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Congedo obbligatorio e facoltativo per il padre lavoratore dipendente. Benefici economici alla madre in sostituzione del congedo parentale

La legge n° 92/2012, al fine di promuovere una cultura di maggiore condivisione dei compiti genitoriali e favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro della famiglia – fortemente auspicata dal Consiglio dell’Unione Europea con la direttiva n° 2010/18 dell’8 marzo 2010 di recepimento dell’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale - ha apportato alla disciplina della maternità e della paternità, quale prevista dal decreto legislativo n ° 151 del 2001, significative novità quali:

• l’introduzione, per il padre lavoratore dipendente, del congedo obbligatorio di un giorno e del congedo facoltativo di due giorni fruibili entro cinque mesi dalla nascita del figlio (art. 4, comma 24, lettera a);

• la possibilità, per la madre lavoratrice, di richiedere, al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi, in luogo del congedo parentale, un contributo economico utilizzabile per il servizio di baby-sitting o, in alternativa, per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati (art. 4, comma 24, lettera b).

Per espressa previsione legislativa tali istituti hanno, però, valenza limitata nel tempo in quanto introdotti, solo, in via sperimentale per gli anni 2013-2015.

Per quanto attiene i criteri di accesso, le modalità di fruizione dei benefici in interesse nonché l’ammontare del contributo gli stessi sono stabiliti con D.M. 22 dicembre 2012, recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 37 del 13 febbraio 2013.

Tanto premesso si illustra, di seguito, nel dettaglio, la disciplina degli istituti introdotti dall’art. 4, comma 24, lettere a) e b), della citata legge n° 92 del 28 giugno 2012.

Congedi del padre

Tali congedi sono fruibili dal padre lavoratore dipendente entro il quinto mese di vita del figlio o, nei casi di adozione o di affidamento, entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in famiglia.

La disciplina dei congedi obbligatori e facoltativi, per espressa previsione legislativa, si applica con riferimento alle nascite o agli ingressi in famiglia (in caso di adozione o di affidamento) avvenuti a partire dal 1° gennaio 2013.

Il congedo obbligatorio di un giorno è fruibile dal padre anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della madre.

Lo stesso è, altresì, riconosciuto anche al padre che ha fruito, per intero o solo in parte, del congedo di paternità per le causali quali previste dall’art. 28 del decreto legislativo n° 151/2001 e precisamente in caso di:

• morte o grave infermità della madre;

• abbandono del bambino da parte della madre;

• affidamento esclusivo del figlio al padre.

Il congedo obbligatorio del padre è, pertanto, aggiuntivo sia al congedo di maternità, di cui all’art. 16 del d.lgs. n° 151/2001, che al congedo di paternità ex art. 28 del decreto citato. Inoltre, trattandosi di astensione obbligatoria, il padre non può rinunciarvi.

Il congedo facoltativo di uno o due giorni, anche continuativi, fruibile entro il medesimo periodo, è condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo post partum con conseguente anticipazione del termine finale del congedo di maternità per un numero di giorni pari al numero di giorni fruiti dal padre.

Tale congedo è fruibile dal padre anche contemporaneamente all’astensione obbligatoria dal lavoro della madre.

Relativamente alle modalità di fruizione dei benefici anzidetti il padre ha l’onere di comunicare al datore di lavoro in forma scritta o, ove presente, tramite il sistema informativo aziendale, i giorni in cui intende fruire del congedo obbligatorio e di quello facoltativo, con anticipo di almeno quindici giorni. Il datore di lavoro, a sua volta, comunica all’INPS, attraverso i canali telematici messi a disposizione dall’Istituto medesimo, le giornate di congedo fruite a tale titolo.

Il padre lavoratore alla richiesta di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, è altresì tenuto a documentare la data del parto o dell’ingresso del minore in famiglia.

In caso di congedo facoltativo, trattandosi di fruizione alternativa a quella del congedo di maternità, il padre è tenuto ad allegare alla relativa richiesta una dichiarazione della madre di non fruizione del congedo di maternità a lei spettante per un numero di giorni pari a quello del congedo fruito dal padre, con conseguente riduzione del congedo medesimo. Tale dichiarazione va, altresì, trasmessa al datore di lavoro della madre.

Si sottolinea, per ultimo, che i congedi, obbligatorio e facoltativo, del padre non possono essere fruiti ad ore.

