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La filosofia e la poetica della mediazione

Abstract: Attraverso la scomposizione del termine “me-dia-zio-ne”, l’Autrice ne ricompone i sensi e le sfumature per una visione unitaria e complessa allo stesso tempo.

Per realizzare la cultura della mediazione occorre coltivare e elaborare i principi della mediazione contenuti nella stessa mediazione, come si può dimostrare facendo dei giochi linguistici.

Me: è medicazione perché contribuisce alla “manutenzione dei tasti dolenti”, laddove “i tasti dolenti sono vissuti fondamentali per capire l’esperienza conflittuale e rendono ragione dell’estrema soggettività con cui ciascuno vive i conflitti” (l’esperto Daniele Novara). È medicazione anche perché alla mediazione si addice il significato etimologico di “medico”, da “conoscere, consigliare, rimediare”. Sanando o conservando le relazioni, la mediazione concretizza tutti i significati di “salute”, da conservazione a benessere, come previsto nell’art. 32 della nostra Costituzione ove si parla di “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. In tal senso la mediazione giova all’individuo e alla collettività, perché l’uno e l’altra tornano a vivere serenamente la loro integralità e integrità, l’individuo torna ad essere “ciò che non si può dividere e quindi ha una sua personalità e un’esistenza tutta sua speciale” e la collettività “più persone raccolte insieme a un fine comune”. È altresì meditazione (che etimologicamente ha la stessa origine di “medico”) nel senso di “riflettere, misurare con la mente, volgere nell’animo”, attitudini che la conflittualità invece fa perdere o diminuire. In tal modo la persona liberata dal freno e dal condizionamento della conflittualità può nuovamente “manifestare liberamente il proprio pensiero” (art. 21 comma 1 Cost.). In particolare la mediazione così intesa produrrebbe gli stessi effetti della cosiddetta “meditazione compassionevole” e della “meditazione da attenzione consapevole”, pratiche che giovano alla salute mentale (specificatamente all’amigdala, la ghiandola deputata alle emozioni) e all’empatia nei confronti dell’altro, come rilevato in ricerche statunitensi. È un mestiere (dal latino “ministerium”, servizio, ufficio) che rispecchia in pieno la definizione data nell’art. 4 comma 2 della nostra Costituzione: “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Non solo, è un mestiere perché occorrono certe qualità e padronanza dei propri conflitti per “pre-occuparsi” di quelli altrui, per questo si parla di “arte di mediare i conflitti”. L’attività mediativa, pertanto, contribuisce non solo a ridurre i costi economici e sociali dei conflitti ma anche alla spiritualità della persona perché la mette in contatto con i suoi “tasti dolenti” o conflitti interiori favorendo lo svolgimento della sua personalità nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.). La mediazione serve a riconquistare la mediocrità della vita, in senso filosofico (Orazio: “Auream mediocritatem diligere”). La mediazione è una metamorfosi della relazione conflittuale la cui meta è la mediazione stessa. Il mediatore, traghettatore del conflitto, attraverso l’alfabetizzazione al conflitto, fa in modo che i confliggenti sappiano “so-stare nel conflitto” (dalla denominazione di progetti e percorsi formativi), sappiano “star bene assieme anche nei conflitti”. La funzione della mediazione è come quella del mediano nel calcio, di filtro o di costruzione del gioco; i confliggenti sono i veri protagonisti che si mettono in gioco e si riappropriano del loro ruolo nella vita, in quel percorso che è definito di self empowerment. La funzione mediativa può essere assimilata anche a quella del metronomo o della metrica, cioè ristabilire i giusti tempi e le giuste modalità della comunicazione rimuovendo le menzogne, le meschinità e la mestizia  nella relazione per far sì che torni ad essere come una melodia (successione di suoni differenti aventi fra loro un’organica relazione espressiva), in altre parole passare dalle diversità inconciliabili alle differenze osmotiche. Può essere anche accostata ad una mensa attorno alla quale ci si mette per “misurare”, “costruire” (dal significato etimologico di “mensa”) nuove modalità relazionali. Un’altra immagine che le si addice è quella del Mediterraneo che è stato crocevia di battaglie e conquiste, di popoli e culture e quindi culla della mediazione.

