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Formazione, requisiti ed iter di omologazione del verbale della procedura di mediazione. Parte I

Immaginiamo un giorno come tanti nella sede di un Organismo di mediazione, dove si è appena concluso, dopo vari incontri, il procedimento mediatizio. Il professionista che ha portato a termine il difficile e delicato compito di dirimere una controversia deve provvedere all’aspetto più tecnico del suo incarico: certificare il proprio operato tramite la redazione di un processo verbale.

L’istituto della mediazione e la figura del mediatore, che sono nati per velocizzare l’apparato giudiziale ed evitare meccanismi vincolanti, costituiscono una riforma innovativa e concretamente risolutiva dei problemi del processo civile, essendo in grado di alleggerire o addirittura di azzerare il carico degli arretrati. Essi, tuttavia, sono soggetti, soprattutto per quanto riguarda il verbale, ad alcuni formalismi categorici che vorrei illustrare nella mia trattazione..

La mediazione civile e commerciale è stata introdotta in Italia con il D.lgs. 28/2010, che ha dato attuazione alla Legge 69/2009, la quale ha a sua volta recepito quanto disposto dalla Direttiva Comunitaria 52/2008. Il legislatore delegato ha conferito all’istituto caratteri e prerogative propri di un sistema multifattoriale e precursore di un apparato giudiziale che necessitava, ormai da tempo, di riforme. Lo strumento di risoluzione stragiudiziale, consolidato positivamente in diversi Paesi, realizza anche in Italia la concreta possibilità di dirimere rapidamente le controversie con un drastico abbattimento dei costi e mediante una procedura protesa a snellire un sistema ormai al collasso[1]. La velocità della procedura stessa è indubbiamente consequenziale alla mancanza di un eccessivo formalismo che permette, ai litiganti e ai professionisti del settore, di concludere la vertenza in una media di quattro mesi. Inoltre la certificazione della mediazione, pur mancando di una rigorosità formale, se omologata dal giudice, costituisce un titolo esecutivo. È pertanto necessario che non si sottovaluti l’importanza della struttura e degli effetti della procedura mediatizia e, per quanto l’assenza di regole vincolanti sia intrinseca nell’istituto, è fondamentale che il mediatore sia un professionista scrupoloso e rediga un verbale che risponda, per essere omologato, ai requisiti di regolarità formale e non sia contrario alle norme imperative e all’ordine pubblico, così come contemplato dall’art. 12 del D. lgs 28/2010.

Il mediatore, nella redazione del verbale, dovrà indicare anzitutto:

· la provenienza dello stesso, ossia gli estremi che permettono la riconduzione di quanto scritto ad un professionista della mediazione;

· il nome dell’Organismo e il relativo numero di iscrizione nel Registro del Ministero.

Gli Organismi di mediazione, nei quali si svolgono le procedure per ottenere l’accreditamento a costituirsi come tali, devono rispettare alcuni principi e sottostare a una serie di norme e passaggi burocratici che ne garantiscano la serietà e l’efficienza; solo dopo aver espletato le procedure previste, essi ottengono la relativa iscrizione[2]. Il Ministero della Giustizia, vigilante del Registro, garantisce la validità, la professionalità e la competenza dei suoi iscritti mediante il controllo di chi presenta domanda nonché l’eventuale sospensione e cancellazione qualora tali garanzie vengano meno. All’Organismo di mediazione regolarmente iscritto viene attribuito un numero che lo rende immediatamente identificabile da chiunque voglia verificare l’appartenenza al Registro, facilmente consultabile grazie ad un elenco in ordine progressivo reso pubblico sul sito del Ministero.

Pertanto, l’indicazione nel verbale delle generalità dell’Organismo consente all’autorità giudiziaria competente per l’omologazione di avere la certezza che la procedura di mediazione sia stata svolta da seri professionisti, i quali avranno garantito ai litiganti competenza, imparzialità e il possesso della legittima autorità per poter dar luogo alla mediazione e rilasciare il verbale. Il legislatore delegato e un ineccepibile intervento della giurisprudenza, tale perché ha fornito al riguardo un insegnamento chiarificatore, sono unanimi nel sostenere che l’esaustività e la completezza di quanto verbalizzato evitano il rigetto della richiesta di omologazione[3].

Il mediatore dovrà asseverare altresì:

· le date degli incontri;

· il numero e l’anno del procedimento, così come catalogato dall’Organismo;

· il proprio nome e quelli degli altri mediatori, qualora sia stato nominato un collegio ovvero uno o più professionisti ausiliari.

La giurisprudenza, di cui si è fatta menzione, ritiene sia fondamentale riconoscere nel suo ruolo sia l’Organismo sia il mediatore. Quest’ultimo è un professionista che ha frequentato da discente un corso di formazione, cui sono ammessi soltanto soggetti laureati oppure appartenenti ad un ordine professionale.

Il percorso formativo in questione deve essere svolto presso un ente accreditato dal Ministero della Giustizia e richiede, affinché il mediatore possa acquisire il titolo, il superamento dell’esame conclusivo. Il professionista, ormai abilitato, per poter operare nell’Organismo, deve presentare domanda di disponibilità nello stesso, il quale invierà a sua volta tale richiesta di inserimento al Ministero. Il mediatore potrà esercitare la sua professione solo negli Organismi in cui viene accreditato, senza eccedere il numero di cinque iscrizioni.