Per quanto attiene più strettamente il trattamento economico e previdenziale dei congedi anzidetti va sottolineato che durante la fruizione degli stessi il padre ha diritto ad una indennità giornaliera (a carico dell’INPS) pari al 100 per cento del trattamento economico in godimento, i periodi di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, sono computati ad ogni effetto nell’anzianità di servizio, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità ed alle ferie. Ai fini previdenziali tali periodi sono, altresì, coperti da contribuzione figurativa per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura della stessa.

Contributo economico

Relativamente a quanto in interesse il D.M. 22 dicembre 2012, a chiarimento del disposto di cui all’art. 4, comma 24, lettera b), della legge n° 92/2012, stabilisce che tale contributo, pari ad 300 euro mensili,

• è concesso per una durata complessiva di sei mesi;

• può essere richiesto anche dalla lavoratrice che abbia già usufruito in parte del congedo parentale;

• è erogato dall’INPS previo accertamento della condizione reddituale della richiedente ed approntamento di apposita graduatoria nazionale, fino a concorrenza delle risorse a tal fine disponibili per ciascuno degli esercizi 2013, 2014 e 2015, sulla base della situazione economica equivalente del nucleo familiare di appartenenza (ISEE) con ordine di priorità per i nuclei familiari con ISEE di valore inferiore e, a parità, secondo l’ordine di presentazione delle domande.

Non sono ammesse al beneficio anzidetto le madri lavoratrici che, relativamente al figlio per il quale intendono esercitare il beneficio in interesse:

• risultano esentate totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati convenzionati;

• usufruiscono dei benefici di cui al Fondo per le Politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità di cui all’art. 19, comma 3, del D.L. n° 223/2006, convertito nella legge n° 248 del 4 agosto 2006.

Per quanto attiene le lavoratrici con rapporto di lavoro part-time le stesse possono fruire dei benefici in interesse in misura proporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa mentre per le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’INPS, tenuto conto della minora durata del periodo di congedo parentale, la fruizione dei benefici in questione è limitata a soli tre mesi.

Per quanto attiene le modalità di ammissione il citato decreto ministeriale stabilisce che la lavoratrice che intende accedere ad uno dei benefici quali previsti dall’art. 4, comma 24, lettera b), della legge n° 92/2012, è tenuta a presentare all’INPS, per il tramite i canali telematici dell’Istituto, apposita domanda con l’indicazione nella stessa a quale dei due benefici intende accedere e per quante mensilità.

All’assegnazione del contributo possono, altresì, concorrere anche le lavoratrici per le quali la data presunta del parte sia fissata entro quattro mesi dalla scadenza del bando.

Va da sé, poi, che la fruizione dei benefici economici di cui sopra comporta, per ogni quota mensile richiesta e debitamente fruita, una corrispondente riduzione di un mese del periodo di congedo parentale spettante ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n° 151/2001.

In ordine alle modalità di erogazione l’art. 5, comma 2, del decreto citato prevede che, qualora la madre opti per il servizio di baby-sitting, il contributo verrà erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro di cui all’art. 72 del decreto legislativo n° 276/2003 mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consisterà in un pagamento diretto alla struttura prescelta, fino a concorrenza dell’importo di 300 euro mensili, dietro esibizione da parte di quest’ultima della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio da parte della beneficiaria.

Campo di applicazione.

E’ indubbio che a beneficiare degli istituti in interesse siano tutti i lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato.

Con l’adozione del D.M. 22 dicembre 2012, che fissa le procedure e le modalità di fruizione del congedo obbligatorio e facoltativo del padre nonché, in alternativa al congedo parentale, la corresponsione del contributo economico alla madre per favorirne il rientro nel mondo del lavoro al termine del congedo di maternità, la disciplina dettata dall’art. 4, comma 24, lettere a) e b), della legge n° 92 del 2012 risulta pienamente operativa e trova, pertanto, immediata applicazione nei confronti del personale dipendente appartenente al settore privato.

Relativamente al pubblico impiego tale normativa, al momento, non sembrerebbe, invece, trovare applicazione atteso che, ai sensi dell’art. 1, commi 7 e 8, della legge n° 92/2012, sono richiesti ulteriori interventi da adottarsi a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, volti a definire, anche mediante iniziative normative, “gli ambiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, in risposta a specifico quesito posto dal Comune di Reggio Emilia, con nota n° 8629 del 20 febbraio 2013 ha, infatti, rappresentato che “la normativa in questione non è direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n°165 del 2001, atteso che, come disposto dall’art. 1, commi 7 e 8, della citata legge n° 92 del 2012, tale applicazione è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione”.

