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Concezioni del potere di riesame e tutela del legittimo affidamento

Un aspetto centrale del rapporto tra procedimenti di secondo grado e tutela del legittimo affidamento è rappresentato dal fondamento del potere di riesame. Invero, si tratta di un tema pregno di notevoli implicazioni teoriche nel diritto amministrativo, ma che non è stato particolarmente trattato dalla dottrina, la quale si è concentrata piuttosto sui limiti alla ritirabilità, in considerazione delle conseguenze del ritiro sulle situazioni giuridiche soggettive originate dal provvedimento ritirando.

Delle due principali figure di riesame, la questione del fondamento e dei limiti del potere dell'amministrazione di eliminare o mutare i propri atti è stata riferita dalla dottrina quasi esclusivamente alla figura della revoca, mentre la discussione ha solo sfiorato l'annullamento d'ufficio, in ragione di argomentazioni che ribadiscono o riecheggiano la tesi, espressa tra i primi da Cammeo, secondo cui l'illegittimità dell'atto amministrativo è di ostacolo alla nascita di diritti.

Ora, anche se non mancano posizioni che diversificano il fondamento del potere di riesame a seconda del tipo di riesame (nel senso che solo l'annullamento d'ufficio – a differenza della revoca – costituisca espressione di un privilegio, riconducibile all'indistinzione delle funzioni pubbliche che caratterizzava lo Stato assoluto, nel quale l'amministrazione poteva farsi giustizia da sé, cfr. B.G. MATTARELLA, “L'imperatività del provvedimento amministrativo. Saggio critico”, Padova, 2000, pp. 414 ss.), la dottrina tende in genere a considerare unitariamente la questione in relazione all'insieme dei provvedimenti di secondo grado.

Secondo l'opinione tradizionale – generalmente riconosciuta come prevalente – il potere di riesame è una manifestazione di autotutela, intesa quest'ultima nel senso di ragion fattasi, e quindi come privilegio, espressione di una potestà rimediale o paragiurisdizionale autonoma rispetto al potere in base al quale è stato emanato il provvedimento di primo grado (per tale tesi cfr., fra i tanti, F. BENVENUTI, voce “Autotutela (dir. amm.)”, in “Enc. dir.”, vol. V, Milano, 1959, pp. 537 ss., p. 541; F. CAMMEO, “Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa”, vol. I, “Ricorsi amministrativi, giudice ordinario”, Milano, s.d. (ma 1910), pp. 450 ss.; E. CANNADA-BARTOLI, voce “Annullabilità e annullamento”, in “Enc. dir.”, vol. II, Milano, 1958, pp. 484 ss., p. 486; G. CODACCI-PISANELLI, “L'annullamento degli atti amministrativi”, Milano, 1939, p. 108; S. FANTINI, “Art. 21-quinquies, l. n. 241/1990”, in A. Bartolini-S. Fantini-G. Ferrari (a cura di), “Codice dell'azione amministrativa e delle responsabilità”, Roma, 2010, pp. 558 ss., p. 560; V. CERULLI IRELLI, “Lineamenti di diritto amministrativo”, Torino, 2006, pp. 488 ss.; M.S. GIANNINI, “Diritto amministrativo”, Milano, 3a ed., Milano, vol. II, 1993, p. 552; M. NIGRO, “Questioni di giurisdizione in tema di legittimità di atti amministrativi di annullamento «ex officio» (1952)”, ora in “Scritti giuridici”, Milano, 1996, t. I, pp. 147 ss., p. 156, nt. 24; P. SALVATORE, voce “Revoca degli atti”, III) “Revoca degli atti amministrativi”, in “Enc. giur.”, vol. XXVII, Roma, 1991, p. 1; G. ZANOBINI, “Corso di diritto amministrativo”, 7a ed., Milano, 1954, vol. I, p. 320).

Riconducendo la revocabilità degli atti amministrativi al loro carattere autoritativo, questa concezione muove in generale dal loro accostamento alle sentenze. Quale manifestazione del potere dell'amministrazione di “farsi giustizia da se”, i provvedimenti di riesame sono quindi un residuo della funzione giurisdizionale attribuita un tempo alla pubblica amministrazione, perché ciò che qualifica questi atti è la loro natura materialmente giurisdizionale e cioè la loro natura a soddisfare in caso di conflitto l'interesse del loro autore attraverso l'assicurazione dei risultati perseguiti dai suoi atti o garantiti dalle norme che lo riguardano.

In sostanza, la pubblica amministrazione, seppure giuridicamente si avvale dell'autotutela per il perseguimento primario dei suoi fini particolari e pertanto con atti che sono esercizio di funzione sostanzialmente esecutiva e non giurisdizionale, tuttavia, tenendo conto che in essi, sia pure con finalità strumentali, la attuazione delle norme giuridiche nel caso concreto assume un profilo di particolare obbiettività (e che esiste la tendenza a fare dell'Amministrazione, in questa veste, sempre più «organo di giustizia»), sembra giustificato sia dire che le decisioni sono esercizio di una funzione materiale giurisdizionale, sia fare ad esse un posto a parte nella considerazione dei provvedimenti amministrativi.