Il professionista s’impegna a frequentare, ai fini dell’aggiornamento biennale obbligatorio, un corso di diciotto ore e a svolgere presso Organismi regolarmente iscritti un tirocinio assistito per un numero di casi non inferiore a venti.[4].

I mediatori, quindi, prima di poter esercitare, hanno percorso un iter che li rende inequivocabilmente preparati a dirimere le controversie per le quali viene conferito loro l’incarico dall’Organismo in cui sono accreditati. La dichiarazione dell’identità del mediatore sottoscrittore e del suo legittimo status quale soggetto appartenente ad un Organismo regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia, garantisce trasparenza e professionalità ed è verbalizzata al pari di altri momenti del procedimento. Inoltre, è importante precisare che tutti i presenti all’incontro di mediazione sono tenuti alla riservatezza, dovere che si impegnano a sottoscrivere prima dell’inizio della procedura[5]. Vorrei puntualizzare un aspetto di indubbio interesse, che attiene al tirocinio assistito e alla sua eventuale certificazione. Nonostante alcuni organismi di regola omettano di indicare nel verbale la presenza del mediatore tirocinante, è mia opinione che tale precisazione debba considerarsi, invece, necessaria, sia per evitare incertezze e garantire la validità del tirocinio ai fini dell’aggiornamento, sia per rispettare quei principi di trasparenza e riservatezza che in tale contesto professionale dovrebbero essere intrinsecamente spontanei. Chi svolge il tirocinio assistito sottoscrive, prima dell’inizio del procedimento, l’obbligo di riservatezza, esattamente come il mediatore. Sembra pertanto illogico e poco garantista escludere il tirocinante dall’elenco dei presenti alla mediazione e dalla consequenziale sottoscrizione.

Dovranno, inoltre, essere verbalizzati i nomi della parte attivante, di quella invitata e delle parti ulteriori, qualora vi siano più convenuti; verranno indicati i consulenti, le generalità e l’attestazione dei poteri di rappresentanza con allegazione di procure dei legali e mandati a conciliare, le nomine di amministratori di condominio e quant’altro serva a chiarire l’identità dei presenti al procedimento.

Uno dei compiti del mediatore designato consiste nel certificare quanto è avvenuto durante gli incontri del procedimento. Non vorrei però che s’intravedesse in queste mie parole un declassamento della professione relegandola ad una semplice funzione compilativa e verbalizzante. Il mediatore si trova a operare con soggetti ben poco propensi ad una garbata e civile conversazione perché coinvolti emotivamente e quindi poco obiettivi. Essere un mediatore richiede un percorso formativo, un aggiornamento continuo, ma anche una capacità di applicare quanto imparato adattandolo ogni volta a persone diverse per la ricerca della migliore soluzione conciliativa.

La verbalizzazione serve ad asserire quanto avvenuto in una fase che precede un eventuale diritto di accesso alla giustizia e che non consiste in un semplice dialogo tra i litiganti.

Il mediatore appone all’inizio del verbale una premessa con cui indica la data di presentazione della domanda di mediazione, la sede dell’Organismo in cui si sta svolgendo la procedura e i dati identificativi dell’istante. Inoltre, provvede a precisare quale sia la materia della controversia, affinché sia palese l’appartenenza all’ambito civile e commerciale, nonché ad indicare il carattere della mediazione, sia esso volontario, demandato dal giudice o contrattuale; specifica, altresì, il suo ruolo di mediatore, la titolarità a gestire la procedura, nonché l’affidamento dell’incarico che si appresta a svolgere quale professionista iscritto nell’elenco dell’Organismo regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia di cui indicherà gli estremi dell’iscrizione nel Registro[6].

La stesura del verbale richiede un impegno descrittivo da parte del suo redattore, ponderato da quell’antiformalismo che caratterizza l’istituto. È pertanto essenziale l’indicazione di data, ora e luogo in cui si sta svolgendo l’incontro di mediazione. La mancanza dei requisiti formali, imprescindibili per la successiva omologazione, comporta il rigetto dell’istanza, qualora i requisiti non siano contestualmente presenti. Infatti, nel D.lgs.28/2010, non è contemplata in nessuna norma l’omologazione parziale e questo comporta che se anche un solo requisito è irregolare, è impedita l’esecutività dell’intero verbale.

Il mediatore, dopo aver fatto accomodare le parti, le identifica mediante il controllo dei documenti in corso di validità e provvede a certificarne la sottoscrizione, ovvero la sua mancanza per non essere le stesse in grado di attendervi. È importante precisare che qualora i litiganti, con il raggiungimento di un accordo, concludano uno dei contratti o uno degli atti per il quale sia prevista la relativa trascrizione, è necessario che la sottoscrizione del verbale sia autenticata da un pubblico ufficiale autorizzato, per garantire alle parti una certezza dei traffici giuridici[7]. L’accordo raggiunto e verbalizzato dal mediatore ha natura negoziale e pertanto ha forza di legge tra le parti[8]. Il carattere negoziale del verbale ne disciplina la formulazione, le modifiche e l’eventuale estinzione. Il legislatore delegato del 2010, richiamando nell’art. 11, co. 3 i contratti o gli atti del codice civile, evidenzia la natura negoziale dell’istituto che necessita della presenza del pubblico ufficiale per autenticare le sottoscrizioni[9].

