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Legge 31 dicembre 2012, n. 247 – Trattamento contrattuale 'Avvocati degli Enti Pubblici' – Art. 23

Sono pervenute numerosissime richieste da parte degli iscritti all'Unione Nazionale Avvocati degli Enti Pubblici al fine di un orientamento unitario, in relazione ai molteplici e specifici temi introdotti dall'art. 23 della nuova legge di disciplina della professione forense, che entrerà in vigore il 2 febbraio 2013, avente rango di norma speciale, riferendosi esclusivamente alla categoria professionale forense.

Il tema è complesso e deve essere affrontato analiticamente alla luce dei precisi criteri fissati dall'ordinamento per l'interpretazione della legge, sulla base delle molteplici fonti di diritto interessate, (legge ordinaria speciale, legge generale-T.U., applicata e disattesa, contrattazione collettiva, ecc.).

Al riguardo occorre premettere due dati: il primo, la professione forense è ex se unitaria, sia quando svolta in qualità di dipendenti di ente pubblico che di libero professionista; il secondo, la norma dell'art. 23, L. 247/12 disciplina una categoria “unica”, quella degli “avvocati degli enti pubblici”, cioè quei professionisti dipendenti da qualsiasi ente pubblico.

Sicchè per ogni avvocato iscritto all'Albo/elenco in Italia valgono le “Disposizioni generali” stabilite per tutti e senza distinzione al Titolo I° della legge speciale di disciplina della professione forense, indipendentemente dall'essere o meno dipendente e da quale ente.

INQUADRAMENTO GENERALE DELLA L. 31 DICEMBRE 2012, N. 247

Tanto premesso, fra le disposizioni generali della L. n. 247/2012 di particolare rilievo ai fini della presente analisi, si evidenziano:

A) art. 1:

- la funzione difensiva ha primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela è preposta (principio di legalità è previsto dall'art. 97 Cost., e il diritto di difesa dall'art. 33, comma 5, Cost.);

- l'esercizio della professione di avvocato è diretto all'interesse pubblico;

- l'ordinamento forense garantisce l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati;

B) art. 2:

- l'avvocato svolge la propria attività in libertà, autonomia ed indipendenza;

- l'avvocato, nell'esercizio della propria attività, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche;

C) art. 3:

- l'esercizio dell'attività di avvocato deve essere fondato sull'autonomia e sull'indipendenza dell'azione professionale e del giudizio intellettuale;

- la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa;

D) art. 6:

- l'avvocato è tenuto alla rigorosa osservanza del segreto professionale e del massimo riserbo sui fatti e sulle circostanze apprese nell'esercizio della propria attività nell'interesse dell'assistito;

E) art. 13, sul conferimento dell'incarico e compensi a valere per ogni avvocato, di cui meglio si dirà infra;

F) art. 15, che prevede, presso ciascun COA, la tenuta aggiornata dell'elenco speciale degli “avvocati dipendenti da enti pubblici”;

G) art. 19:

- in deroga al principio di incompatibilità della professione forense con attività di lavoro dipendente, è prevista l'attività legale per conto degli “enti pubblici”;

H) art. 21:

- la permanenza dell'iscrizione all'Albo/elenco è subordinata all'esercizio della professione in modo continuativo, effettivo, abituale e prevalente da parte dell'avvocato (da leggere in combinato disposto con l'art. 23, comma 1);

I) art. 23:

- agli avvocati degli enti pubblici deve essere assicurata piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile (cfr. art. 21), degli affari legali dell'ente;

- trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta;

- è il contratto di lavoro che deve garantire autonomia ed indipendenza;

- la responsabilità dell'ufficio deve essere affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale;

- sottoposizione al potere disciplinare dell'Ordine;

L) art. 39:

- il CNF è la massima assise in cui deve trovare rappresentatività ciascuna componente associativa (costituita da almeno 5 anni);

M) art. 41:

- il tirocinio può essere svolto presso un avvocato iscritto da non meno di 5 anni, sia libero professionista, che avvocato di ente pubblico e dello Stato;

- i commi 6 e 7 letti fra loro in connessione prevedono che per non più di 12 mesi presso Avvocature pubbliche, e per almeno 6 mesi presso un avvocato iscritto (l'avvocato pubblico è iscritto) o Avvocatura dello Stato (poiché non iscritti all'albo/elenco). Pertanto, si ritiene che, a differenza dell'Avvocatura di Stato i cui avvocati non sono iscritti all'Albo/elenco, il tirocinio presso gli avvocati degli enti pubblici, iscritti all'Albo/elenco al pari degli avvocati del libero foro, possa essere dell'intero periodo di 18 mesi.

RICOSTRUZIONE NORMATIVA DEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE DELL'AVVOCATO

I riferimenti normativi cui occorre volgersi sono variegati e, sparsi nel nostro ordinamento giuridico, possono suddividersi a seconda dell'epoca: normativa ante d.lgs. n. 165/2001 e post d.lgs. n. 165/2001, così come modificato ai sensi del d.lgs n. 150/2009; di conseguenza, fa seguito la Contrattazione collettiva così come mutata in applicazione dell'evoluzione normativa citata.

In particolare, prescindendo dalle disposizioni più “antiche”, come la L. n. 70/1975 che, già all'art. 15, conteneva le indicazioni relative all'inquadramento del personale dipendente degli enti pubblici in un distinto ruolo professionale, le norme da prendere in considerazione ai fini che qui rilevano, sono:

art. 40, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (la norma stabilisce le modalità di individuazione dei comparti della contrattazione collettiva nazionale e precisa che, sotto il profilo della contrattazione “... I professionisti degli enti pubblici, già appartenenti alla X q.f. costituiscano, senza alcun onere aggiuntivo a carico delle amministrazioni interessate, unitamente alla dirigenza, in separata sezione, un'area contrattuale autonoma, nel rispetto della distinzione tra ruolo e funzioni”, con la precisazione che “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano l'iscrizione ad albi, sono stabilite discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto”;

 art. 69, comma 11, idem (in attesa di una disciplina organica della materia “..restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l'abilitazione o iscrizione ad ordini o albi professionali”);

 art. 54, dlgs. 150/2009 che ha modificato il comma 2, art. 40, dlgs. 165/2001 ("nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità");

CCNL 16.2.1999 (Enti pubblici non economici), nel quale è inserita apposita “Sezione dei professionisti e medici” agli artt. 33 e ss., con la precisazione che “i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità. Il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali costituisce un vincolo primario per ciascun professionista il quale si attiene altresì agli indirizzi del competente coordinatore della specifica branca professionale, al fine di assicurare l’uniformità di indirizzo dell’attività professionale in relazione alle linee programmatiche e gestionali dell’amministrazione. Corollario della personale responsabilità e dell’autonomia professionale è la sostanziale autonomia ed unitarietà delle strutture professionali, all’interno delle quali il professionista esplica la sua opera, anche dal punto di vista organizzativo”.