In definitiva, l'idea di partenza è che il potere di riesame sia espressione di un privilegio pubblicistico, retaggio degli Stati assoluti, perché, mentre in linea generale, e salvo casi eccezionali, i privati hanno l'onere di ricorrere al giudice per risolvere le controversie e affermare i loro diritti, viceversa la pubblica amministrazione, per la particolare rilevanza dell'interesse pubblico, e per l'imparzialità che la caratterizza, nonché per la necessità di speditezza dell'azione amministrativa, può, per così dire, farsi giustizia da sé, e risolvere tutte le controversie attuali e potenziali che derivano dai suoi provvedimenti o dalle sue pretese, senza necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria.

In realtà, il tratto forse più caratterizzante di tale orientamento – ancor più che la convinzione circa la natura di privilegio tradizionale dell'amministrazione degli istituti di autotutela – è l'eterogeneità dei poteri e degli interessi posti a base dei provvedimenti di primo e secondo grado. In quest'ottica, i procedimenti di secondo grado sono concepiti come manifestazione di potestà generali che l'amministrazione possiede per dare ordine alla proprie attività, ossia di potestà che non sono volte alla cura di questo o quell'interesse pubblico positivo, bensì alla cura di quell'interesse di ambito generale, che l'amministrazione ha in ordine ad un corretto, ordinato e pertinente svolgimento della propria attività. È, anzi, proprio sulla diversità degli interessi perseguiti con i provvedimenti di primo e secondo grado che abitualmente si fa leva per supportare concettualmente l'assunto condiviso.

Mentre il potere estrinsecatosi nell'atto di primo grado rinverrebbe il suo motivo di manifestazione, la sua causa se si vuole, nei fini di rilievo collettivo specificamente indicati dalla norma attributiva, il potere che genera l'atto di secondo grado viceversa si spiegherebbe in virtù della sua preordinazione strumentale al soddisfacimento di un interesse in definitiva diverso e proprio dell'Amministrazione, ed individuabile in sostanza nell'opportunità che siano mantenute in vita decisioni non rispondenti alle esigenze dell'agire amministrativo quali discrezionalmente apprezzate dall'autorità procedente.

Talora le posizioni sono più sfumate, ammettendosi la diversità dei poteri ma l'identità degli interessi perseguiti dai provvedimenti di primo e secondo grado (cfr. R. ALESSI, voce “Revoca (dir. amm.)”, in “Noviss. dig. it.”, vol. XV, Torino, 1976, pp. 802 ss., pp. 804 ss.), o ritenendo che l'annullamento d'ufficio sia insieme funzione mista di amministrazione attiva e di controllo (cfr. G. MIELE, “In tema di annullamento d’ufficio di atti amministrativi illegittimi”, in “Giur. comp. Cass. civ.”, 1947, pt. I, pp. 1132 ss.), o ancora riconoscendo che il potere di annullamento d'ufficio sia un privilegio della pubblica amministrazione ma senza pregiudicare la risoluzione dell'altro e diverso problema se il fondamento del potere di annullare sia lo stesso di quello che ha giustificato l'adozione del provvedimento annullando (cfr. M. ALÌ, “Osservazioni sull’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi”, in “Riv. trim. dir. pubbl.”, 1966, pp. 527 ss., p. 529 e G. PERICU, “Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa”, pt. II, Milano, 1971, p. 289, nt. 276).

