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Il consenso informato nella chirurgia estetica

Consolidata giurisprudenza in materia di responsabilità medica ha sancito un maggiore rigore dell’obbligo d’informazione posto a carico del chirurgo estetico rispetto a quello gravante sul terapeuta in generale.

Il chirurgo estetico, infatti, a differenza del terapeuta in generale che può limitarsi alla semplice prospettazione dei possibili rischi delle terapie suggerite ed interventi chirurgici proposti, ha l’obbligo di rendere edotto il suo cliente anche sulla possibilità di conseguire o meno un miglioramento estetico sperato, che inciderà positivamente nella sua vita di relazione e professionale.

Si evince che in capo al chirurgo estetico, in virtù dell’oggetto della sua prestazione che mira al raggiungimento del miglioramento dell’aspetto fisico, è addebitato un dovere d’informazione più ampio.

E’ pacifico che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale la violazione del dovere d’informare posto a carico del professionista è fonte di responsabilità contrattuale e del conseguente obbligo di risarcimento del danno commisurato all’interesse positivo.

Tale dovere (di informazione) investe non solo le potenziali cause di invalidità o di inefficacia della prestazione del professionista ma anche le ragioni che la rendono inutile o dannosa in rapporto al risultato.

L'obbligo del professionista d’informare ha lo scopo di ottenere dal paziente un consenso immune da vizi alla prosecuzione dell’attività professionale, pertanto l’informazione deve essere adeguata al livello culturale del paziente tenendo in considerazione la sua attività lavorativa e la sua vita di relazione.

E’ evidente, dunque, un nesso di necessaria dipendenza tra informazione e consenso.

L’informazione non può non provenire dal sanitario che dovrà prestare la sua attività professionale. L’obbligo di informare il paziente dipende non solo dall’attitudine dello stesso a ricevere le informazioni ma altresì e dalla natura e dal carattere del trattamento sanitario. In altre parole, il medico deve tener conto delle capacità di comprensione del paziente al fine di promuovere la massima adesione alle proposte diagnostiche.

Il contenuto dell’informazione deve mirare a rendere edotto il paziente, in modo analitico, sulla natura dell’intervento, sulle difficoltà dello stesso, sugli eventuali rischi e conseguenze prevedibili, oltre che sull’entità di dolore. Parimenti, andrebbero indicate tutte le informazioni relative ad altre scelte alternativamente possibili, oltre che informare sulla concreta e magari momentanea carente situazione ospedaliera, in rapporto alla dotazione e alle attrezzature e al loro funzionamento.

Il professionista è inoltre tenuto a dare ulteriori informazioni e chiarimenti qualora richiesti dal paziente.

E’ opinione consolidata in dottrina ed in giurisprudenza che quando non sia a rischio la salute in senso stretto, non basta far conoscere al paziente solo i rischi prevedibili ma occorre menzionare anche quelli eccezionali affinché si possano valutare con cognizione di causa i pro e i contro dell’operazione.

Al termine dell’intervento di chirurgia estetica, infatti, il paziente si attende un miglioramento dell’aspetto fisico, in vista di un miglior presentarsi nella vita di relazione e nella vita professionale, pertanto il chirurgo estetico deve orientare la sua attività di informazione sulla possibilità di conseguire o meno un miglioramento estetico sperato.

E’ pacifico, che la giurisprudenza  in tema di responsabilità del chirurgo estetico sono porte a valutare con maggior rigore il dovere di informazione del professionista, in virtù del fatto che gli interventi estetici non hanno la finalità di guarire da una malattia o arrestare un processo patologico, ma sono diretti ad un miglioramento estetico. Nel caso di specie l’informazione non può che basarsi sul caso concreto e sulle caratteristiche obiettive del trattamento.

Non è possibile far rientrare nell’informazione una previsione sui rischi che potrebbero derivare da un caso fortuito o forza maggiore, rischio che è fuori da ogni umana previsione.

L’informazione è lo strumento che solleva il professionista da responsabilità civile di qualsiasi genere, in relazione all’eventuale mancato conseguimento del risultato previsto. Essa, inoltre, non può contenere i rischi che potrebbero derivare da un errore del medico perché in ogni caso non avrebbe l’effetto di escludere la responsabilità.

Informare è dare la possibilità di scegliere, in modo consapevole dei rischi e delle conseguenze cui si va in contro.