 CCNL 23.12.1999, art. 37 (contratto per la dirigenza), secondo cui “gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al RDL 27.11.1933, n. 1578, valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati, dall'erogazione della retribuzione di risultato”;

 CCNL 14.9.2000, art. 27, il quale affida alla regolamentazione dei singoli enti in sede di CDI la sola correlazione tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e retribuzione di risultato;

 L. 31.12.2012, n. 247, art. 23;

 regolamenti comunali o deliberazioni organi di governo degli enti pubblici.

Dunque, sin dalla tornata contrattuale della fine anni '90, se ne ricava che per il legislatore non erano affatto sovrapponibili le categorie dei pubblici dipendenti in generale e quella dei professionisti pubblici dipendenti.

Anzi, è vero il contrario, poiché viene espressamente detto che i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità e che il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali costituisce un vincolo primario per ciascun professionista.

Per tale ragione il legislatore del T.U. sul pubblico impiego ha previsto sin dalla versione originaria del 2001 che per i professionisti dovessero essere stabilite discipline distinte nell'ambito dei CCNL di comparto, mantenute nel 2009, a seguito del “decreto Brunetta” che fortemente ha ridimensionato il ruolo della contrattazione, sotto la locuzione “sezioni contrattuali apposite per specifiche professionalità”.

I LIMITI DELL'ATTUALE CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE DELL'AVVOCATO

Alla luce della legge ordinaria dello Stato n. 247/2012, il contratto collettivo -data la sua natura negoziale- è ovviamente subordinato alla legge, rispetto alla quale può derogare solo in senso più favorevole al lavoratore, atteso che la regola generale è nel senso che la fonte inferiore (il contratto individuale rispetto al CCNL, il CCNL rispetto alla legge) possa derogare a quella superiore solo in senso più favorevole ai lavoratori (cosiddetta derogabilità in melius), e mai in peius.

Nell'assetto delineatosi dopo l’emanazione del d.lgs. n. 150/2009, “La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali”, secondo vincoli che limitano fortemente l’autonomia negoziale (art. 40, c. 2 e art. 41, commi 2 e 3), fissando direttamente il decreto delegato il numero dei comparti (“fino ad un massimo di quattro comparti, cui corrispondono non più di quattro aree per la dirigenza”), continuando tuttavia a mantenere la precisazione programmatica secondo cui “nell’ambito dei comparti” debbano prevedersi “apposite sezioni per specifiche professionalità”.

Sul punto della incidenza delle nuove disposizioni legislative di cui alla legge forense 31.12.2012, n. 247, sulla legislazione del governo (TUEL) e sulle clausole dei contratti collettivi vigenti, con particolare riferimento alla attuale valenza delle stesse che in materia prevedevano la concertazione, viene affermato che:

“1. in base alla gerarchia delle fonti delineata dall’art.1 delle disposizioni sulla legge in generale, questa prevale sulle previsioni della contrattazione collettiva;

2. in applicazione degli artt.1339 e 1419, comma 2, c.c., espressamente richiamati dall’art.2, comma 3-bis del D.Lgs.n.165/2001, introdotto dall’art.33, del D.Lgs.n.150/2009, nonché dall’art.54 del medesimo decreto che ha modificato il testo del precedente art.40 del D.Lgs.n.165/2001, in materia di contrattazione, le clausole contrattuali in contrasto con la legge sono nulle e sono sostituite di diritto dalle norme di legge violate;

3. conseguentemente, se ciò vale nei confronti della contrattazione collettiva nazionale, vale verso la contrattazione integrativa e/o altre forme di regolamentazione (regolamenti o deliberazioni dell'ente)”. (Cfr.; Trib. Pesaro, Lavoro, n. 417/2010).

A ben vedere, la contrattazione collettiva (cfr. ut supra) ha sempre avuto ben presente i limiti intrinseci alla particolare materia. Basta pensare che sul piano “ordinamentale” il CCNL 16.2.1999 specifica con chiarezza che i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità. Precisa altresì che vincolo primario del professionista è il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali, riservando allo spazio afferente il “rapporto d'impiego” soltanto l'assicurazione di uniformità d'indirizzo dell’attività professionale in relazione alle linee programmatiche e gestionali dell’amministrazione, avendo tuttavia cura di sottolineare che costituisce corollario della personale responsabilità e dell’autonomia professionale, la sostanziale autonomia ed unitarietà delle strutture professionali, all’interno delle quali il professionista esplica la sua opera, anche dal punto di vista organizzativo.

Anche sul piano del trattamento economico, la contrattazione nazionale e decentrata si limitano ad incidere solo sulla correlazione fra compensi professionali e retribuzione di risultato, escludendo dalla regolamentazione concertata fra le parti quanto sovraordinato sul piano delle fonti del diritto, ovvero è stabilito espressamente che gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti, disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui alla legge professionale forense, residuando all'Ente la sola valutazione sull'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti (avvocati) interessati, dall'erogazione della retribuzione di risultato (Contratto del 16.2.1999). Ciò è specificato anche anche relativamente alle P.O. dal Contratto 14.9.2000, il quale affida alla regolamentazione dei singoli enti in sede di CDI la sola correlazione tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e retribuzione di risultato.

In conclusione, in armonia con i principi sulle “fonti del diritto” e di ”interpretazione della legge”, la L. n. 247/2012 - recante la riforma della professione forense - essendo legge speciale, ordinaria (e successiva), prevale sia sulla legge generale delegata di cui al d.lgs. n. 165/2001, ss.mm., valida per tutti i pubblici dipendenti, che sulla contrattazione collettiva nazionale, quella decentrata e sui regolamenti locali (del personale e/o dell'Avvocatura), i quali non potendo porsi in contrasto con la legge, subiscono la sostituzione di diritto delle norme di legge violate.

