterminazione legislativa.

Tale principio rappresenta la base degli ordinamenti giuridici moderni e di talune Convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (detta “CEDU”) del 1950, ratificata dall’Italia con la legge 848/1955, che assume sempre maggiore importanza soprattutto per quanto concerne l’interpretazione del concetto di “pena”.

Tale Convenzione prevede il principio del “nulla poena sine lege” all’articolo 7, che è stato interpretato dalla Corte di Strasburgo in modo da assegnare la natura di “pena” a talune misure qualificate diversamente negli ordinamenti interni degli Stati stipulanti.

 

2. Legalità formale, sostanziale, mista.

 

Il principio di legalità è stato concepito in differenti accezioni nel corso della storia e nei diversi sistemi giuridici.

Secondo una prima impostazione, formale , può essere ritenuto reato il solo fatto qualificato espressamente come illecito penale dalla legge e punito con pene dalla stessa previste (nullum crimen nulla poena sine lege) e non anche il fatto antisociale, offensivo o pericoloso.

Il principio di legalità nella sua accezione formale esprime una scelta politica individualistico-garantista volta a salvaguardare la libertà del singolo individuo, il cosiddetto favor libertatis .

Tale impostazione, pur avendo il pregio di rafforzare le garanzie poste a tutela del cittadino, sconta un’eccessiva rigidità, in quanto costituisce un ostacolo alla difesa sociale contro il crimine e produce fratture tra la criminalità legale e reale; essa inoltre, non offre garanzie contro l’arbitrio del legislatore .

Non consentendo di punire condotte non preventivamente previste come reato infatti, il principio di legalità inteso in senso formale avvantaggia la condotta di coloro che “agiscono ai margini della legge o che, sfruttandone le imperfezioni, scivolano impunemente tra le sue maglie” .

Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del principio di legalità, affermatasi soprattutto nella Russia sovietica e nella Germania nazionalsocialista, in omaggio alla quale sono considerati reati e dunque sottoposti a pena, i fatti socialmente pericolosi, anche se non espressamente previsti dalla legge (nullum crimen nulla poena sine periculo sociali).

Tale accezione sostanziale implica che debba essere ritenuto reato il fatto che offende l’ordine sociale, con il duplice corollario che sono punibili le azioni pericolose, che si distaccano dai modelli comportamentali riconosciuti e che non rispettano le attese sociali , anche se non espressamente incriminate dalla legge e viceversa, non sono punibili le azioni incriminate dalla legge se non sono socialmente pericolose.

Il principio di legalità sostanziale esprime una scelta politica collettivistico-utilitaristica a favore della difesa sociale e si fonda sul favor societatis .

L’impostazione sostanziale, pur possedendo l’indubbio pregio di consentire una giustizia più reale e sostanziale, tuttavia risulta difficilmente compatibile con le istanze garantistiche su cui si fonda lo Stato di diritto moderno e dunque, con l’esigenza di certezza del diritto, aprendo le porte all’arbitrio e alle discriminazioni.

La Costituzione invero, secondo parte della dottrina , accoglie una concezione mista di reato, né integralmente formale, né integralmente sostanziale, in ossequio alla quale è considerato reato il fatto previsto come tale dalla legge ed in conformità con i valori espressi dalla Costituzione.

Ne deriva che per la Costituzione italiana è reato e come tale viene punito, il fatto previsto dalla legge, materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore, offensivo di valori costituzionalmente significativi o non incompatibili con la Costituzione, causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto, sanzionato con pena proporzionata, in astratto, alla rilevanza del bene tutelato ed in concreto, alla personalità dell’agente e alla gravità della condotta, umanizzata e tendente alla rieducazione del condannato .

Sicché nella concezione mista del principio di legalità il fatto di reato deve essere compatibile con gli altri principi costituzionali di materialità (nullum crimen nulla poena sine actione) , di offensività (nullum crimen nulla poena sine iniura) , di colpevolezza (nullum crimen nulla poena sine culpa) e del finalismo rieducativo della pena .

 

3. Il fondamento e i corollari del principio di legalità

 

La ratio del principio di legalità si identifica con il favor libertatis e cioè, con l’esigenza di garantire il cittadino dagli abusi del potere esecutivo e del potere giudiziario. Esso costituisce pertanto un potente presidio della libertà dei cittadini ed una duplice garanzia, oltre che sul piano della certezza giuridica, su quello della legittimazione democratica e della qualità contenutistica della politica penale .

Tale principio si articolo nei tre corollari della riserva di legge, tassatività e irretroattività sfavorevole (o divieto di retroazione sfavorevole) .