Pare opportuno evidenziare che all’interno della stessa chirurgia plastica il contenuto dell’obbligo di informazione ha una consistenza diversa a seconda che l’intervento miri al miglioramento estetico del paziente o alla ricostruzione delle normali caratteristiche fisiche che il paziente ha consapevolmente alterato mediante interventi sulla propria persona, dei cui esiti intende liberarsi, ritenendoli non più accettabili.

Nell’ambito della chirurgia estetica in senso stretto gli obblighi di informazione non vanno limitati alle “potenziali cause di invalidità o di inefficacia delle prestazioni professionali” ma devono avere ad oggetto ogni notizia relativa alla maggiore o minore conseguibilità del risultato".

Con riguardo, invece, alla chirurgia plastica ricostruttiva vi è una diminuzione del quantum informativo, infatti il professionista assolve al suo dovere ove rende edotto il paziente degli eventuali esiti che potrebbero vanificare l’operazione non comportando in sostanza un miglioramento dell’aspetto fisico.

A questo punto è opportuno evidenziare che la violazione dell’obbligo del chirurgo di informare in maniera chiara ed esaustiva il paziente costituisce un’autonoma fonte di responsabilità professionale, con la conseguenza che, accertato l’inadempimento informativo del professionista, l’obbligo risarcitorio sorge anche nel caso in cui l’operazione sia stata eseguita a regola d’arte.

Qualora venga omessa l’informazione gravante sul professionista verrà riconosciuta una responsabilità contrattuale, se il vizio dell’informazione rilevi sul piano dell’inadempimento contrattuale, o una responsabilità extra contrattuale se invece il vizio attiene alle trattative e quindi alla fase precedente la stipulazione del contratto.

Vediamo come si è evoluto il pensiero della giurisprudenza in materia.

La sentenza del 29 Marzo 1976 n. 1132 seguita, poi, dalle sentenze Cassazione Civile del 26 Marzo 1981 n. 1773; Cassazione Civile del 8 Agosto 1985 n. 237, dispose che la violazione del dovere d’informazione dà luogo ad una ipotesi di responsabilità contrattuale.

nello specifico si è sipsosto “che il contratto d’opera professionale si conclude tra il medico ed il paziente quando il professionista accetta, su richiesta del paziente, di esercitare la propria attività professionale rispetto al caso presentatogli davanti. La prestazione del medico si divide in due fasi, una prima fase diagnostica volta a valutare l’opportunità o meno dell’intervento, e una seconda fase che ha per oggetto l’intervento chirurgico.E’solo al termine della fase diagnostica che sorge il dovere del chirurgo di informare il cliente sugli eventuali rischi dell’intervento chirurgico, al fine di ottenere un consenso immune da vizi alla prosecuzione dell’attività professionale”.

Quindi il dovere d’informazione non può non rientrare nella complessa prestazione del medico, e quindi non può che avere natura contrattuale in quanto il dovere d’informazione va a “permeare” il contenuto del contratto.

Ad una conclusione opposta giunge la sentenza 25 novembre 1994 n.10014, che ha riconosciuto la natura extra contrattuale del dovere d’informazione disponendo che "esso attiene alla fase precedente la stipulazione del contratto, quale espressione del principio di buona fede a cui le parti a norma dell’art. 1337, sono tenute nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto".

Occorre evidenziare che l’opinione prevalente in giurisprudenza è concorde nel riconoscere un inadempimento contrattuale alla violazione del dovere di informazione gravante sullo specialista, in considerazione del fatto che l’onere del consenso informato sorge al termine della fase preliminare di diagnosi e quindi dopo che è stato concluso il contratto d’opera professionale tra il medico ed il paziente.

Non vi è dubbio, quindi che il consenso rientra nel complesso iter dell’attività e prestazione del professionista.

La giurisprudenza qualifica il dovere d’informazione non come un obbligo prenegoziale, che attiene al regime della responsabilità pre-contrattuale (art 1337c.c.), ma come un vero e proprio dovere conseguente al contratto d’opera professionale concluso.

La violazione dell’obbligo di informare in maniera chiara ed esaustiva il paziente costituisce un’autonoma fonte di responsabilità professionale, con la conseguenza che, accertato l’inadempimento informativo del professionista, l’obbligo risarcitorio sorge anche nel caso in cui l’operazione sia stata eseguita a regola d’arte.

In tal senso la recente decisione della Suprema Corte n. 5444 del 2006 ha statuito “ la responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre ai fini della configurazione di una siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno".