Ciò determina che per gli “avvocati dipendenti degli enti pubblici” si rende necessario applicare senza indugio le norme di legge disattese (art. 40 del d.lgs.n. 165/2001, come modificato dall'art. 54 del d.lgs. n. 150/2009) e le norme di legge sopravvenute (art. 23, L. n. 247/2012), in materia di contrattazione separata, peraltro già applicata nel comparto enti del parastato. Perdurando la situazione di inclusione degli avvocati in contratti (comparto o dirigenza comune) privi dei requisiti richiesti dalla legge (generale e speciale), potrebbero determinarsi conseguenze gravi per le avvocature degli enti, in particolare territoriali, poiché a norma dell'art. 23, L. n. 247/2012, in sede di revisione triennale degli albi/elenchi, gli Ordini dovranno accertare il sussistere delle condizioni di permanenza dei requisiti per l'iscrizione agli elenchi speciali de quibus, e a tal fine “richiedere l'esibizione del contratto che dia prova che sia garantita l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell'avvocato e la prova che la responsabilità dell'ufficio sia affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale” (Cfr. interpretazione delle disposizioni di legge da parte di Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati, pag. 9).

LA DETERMINAZIONE DEL TRATTAMENTO ECONOMICO DELL'AVVOCATO DIPENDENTE

La disciplina non unitaria e non separata dei professionisti legali in ambito contrattuale (neppure per comparto), evidenzia tutta la propria inadeguatezza (e illegittimità per violazione di legge), proprio in relazione al trattamento economico.

La L. 31.12.2012, n. 247, all'art. 23, sancisce che agli avvocati degli enti pubblici deve essere “assicurato un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta”.

Premesso che l'aggettivo “adeguato” necessita di criteri oggettivi per determinarne il contenuto, ai fini che interessano, con il termine “adeguato trattamento economico” si vuol fare riferimento ad un compenso proporzionato, conveniente, conforme alle prestazioni professionali caratteristiche dell'avvocato. Ne deriva che la disciplina contrattuale collettiva dovrà incidere sul trattamento stipendiale complessivo che, nella contrattazione separata, muterà la sola qualificazione giuridica (anziché “categoria D” o “dirigente”, diverrà ad esempio “avvocato junior” e “senior”), mentre rimarrà invariata la collocazione economica secondo i trattamenti di provenienza già goduti. Invece, relativamente al compenso professionale dovuto per le funzioni professionali con esito positivo per l'Ente, occorre riferirsi all'art. 13 della legge forense, che entra in vigore da subito (ovvero dal 2.2.2013), ad eccezione del riferimento ai “nuovi” parametri indicati nel comma 6, che dovranno essere indicati in apposito DM su proposta del CNF. Dunque, già da oggi, occorre far riferimento ai parametri di cui al DM n. 140/2012.

In sostanza, il “contratto avvocati” (separato) deve regolare ex novo lo status dell'avvocato dipendente secondo le previsioni di legge e recepire la disciplina dei compensi della L.P. affinchè sia uniforme in ogni parte d'Italia. Allo stesso modo, con riguardo allo “stipendio”si dovrà operare la semplice traslazione della situazione posseduta nei contratti di provenienza (D o dirigenza), con estensione automatica dei rinnovi, ecc., alla categoria speculare del CCNL di comparto o della Dirigenza.

Particolare rilievo riveste per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici la previsione del comma 6, art. 13, cit., in cui è espressamente stabilito che “i parametri (…) si applicano quando il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale (...)”.

Esso (per gli avvocati dipendenti limitatamente alle c.d. “spese compensate”), sancisce due principi:

1) il compenso è determinato per iscritto; diversamente, come precisato dal CNF, si applicano i parametri giudiziali di cui al DM 140/2012 fino all'indicazione di quelli nuovi ex art. 13, comma 6, a nulla rilevando le eccezioni contrarie sollevate da alcuni Enti, tese a negare la corresponsione dei compensi facendo leva sull'intervenuta abolizione delle “tariffe” di cui al RDL 1578/1933, cui l'art. 37 del CCNL 23.12.1999 e 27 del CCNL 14.9.2000 si riferiscono. In primo luogo, detti articoli di CCNL, fanno riferimento ai “principi” di cui al Regio Decreto, stabilendo che agli avvocati dipendenti sono dovuti i compensi professionali. In secondo luogo, il RDL del 1933 è stato sostituito dalla L. 247/2012, la quale prevede l'adeguato compenso assicurato agli avvocati dipendenti (art. 23) e l'applicazione a tutti gli avvocati dei principi generali di cui agli artt. da 1 a 14. Infine, come osservato, la contrattazione era limitata solo ed esclusivamente a determinare la correlazione (e non quantificazione) tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e la retribuzione di risultato;

2) la determinazione dei compensi deve essere consensuale. Nel caso dell'Avvocatura dipendente tale enunciato non può che essere interpretato nel senso che le regolamentazioni esistenti (regolamenti avvocatura e/o deliberazioni di giunta, determinazioni dirigenziali, ecc.) contrastanti con la legge vigente sono da intendersi nulle e pertanto sostituite di diritto.

Va da sé che il principio di “consensualità” della determinazione fra cliente (Ente pubblico) e avvocato (dipendente), di cui all'art. 13, L.P. n. 247/2012, debba coniugarsi con quanto disposto al successivo art. 23, ovvero la previsione del “contratto di lavoro” per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici, per evitare la violazione, oltre che della L.P. (che, come si è detto, può portare alla cancellazione dall'elenco speciale per assenza di contratto da esibire quale prova della permanenza dei requisiti), anche degli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Ne deriva, allora, che l'”adeguato compenso professionale” debba formare oggetto di contrattazione unitaria nazionale, affinché tutti gli Enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti applichino una disciplina uniforme e certa a tutti i professionisti dipendenti a parità di funzioni svolte, indipendentemente dalla tipologia della P.A., nel rispetto della L. n. 247/2012, dei principi Costituzionali e Comunitari.