“Pertanto - conclude la nota ministeriale - per i dipendenti pubblici rimangono validi ed applicabili gli ordinari istituti disciplinati dal d.lgs. n° 151 del 2001 e nei CCNL di comparto”.

Per quanto precede appare, pertanto, inverosimile che un diritto che la legge riconosce a tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore di appartenenza, venga al momento e chissà ancora per quanto tempo, di fatto negato ad una parte del mondo del lavoro, quella pubblica, comportando una ingiusta discriminazione tra i dipendenti pubblici rispetto a quelli che operano nel settore privato con ripercussioni, gravi e intollerabili, sulle aspettative dei singoli malgrado la dichiarata esigenza, quale sottolineata dalla Direttiva n° 2010/18/UE adottata in data 8 marzo 2010 dal Consiglio Europeo, di “garantire una base comune sull’equilibrio tra vita e lavoro svolgendo un ruolo significativo nell’aiutare i genitori che lavorano ad ottenere una migliore conciliazione” dando così concreta attuazione al diritto “individuale” quale tutelato dal dettato costituzionale.

Tanto premesso appare, pertanto, paradossale che possa verificarsi quanto sopra delineato dal momento che la tutela economica della maternità e della paternità nel pubblico impiego, come già opportunamente sottolineto, è regolamentata in sede di contrattazione collettiva e i relativi oneri sono a totale carico delle amministrazioni pubbliche con la previsione, fra l’altro, che, per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro (congedo di maternità) le lavoratrici hanno diritto all’intera retribuzione, comprese le quote di salario accessorio, fisse e ricorrenti, con l’esclusione dei soli emolumenti la cui corresponsione è strettamente connessa all’effettiva presenza in servizio (straordinario, turni, reperibilità, ecc…).

La concessione del congedo obbligatorio di un giorno e di quello facoltativo di due giorni (quest’ultimo in alternativa ad altrettanti giorni del congedo di maternità), alla luce della disciplina contrattuale quale in atto vigente nel pubblico impiego, necessariamente non può, pertanto, che far capo all’ente pubblico datore di lavoro con l’assunzione, da parte di quest’ultimo, del relativo onere.

Nelle more dell’adozione del provvedimento, quale previsto dall’art. 1, commi 7 e 8, della legge n° 92/2012, per rendere applicabile da subito anche nel pubblico impiego la normativa in interesse evitando così ritardi e rallentamenti, fortemente pregiudizievoli alle legittime aspettative degli aventi titolo e in ogni caso lesivi del diritto dagli stessi legittimamente vantato, basterebbe, a nostro avviso, una specifica direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica (adottata di concerto con l’INPS) intesa a:

• mantenere, provvisoriamente, in capo all’ente pubblico datore di lavoro il potere di concedere, assumendone i relativi oneri economici (così come previsto dalla contrattazione collettiva per i permessi e congedi posti a tutela e sostegno della maternità e della paternità) il concedo obbligatorio e quello facoltativo a favore del padre lavoratore (escludendo, pertanto, l’INPS dall’obbligo di corrispondere la relativa indennità economica pari al 100 per cento, peraltro pari a quella corrisposta ai pubblici dipendenti in caso di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità) dandone contestuale notizia (solo in caso, però, di congedo facoltativo) all’INPS e all’ente datore di lavoro (pubblico o privato) della madre lavoratrice ai fini della conseguente rideterminazione della durata del congedo di maternità da quest’ultima in corso di fruizione;

• estendere, sempre provvisoriamente, al pubblico impiego la procedura quale prevista, in materia di concessione del contributo economico per l’acquisto di servizi per l’infanzia in alternativa al congedo parentale, dagli articoli 4-10 del D.M. 22 dicembre 2012 con l’obbligo da parte dell’INPS, una volta ammessa al beneficio la dipendente pubblica richiedente lo stesso, di comunicare all’amministrazione di appartenenza, quanto in interesse ai fini della conseguente riduzione del congedo parentale nella misura quale indicata dall’art. 9 del decreto citato (un mese per ogni quota mensile erogata).