La correttezza o meno del trattamento, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto.

Occorre rilevare, quindi, che il consenso oltre che legittimare l’intervento sanitario costituisce, anche, uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista (art.1325 c.c.) avente ad oggetto la prestazione professionale.

Il consenso informato ha l’obiettivo non solo di tutelare la liberà e la dignità di chi si sottopone ad un interveto medico, ma anche di salvaguardare il diritto alla salute.

Questo è l’atto di autonomia e di autodeterminazione dello stesso con il quale esercita il suo diritto alla salute.

Nello specifico, la volontà espressa del paziente a sottoporsi all’intervento chirurgico, delinea il momento genetico del contratto stipulato tra il professionista ed il paziente, avente ad oggetto l’intervento chirurgico. Senza tale consenso il chirurgo non può sottoporre il paziente ad alcun trattamento estetico, neppure contro la sua volontà.

Il consenso informato fonda le sue basi sulla convinzione che ogni individuo è titolare di un diritto esclusivo sul proprio corpo, per cui qualsiasi manipolazione su di esso senza il consenso del titolare del diritto costituisce una forma di illecito. Tale manifestazione di volontà è richiesta non perché l’attività medica sia di per se illecita, ma perché è illecita qualsiasi attività limitativa della libertà di un individuo di decidere autonomamente del suo corpo e della sua vita.

E’ indubbio che il consenso informato non soddisfi soltanto l’esigenza di conoscere il futuro operato del medico, ma anche quella di consentire l’esercizio del diritto dell’autodeterminazione. Spetta al paziente, sulla base delle sue aspettative e in relazione ai rischi e conseguenze prospettategli, alla possibilità di conseguire o meno un miglioramento dell’aspetto fisico sperato, delle proprie convinzioni religiose ed etiche e delle possibili sofferenze collegate alla sua decisione, decidere se sottoporsi o meno all’intervento chirurgico.

Il paziente, però, dovrà essere messo nelle condizioni di decidere tra l’opportunità di sottoporsi all’intervento chirurgico in relazione alle sue aspettative positive, e la necessità di ometterlo, nel caso in cui i vantaggi sperati vengano esclusi dalla certezza di esiti infausti.

  Consolidata giurisprudenza in materia di responsabilità medica ha sancito un maggiore rigore dell’obbligo d’informazione posto a carico del chirurgo estetico rispetto a quello gravante sul terapeuta in generale.

Il chirurgo estetico, infatti, a differenza del terapeuta in generale che può limitarsi alla semplice prospettazione dei possibili rischi delle terapie suggerite ed interventi chirurgici proposti, ha l’obbligo di rendere edotto il suo cliente anche sulla possibilità di conseguire o meno un miglioramento estetico sperato, che inciderà positivamente nella sua vita di relazione e professionale.

Si evince che in capo al chirurgo estetico, in virtù dell’oggetto della sua prestazione che mira al raggiungimento del miglioramento dell’aspetto fisico, è addebitato un dovere d’informazione più ampio.

E’ pacifico che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale la violazione del dovere d’informare posto a carico del professionista è fonte di responsabilità contrattuale e del conseguente obbligo di risarcimento del danno commisurato all’interesse positivo.

Tale dovere (di informazione) investe non solo le potenziali cause di invalidità o di inefficacia della prestazione del professionista ma anche le ragioni che la rendono inutile o dannosa in rapporto al risultato.

L'obbligo del professionista d’informare ha lo scopo di ottenere dal paziente un consenso immune da vizi alla prosecuzione dell’attività professionale, pertanto l’informazione deve essere adeguata al livello culturale del paziente tenendo in considerazione la sua attività lavorativa e la sua vita di relazione.

E’ evidente, dunque, un nesso di necessaria dipendenza tra informazione e consenso.

L’informazione non può non provenire dal sanitario che dovrà prestare la sua attività professionale. L’obbligo di informare il paziente dipende non solo dall’attitudine dello stesso a ricevere le informazioni ma altresì e dalla natura e dal carattere del trattamento sanitario. In altre parole, il medico deve tener conto delle capacità di comprensione del paziente al fine di promuovere la massima adesione alle proposte diagnostiche.