In altre parole, non può ritenersi conforme a legge (e, in ogni caso, deve ritenersi superata), l'interpretazione da ultimo fornita dall'ARAN (Parere 27/6/2012), in cui era stato ritenuto che gli enti adottano autonome determinazioni in materia di compensi professionali da corrispondere agli avvocati in quanto “si tratta di disciplina unilaterale dell'ente”, né può ritenersi conforme a legge che per la stessa funzione ed attività professionale in determinati enti sia riconosciuto il compenso ed in altri sia escluso, poiché legislativamente e Costituzionalmente illegittimo (ad es.: transazioni, definizione di “sentenza favorevole”, locuzione eliminata con la L. 247/2012, ecc.).

Pertanto, eventuali provvedimenti compilati unilateralmente dagli Enti in assenza di consensualità nella determinazione dei compensi, e differenziate rispetto ai dettami della professione unitaria di avvocato, siano nulli per violazione di legge.

FORMAZIONE CONTINUA

L'art. 11 regola la “formazione continua”. In merito occorre solo evidenziare come dal 2.2.2012 tale adempimento non è più regolato da disposizioni del Consiglio Nazionale Forense, pur autorevoli, ma di rango regolamentare: si tratta ora di vero e proprio “obbligo formativo” legislativo.

Rimangono in vigore i regolamenti ordinistici per quanto attiene alle modalità di assolvimento dell’obbligo formativo e, in ogni caso, il regolamento del CNF del 13 luglio 2007.

TIROCINIO

L'art. 41 dello Statuto dell'Avvocatura ha creato problemi pratici con riguardo al “tirocinio forense”, a causa della formulazione stessa della norma, che si presta ad equivoci.

In proposito, anche a seguito di confronto con alcuni COA, si ritiene che i commi 6 e 7 dell'art. 41 vadano letti in modo integrato, avendo ben presente che gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono iscritti all'Albo (ancorché denominato “elenco” per soli fini di restrizione della professione verso un solo cliente).

Ciò delinea il seguente quadro:

 12 mesi presso una pubblica avvocatura (nel caso di Avvocatura di Stato e ufficio giudiziario sarà circoscritta a questo solo periodo, poiché si tratta di pratica svolta presso alti dirigenti dello Stato, non iscritti ad alcun albo/elenco) – comma 6;

 6 mesi presso avvocati iscritti all'albo (e qui non si prevede più l'Avvocatura dello Stato, per il ragionamento che si è testé detto), al quale l'avvocato dipendente è iscritto, nella sezione speciale.

Pertanto, presso gli avvocati dipendenti degli Enti Pubblici iscritti all'Albo nella sezione speciale, il tirocinio si ritiene possa essere svolto per l'intero periodo di 18 mesi. Resta inteso che il reclutamento dei giovani colleghi dovrà rispettare le regole del bando pubblico, al fine di consentire la scelta secondo i canoni di correttezza, imparzialità, ecc., vigenti nella pubblica amministrazione.

CONCLUSIONE

L'entrata in vigore a far data dal 2.2.2013 della Legge 31.12.2012, n. 247 - “Nuova disciplina dell'ordinamento forense”, segna un importante punto di partenza sia per gli Enti pubblici -qualora sappiano cogliere l'opportunità-, che per gli avvocati dipendenti, poiché imponendo che autonomia, indipendenza, adeguato compenso, ecc., debbano essere garantiti nel contratto di lavoro, consente di dare unitarietà e certezza ad una intera categoria professionale di dipendenti, ad oggi priva di “contratto separato”, benché esso fosse legislativamente già previsto come "possibile".

Si passa, dunque, dalla mera “possibilità” di creare “apposite sezioni contrattuali” di cui al T.U. Pubb. Imp., all'obbligo positivo del “contratto di lavoro” della L.P. forense (art. 23- “Nel contratto di lavoro è...”) per gli avvocati degli enti pubblici, che, si badi, appartiene già alla cultura contrattuale delle avvocature del Parastato e, ovviamente, dello Stato.

Questo percorso -che parte dall'entrata in vigore della riforma forense- ha radici lontane, come ben sappiamo, poiché già i professori Cassese, Pizzorno e Arcidiacono, i tre saggi nominati dal Presidente della Camera Violante nel 1996, alla pagina 51, § 4.12, concludevano la loro relazione suoi fenomeni della corruzione nella P.A., affermando che “una delle ragioni principali della corruzione è da rinvenirsi nella debolezza dell’amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Il rimedio ipotizzabile è che l’ente locale si doti di professionisti dipendenti, organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza”.

Da recentissimi studi sulle consulenze esterne della P.A., ad esempio, è emerso che solo nei contenziosi legali i Comuni spendono milioni di euro, quando i costi per la difesa e consulenza legale attraverso le Avvocature in house sono estremamente contenuti. Ciò è stato certificato di recente dalla Corte dei Conti (Relazione A.G. 2012: “la corruzione, il malaffare e l’illegalità sono ancora molto forti, molto più di come appare. Sono fenomeni notevolmente presenti nel Paese, le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce”, sia con il parere delle Sezioni Riunite Corte Conti, n. 51 del 4 ottobre 2011), e ripreso dalle cronache (“Consulenze la grande abbuffata”, Fatto Quotidiano, 29/3/2012; “Patto anticorrotti nei Comuni”, Repubblica 23/3/2012; “Corruzione. Dalle mazzette alle cozze pelose”, Repubblica, 22/3/2012;”Enti locali tra risparmi e rischi di corruzione…”, forumpa 2010).

La Pubblica Amministrazione non può non essere pronta. E non solo perchè vi è una legge che la obbliga, ma anche perchè socialmente ed economicamente non può più esimersi.

Concludiamo con un pensiero ancora attualissimo di Calamandrei, pur se scritto nel 1940: “nel principio della legalità c’è il riconoscimento della uguale dignità morale di tutti gli uomini, nell’osservanza individuale della legge c’è la garanzia della pace e della libertà di ognuno. Attraverso l’astrattezza della legge, della legge fatta non per un solo caso ma per tutti i casi simili, è dato a tutti noi di sentire nella sorte altrui la nostra stessa sorte”.