Verrebbe, così, a sanarsi una ingiustizia che, in un contesto di riconoscimenti sempre più estesi di tutele e di sostegno della maternità e della paternità, appare certamente indebita e fortemente penalizzante. La legge n° 92/2012, al fine di promuovere una cultura di maggiore condivisione dei compiti genitoriali e favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro della famiglia – fortemente auspicata dal Consiglio dell’Unione Europea con la direttiva n° 2010/18 dell’8 marzo 2010 di recepimento dell’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale - ha apportato alla disciplina della maternità e della paternità, quale prevista dal decreto legislativo n ° 151 del 2001, significative novità quali:

• l’introduzione, per il padre lavoratore dipendente, del congedo obbligatorio di un giorno e del congedo facoltativo di due giorni fruibili entro cinque mesi dalla nascita del figlio (art. 4, comma 24, lettera a);

• la possibilità, per la madre lavoratrice, di richiedere, al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi, in luogo del congedo parentale, un contributo economico utilizzabile per il servizio di baby-sitting o, in alternativa, per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati (art. 4, comma 24, lettera b).

Per espressa previsione legislativa tali istituti hanno, però, valenza limitata nel tempo in quanto introdotti, solo, in via sperimentale per gli anni 2013-2015.

Per quanto attiene i criteri di accesso, le modalità di fruizione dei benefici in interesse nonché l’ammontare del contributo gli stessi sono stabiliti con D.M. 22 dicembre 2012, recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 37 del 13 febbraio 2013.

Tanto premesso si illustra, di seguito, nel dettaglio, la disciplina degli istituti introdotti dall’art. 4, comma 24, lettere a) e b), della citata legge n° 92 del 28 giugno 2012.

Congedi del padre

Tali congedi sono fruibili dal padre lavoratore dipendente entro il quinto mese di vita del figlio o, nei casi di adozione o di affidamento, entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in famiglia.

La disciplina dei congedi obbligatori e facoltativi, per espressa previsione legislativa, si applica con riferimento alle nascite o agli ingressi in famiglia (in caso di adozione o di affidamento) avvenuti a partire dal 1° gennaio 2013.

Il congedo obbligatorio di un giorno è fruibile dal padre anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della madre.

Lo stesso è, altresì, riconosciuto anche al padre che ha fruito, per intero o solo in parte, del congedo di paternità per le causali quali previste dall’art. 28 del decreto legislativo n° 151/2001 e precisamente in caso di:

• morte o grave infermità della madre;

• abbandono del bambino da parte della madre;

• affidamento esclusivo del figlio al padre.

Il congedo obbligatorio del padre è, pertanto, aggiuntivo sia al congedo di maternità, di cui all’art. 16 del d.lgs. n° 151/2001, che al congedo di paternità ex art. 28 del decreto citato. Inoltre, trattandosi di astensione obbligatoria, il padre non può rinunciarvi.

Il congedo facoltativo di uno o due giorni, anche continuativi, fruibile entro il medesimo periodo, è condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo post partum con conseguente anticipazione del termine finale del congedo di maternità per un numero di giorni pari al numero di giorni fruiti dal padre.

Tale congedo è fruibile dal padre anche contemporaneamente all’astensione obbligatoria dal lavoro della madre.

Relativamente alle modalità di fruizione dei benefici anzidetti il padre ha l’onere di comunicare al datore di lavoro in forma scritta o, ove presente, tramite il sistema informativo aziendale, i giorni in cui intende fruire del congedo obbligatorio e di quello facoltativo, con anticipo di almeno quindici giorni. Il datore di lavoro, a sua volta, comunica all’INPS, attraverso i canali telematici messi a disposizione dall’Istituto medesimo, le giornate di congedo fruite a tale titolo.

Il padre lavoratore alla richiesta di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, è altresì tenuto a documentare la data del parto o dell’ingresso del minore in famiglia.

In caso di congedo facoltativo, trattandosi di fruizione alternativa a quella del congedo di maternità, il padre è tenuto ad allegare alla relativa richiesta una dichiarazione della madre di non fruizione del congedo di maternità a lei spettante per un numero di giorni pari a quello del congedo fruito dal padre, con conseguente riduzione del congedo medesimo. Tale dichiarazione va, altresì, trasmessa al datore di lavoro della madre.

Si sottolinea, per ultimo, che i congedi, obbligatorio e facoltativo, del padre non possono essere fruiti ad ore.