Il contenuto dell’informazione deve mirare a rendere edotto il paziente, in modo analitico, sulla natura dell’intervento, sulle difficoltà dello stesso, sugli eventuali rischi e conseguenze prevedibili, oltre che sull’entità di dolore. Parimenti, andrebbero indicate tutte le informazioni relative ad altre scelte alternativamente possibili, oltre che informare sulla concreta e magari momentanea carente situazione ospedaliera, in rapporto alla dotazione e alle attrezzature e al loro funzionamento.

Il professionista è inoltre tenuto a dare ulteriori informazioni e chiarimenti qualora richiesti dal paziente.

E’ opinione consolidata in dottrina ed in giurisprudenza che quando non sia a rischio la salute in senso stretto, non basta far conoscere al paziente solo i rischi prevedibili ma occorre menzionare anche quelli eccezionali affinché si possano valutare con cognizione di causa i pro e i contro dell’operazione.

Al termine dell’intervento di chirurgia estetica, infatti, il paziente si attende un miglioramento dell’aspetto fisico, in vista di un miglior presentarsi nella vita di relazione e nella vita professionale, pertanto il chirurgo estetico deve orientare la sua attività di informazione sulla possibilità di conseguire o meno un miglioramento estetico sperato.

E’ pacifico, che la giurisprudenza  in tema di responsabilità del chirurgo estetico sono porte a valutare con maggior rigore il dovere di informazione del professionista, in virtù del fatto che gli interventi estetici non hanno la finalità di guarire da una malattia o arrestare un processo patologico, ma sono diretti ad un miglioramento estetico. Nel caso di specie l’informazione non può che basarsi sul caso concreto e sulle caratteristiche obiettive del trattamento.

Non è possibile far rientrare nell’informazione una previsione sui rischi che potrebbero derivare da un caso fortuito o forza maggiore, rischio che è fuori da ogni umana previsione.

L’informazione è lo strumento che solleva il professionista da responsabilità civile di qualsiasi genere, in relazione all’eventuale mancato conseguimento del risultato previsto. Essa, inoltre, non può contenere i rischi che potrebbero derivare da un errore del medico perché in ogni caso non avrebbe l’effetto di escludere la responsabilità.

Informare è dare la possibilità di scegliere, in modo consapevole dei rischi e delle conseguenze cui si va in contro.

Pare opportuno evidenziare che all’interno della stessa chirurgia plastica il contenuto dell’obbligo di informazione ha una consistenza diversa a seconda che l’intervento miri al miglioramento estetico del paziente o alla ricostruzione delle normali caratteristiche fisiche che il paziente ha consapevolmente alterato mediante interventi sulla propria persona, dei cui esiti intende liberarsi, ritenendoli non più accettabili.

Nell’ambito della chirurgia estetica in senso stretto gli obblighi di informazione non vanno limitati alle “potenziali cause di invalidità o di inefficacia delle prestazioni professionali” ma devono avere ad oggetto ogni notizia relativa alla maggiore o minore conseguibilità del risultato".

Con riguardo, invece, alla chirurgia plastica ricostruttiva vi è una diminuzione del quantum informativo, infatti il professionista assolve al suo dovere ove rende edotto il paziente degli eventuali esiti che potrebbero vanificare l’operazione non comportando in sostanza un miglioramento dell’aspetto fisico.

A questo punto è opportuno evidenziare che la violazione dell’obbligo del chirurgo di informare in maniera chiara ed esaustiva il paziente costituisce un’autonoma fonte di responsabilità professionale, con la conseguenza che, accertato l’inadempimento informativo del professionista, l’obbligo risarcitorio sorge anche nel caso in cui l’operazione sia stata eseguita a regola d’arte.

Qualora venga omessa l’informazione gravante sul professionista verrà riconosciuta una responsabilità contrattuale, se il vizio dell’informazione rilevi sul piano dell’inadempimento contrattuale, o una responsabilità extra contrattuale se invece il vizio attiene alle trattative e quindi alla fase precedente la stipulazione del contratto.

Vediamo come si è evoluto il pensiero della giurisprudenza in materia.

La sentenza del 29 Marzo 1976 n. 1132 seguita, poi, dalle sentenze Cassazione Civile del 26 Marzo 1981 n. 1773; Cassazione Civile del 8 Agosto 1985 n. 237, dispose che la violazione del dovere d’informazione dà luogo ad una ipotesi di responsabilità contrattuale.

nello specifico si è sipsosto “che il contratto d’opera professionale si conclude tra il medico ed il paziente quando il professionista accetta, su richiesta del paziente, di esercitare la propria attività professionale rispetto al caso presentatogli davanti. La prestazione del medico si divide in due fasi, una prima fase diagnostica volta a valutare l’opportunità o meno dell’intervento, e una seconda fase che ha per oggetto l’intervento chirurgico.E’solo al termine della fase diagnostica che sorge il dovere del chirurgo di informare il cliente sugli eventuali rischi dell’intervento chirurgico, al fine di ottenere un consenso immune da vizi alla prosecuzione dell’attività professionale”.