1. Il punto è evidenziato poiché se ne preciserà in specifica sezione la rilevanza ai fini della contrattazione separata. Sono pervenute numerosissime richieste da parte degli iscritti all'Unione Nazionale Avvocati degli Enti Pubblici al fine di un orientamento unitario, in relazione ai molteplici e specifici temi introdotti dall'art. 23 della nuova legge di disciplina della professione forense, che entrerà in vigore il 2 febbraio 2013, avente rango di norma speciale, riferendosi esclusivamente alla categoria professionale forense.

Il tema è complesso e deve essere affrontato analiticamente alla luce dei precisi criteri fissati dall'ordinamento per l'interpretazione della legge, sulla base delle molteplici fonti di diritto interessate, (legge ordinaria speciale, legge generale-T.U., applicata e disattesa, contrattazione collettiva, ecc.).

Al riguardo occorre premettere due dati: il primo, la professione forense è ex se unitaria, sia quando svolta in qualità di dipendenti di ente pubblico che di libero professionista; il secondo, la norma dell'art. 23, L. 247/12 disciplina una categoria “unica”, quella degli “avvocati degli enti pubblici”, cioè quei professionisti dipendenti da qualsiasi ente pubblico.

Sicchè per ogni avvocato iscritto all'Albo/elenco in Italia valgono le “Disposizioni generali” stabilite per tutti e senza distinzione al Titolo I° della legge speciale di disciplina della professione forense, indipendentemente dall'essere o meno dipendente e da quale ente.

INQUADRAMENTO GENERALE DELLA L. 31 DICEMBRE 2012, N. 247

Tanto premesso, fra le disposizioni generali della L. n. 247/2012 di particolare rilievo ai fini della presente analisi, si evidenziano:

A) art. 1:

- la funzione difensiva ha primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela è preposta (principio di legalità è previsto dall'art. 97 Cost., e il diritto di difesa dall'art. 33, comma 5, Cost.);

- l'esercizio della professione di avvocato è diretto all'interesse pubblico;

- l'ordinamento forense garantisce l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati;

B) art. 2:

- l'avvocato svolge la propria attività in libertà, autonomia ed indipendenza;

- l'avvocato, nell'esercizio della propria attività, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche;

C) art. 3:

- l'esercizio dell'attività di avvocato deve essere fondato sull'autonomia e sull'indipendenza dell'azione professionale e del giudizio intellettuale;

- la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa;

D) art. 6:

- l'avvocato è tenuto alla rigorosa osservanza del segreto professionale e del massimo riserbo sui fatti e sulle circostanze apprese nell'esercizio della propria attività nell'interesse dell'assistito;

E) art. 13, sul conferimento dell'incarico e compensi a valere per ogni avvocato, di cui meglio si dirà infra;

F) art. 15, che prevede, presso ciascun COA, la tenuta aggiornata dell'elenco speciale degli “avvocati dipendenti da enti pubblici”;

G) art. 19:

- in deroga al principio di incompatibilità della professione forense con attività di lavoro dipendente, è prevista l'attività legale per conto degli “enti pubblici”;

H) art. 21:

- la permanenza dell'iscrizione all'Albo/elenco è subordinata all'esercizio della professione in modo continuativo, effettivo, abituale e prevalente da parte dell'avvocato (da leggere in combinato disposto con l'art. 23, comma 1);

I) art. 23:

- agli avvocati degli enti pubblici deve essere assicurata piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile (cfr. art. 21), degli affari legali dell'ente;

- trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta;

- è il contratto di lavoro che deve garantire autonomia ed indipendenza;

- la responsabilità dell'ufficio deve essere affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale;

- sottoposizione al potere disciplinare dell'Ordine;

L) art. 39:

- il CNF è la massima assise in cui deve trovare rappresentatività ciascuna componente associativa (costituita da almeno 5 anni);

M) art. 41:

- il tirocinio può essere svolto presso un avvocato iscritto da non meno di 5 anni, sia libero professionista, che avvocato di ente pubblico e dello Stato;

- i commi 6 e 7 letti fra loro in connessione prevedono che per non più di 12 mesi presso Avvocature pubbliche, e per almeno 6 mesi presso un avvocato iscritto (l'avvocato pubblico è iscritto) o Avvocatura dello Stato (poiché non iscritti all'albo/elenco). Pertanto, si ritiene che, a differenza dell'Avvocatura di Stato i cui avvocati non sono iscritti all'Albo/elenco, il tirocinio presso gli avvocati degli enti pubblici, iscritti all'Albo/elenco al pari degli avvocati del libero foro, possa essere dell'intero periodo di 18 mesi.

RICOSTRUZIONE NORMATIVA DEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE DELL'AVVOCATO

I riferimenti normativi cui occorre volgersi sono variegati e, sparsi nel nostro ordinamento giuridico, possono suddividersi a seconda dell'epoca: normativa ante d.lgs. n. 165/2001 e post d.lgs. n. 165/2001, così come modificato ai sensi del d.lgs n. 150/2009; di conseguenza, fa seguito la Contrattazione collettiva così come mutata in applicazione dell'evoluzione normativa citata.

In particolare, prescindendo dalle disposizioni più “antiche”, come la L. n. 70/1975 che, già all'art. 15, conteneva le indicazioni relative all'inquadramento del personale dipendente degli enti pubblici in un distinto ruolo professionale, le norme da prendere in considerazione ai fini che qui rilevano, sono:

art. 40, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (la norma stabilisce le modalità di individuazione dei comparti della contrattazione collettiva nazionale e precisa che, sotto il profilo della contrattazione “... I professionisti degli enti pubblici, già appartenenti alla X q.f. costituiscano, senza alcun onere aggiuntivo a carico delle amministrazioni interessate, unitamente alla dirigenza, in separata sezione, un'area contrattuale autonoma, nel rispetto della distinzione tra ruolo e funzioni”, con la precisazione che “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano l'iscrizione ad albi, sono stabilite discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto”;

 art. 69, comma 11, idem (in attesa di una disciplina organica della materia “..restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l'abilitazione o iscrizione ad ordini o albi professionali”);

 art. 54, dlgs. 150/2009 che ha modificato il comma 2, art. 40, dlgs. 165/2001 ("nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità");

CCNL 16.2.1999 (Enti pubblici non economici), nel quale è inserita apposita “Sezione dei professionisti e medici” agli artt. 33 e ss., con la precisazione che “i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità. Il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali costituisce un vincolo primario per ciascun professionista il quale si attiene altresì agli indirizzi del competente coordinatore della specifica branca professionale, al fine di assicurare l’uniformità di indirizzo dell’attività professionale in relazione alle linee programmatiche e gestionali dell’amministrazione. Corollario della personale responsabilità e dell’autonomia professionale è la sostanziale autonomia ed unitarietà delle strutture professionali, all’interno delle quali il professionista esplica la sua opera, anche dal punto di vista organizzativo”.