Il mediatore può trovarsi a verbalizzare la situazione in cui la parte invitata ha deciso di non presentarsi. Se il litigante non ha dato alcuna comunicazione concernente la sua eventuale partecipazione al procedimento, il mediatore deve verificare la regolare ricezione della spedizione delle notifiche e darà nel verbale precisa indicazione di attestazione delle stesse e dei giorni in cui sono state spedite e regolarmente ricevute. Invece, se la parte invitata decide di non aderire al procedimento e invia relativa comunicazione all’organismo, se ne dovrà dare atto nel verbale.

Il caso in ultimo evidenziato è un’eventualità abbastanza frequente, poiché, spesso, per la poca diffusione e cultura dell’istituto, non si comprende che si perde un’occasione per dirimere la lite[10]. La conoscenza e l’utilizzo della mediazione dovrebbero essere alla portata di qualsiasi cittadino, ma ancor di più dovrebbe ricorrere ad essa il giurista che ha rispetto della legge e delle sentenze, ma anche e soprattutto degli interessi del proprio assistito.

La presenza delle parti in mediazione realizza l’obiettivo dell’istituto, ossia la concreta possibilità di dirimere la controversia grazie ad un confronto reciproco delle rispettive doglianze davanti ad un soggetto terzo ed imparziale. Il mediatore si adopera nella formulazione del verbale, profondendo il suo impegno descrittivo alla presenza di quanti, per un preciso senso del dovere e talvolta per il recupero del rapporto controverso, hanno aderito al procedimento. Se le parti non presenziano, viene meno l’essenza stessa della mediazione che è finalizzata a conciliare i litiganti, che resteranno tali poiché rifiutano il confronto.

Di solito, anche se non sempre, è opportuno scandire il procedimento mediatizio secondo un’imposizione di tappe consequenziali; il professionista dà avvio alla mediazione spiegando le possibilità conciliative che si possono ottenere dall’istituto. Se le parti non aderiscono non danno voce al mediatore, precludendosi così la possibilità di dirimere il conflitto con una riduzione dei tempi e dei costi.

Il mediatore spiega, nel suo breve discorso introduttivo, i connotati, le modalità e gli effetti della mediazione e informa le parti sui vantaggi che potranno trarre dall’accordo, i benefici fiscali, la possibilità concreta della celere composizione della vertenza o l’eventualità di un differimento del diritto di accesso alla giustizia, il valore della certificazione dell’incontro quale titolo esecutivo. L’operatore quindi, dopo aver dato le succitate spiegazioni, mette a verbale che le parti conoscono le prerogative dell’istituto e sono pertanto in grado di compiere una scelta consapevole delle opportunità che la mediazione può offrire.

Il mediatore si rivolge poi ai litiganti i quali descrivono gli eventi, spiegano quali sono i rispettivi punti di vista, le specifiche richieste e aspettative oltre al risultato che vorrebbero ottenere dalla procedura conciliativa sia in quanto singoli che congiuntamente. Sull’espletamento di queste fasi deve rendersi un verbale in qualche modo sterile, privo cioè di tutte quelle emotività che caratterizzano la mediazione. Il professionista chiamato a dirimere la lite non fa trapelare nella verbalizzazione quel lato umano che invece deve emergere durante gli incontri. Infatti, consapevole degli obblighi di riservatezza, non solo suoi, ma anche degli altri presenti impegnati nella procedura, farà menzione nel verbale di tale impegno, e nel rendere la certificazione dell’incontro si asterrà dal riportare qualunque informazione che ecceda il necessario per la regolarità formale. Pertanto, ogni sfogo emotivo e strategia difensiva non saranno disvelati, ma resteranno celati nel riserbo del professionista. Inoltre il mediatore, nel redigere il verbale, non fa trapelare le sue scelte, spesso combattute e non semplici, e per consentire nuove possibilità conciliative talvolta ritiene opportuno rinviare ad ulteriori incontri. In tal caso il mediatore indica nel verbale la data e l’ora del successivo incontro.

Purtroppo può accadere che il mediatore, dopo aver tentato invano di mettere fine a ogni vertenza, non riesca a definire la controversia con il raggiungimento di un accordo. Egli può formulare una proposta, o comunque deve farlo qualora le parti lo richiedano, al fine di far sortire conseguenze positive per la conciliazione della lite[11]. Il mediatore dovrà verbalizzare di aver tentato un accordo mediante proposta e apporrà l’eventuale accettazione o rifiuto.

La formulazione della proposta prevede l’assenza di formalismo; il principio di riservatezza non fa trapelare nel verbale ulteriori informazioni oltre i contenuti essenziali della stessa. Questo aspetto è particolarmente pregnante quando la proposta viene formulata da un professionista diverso da quello che ha condotto la mediazione e il mediatore proponente potrà utilizzare solo le informazioni che le parti intendono fornirgli[12]. Un altro ambito nel quale il mediatore è chiamato ad operare si ha nell’eventualità in cui venga formulata una proposta contumaciale[13]. Il legislatore delegato del 2010 dà poche indicazioni al riguardo, se non di natura economica, il cui approfondimento in questa sede sarebbe fuorviante[14]. Pertanto, non essendoci alcuna precisazione, si estende per analogia la disciplina della semplice proposta in mediazione.

È importante ricordare che, ai sensi dell’art. 16, co. 3, lett. c del D.M.180/2010, qualora venga formulata la proposta, vi sarà per le parti un aumento di un quinto delle spese di mediazione rispetto a quanto stabilito dal tariffario. Il mediatore dovrà informare i litiganti di questa maggiorazione, che sarà richiesta dagli Organismi al momento di consegna del verbale[15].