Il principio di riserva di legge (nullum crimen nulla poena sine lege scripta) in particolare prevede che l’unico strumento idoneo a creare norme incriminatrici sia la legge ordinaria e cioè, la legge emanata dal potere legislativo, fulcro dell’assetto democratico, il cui procedimento di formazione è sancito dagli articoli 70 e seguenti della Costituzione. Assegnando il monopolio della criminalizzazione al Parlamento, il quale legifera nella dialettica tra maggioranza ed opposizione, si assicura l’attenta ponderazione ed avvedutezza nel vagliare la necessità del ricorso allo strumento penale, sottraendo tali scelte al potere esecutivo; sicché tale sotto-principio tutela il cittadino dagli arbitri del Governo .

Il principio di riserva di legge persegue un duplice obiettivo, in chiave di garanzia liberale dei cittadini e di legittimazione democratica delle norme penali, in quanto oltre ad assicurare che “lo Stato non li punirà senza preventivamente informarli su ciò che è vietato o comandato” , esso assicura anche la garanzia democratica, in termini di legittimazione politica delle scelte di tutela penale, poiché “la lex parlamentaria sarebbe dotata di una particolare dignità e credibilità, quale fonte tipica del diritto penale” .

Il corollario della tassatività (o di precisione, determinatezza) prevede che la legge debba determinare con chiarezza e precisione estreme la fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo (nullum crimen nulla poena sine lege stricta) .

La ratio di tale principio si identifica con l’esigenza di porre al riparo il cittadino dagli arbitri del potere giurisdizionale nell’interpretazione della legge ; tale attività interpretativa deve essere contenuta nell’ambito dei contorni della fattispecie penale, come descritta dal legislatore, non potendo andare oltre i margini di interpretazione del precetto e la cornice edittale prevista, il che integrerebbe una violazione del divieto di analogia in malam partem.

L’interpretazione-applicazione giudiziale consente la concretizzazione della legge stessa nei casi singoli ed il passaggio dalla legalità legislativa, astratta, alla legalità giudiziale, concreta e costituisce un’attività irrinunciabile.

Il principio di tassatività assume maggiore consistenza soprattutto con riferimento alle pene, delle quali devono essere descritte con assoluta precisione e chiarezza dalla legge (e soltanto da essa, non potendo essere previste da norme secondarie) sia le tipologie, sia le modalità di applicazione.

Il terzo corollario del principio di legalità è costituito dal divieto di retroazione sfavorevole (nullum crimen, nulla poena sine proevia lege poenali); esso prevede che la legge penale si applichi solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore.

Il fondamento di tale principio si sostanzia nell’esigenza di garantire il cittadino dall’incriminazione e dall’assoggettamento ad una pena prevista da una legge entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto; al principio di irretroattività, che costituisce il completamento logico dei principi di riserva di legge e tassatività, è sottesa la stessa ratio di garanzia del favor libertatis del cittadino, il quale deve essere posto nelle condizioni di poter calcolare le conseguenze penali che la legge fa derivare dalla sua condotta, nel momento in cui la pone in essere .

Il principio di irretroattività invero, deve essere inteso in senso relativo, nel senso della irretroattività della legge sfavorevole e di retroattività della legge favorevole.

A tale esito la dottrina e la giurisprudenza prevalenti pervengono sulla scorta dell’analisi dei lavori preparatori, ove si trova la precisa conferma che si è inteso limitare il divieto di retroazione alla sola legge sfavorevole, e sulla base dell’interpretazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di legalità, in omaggio al quale sarebbe discriminatorio ed irragionevole continuare ad applicare un certo trattamento sanzionatorio ad un fatto che, in base ad una mutata coscienza sociale la legge sanziona in modo più mite o considera penalmente lecito .

L’opinione dottrinale e giurisprudenziale prevalenti ritengono pertanto che il principio di retroattività favorevole, al pari del principio di irretroattività sfavorevole, abbia anch’esso rilievo costituzionale , fondandosi anch’esso sul favor rei.

 

4. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale

 

Il principio di legalità dei reati e delle pene con i suoi corollari è sancito da una serie di disposizioni, che si articolano su tre livelli di fonti normative.

In primo luogo occorre considerare le disposizioni contenute nei commi secondo e terzo dell’articolo 25 della Costituzione; in particolare il secondo comma sancisce che “nessuno può essere in punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Il terzo comma sancisce che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.