Dia: il prefisso di origine greca “dia-” significa “mediante, attraverso”, infatti la mediazione è un mezzo, un ponte (immagine solitamente usata per rappresentare la mediazione), un intervento (dal latino “inter”, in mezzo e “venire”, venire) grazie al quale dalla diatriba (che deriva da “consumare, logorare”) le persone passano al dialogo (due persone che parlano) e alla dialogica (due persone che ragionano); tornano a parlare il loro dialetto (da “parlare attraverso”), “lingua del cuore” che va oltre l’applicazione della legge, che rappresenta la “lingua della mente”. Anche secondo l’architetto Gaetana (detta Gae) Aulenti, che è stata soprattutto maestra di vita e di pensiero, contraria ad ogni sorta di muro e favorevole ad ogni forma di mediazione, “solo dialogando si vive meglio con i muri”. La mediazione è un’arte dialettica (variamente definita “arte di litigare bene”, “arte di ascoltare”, in inglese “art of listering”) che consente alle persone di filtrare il conflitto (non inteso come singolo contrasto ma come stato conflittuale) nella diacronia, in modo da decomporre gli episodi nello scorrere del tempo e ricomporre il puzzle della propria vita per il tempo avvenire riacquistando la progettualità. Intesa come pratica di vita, la mediazione è una diaria, un’indennità da pagare ogni giorno perché tutta la società è basata sulla mediazione, andarsi incontro lungo la stessa strada, “dimorare con, vivere con, avere dimestichezza con uno” (dal significato etimologico di “conversare”), da non confondere con il compromesso che comporta lo scendere a livelli sempre più infimi. La mediazione attraverso il diario di bordo e delle sedute aiuta le persone a elaborare una diagnosi delle situazioni e delle relazioni. In tal modo dalla diaspora delle emozioni e delle opposizioni passano alla diade di posizioni che non è “aut aut” ma “et et”.

Zio: “-zione” è il suffisso che indica tanto l’azione quanto l’effetto. Mediazione, infatti, è tanto l’intervento quanto il risultato. Letteralmente mediare significa stare in mezzo e tra due persone ciò che sta in mezzo è il confine (dal latino “cum”, insieme e “finis”, fine, termine). Mentre la conflittualità fa sconfinare dalla propria sfera e lacerare anche quella altrui, con la mediazione si pone fine alla conflittualità e i “confliggenti” divengono “confinanti” (letteralmente “che hanno rapporti con”, “simili”, “affini”), ognuno col proprio “confine psicologico”, capacità di riappropriarsi della propria identità e di dire sì o no in maniera appropriata.

Ne: solitamente si parla di neutralità dell’operatore, ma essendo impossibile una neutralità assoluta quella che si richiede è soprattutto la neutralità empatica (Daniele Novara), la capacità di restare fuori dal conflitto, senza rispecchiarsi o far riemergere propri conflitti. La mediazione non è negazione del conflitto ma sua neutralizzazione, le persone imparano a distaccarsi dal conflitto, a ridimensionarlo, a vederlo nella sua oggettività. Non è un’attività di negoziazione ma di neofilia, ovvero superando la nevrotizzazione o la necrosi dei rapporti (contraria ai doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.) le persone sono aiutate a vedere le cose in modo nuovo, a vivere le relazioni in modo nuovo, ad affrontare le situazioni in modo nuovo, soprattutto a considerare l’altro, seppure confliggente, non come nemico ma come persona altra con una sua alterità e alienità. La mediazione è filosoficamente una necessità come si ricava anche dalla nostra Costituzione il cui iperonimo è proprio la mediazione, perché essa stessa è nata da una mediazione politica e per la sua formulazione, per esempio si vedano i concetti di “democrazia” e di “sovranità popolare” nell’art. 1 e l’art. 11 che pone le basi della mediazione internazionale.

In tal modo si può auspicare che dalla cultura della mediazione si passi alla civiltà della mediazione.