In alcuni casi il mediatore, dopo aver affrontato con le parti ogni aspetto della controversia, riesce, grazie a impegno e professionalità, a dirimere la vertenza. Anche se l’accordo è stato raggiunto e l’ambiente si è disteso, il professionista deve verbalizzare con attenta precisione ogni aspetto ormai definito, rileggere quanto scritto, a volte apportare, su comune approvazione, qualche correzione; solo a quel punto il processo verbale viene stampato e al medesimo è allegato il testo dell’accordo. Le parti e il mediatore firmano il verbale e il professionista certifica l’autografia di tale sottoscrizione o l’eventualità che qualcuno sia impossibilitato a eseguirla.

Al termine del procedimento il mediatore consegna ai presenti una scheda di valutazione affinché diano un loro parere sul suo operato e su quello dell’Organismo al fine di rendere un servizio sempre migliore. Il verbale è quindi depositato presso la segreteria così che ne venga rilasciata una copia a chi ne faccia richiesta.

L’art. 12 del D. lgs 28/2010 detta il precetto che definisce il verbale di accordo che viene redatto quando si conclude positivamente una procedura di mediazione. Secondo il legislatore delegato, la certificazione dell’accordo, su istanza della parte interessata, è omologata con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’Organismo, previo accertamento di regolarità formale e di conformità all’ordine pubblico e alle norme imperative. Il disposto normativo in commento si preoccupa anche di regolare l’eventualità in cui vi sia una controversia transfrontaliera ed in tal caso l’omologazione avviene mediante il Presidente del Tribunale del circondario in cui ha avuto esecuzione l’accordo.

Il verbale che mette fine alla mediazione conferisce alle parti un titolo esecutivo ai fini dell’espropriazione forzata, dell’esecuzione in forma specifica, dell’iscrizione di ipoteca giudiziale. La norma, dettata dal legislatore delegato, regola l’efficacia esecutiva del verbale di accordo celebrando, nella sostanza, l’istituto della mediazione cui viene attribuita una reale esecutività e, altresì, una concreta forza ai fini dell’adempimento delle obbligazioni. Questo permette anche ai cittadini che scelgono volontariamente una strada diversa da quella tradizionale, privilegiando le tecniche di A.D.R. rispetto alla via giudiziale, di avere delle risposte valide grazie ad un istituto proteso a velocizzare la risoluzione delle liti, che ha un’esecutività a cui soggiace chi è parte del procedimento. La mediazione è sia nella sua forma obbligatoria, sia facoltativa, un efficace strumento di cui possono beneficiare tutti gli individui per la concreta possibilità che in tale fase si esaurisca il conflitto.

[1] Per un quadro più completo sulla mediazione nei vari paesi stranieri, si veda P.P. BIANCONE, La mediazione nei diversi ambiti e le esperienze internazionali, Milano, 2011, p. 119 ss.[2] Per le modalità di accreditamento degli Organismi di Mediazione, si vedano gli artt. 16, 17, 18 e 19 del D. lgs. 28/2010; artt. 3, 4, 5 del D.M.180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.[3] Sentenza Trib. Modica 9.12.2011.[4] Si veda l’art 4, co. 3 lett. b) D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.[5] Si veda l’art.9 del D. lgs 28/2010.

[6] “…ritenuto che la “regolarità formale” del verbale deve avere ad oggetto: 1) la sottoscrizione delle parti e del mediatore; 2) la dichiarata titolarità del sottoscrittore mediatore del suo legittimo status quale soggetto incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia; 3) la provenienza del verbale da un organismo iscritto nel registro ex artt. 3 e 4 D. M. n.180/2010; 5) l’inserimento nel verbale degli estremi di tale iscrizione al registro; 4) la riconducibilità dell’ accordo all’ambito della mediazione ex art.2 e cioè l’appartenenza dell’ accordo alla materia civile e commerciale; ritenuto che nella fattispecie il mediatore Avv.… ha omesso la certificazione dell’ autografia delle sottoscrizioni delle parti espressamente prevista dall’art. 11, comma 3, del D. Lgs. n. 28/2010”, così Sentenza Trib. Modica 9.12.2011.

[7] Si veda l’art. 11, co. 3 D. lgs. 28/2010 e l’art. 2643 c.c., in esso richiamato.

[8] Si veda l’art. 1372 c.c.

[9] Per le sottoscrizioni, si veda Legge Notarile n. 89/1913, artt. 51 n. 10, 54 ss.; L. 3 febbraio 1975, n. 18, pubblicata nella Gazz. Uff. 19 febbraio 1975, n. 47, e precisamente gli artt. 1, 2, 3, 4.

[10] Commissione Europea (Bruxelles 2 aprile 2012); Trb. Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09 maggio 2012; Trib. Palermo, sez. dist. Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012.

[11] Art. 11 D. lgs 28/2010

[12] Si veda l’art. 7, co. 1, lett. b, D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[13] Si veda l’art.7, co. 1, lett. b, D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[14] Si veda l’art. 16, co. 3 D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[15] Si veda l’art. 16, co. 3 lett. c), D. M. 180/2010. Tale maggiorazione si applica anche nel caso della proposta contumaciale. Quest’ultimo caso citato è stato modificato dall’art. 5 del D. M. 145/2011 che ha introdotto la lettera e) nell’art. 16 menzionato in nota.