Quindi il dovere d’informazione non può non rientrare nella complessa prestazione del medico, e quindi non può che avere natura contrattuale in quanto il dovere d’informazione va a “permeare” il contenuto del contratto.

Ad una conclusione opposta giunge la sentenza 25 novembre 1994 n.10014, che ha riconosciuto la natura extra contrattuale del dovere d’informazione disponendo che "esso attiene alla fase precedente la stipulazione del contratto, quale espressione del principio di buona fede a cui le parti a norma dell’art. 1337, sono tenute nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto".

Occorre evidenziare che l’opinione prevalente in giurisprudenza è concorde nel riconoscere un inadempimento contrattuale alla violazione del dovere di informazione gravante sullo specialista, in considerazione del fatto che l’onere del consenso informato sorge al termine della fase preliminare di diagnosi e quindi dopo che è stato concluso il contratto d’opera professionale tra il medico ed il paziente.

Non vi è dubbio, quindi che il consenso rientra nel complesso iter dell’attività e prestazione del professionista.

La giurisprudenza qualifica il dovere d’informazione non come un obbligo prenegoziale, che attiene al regime della responsabilità pre-contrattuale (art 1337c.c.), ma come un vero e proprio dovere conseguente al contratto d’opera professionale concluso.

La violazione dell’obbligo di informare in maniera chiara ed esaustiva il paziente costituisce un’autonoma fonte di responsabilità professionale, con la conseguenza che, accertato l’inadempimento informativo del professionista, l’obbligo risarcitorio sorge anche nel caso in cui l’operazione sia stata eseguita a regola d’arte.

In tal senso la recente decisione della Suprema Corte n. 5444 del 2006 ha statuito “ la responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre ai fini della configurazione di una siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno".

La correttezza o meno del trattamento, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto.

Occorre rilevare, quindi, che il consenso oltre che legittimare l’intervento sanitario costituisce, anche, uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista (art.1325 c.c.) avente ad oggetto la prestazione professionale.

Il consenso informato ha l’obiettivo non solo di tutelare la liberà e la dignità di chi si sottopone ad un interveto medico, ma anche di salvaguardare il diritto alla salute.

Questo è l’atto di autonomia e di autodeterminazione dello stesso con il quale esercita il suo diritto alla salute.

Nello specifico, la volontà espressa del paziente a sottoporsi all’intervento chirurgico, delinea il momento genetico del contratto stipulato tra il professionista ed il paziente, avente ad oggetto l’intervento chirurgico. Senza tale consenso il chirurgo non può sottoporre il paziente ad alcun trattamento estetico, neppure contro la sua volontà.

Il consenso informato fonda le sue basi sulla convinzione che ogni individuo è titolare di un diritto esclusivo sul proprio corpo, per cui qualsiasi manipolazione su di esso senza il consenso del titolare del diritto costituisce una forma di illecito. Tale manifestazione di volontà è richiesta non perché l’attività medica sia di per se illecita, ma perché è illecita qualsiasi attività limitativa della libertà di un individuo di decidere autonomamente del suo corpo e della sua vita.

E’ indubbio che il consenso informato non soddisfi soltanto l’esigenza di conoscere il futuro operato del medico, ma anche quella di consentire l’esercizio del diritto dell’autodeterminazione. Spetta al paziente, sulla base delle sue aspettative e in relazione ai rischi e conseguenze prospettategli, alla possibilità di conseguire o meno un miglioramento dell’aspetto fisico sperato, delle proprie convinzioni religiose ed etiche e delle possibili sofferenze collegate alla sua decisione, decidere se sottoporsi o meno all’intervento chirurgico.

Il paziente, però, dovrà essere messo nelle condizioni di decidere tra l’opportunità di sottoporsi all’intervento chirurgico in relazione alle sue aspettative positive, e la necessità di ometterlo, nel caso in cui i vantaggi sperati vengano esclusi dalla certezza di esiti infausti.