La Carta Costituzionale sancisce dunque la valenza costituzionale del principio di legalità, con i relativi corollari della riserva di legge e tassatività (desumibile quest’ultimo, secondo alcuni dallo stesso articolo 25 Cost., quale completamento logico del principio di riserva di legge, secondo altri , dall’articolo 13 Cost., il quale prevede l’inviolabilità della libertà personale, attribuendo al diritto penale la funzione di extrema ratio ed, in virtù di ciò, esigendo un’estrema precisione nella formulazione delle fattispecie incriminatrici) al contempo per i reati e per le misure di sicurezza.

Per quanto concerne invece il corollario dell’irretroattività sfavorevole, l’articolo 25 Cost. prevede che tale principio operi solo per i reati e non per le misure di sicurezza.

La Costituzione invero, sembra riferire il principio di legalità alla sola formulazione del precetto, mentre non sembra ricevere un’esplicita menzione a livello costituzionale il principio di legalità delle pene . Dall’analisi dei lavori preparatori tuttavia, si ricava che in una precedente formulazione dell’articolo 25 della Costituzione vi era l’inciso “e con le pene con essa stabilite”; la soppressione di tale inciso è stata giustificata dal timore che potesse essere pregiudicato, nel caso di successione di leggi penali, il principio dell’applicazione della disposizione più favorevole al reo .

Peraltro, il principio di legalità risulterebbe svuotato nella sua portata garantistica se si riferisse al solo precetto e non anche alle sanzioni .

Il rango costituzionale del principio di legalità delle pene è oggi pacificamente ammesso, tanto più se si considera che esso costituisce presupposto ineludibile perché possano concretamente operare altri principi costituzionali concernenti la pena, quali il principio di rieducazione e di colpevolezza .

A livello sub-costituzionale il principio di legalità è sancito dalle disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 199 e 200, del codice penale.

In particolare l’articolo 1 c.p. sancisce che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” (con i corollari della riserva di legge e della tassatività, ricavabile dall’avverbio “espressamente”); l’articolo 2 c.p., invece, detta la disciplina relativa alla successione delle leggi penali nel tempo, positivizzando in uno al principio di irretroattività sfavorevole nel comma primo, per cui “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”, anche il principio di retroattività favorevole delle norme abolitive (comma secondo) e della norme modificative (comma quarto), con i limiti del giudicato per la seconda ipotesi.

L’articolo 199 c.p. detta il principio di legalità (riserva di legge e tassatività) per le misure di sicurezza, stabilendo che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”; l’articolo 200 c.p. sancisce la disciplina successoria delle misure di sicurezza, stabilendo al comma primo che “le misure di sicurezza sono disciplinate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione” e al comma secondo che “se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione”.

Il principio di legalità inoltre, ha rilievo sovranazionale ed è disciplinato da talune Convenzioni internazionali, tra le quali la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) assume assoluto risalto nell’ordinamento interno, anche in considerazione di due sentenze rese dalla Corte Costituzionale , a seguito della riforma del titolo V della Costituzione ed in particolare dell’articolo 117 Cost. . Il primo comma dell’articolo 117 Cost., infatti, sancisce che il legislatore interno (statale e regionale) deve conformarsi agli “obblighi internazionali”, tra i quali sarebbero ricompresi quelli derivanti dall’adesione in specie alla CEDU. Sicché gli obblighi sanciti da tale Convenzione sarebbero entrati a far parte dell’ordinamento interno, costituendo norme interposte al fine di valutare la legittimità costituzionale delle norme interne.

Del rango assunto dalla CEDU nell’ordinamento interno e del dibattito sviluppatosi successivamente alla ratifica del Trattato di Lisbona del 2009 ci si occuperà nel prosieguo della trattazione, anche al fine di indagare sull’influenza delle norme della Convenzione e delle decisioni della Corte di Strasburgo nell’ambito del diritto penale italiano.

Il principio di legalità è sancito dall’articolo 7 CEDU, il quale sancisce al paragrafo 1 che “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”; il paragrafo 2 invece stabilisce che “Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”.

L’articolo 7 CEDU, che reca l’intestazione “nullum crimen, nulla poena sine lege” enuncia in particolare i principi di legalità e di irretroattività favorevole; come ha osservato la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo infatti, esso “non si limita a proibire l’applicazione retroattiva del diritto penale a detrimento dell’imputato. Consacra altresì, in modo più generale, il principio di legalità in ordine ai diritti e alle pene, e quello che impone la non applicazione estensiva o analogica della legge penale a detrimento dell’imputato: ne deriva che un illecito deve essere definito dalla legge in modo chiaro” .