  Immaginiamo un giorno come tanti nella sede di un Organismo di mediazione, dove si è appena concluso, dopo vari incontri, il procedimento mediatizio. Il professionista che ha portato a termine il difficile e delicato compito di dirimere una controversia deve provvedere all’aspetto più tecnico del suo incarico: certificare il proprio operato tramite la redazione di un processo verbale.

L’istituto della mediazione e la figura del mediatore, che sono nati per velocizzare l’apparato giudiziale ed evitare meccanismi vincolanti, costituiscono una riforma innovativa e concretamente risolutiva dei problemi del processo civile, essendo in grado di alleggerire o addirittura di azzerare il carico degli arretrati. Essi, tuttavia, sono soggetti, soprattutto per quanto riguarda il verbale, ad alcuni formalismi categorici che vorrei illustrare nella mia trattazione..

La mediazione civile e commerciale è stata introdotta in Italia con il D.lgs. 28/2010, che ha dato attuazione alla Legge 69/2009, la quale ha a sua volta recepito quanto disposto dalla Direttiva Comunitaria 52/2008. Il legislatore delegato ha conferito all’istituto caratteri e prerogative propri di un sistema multifattoriale e precursore di un apparato giudiziale che necessitava, ormai da tempo, di riforme. Lo strumento di risoluzione stragiudiziale, consolidato positivamente in diversi Paesi, realizza anche in Italia la concreta possibilità di dirimere rapidamente le controversie con un drastico abbattimento dei costi e mediante una procedura protesa a snellire un sistema ormai al collasso[1]. La velocità della procedura stessa è indubbiamente consequenziale alla mancanza di un eccessivo formalismo che permette, ai litiganti e ai professionisti del settore, di concludere la vertenza in una media di quattro mesi. Inoltre la certificazione della mediazione, pur mancando di una rigorosità formale, se omologata dal giudice, costituisce un titolo esecutivo. È pertanto necessario che non si sottovaluti l’importanza della struttura e degli effetti della procedura mediatizia e, per quanto l’assenza di regole vincolanti sia intrinseca nell’istituto, è fondamentale che il mediatore sia un professionista scrupoloso e rediga un verbale che risponda, per essere omologato, ai requisiti di regolarità formale e non sia contrario alle norme imperative e all’ordine pubblico, così come contemplato dall’art. 12 del D. lgs 28/2010.

Il mediatore, nella redazione del verbale, dovrà indicare anzitutto:

· la provenienza dello stesso, ossia gli estremi che permettono la riconduzione di quanto scritto ad un professionista della mediazione;

· il nome dell’Organismo e il relativo numero di iscrizione nel Registro del Ministero.

Gli Organismi di mediazione, nei quali si svolgono le procedure per ottenere l’accreditamento a costituirsi come tali, devono rispettare alcuni principi e sottostare a una serie di norme e passaggi burocratici che ne garantiscano la serietà e l’efficienza; solo dopo aver espletato le procedure previste, essi ottengono la relativa iscrizione[2]. Il Ministero della Giustizia, vigilante del Registro, garantisce la validità, la professionalità e la competenza dei suoi iscritti mediante il controllo di chi presenta domanda nonché l’eventuale sospensione e cancellazione qualora tali garanzie vengano meno. All’Organismo di mediazione regolarmente iscritto viene attribuito un numero che lo rende immediatamente identificabile da chiunque voglia verificare l’appartenenza al Registro, facilmente consultabile grazie ad un elenco in ordine progressivo reso pubblico sul sito del Ministero.

Pertanto, l’indicazione nel verbale delle generalità dell’Organismo consente all’autorità giudiziaria competente per l’omologazione di avere la certezza che la procedura di mediazione sia stata svolta da seri professionisti, i quali avranno garantito ai litiganti competenza, imparzialità e il possesso della legittima autorità per poter dar luogo alla mediazione e rilasciare il verbale. Il legislatore delegato e un ineccepibile intervento della giurisprudenza, tale perché ha fornito al riguardo un insegnamento chiarificatore, sono unanimi nel sostenere che l’esaustività e la completezza di quanto verbalizzato evitano il rigetto della richiesta di omologazione[3].

Il mediatore dovrà asseverare altresì:

· le date degli incontri;

· il numero e l’anno del procedimento, così come catalogato dall’Organismo;

· il proprio nome e quelli degli altri mediatori, qualora sia stato nominato un collegio ovvero uno o più professionisti ausiliari.

La giurisprudenza, di cui si è fatta menzione, ritiene sia fondamentale riconoscere nel suo ruolo sia l’Organismo sia il mediatore. Quest’ultimo è un professionista che ha frequentato da discente un corso di formazione, cui sono ammessi soltanto soggetti laureati oppure appartenenti ad un ordine professionale.

Il percorso formativo in questione deve essere svolto presso un ente accreditato dal Ministero della Giustizia e richiede, affinché il mediatore possa acquisire il titolo, il superamento dell’esame conclusivo. Il professionista, ormai abilitato, per poter operare nell’Organismo, deve presentare domanda di disponibilità nello stesso, il quale invierà a sua volta tale richiesta di inserimento al Ministero. Il mediatore potrà esercitare la sua professione solo negli Organismi in cui viene accreditato, senza eccedere il numero di cinque iscrizioni.

Il professionista s’impegna a frequentare, ai fini dell’aggiornamento biennale obbligatorio, un corso di diciotto ore e a svolgere presso Organismi regolarmente iscritti un tirocinio assistito per un numero di casi non inferiore a venti.[4].