Abstract: Attraverso la scomposizione del termine “me-dia-zio-ne”, l’Autrice ne ricompone i sensi e le sfumature per una visione unitaria e complessa allo stesso tempo.

Per realizzare la cultura della mediazione occorre coltivare e elaborare i principi della mediazione contenuti nella stessa mediazione, come si può dimostrare facendo dei giochi linguistici.

Me: è medicazione perché contribuisce alla “manutenzione dei tasti dolenti”, laddove “i tasti dolenti sono vissuti fondamentali per capire l’esperienza conflittuale e rendono ragione dell’estrema soggettività con cui ciascuno vive i conflitti” (l’esperto Daniele Novara). È medicazione anche perché alla mediazione si addice il significato etimologico di “medico”, da “conoscere, consigliare, rimediare”. Sanando o conservando le relazioni, la mediazione concretizza tutti i significati di “salute”, da conservazione a benessere, come previsto nell’art. 32 della nostra Costituzione ove si parla di “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. In tal senso la mediazione giova all’individuo e alla collettività, perché l’uno e l’altra tornano a vivere serenamente la loro integralità e integrità, l’individuo torna ad essere “ciò che non si può dividere e quindi ha una sua personalità e un’esistenza tutta sua speciale” e la collettività “più persone raccolte insieme a un fine comune”. È altresì meditazione (che etimologicamente ha la stessa origine di “medico”) nel senso di “riflettere, misurare con la mente, volgere nell’animo”, attitudini che la conflittualità invece fa perdere o diminuire. In tal modo la persona liberata dal freno e dal condizionamento della conflittualità può nuovamente “manifestare liberamente il proprio pensiero” (art. 21 comma 1 Cost.). In particolare la mediazione così intesa produrrebbe gli stessi effetti della cosiddetta “meditazione compassionevole” e della “meditazione da attenzione consapevole”, pratiche che giovano alla salute mentale (specificatamente all’amigdala, la ghiandola deputata alle emozioni) e all’empatia nei confronti dell’altro, come rilevato in ricerche statunitensi. È un mestiere (dal latino “ministerium”, servizio, ufficio) che rispecchia in pieno la definizione data nell’art. 4 comma 2 della nostra Costituzione: “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Non solo, è un mestiere perché occorrono certe qualità e padronanza dei propri conflitti per “pre-occuparsi” di quelli altrui, per questo si parla di “arte di mediare i conflitti”. L’attività mediativa, pertanto, contribuisce non solo a ridurre i costi economici e sociali dei conflitti ma anche alla spiritualità della persona perché la mette in contatto con i suoi “tasti dolenti” o conflitti interiori favorendo lo svolgimento della sua personalità nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.). La mediazione serve a riconquistare la mediocrità della vita, in senso filosofico (Orazio: “Auream mediocritatem diligere”). La mediazione è una metamorfosi della relazione conflittuale la cui meta è la mediazione stessa. Il mediatore, traghettatore del conflitto, attraverso l’alfabetizzazione al conflitto, fa in modo che i confliggenti sappiano “so-stare nel conflitto” (dalla denominazione di progetti e percorsi formativi), sappiano “star bene assieme anche nei conflitti”. La funzione della mediazione è come quella del mediano nel calcio, di filtro o di costruzione del gioco; i confliggenti sono i veri protagonisti che si mettono in gioco e si riappropriano del loro ruolo nella vita, in quel percorso che è definito di self empowerment. La funzione mediativa può essere assimilata anche a quella del metronomo o della metrica, cioè ristabilire i giusti tempi e le giuste modalità della comunicazione rimuovendo le menzogne, le meschinità e la mestizia  nella relazione per far sì che torni ad essere come una melodia (successione di suoni differenti aventi fra loro un’organica relazione espressiva), in altre parole passare dalle diversità inconciliabili alle differenze osmotiche. Può essere anche accostata ad una mensa attorno alla quale ci si mette per “misurare”, “costruire” (dal significato etimologico di “mensa”) nuove modalità relazionali. Un’altra immagine che le si addice è quella del Mediterraneo che è stato crocevia di battaglie e conquiste, di popoli e culture e quindi culla della mediazione.