La disposizione citata, pur prevedendo il principio di tassatività (o “chiarezza” nella formulazione della norma) non prevede invece, il principio di riserva di legge, considerata l’esigenza sottesa alla Convenzione di assicurare la positivizzazione di una sorta di minimo comune denominatore di legalità e di sancire quindi, principi di diritto egualmente applicabili in tutti gli Stati firmatari, tra i quali alcuni adottano il sistema di common law, che si fonda sul diritto giurisprudenziale e sulla forza vincolante delle decisioni giudiziali (principio dello “stare decisis”), che mal si attaglierebbe alla previsione del principio di riserva di legge, così come inteso negli Stati di civil law, poichè implicherebbe l’obbligo di una legge scritta .

 

 

5. Le condizioni qualitative dell’articolo 7 CEDU: accessibilità e prevedibilità.

 

Ricostruito il principio di legalità nel sistema delle fonti nazionali e sovranazionali, occorre esaminare le “condizioni qualitative” attribuite alla nozione di legge, di cui all’articolo 7 CEDU.

Tale disposizione ha prodotto l’effetto di rafforzare ed innovare la portata garantistica dei principi di legalità ed irretroattività sfavorevole contemplati nel diritto penale interno, valorizzando gli aspetti qualitativi della legalità, concernenti anche i caratteri dell’accessibilità e della prevedibilità .

Per quanto concerne il primo, esso presuppone che il cittadino debba disporre di informazioni sufficienti sulle norme giuridiche applicate ad un dato caso .

Dunque, perché le norme siano sufficientemente accessibili, è necessario che esse siano pubblicate o comunque portate adeguatamente a conoscenza dei destinatari.

Per quanto concerne il requisito della prevedibilità, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo lo ha articolato in due ulteriori sottoprincipi, relativi, uno, al momento formativo della disposizione, l’altro, al momento interpretativo.

In primo luogo infatti, il principio di prevedibilità presuppone la determinatezza nella tecnica di formulazione della norma incriminatrice, ossia una “sufficiente precisione” (corollario applicativo del principio di legalità di cui al comma secondo dell’articolo 25 della Costituzione italiana).

La giurisprudenza CEDU in particolare, richiede che l’illecito penale e la pena siano chiaramente definiti dalla legge, precisando che il termine “legge” debba essere inteso in senso generico e dunque destinato a ricomprendere anche la consuetudine o la common law.

Sicché, anche la definizione giurisprudenziale deve rispondere agli stessi requisiti di determinatezza previsti per le fonti scritte.

Per quanto riguarda il tasso di determinatezza richiesto, la Corte ha affermato che “si può considerare “legge” solo una norma enunciata con precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta ; il cittadino pertanto, “deve essere in grado di prevedere, con un grado ragionevole di approssimazione in rapporto alle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un atto determinato” .

Tuttavia la Corte lascia notevoli spazi di discrezionalità agli Stati quanto al grado di precisione richiesto alla precisione penale; se si aderisse ad un principio di determinatezza inteso in senso troppo rigoroso, infatti, sarebbe compromesso il principio di generalità delle leggi, in ossequio al quale le leggi si servono necessariamente di formule più o meno elastiche e ricorrono alle categorie generali, al fine di evitare una rigidità eccessiva e di potersi adattare ai mutamenti di situazione .

Quanto ai parametri per valutare la determinatezza, la Corte EDU ritiene che si debba far riferimento al testo normativo, ma anche eventualmente al significato che la norma assume nel generale contesto della legge .

Con riferimento all’interpretazione della legge, il principio di determinatezza postula l’interpretazione ragionevole della disposizione penale, necessaria perché possa risultare prevedibile.

La giurisprudenza CEDU ha indicato i criteri idonei ad assicurare la ragionevole prevedibilità della norma penale; in particolare, la Corte di Strasburgo distingue tra una ragionevole interpretazione valutabile alla luce del testo normativo, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione tecnica”, da quella valutata tenendo conto dei precedenti risultati interpretativi, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione storica” .

Sul primo versante si ritiene sia ragionevole l’interpretazione restrittiva della norma, senza negare tuttavia, la ragionevolezza dell’interpretazione estensiva.

La prevedibilità invero, non è esclusa dall’interpretazione estensiva della norma, quando si riferisca ad una prassi giurisprudenziale consolidata e stabilizzata o nel caso in cui la nuova interpretazione risulti plausibile alla luce del mutato contesto storico-sociale, che richieda la necessità di una nuova lettura della norma.

L’interpretazione estensiva inoltre è ritenuta ragionevole quando la sua prevedibilità derivi da una prassi interpretativa estensiva, nonché dal mutamento delle condizioni socio-culturali che determinano un’interpretazione evolutiva “storicamente prevedibile” .

Ne deriva che gli elementi costitutivi del reato possano essere in via interpretativa “precisati e adattati a circostanze nuove che possano ragionevolmente rientrare nella originaria concezione di reato” .