I mediatori, quindi, prima di poter esercitare, hanno percorso un iter che li rende inequivocabilmente preparati a dirimere le controversie per le quali viene conferito loro l’incarico dall’Organismo in cui sono accreditati. La dichiarazione dell’identità del mediatore sottoscrittore e del suo legittimo status quale soggetto appartenente ad un Organismo regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia, garantisce trasparenza e professionalità ed è verbalizzata al pari di altri momenti del procedimento. Inoltre, è importante precisare che tutti i presenti all’incontro di mediazione sono tenuti alla riservatezza, dovere che si impegnano a sottoscrivere prima dell’inizio della procedura[5]. Vorrei puntualizzare un aspetto di indubbio interesse, che attiene al tirocinio assistito e alla sua eventuale certificazione. Nonostante alcuni organismi di regola omettano di indicare nel verbale la presenza del mediatore tirocinante, è mia opinione che tale precisazione debba considerarsi, invece, necessaria, sia per evitare incertezze e garantire la validità del tirocinio ai fini dell’aggiornamento, sia per rispettare quei principi di trasparenza e riservatezza che in tale contesto professionale dovrebbero essere intrinsecamente spontanei. Chi svolge il tirocinio assistito sottoscrive, prima dell’inizio del procedimento, l’obbligo di riservatezza, esattamente come il mediatore. Sembra pertanto illogico e poco garantista escludere il tirocinante dall’elenco dei presenti alla mediazione e dalla consequenziale sottoscrizione.

Dovranno, inoltre, essere verbalizzati i nomi della parte attivante, di quella invitata e delle parti ulteriori, qualora vi siano più convenuti; verranno indicati i consulenti, le generalità e l’attestazione dei poteri di rappresentanza con allegazione di procure dei legali e mandati a conciliare, le nomine di amministratori di condominio e quant’altro serva a chiarire l’identità dei presenti al procedimento.

Uno dei compiti del mediatore designato consiste nel certificare quanto è avvenuto durante gli incontri del procedimento. Non vorrei però che s’intravedesse in queste mie parole un declassamento della professione relegandola ad una semplice funzione compilativa e verbalizzante. Il mediatore si trova a operare con soggetti ben poco propensi ad una garbata e civile conversazione perché coinvolti emotivamente e quindi poco obiettivi. Essere un mediatore richiede un percorso formativo, un aggiornamento continuo, ma anche una capacità di applicare quanto imparato adattandolo ogni volta a persone diverse per la ricerca della migliore soluzione conciliativa.

La verbalizzazione serve ad asserire quanto avvenuto in una fase che precede un eventuale diritto di accesso alla giustizia e che non consiste in un semplice dialogo tra i litiganti.

Il mediatore appone all’inizio del verbale una premessa con cui indica la data di presentazione della domanda di mediazione, la sede dell’Organismo in cui si sta svolgendo la procedura e i dati identificativi dell’istante. Inoltre, provvede a precisare quale sia la materia della controversia, affinché sia palese l’appartenenza all’ambito civile e commerciale, nonché ad indicare il carattere della mediazione, sia esso volontario, demandato dal giudice o contrattuale; specifica, altresì, il suo ruolo di mediatore, la titolarità a gestire la procedura, nonché l’affidamento dell’incarico che si appresta a svolgere quale professionista iscritto nell’elenco dell’Organismo regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia di cui indicherà gli estremi dell’iscrizione nel Registro[6].

La stesura del verbale richiede un impegno descrittivo da parte del suo redattore, ponderato da quell’antiformalismo che caratterizza l’istituto. È pertanto essenziale l’indicazione di data, ora e luogo in cui si sta svolgendo l’incontro di mediazione. La mancanza dei requisiti formali, imprescindibili per la successiva omologazione, comporta il rigetto dell’istanza, qualora i requisiti non siano contestualmente presenti. Infatti, nel D.lgs.28/2010, non è contemplata in nessuna norma l’omologazione parziale e questo comporta che se anche un solo requisito è irregolare, è impedita l’esecutività dell’intero verbale.

Il mediatore, dopo aver fatto accomodare le parti, le identifica mediante il controllo dei documenti in corso di validità e provvede a certificarne la sottoscrizione, ovvero la sua mancanza per non essere le stesse in grado di attendervi. È importante precisare che qualora i litiganti, con il raggiungimento di un accordo, concludano uno dei contratti o uno degli atti per il quale sia prevista la relativa trascrizione, è necessario che la sottoscrizione del verbale sia autenticata da un pubblico ufficiale autorizzato, per garantire alle parti una certezza dei traffici giuridici[7]. L’accordo raggiunto e verbalizzato dal mediatore ha natura negoziale e pertanto ha forza di legge tra le parti[8]. Il carattere negoziale del verbale ne disciplina la formulazione, le modifiche e l’eventuale estinzione. Il legislatore delegato del 2010, richiamando nell’art. 11, co. 3 i contratti o gli atti del codice civile, evidenzia la natura negoziale dell’istituto che necessita della presenza del pubblico ufficiale per autenticare le sottoscrizioni[9].