Per quanto attiene più strettamente il trattamento economico e previdenziale dei congedi anzidetti va sottolineato che durante la fruizione degli stessi il padre ha diritto ad una indennità giornaliera (a carico dell’INPS) pari al 100 per cento del trattamento economico in godimento, i periodi di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, sono computati ad ogni effetto nell’anzianità di servizio, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità ed alle ferie. Ai fini previdenziali tali periodi sono, altresì, coperti da contribuzione figurativa per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura della stessa.

Contributo economico

Relativamente a quanto in interesse il D.M. 22 dicembre 2012, a chiarimento del disposto di cui all’art. 4, comma 24, lettera b), della legge n° 92/2012, stabilisce che tale contributo, pari ad 300 euro mensili,

• è concesso per una durata complessiva di sei mesi;

• può essere richiesto anche dalla lavoratrice che abbia già usufruito in parte del congedo parentale;

• è erogato dall’INPS previo accertamento della condizione reddituale della richiedente ed approntamento di apposita graduatoria nazionale, fino a concorrenza delle risorse a tal fine disponibili per ciascuno degli esercizi 2013, 2014 e 2015, sulla base della situazione economica equivalente del nucleo familiare di appartenenza (ISEE) con ordine di priorità per i nuclei familiari con ISEE di valore inferiore e, a parità, secondo l’ordine di presentazione delle domande.

Non sono ammesse al beneficio anzidetto le madri lavoratrici che, relativamente al figlio per il quale intendono esercitare il beneficio in interesse:

• risultano esentate totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati convenzionati;

• usufruiscono dei benefici di cui al Fondo per le Politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità di cui all’art. 19, comma 3, del D.L. n° 223/2006, convertito nella legge n° 248 del 4 agosto 2006.

Per quanto attiene le lavoratrici con rapporto di lavoro part-time le stesse possono fruire dei benefici in interesse in misura proporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa mentre per le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’INPS, tenuto conto della minora durata del periodo di congedo parentale, la fruizione dei benefici in questione è limitata a soli tre mesi.

Per quanto attiene le modalità di ammissione il citato decreto ministeriale stabilisce che la lavoratrice che intende accedere ad uno dei benefici quali previsti dall’art. 4, comma 24, lettera b), della legge n° 92/2012, è tenuta a presentare all’INPS, per il tramite i canali telematici dell’Istituto, apposita domanda con l’indicazione nella stessa a quale dei due benefici intende accedere e per quante mensilità.

All’assegnazione del contributo possono, altresì, concorrere anche le lavoratrici per le quali la data presunta del parte sia fissata entro quattro mesi dalla scadenza del bando.

Va da sé, poi, che la fruizione dei benefici economici di cui sopra comporta, per ogni quota mensile richiesta e debitamente fruita, una corrispondente riduzione di un mese del periodo di congedo parentale spettante ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n° 151/2001.

In ordine alle modalità di erogazione l’art. 5, comma 2, del decreto citato prevede che, qualora la madre opti per il servizio di baby-sitting, il contributo verrà erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro di cui all’art. 72 del decreto legislativo n° 276/2003 mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consisterà in un pagamento diretto alla struttura prescelta, fino a concorrenza dell’importo di 300 euro mensili, dietro esibizione da parte di quest’ultima della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio da parte della beneficiaria.

Campo di applicazione.

E’ indubbio che a beneficiare degli istituti in interesse siano tutti i lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato.

Con l’adozione del D.M. 22 dicembre 2012, che fissa le procedure e le modalità di fruizione del congedo obbligatorio e facoltativo del padre nonché, in alternativa al congedo parentale, la corresponsione del contributo economico alla madre per favorirne il rientro nel mondo del lavoro al termine del congedo di maternità, la disciplina dettata dall’art. 4, comma 24, lettere a) e b), della legge n° 92 del 2012 risulta pienamente operativa e trova, pertanto, immediata applicazione nei confronti del personale dipendente appartenente al settore privato.

Relativamente al pubblico impiego tale normativa, al momento, non sembrerebbe, invece, trovare applicazione atteso che, ai sensi dell’art. 1, commi 7 e 8, della legge n° 92/2012, sono richiesti ulteriori interventi da adottarsi a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, volti a definire, anche mediante iniziative normative, “gli ambiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, in risposta a specifico quesito posto dal Comune di Reggio Emilia, con nota n° 8629 del 20 febbraio 2013 ha, infatti, rappresentato che “la normativa in questione non è direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n°165 del 2001, atteso che, come disposto dall’art. 1, commi 7 e 8, della citata legge n° 92 del 2012, tale applicazione è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione”.