 CCNL 23.12.1999, art. 37 (contratto per la dirigenza), secondo cui “gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al RDL 27.11.1933, n. 1578, valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati, dall'erogazione della retribuzione di risultato”;

 CCNL 14.9.2000, art. 27, il quale affida alla regolamentazione dei singoli enti in sede di CDI la sola correlazione tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e retribuzione di risultato;

 L. 31.12.2012, n. 247, art. 23;

 regolamenti comunali o deliberazioni organi di governo degli enti pubblici.

Dunque, sin dalla tornata contrattuale della fine anni '90, se ne ricava che per il legislatore non erano affatto sovrapponibili le categorie dei pubblici dipendenti in generale e quella dei professionisti pubblici dipendenti.

Anzi, è vero il contrario, poiché viene espressamente detto che i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità e che il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali costituisce un vincolo primario per ciascun professionista.

Per tale ragione il legislatore del T.U. sul pubblico impiego ha previsto sin dalla versione originaria del 2001 che per i professionisti dovessero essere stabilite discipline distinte nell'ambito dei CCNL di comparto, mantenute nel 2009, a seguito del “decreto Brunetta” che fortemente ha ridimensionato il ruolo della contrattazione, sotto la locuzione “sezioni contrattuali apposite per specifiche professionalità”.

I LIMITI DELL'ATTUALE CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE DELL'AVVOCATO

Alla luce della legge ordinaria dello Stato n. 247/2012, il contratto collettivo -data la sua natura negoziale- è ovviamente subordinato alla legge, rispetto alla quale può derogare solo in senso più favorevole al lavoratore, atteso che la regola generale è nel senso che la fonte inferiore (il contratto individuale rispetto al CCNL, il CCNL rispetto alla legge) possa derogare a quella superiore solo in senso più favorevole ai lavoratori (cosiddetta derogabilità in melius), e mai in peius.

Nell'assetto delineatosi dopo l’emanazione del d.lgs. n. 150/2009, “La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali”, secondo vincoli che limitano fortemente l’autonomia negoziale (art. 40, c. 2 e art. 41, commi 2 e 3), fissando direttamente il decreto delegato il numero dei comparti (“fino ad un massimo di quattro comparti, cui corrispondono non più di quattro aree per la dirigenza”), continuando tuttavia a mantenere la precisazione programmatica secondo cui “nell’ambito dei comparti” debbano prevedersi “apposite sezioni per specifiche professionalità”.

Sul punto della incidenza delle nuove disposizioni legislative di cui alla legge forense 31.12.2012, n. 247, sulla legislazione del governo (TUEL) e sulle clausole dei contratti collettivi vigenti, con particolare riferimento alla attuale valenza delle stesse che in materia prevedevano la concertazione, viene affermato che:

“1. in base alla gerarchia delle fonti delineata dall’art.1 delle disposizioni sulla legge in generale, questa prevale sulle previsioni della contrattazione collettiva;

2. in applicazione degli artt.1339 e 1419, comma 2, c.c., espressamente richiamati dall’art.2, comma 3-bis del D.Lgs.n.165/2001, introdotto dall’art.33, del D.Lgs.n.150/2009, nonché dall’art.54 del medesimo decreto che ha modificato il testo del precedente art.40 del D.Lgs.n.165/2001, in materia di contrattazione, le clausole contrattuali in contrasto con la legge sono nulle e sono sostituite di diritto dalle norme di legge violate;

3. conseguentemente, se ciò vale nei confronti della contrattazione collettiva nazionale, vale verso la contrattazione integrativa e/o altre forme di regolamentazione (regolamenti o deliberazioni dell'ente)”. (Cfr.; Trib. Pesaro, Lavoro, n. 417/2010).

A ben vedere, la contrattazione collettiva (cfr. ut supra) ha sempre avuto ben presente i limiti intrinseci alla particolare materia. Basta pensare che sul piano “ordinamentale” il CCNL 16.2.1999 specifica con chiarezza che i professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l’assunzione delle conseguenti responsabilità. Precisa altresì che vincolo primario del professionista è il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali, riservando allo spazio afferente il “rapporto d'impiego” soltanto l'assicurazione di uniformità d'indirizzo dell’attività professionale in relazione alle linee programmatiche e gestionali dell’amministrazione, avendo tuttavia cura di sottolineare che costituisce corollario della personale responsabilità e dell’autonomia professionale, la sostanziale autonomia ed unitarietà delle strutture professionali, all’interno delle quali il professionista esplica la sua opera, anche dal punto di vista organizzativo.

Anche sul piano del trattamento economico, la contrattazione nazionale e decentrata si limitano ad incidere solo sulla correlazione fra compensi professionali e retribuzione di risultato, escludendo dalla regolamentazione concertata fra le parti quanto sovraordinato sul piano delle fonti del diritto, ovvero è stabilito espressamente che gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti, disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui alla legge professionale forense, residuando all'Ente la sola valutazione sull'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti (avvocati) interessati, dall'erogazione della retribuzione di risultato (Contratto del 16.2.1999). Ciò è specificato anche anche relativamente alle P.O. dal Contratto 14.9.2000, il quale affida alla regolamentazione dei singoli enti in sede di CDI la sola correlazione tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e retribuzione di risultato.

In conclusione, in armonia con i principi sulle “fonti del diritto” e di ”interpretazione della legge”, la L. n. 247/2012 - recante la riforma della professione forense - essendo legge speciale, ordinaria (e successiva), prevale sia sulla legge generale delegata di cui al d.lgs. n. 165/2001, ss.mm., valida per tutti i pubblici dipendenti, che sulla contrattazione collettiva nazionale, quella decentrata e sui regolamenti locali (del personale e/o dell'Avvocatura), i quali non potendo porsi in contrasto con la legge, subiscono la sostituzione di diritto delle norme di legge violate.