Il mediatore può trovarsi a verbalizzare la situazione in cui la parte invitata ha deciso di non presentarsi. Se il litigante non ha dato alcuna comunicazione concernente la sua eventuale partecipazione al procedimento, il mediatore deve verificare la regolare ricezione della spedizione delle notifiche e darà nel verbale precisa indicazione di attestazione delle stesse e dei giorni in cui sono state spedite e regolarmente ricevute. Invece, se la parte invitata decide di non aderire al procedimento e invia relativa comunicazione all’organismo, se ne dovrà dare atto nel verbale.

Il caso in ultimo evidenziato è un’eventualità abbastanza frequente, poiché, spesso, per la poca diffusione e cultura dell’istituto, non si comprende che si perde un’occasione per dirimere la lite[10]. La conoscenza e l’utilizzo della mediazione dovrebbero essere alla portata di qualsiasi cittadino, ma ancor di più dovrebbe ricorrere ad essa il giurista che ha rispetto della legge e delle sentenze, ma anche e soprattutto degli interessi del proprio assistito.

La presenza delle parti in mediazione realizza l’obiettivo dell’istituto, ossia la concreta possibilità di dirimere la controversia grazie ad un confronto reciproco delle rispettive doglianze davanti ad un soggetto terzo ed imparziale. Il mediatore si adopera nella formulazione del verbale, profondendo il suo impegno descrittivo alla presenza di quanti, per un preciso senso del dovere e talvolta per il recupero del rapporto controverso, hanno aderito al procedimento. Se le parti non presenziano, viene meno l’essenza stessa della mediazione che è finalizzata a conciliare i litiganti, che resteranno tali poiché rifiutano il confronto.

Di solito, anche se non sempre, è opportuno scandire il procedimento mediatizio secondo un’imposizione di tappe consequenziali; il professionista dà avvio alla mediazione spiegando le possibilità conciliative che si possono ottenere dall’istituto. Se le parti non aderiscono non danno voce al mediatore, precludendosi così la possibilità di dirimere il conflitto con una riduzione dei tempi e dei costi.

Il mediatore spiega, nel suo breve discorso introduttivo, i connotati, le modalità e gli effetti della mediazione e informa le parti sui vantaggi che potranno trarre dall’accordo, i benefici fiscali, la possibilità concreta della celere composizione della vertenza o l’eventualità di un differimento del diritto di accesso alla giustizia, il valore della certificazione dell’incontro quale titolo esecutivo. L’operatore quindi, dopo aver dato le succitate spiegazioni, mette a verbale che le parti conoscono le prerogative dell’istituto e sono pertanto in grado di compiere una scelta consapevole delle opportunità che la mediazione può offrire.

Il mediatore si rivolge poi ai litiganti i quali descrivono gli eventi, spiegano quali sono i rispettivi punti di vista, le specifiche richieste e aspettative oltre al risultato che vorrebbero ottenere dalla procedura conciliativa sia in quanto singoli che congiuntamente. Sull’espletamento di queste fasi deve rendersi un verbale in qualche modo sterile, privo cioè di tutte quelle emotività che caratterizzano la mediazione. Il professionista chiamato a dirimere la lite non fa trapelare nella verbalizzazione quel lato umano che invece deve emergere durante gli incontri. Infatti, consapevole degli obblighi di riservatezza, non solo suoi, ma anche degli altri presenti impegnati nella procedura, farà menzione nel verbale di tale impegno, e nel rendere la certificazione dell’incontro si asterrà dal riportare qualunque informazione che ecceda il necessario per la regolarità formale. Pertanto, ogni sfogo emotivo e strategia difensiva non saranno disvelati, ma resteranno celati nel riserbo del professionista. Inoltre il mediatore, nel redigere il verbale, non fa trapelare le sue scelte, spesso combattute e non semplici, e per consentire nuove possibilità conciliative talvolta ritiene opportuno rinviare ad ulteriori incontri. In tal caso il mediatore indica nel verbale la data e l’ora del successivo incontro.

Purtroppo può accadere che il mediatore, dopo aver tentato invano di mettere fine a ogni vertenza, non riesca a definire la controversia con il raggiungimento di un accordo. Egli può formulare una proposta, o comunque deve farlo qualora le parti lo richiedano, al fine di far sortire conseguenze positive per la conciliazione della lite[11]. Il mediatore dovrà verbalizzare di aver tentato un accordo mediante proposta e apporrà l’eventuale accettazione o rifiuto.

La formulazione della proposta prevede l’assenza di formalismo; il principio di riservatezza non fa trapelare nel verbale ulteriori informazioni oltre i contenuti essenziali della stessa. Questo aspetto è particolarmente pregnante quando la proposta viene formulata da un professionista diverso da quello che ha condotto la mediazione e il mediatore proponente potrà utilizzare solo le informazioni che le parti intendono fornirgli[12]. Un altro ambito nel quale il mediatore è chiamato ad operare si ha nell’eventualità in cui venga formulata una proposta contumaciale[13]. Il legislatore delegato del 2010 dà poche indicazioni al riguardo, se non di natura economica, il cui approfondimento in questa sede sarebbe fuorviante[14]. Pertanto, non essendoci alcuna precisazione, si estende per analogia la disciplina della semplice proposta in mediazione.

È importante ricordare che, ai sensi dell’art. 16, co. 3, lett. c del D.M.180/2010, qualora venga formulata la proposta, vi sarà per le parti un aumento di un quinto delle spese di mediazione rispetto a quanto stabilito dal tariffario. Il mediatore dovrà informare i litiganti di questa maggiorazione, che sarà richiesta dagli Organismi al momento di consegna del verbale[15].