“Pertanto - conclude la nota ministeriale - per i dipendenti pubblici rimangono validi ed applicabili gli ordinari istituti disciplinati dal d.lgs. n° 151 del 2001 e nei CCNL di comparto”.

Per quanto precede appare, pertanto, inverosimile che un diritto che la legge riconosce a tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore di appartenenza, venga al momento e chissà ancora per quanto tempo, di fatto negato ad una parte del mondo del lavoro, quella pubblica, comportando una ingiusta discriminazione tra i dipendenti pubblici rispetto a quelli che operano nel settore privato con ripercussioni, gravi e intollerabili, sulle aspettative dei singoli malgrado la dichiarata esigenza, quale sottolineata dalla Direttiva n° 2010/18/UE adottata in data 8 marzo 2010 dal Consiglio Europeo, di “garantire una base comune sull’equilibrio tra vita e lavoro svolgendo un ruolo significativo nell’aiutare i genitori che lavorano ad ottenere una migliore conciliazione” dando così concreta attuazione al diritto “individuale” quale tutelato dal dettato costituzionale.

Tanto premesso appare, pertanto, paradossale che possa verificarsi quanto sopra delineato dal momento che la tutela economica della maternità e della paternità nel pubblico impiego, come già opportunamente sottolineto, è regolamentata in sede di contrattazione collettiva e i relativi oneri sono a totale carico delle amministrazioni pubbliche con la previsione, fra l’altro, che, per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro (congedo di maternità) le lavoratrici hanno diritto all’intera retribuzione, comprese le quote di salario accessorio, fisse e ricorrenti, con l’esclusione dei soli emolumenti la cui corresponsione è strettamente connessa all’effettiva presenza in servizio (straordinario, turni, reperibilità, ecc…).

La concessione del congedo obbligatorio di un giorno e di quello facoltativo di due giorni (quest’ultimo in alternativa ad altrettanti giorni del congedo di maternità), alla luce della disciplina contrattuale quale in atto vigente nel pubblico impiego, necessariamente non può, pertanto, che far capo all’ente pubblico datore di lavoro con l’assunzione, da parte di quest’ultimo, del relativo onere.

Nelle more dell’adozione del provvedimento, quale previsto dall’art. 1, commi 7 e 8, della legge n° 92/2012, per rendere applicabile da subito anche nel pubblico impiego la normativa in interesse evitando così ritardi e rallentamenti, fortemente pregiudizievoli alle legittime aspettative degli aventi titolo e in ogni caso lesivi del diritto dagli stessi legittimamente vantato, basterebbe, a nostro avviso, una specifica direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica (adottata di concerto con l’INPS) intesa a:

• mantenere, provvisoriamente, in capo all’ente pubblico datore di lavoro il potere di concedere, assumendone i relativi oneri economici (così come previsto dalla contrattazione collettiva per i permessi e congedi posti a tutela e sostegno della maternità e della paternità) il concedo obbligatorio e quello facoltativo a favore del padre lavoratore (escludendo, pertanto, l’INPS dall’obbligo di corrispondere la relativa indennità economica pari al 100 per cento, peraltro pari a quella corrisposta ai pubblici dipendenti in caso di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità) dandone contestuale notizia (solo in caso, però, di congedo facoltativo) all’INPS e all’ente datore di lavoro (pubblico o privato) della madre lavoratrice ai fini della conseguente rideterminazione della durata del congedo di maternità da quest’ultima in corso di fruizione;

• estendere, sempre provvisoriamente, al pubblico impiego la procedura quale prevista, in materia di concessione del contributo economico per l’acquisto di servizi per l’infanzia in alternativa al congedo parentale, dagli articoli 4-10 del D.M. 22 dicembre 2012 con l’obbligo da parte dell’INPS, una volta ammessa al beneficio la dipendente pubblica richiedente lo stesso, di comunicare all’amministrazione di appartenenza, quanto in interesse ai fini della conseguente riduzione del congedo parentale nella misura quale indicata dall’art. 9 del decreto citato (un mese per ogni quota mensile erogata).

Verrebbe, così, a sanarsi una ingiustizia che, in un contesto di riconoscimenti sempre più estesi di tutele e di sostegno della maternità e della paternità, appare certamente indebita e fortemente penalizzante.