Ciò determina che per gli “avvocati dipendenti degli enti pubblici” si rende necessario applicare senza indugio le norme di legge disattese (art. 40 del d.lgs.n. 165/2001, come modificato dall'art. 54 del d.lgs. n. 150/2009) e le norme di legge sopravvenute (art. 23, L. n. 247/2012), in materia di contrattazione separata, peraltro già applicata nel comparto enti del parastato. Perdurando la situazione di inclusione degli avvocati in contratti (comparto o dirigenza comune) privi dei requisiti richiesti dalla legge (generale e speciale), potrebbero determinarsi conseguenze gravi per le avvocature degli enti, in particolare territoriali, poiché a norma dell'art. 23, L. n. 247/2012, in sede di revisione triennale degli albi/elenchi, gli Ordini dovranno accertare il sussistere delle condizioni di permanenza dei requisiti per l'iscrizione agli elenchi speciali de quibus, e a tal fine “richiedere l'esibizione del contratto che dia prova che sia garantita l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell'avvocato e la prova che la responsabilità dell'ufficio sia affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale” (Cfr. interpretazione delle disposizioni di legge da parte di Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati, pag. 9).

LA DETERMINAZIONE DEL TRATTAMENTO ECONOMICO DELL'AVVOCATO DIPENDENTE

La disciplina non unitaria e non separata dei professionisti legali in ambito contrattuale (neppure per comparto), evidenzia tutta la propria inadeguatezza (e illegittimità per violazione di legge), proprio in relazione al trattamento economico.

La L. 31.12.2012, n. 247, all'art. 23, sancisce che agli avvocati degli enti pubblici deve essere “assicurato un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta”.

Premesso che l'aggettivo “adeguato” necessita di criteri oggettivi per determinarne il contenuto, ai fini che interessano, con il termine “adeguato trattamento economico” si vuol fare riferimento ad un compenso proporzionato, conveniente, conforme alle prestazioni professionali caratteristiche dell'avvocato. Ne deriva che la disciplina contrattuale collettiva dovrà incidere sul trattamento stipendiale complessivo che, nella contrattazione separata, muterà la sola qualificazione giuridica (anziché “categoria D” o “dirigente”, diverrà ad esempio “avvocato junior” e “senior”), mentre rimarrà invariata la collocazione economica secondo i trattamenti di provenienza già goduti. Invece, relativamente al compenso professionale dovuto per le funzioni professionali con esito positivo per l'Ente, occorre riferirsi all'art. 13 della legge forense, che entra in vigore da subito (ovvero dal 2.2.2013), ad eccezione del riferimento ai “nuovi” parametri indicati nel comma 6, che dovranno essere indicati in apposito DM su proposta del CNF. Dunque, già da oggi, occorre far riferimento ai parametri di cui al DM n. 140/2012.

In sostanza, il “contratto avvocati” (separato) deve regolare ex novo lo status dell'avvocato dipendente secondo le previsioni di legge e recepire la disciplina dei compensi della L.P. affinchè sia uniforme in ogni parte d'Italia. Allo stesso modo, con riguardo allo “stipendio”si dovrà operare la semplice traslazione della situazione posseduta nei contratti di provenienza (D o dirigenza), con estensione automatica dei rinnovi, ecc., alla categoria speculare del CCNL di comparto o della Dirigenza.

Particolare rilievo riveste per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici la previsione del comma 6, art. 13, cit., in cui è espressamente stabilito che “i parametri (…) si applicano quando il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale (...)”.

Esso (per gli avvocati dipendenti limitatamente alle c.d. “spese compensate”), sancisce due principi:

1) il compenso è determinato per iscritto; diversamente, come precisato dal CNF, si applicano i parametri giudiziali di cui al DM 140/2012 fino all'indicazione di quelli nuovi ex art. 13, comma 6, a nulla rilevando le eccezioni contrarie sollevate da alcuni Enti, tese a negare la corresponsione dei compensi facendo leva sull'intervenuta abolizione delle “tariffe” di cui al RDL 1578/1933, cui l'art. 37 del CCNL 23.12.1999 e 27 del CCNL 14.9.2000 si riferiscono. In primo luogo, detti articoli di CCNL, fanno riferimento ai “principi” di cui al Regio Decreto, stabilendo che agli avvocati dipendenti sono dovuti i compensi professionali. In secondo luogo, il RDL del 1933 è stato sostituito dalla L. 247/2012, la quale prevede l'adeguato compenso assicurato agli avvocati dipendenti (art. 23) e l'applicazione a tutti gli avvocati dei principi generali di cui agli artt. da 1 a 14. Infine, come osservato, la contrattazione era limitata solo ed esclusivamente a determinare la correlazione (e non quantificazione) tra compensi professionali (per i quali vigono i “principi” della legge forense) e la retribuzione di risultato;

2) la determinazione dei compensi deve essere consensuale. Nel caso dell'Avvocatura dipendente tale enunciato non può che essere interpretato nel senso che le regolamentazioni esistenti (regolamenti avvocatura e/o deliberazioni di giunta, determinazioni dirigenziali, ecc.) contrastanti con la legge vigente sono da intendersi nulle e pertanto sostituite di diritto.

Va da sé che il principio di “consensualità” della determinazione fra cliente (Ente pubblico) e avvocato (dipendente), di cui all'art. 13, L.P. n. 247/2012, debba coniugarsi con quanto disposto al successivo art. 23, ovvero la previsione del “contratto di lavoro” per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici, per evitare la violazione, oltre che della L.P. (che, come si è detto, può portare alla cancellazione dall'elenco speciale per assenza di contratto da esibire quale prova della permanenza dei requisiti), anche degli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Ne deriva, allora, che l'”adeguato compenso professionale” debba formare oggetto di contrattazione unitaria nazionale, affinché tutti gli Enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti applichino una disciplina uniforme e certa a tutti i professionisti dipendenti a parità di funzioni svolte, indipendentemente dalla tipologia della P.A., nel rispetto della L. n. 247/2012, dei principi Costituzionali e Comunitari.