Dia: il prefisso di origine greca “dia-” significa “mediante, attraverso”, infatti la mediazione è un mezzo, un ponte (immagine solitamente usata per rappresentare la mediazione), un intervento (dal latino “inter”, in mezzo e “venire”, venire) grazie al quale dalla diatriba (che deriva da “consumare, logorare”) le persone passano al dialogo (due persone che parlano) e alla dialogica (due persone che ragionano); tornano a parlare il loro dialetto (da “parlare attraverso”), “lingua del cuore” che va oltre l’applicazione della legge, che rappresenta la “lingua della mente”. Anche secondo l’architetto Gaetana (detta Gae) Aulenti, che è stata soprattutto maestra di vita e di pensiero, contraria ad ogni sorta di muro e favorevole ad ogni forma di mediazione, “solo dialogando si vive meglio con i muri”. La mediazione è un’arte dialettica (variamente definita “arte di litigare bene”, “arte di ascoltare”, in inglese “art of listering”) che consente alle persone di filtrare il conflitto (non inteso come singolo contrasto ma come stato conflittuale) nella diacronia, in modo da decomporre gli episodi nello scorrere del tempo e ricomporre il puzzle della propria vita per il tempo avvenire riacquistando la progettualità. Intesa come pratica di vita, la mediazione è una diaria, un’indennità da pagare ogni giorno perché tutta la società è basata sulla mediazione, andarsi incontro lungo la stessa strada, “dimorare con, vivere con, avere dimestichezza con uno” (dal significato etimologico di “conversare”), da non confondere con il compromesso che comporta lo scendere a livelli sempre più infimi. La mediazione attraverso il diario di bordo e delle sedute aiuta le persone a elaborare una diagnosi delle situazioni e delle relazioni. In tal modo dalla diaspora delle emozioni e delle opposizioni passano alla diade di posizioni che non è “aut aut” ma “et et”.

Zio: “-zione” è il suffisso che indica tanto l’azione quanto l’effetto. Mediazione, infatti, è tanto l’intervento quanto il risultato. Letteralmente mediare significa stare in mezzo e tra due persone ciò che sta in mezzo è il confine (dal latino “cum”, insieme e “finis”, fine, termine). Mentre la conflittualità fa sconfinare dalla propria sfera e lacerare anche quella altrui, con la mediazione si pone fine alla conflittualità e i “confliggenti” divengono “confinanti” (letteralmente “che hanno rapporti con”, “simili”, “affini”), ognuno col proprio “confine psicologico”, capacità di riappropriarsi della propria identità e di dire sì o no in maniera appropriata.

Ne: solitamente si parla di neutralità dell’operatore, ma essendo impossibile una neutralità assoluta quella che si richiede è soprattutto la neutralità empatica (Daniele Novara), la capacità di restare fuori dal conflitto, senza rispecchiarsi o far riemergere propri conflitti. La mediazione non è negazione del conflitto ma sua neutralizzazione, le persone imparano a distaccarsi dal conflitto, a ridimensionarlo, a vederlo nella sua oggettività. Non è un’attività di negoziazione ma di neofilia, ovvero superando la nevrotizzazione o la necrosi dei rapporti (contraria ai doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.) le persone sono aiutate a vedere le cose in modo nuovo, a vivere le relazioni in modo nuovo, ad affrontare le situazioni in modo nuovo, soprattutto a considerare l’altro, seppure confliggente, non come nemico ma come persona altra con una sua alterità e alienità. La mediazione è filosoficamente una necessità come si ricava anche dalla nostra Costituzione il cui iperonimo è proprio la mediazione, perché essa stessa è nata da una mediazione politica e per la sua formulazione, per esempio si vedano i concetti di “democrazia” e di “sovranità popolare” nell’art. 1 e l’art. 11 che pone le basi della mediazione internazionale.

In tal modo si può auspicare che dalla cultura della mediazione si passi alla civiltà della mediazione.