In alcuni casi il mediatore, dopo aver affrontato con le parti ogni aspetto della controversia, riesce, grazie a impegno e professionalità, a dirimere la vertenza. Anche se l’accordo è stato raggiunto e l’ambiente si è disteso, il professionista deve verbalizzare con attenta precisione ogni aspetto ormai definito, rileggere quanto scritto, a volte apportare, su comune approvazione, qualche correzione; solo a quel punto il processo verbale viene stampato e al medesimo è allegato il testo dell’accordo. Le parti e il mediatore firmano il verbale e il professionista certifica l’autografia di tale sottoscrizione o l’eventualità che qualcuno sia impossibilitato a eseguirla.

Al termine del procedimento il mediatore consegna ai presenti una scheda di valutazione affinché diano un loro parere sul suo operato e su quello dell’Organismo al fine di rendere un servizio sempre migliore. Il verbale è quindi depositato presso la segreteria così che ne venga rilasciata una copia a chi ne faccia richiesta.

L’art. 12 del D. lgs 28/2010 detta il precetto che definisce il verbale di accordo che viene redatto quando si conclude positivamente una procedura di mediazione. Secondo il legislatore delegato, la certificazione dell’accordo, su istanza della parte interessata, è omologata con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’Organismo, previo accertamento di regolarità formale e di conformità all’ordine pubblico e alle norme imperative. Il disposto normativo in commento si preoccupa anche di regolare l’eventualità in cui vi sia una controversia transfrontaliera ed in tal caso l’omologazione avviene mediante il Presidente del Tribunale del circondario in cui ha avuto esecuzione l’accordo.

Il verbale che mette fine alla mediazione conferisce alle parti un titolo esecutivo ai fini dell’espropriazione forzata, dell’esecuzione in forma specifica, dell’iscrizione di ipoteca giudiziale. La norma, dettata dal legislatore delegato, regola l’efficacia esecutiva del verbale di accordo celebrando, nella sostanza, l’istituto della mediazione cui viene attribuita una reale esecutività e, altresì, una concreta forza ai fini dell’adempimento delle obbligazioni. Questo permette anche ai cittadini che scelgono volontariamente una strada diversa da quella tradizionale, privilegiando le tecniche di A.D.R. rispetto alla via giudiziale, di avere delle risposte valide grazie ad un istituto proteso a velocizzare la risoluzione delle liti, che ha un’esecutività a cui soggiace chi è parte del procedimento. La mediazione è sia nella sua forma obbligatoria, sia facoltativa, un efficace strumento di cui possono beneficiare tutti gli individui per la concreta possibilità che in tale fase si esaurisca il conflitto.

[1] Per un quadro più completo sulla mediazione nei vari paesi stranieri, si veda P.P. BIANCONE, La mediazione nei diversi ambiti e le esperienze internazionali, Milano, 2011, p. 119 ss.[2] Per le modalità di accreditamento degli Organismi di Mediazione, si vedano gli artt. 16, 17, 18 e 19 del D. lgs. 28/2010; artt. 3, 4, 5 del D.M.180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.[3] Sentenza Trib. Modica 9.12.2011.[4] Si veda l’art 4, co. 3 lett. b) D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.[5] Si veda l’art.9 del D. lgs 28/2010.

[6] “…ritenuto che la “regolarità formale” del verbale deve avere ad oggetto: 1) la sottoscrizione delle parti e del mediatore; 2) la dichiarata titolarità del sottoscrittore mediatore del suo legittimo status quale soggetto incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia; 3) la provenienza del verbale da un organismo iscritto nel registro ex artt. 3 e 4 D. M. n.180/2010; 5) l’inserimento nel verbale degli estremi di tale iscrizione al registro; 4) la riconducibilità dell’ accordo all’ambito della mediazione ex art.2 e cioè l’appartenenza dell’ accordo alla materia civile e commerciale; ritenuto che nella fattispecie il mediatore Avv.… ha omesso la certificazione dell’ autografia delle sottoscrizioni delle parti espressamente prevista dall’art. 11, comma 3, del D. Lgs. n. 28/2010”, così Sentenza Trib. Modica 9.12.2011.

[7] Si veda l’art. 11, co. 3 D. lgs. 28/2010 e l’art. 2643 c.c., in esso richiamato.

[8] Si veda l’art. 1372 c.c.

[9] Per le sottoscrizioni, si veda Legge Notarile n. 89/1913, artt. 51 n. 10, 54 ss.; L. 3 febbraio 1975, n. 18, pubblicata nella Gazz. Uff. 19 febbraio 1975, n. 47, e precisamente gli artt. 1, 2, 3, 4.

[10] Commissione Europea (Bruxelles 2 aprile 2012); Trb. Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09 maggio 2012; Trib. Palermo, sez. dist. Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012.

[11] Art. 11 D. lgs 28/2010

[12] Si veda l’art. 7, co. 1, lett. b, D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[13] Si veda l’art.7, co. 1, lett. b, D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[14] Si veda l’art. 16, co. 3 D. M. 180/2010, coordinato con le modifiche apportate dal D. M. 145/2011.

[15] Si veda l’art. 16, co. 3 lett. c), D. M. 180/2010. Tale maggiorazione si applica anche nel caso della proposta contumaciale. Quest’ultimo caso citato è stato modificato dall’art. 5 del D. M. 145/2011 che ha introdotto la lettera e) nell’art. 16 menzionato in nota.