In altre parole, non può ritenersi conforme a legge (e, in ogni caso, deve ritenersi superata), l'interpretazione da ultimo fornita dall'ARAN (Parere 27/6/2012), in cui era stato ritenuto che gli enti adottano autonome determinazioni in materia di compensi professionali da corrispondere agli avvocati in quanto “si tratta di disciplina unilaterale dell'ente”, né può ritenersi conforme a legge che per la stessa funzione ed attività professionale in determinati enti sia riconosciuto il compenso ed in altri sia escluso, poiché legislativamente e Costituzionalmente illegittimo (ad es.: transazioni, definizione di “sentenza favorevole”, locuzione eliminata con la L. 247/2012, ecc.).

Pertanto, eventuali provvedimenti compilati unilateralmente dagli Enti in assenza di consensualità nella determinazione dei compensi, e differenziate rispetto ai dettami della professione unitaria di avvocato, siano nulli per violazione di legge.

FORMAZIONE CONTINUA

L'art. 11 regola la “formazione continua”. In merito occorre solo evidenziare come dal 2.2.2012 tale adempimento non è più regolato da disposizioni del Consiglio Nazionale Forense, pur autorevoli, ma di rango regolamentare: si tratta ora di vero e proprio “obbligo formativo” legislativo.

Rimangono in vigore i regolamenti ordinistici per quanto attiene alle modalità di assolvimento dell’obbligo formativo e, in ogni caso, il regolamento del CNF del 13 luglio 2007.

TIROCINIO

L'art. 41 dello Statuto dell'Avvocatura ha creato problemi pratici con riguardo al “tirocinio forense”, a causa della formulazione stessa della norma, che si presta ad equivoci.

In proposito, anche a seguito di confronto con alcuni COA, si ritiene che i commi 6 e 7 dell'art. 41 vadano letti in modo integrato, avendo ben presente che gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono iscritti all'Albo (ancorché denominato “elenco” per soli fini di restrizione della professione verso un solo cliente).

Ciò delinea il seguente quadro:

 12 mesi presso una pubblica avvocatura (nel caso di Avvocatura di Stato e ufficio giudiziario sarà circoscritta a questo solo periodo, poiché si tratta di pratica svolta presso alti dirigenti dello Stato, non iscritti ad alcun albo/elenco) – comma 6;

 6 mesi presso avvocati iscritti all'albo (e qui non si prevede più l'Avvocatura dello Stato, per il ragionamento che si è testé detto), al quale l'avvocato dipendente è iscritto, nella sezione speciale.

Pertanto, presso gli avvocati dipendenti degli Enti Pubblici iscritti all'Albo nella sezione speciale, il tirocinio si ritiene possa essere svolto per l'intero periodo di 18 mesi. Resta inteso che il reclutamento dei giovani colleghi dovrà rispettare le regole del bando pubblico, al fine di consentire la scelta secondo i canoni di correttezza, imparzialità, ecc., vigenti nella pubblica amministrazione.

CONCLUSIONE

L'entrata in vigore a far data dal 2.2.2013 della Legge 31.12.2012, n. 247 - “Nuova disciplina dell'ordinamento forense”, segna un importante punto di partenza sia per gli Enti pubblici -qualora sappiano cogliere l'opportunità-, che per gli avvocati dipendenti, poiché imponendo che autonomia, indipendenza, adeguato compenso, ecc., debbano essere garantiti nel contratto di lavoro, consente di dare unitarietà e certezza ad una intera categoria professionale di dipendenti, ad oggi priva di “contratto separato”, benché esso fosse legislativamente già previsto come "possibile".

Si passa, dunque, dalla mera “possibilità” di creare “apposite sezioni contrattuali” di cui al T.U. Pubb. Imp., all'obbligo positivo del “contratto di lavoro” della L.P. forense (art. 23- “Nel contratto di lavoro è...”) per gli avvocati degli enti pubblici, che, si badi, appartiene già alla cultura contrattuale delle avvocature del Parastato e, ovviamente, dello Stato.

Questo percorso -che parte dall'entrata in vigore della riforma forense- ha radici lontane, come ben sappiamo, poiché già i professori Cassese, Pizzorno e Arcidiacono, i tre saggi nominati dal Presidente della Camera Violante nel 1996, alla pagina 51, § 4.12, concludevano la loro relazione suoi fenomeni della corruzione nella P.A., affermando che “una delle ragioni principali della corruzione è da rinvenirsi nella debolezza dell’amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Il rimedio ipotizzabile è che l’ente locale si doti di professionisti dipendenti, organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finchè le amministrazioni non abbiano superato questa loro debolezza”.

Da recentissimi studi sulle consulenze esterne della P.A., ad esempio, è emerso che solo nei contenziosi legali i Comuni spendono milioni di euro, quando i costi per la difesa e consulenza legale attraverso le Avvocature in house sono estremamente contenuti. Ciò è stato certificato di recente dalla Corte dei Conti (Relazione A.G. 2012: “la corruzione, il malaffare e l’illegalità sono ancora molto forti, molto più di come appare. Sono fenomeni notevolmente presenti nel Paese, le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce”, sia con il parere delle Sezioni Riunite Corte Conti, n. 51 del 4 ottobre 2011), e ripreso dalle cronache (“Consulenze la grande abbuffata”, Fatto Quotidiano, 29/3/2012; “Patto anticorrotti nei Comuni”, Repubblica 23/3/2012; “Corruzione. Dalle mazzette alle cozze pelose”, Repubblica, 22/3/2012;”Enti locali tra risparmi e rischi di corruzione…”, forumpa 2010).

La Pubblica Amministrazione non può non essere pronta. E non solo perchè vi è una legge che la obbliga, ma anche perchè socialmente ed economicamente non può più esimersi.

Concludiamo con un pensiero ancora attualissimo di Calamandrei, pur se scritto nel 1940: “nel principio della legalità c’è il riconoscimento della uguale dignità morale di tutti gli uomini, nell’osservanza individuale della legge c’è la garanzia della pace e della libertà di ognuno. Attraverso l’astrattezza della legge, della legge fatta non per un solo caso ma per tutti i casi simili, è dato a tutti noi di sentire nella sorte altrui la nostra stessa sorte”.

1. Il punto è evidenziato poiché se ne preciserà in specifica sezione la rilevanza ai fini della contrattazione separata.