Secondo un'altra opinione, invece, il riesame è istituto di amministrazione attiva, espressione dello stesso potere esercitato con l'adozione dell'atto riesaminando e che non si esaurisce con questo ma gli sopravvive (per tale tesi cfr., fra i tanti, R. ALESSI, “Sistema istituzionale del diritto amministrativo italiano”, 3a ed., Milano, 1960, p. 389; M. ALÌ, “Annullamento d'ufficio, analogo procedimento e principi costituzionali”, in “Foro amm.”, 1966, pp. 152 ss., pp. 154 ss.; F. BELLOMO, “Manuale di diritto amministrativo”, vol. II, Attività, Padova, 2009, p. 852; A. CONTIERI, “Il riesame del provvedimento amministrativo alla luce della legge n. 15 del 2005. Prime riflessioni”, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), “La nuova disciplina dell'attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento”, Torino, 2005, pp. 215 ss., pp. 217 ss.; G. CORAGGIO, voce “Autotutela”, in “Enc. giur.”, Roma, 1988, vol. IV, pp. 4 s.; G. CORSO, “Manuale di diritto amministrativo”, 5a ed., Milano, 2010, pp. 285 ss.; M. D'ARIENZO, “Limiti all'esercizio del potere di autotutela sul consenso prestato in sede di conferenza di servizi”, in “GiustAmm.it”, n. 11/2009, par. 2; G. GALLI, “Diritto amministrativo”, 5a ed., Padova, 2011, vol. II, pp. 1199 e 1204 ss.; G. GHETTI, “Brevi note intorno alla revoca dell'atto amministrativo”, in AA.VV., “Scritti in memoria di Aldo Piras”, Milano, 1996, pp. 302 ss., p. 308; M. IMMORDINO, “Articolo 21-quinquies: revoca del provvedimento”, in N. PAOLANTONI-A. POLICE-A. ZITO (a cura di), “La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005”, Torino, 2005, pp. 485 ss., pp. 487 s.; G. LIGUGNANA, “Profili evolutivi dell'autotutela amministrativa”, Padova, 2004, pp. 116 ss.; MATTARELLA, “L'imperatività”, cit., p. 417; F. MERUSI, “Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “Trenta” all'“Alternanza””, Milano, 2001, p. 142; M. MIRABELLA, “L'invalidità degli atti amministrativi”, in M. Mirabella-M. Di Stefano-A. Altieri, “Corso di diritto amministrativo”, Milano, 2009, pp. 395 ss., p. 417; A. PAPARELLA, voce “Revoca (dir. amm.)”, in “Enc. dir.”, vol. XL, Milano, 1989, pp. 204 ss., pp. 212 s.; M. PROTTO, “Il rapporto amministrativo”, Milano, 2008, p. 260; M. RAGAZZO, “L'autotutela amministrativa. Principi operativi ed ambiti applicativi”, Milano, 2006, p. 48; S. ROMANO, voce “Annullamento degli atti amministrativi” (agg. da G. MIELE), in “Noviss. dig. it.”, Torino, 1957, vol. I, pp. 642 ss.; G. ROSSI, “Diritto amministrativo. I principi”, Milano, 2005, pp. 370 ss.; A. SANDULLI, “Manuale di diritto amministrativo”, 14a ed., Napoli, 1989, p. 720; D. SORACE, “Diritto delle amministrazioni pubbliche”, 3a ed., Bologna, 2005, pp. 259 ss.; D. SORACE-C. MARZUOLI, voce “Concessioni amministrative”, in “Dig. disc. pubbl.”, vol. III, Torino, 1989, pp. 280 ss., p. 296; R. VILLATA, “L'atto amministrativo”, in L. Mazzarolli-G. Pericu-A. Romano-F.A. Roversi Monaco-F.G. Scoca (a cura di), “Diritto amministrativo”, 4a ed., Bologna, 2005, vol. II, pp. 767 ss., p. 869).

In sostanza, nel nostro ordinamento, a differenza che nell'esperienza di altri paesi (ad es. Francia), l'autotutela non costituisce una specie di giustizia domestica ritenuta dall'amministrazione in parallelo all'annullamento giurisdizionale, ma rappresenta l'esercizio di una tipica funzione amministrativa volta alla tutela di specifici interessi pubblici in relazione alla situazione concreta. L'identità di natura tra i due poteri esercitati in primo e in secondo grado deriva dall'identità degli interessi perseguiti da entrambi, per cui si respinge l'idea che nell'annullamento d'ufficio – diversamente che nella revoca – l'interesse pubblico non sia configurabile in positivo ma solo in negativo, come «ciò che residua al negativo esperimento di un'indagine diretta a porre in rilievo interessi con esso contrastanti» (S. STAMMATI, “La revoca degli atti amministrativi. Struttura e limiti: linee dell'evoluzione, con una parentesi sull'annullamento d'ufficio”, in AA.VV., “Studi in memoria di Vittorio Bachelet”, Milano, 1987, vol. II, pp. 597 ss., p. 610).

Al contrario, esso «presenta una sua dimensione positiva, quella, appunto dell'interesse pubblico perseguito con il provvedimento originario» (LIGUGNANA, op. cit., p. 89, nt. 116). Accogliendo tale tesi, poi, il problema della compatibilità con il principio di legalità del potere di riesame non si pone, dato che esso costituisce un'espressione temporalmente successiva dell'originario potere di provvedere, che include in sé anche il potere di provvedere nuovamente, in un momento posteriore, sul medesimo oggetto. Poiché, dunque, è la norma attributiva del potere di emanazione del provvedimento originario che conferisce implicitamente il potere di ritornare sullo stesso, anche il principio di legalità risulta rispettato.

In effetti, una delle principali preoccupazioni alla base della tesi dell'amministrazione attiva è proprio la necessità di evitare un contrasto insanabile tra riesame e principio di legalità. Il problema del rapporto con il principio di legalità è presente anche nel primo orientamento, ma viene risolto facendo riferimento agli aspetti funzionali dei poteri di autotutela, perché essi non mirano «alla restaurazione obiettiva dell'ordine giuridico violato» ma «a soddisfare un interesse concreto e immediato dell'amministrazione» (BENVENUTI, voce “Autotutela (dir. amm.)”, cit., p. 544).

A suffragio della prima tesi sono stati addotti il fatto che l'emanazione del provvedimento di secondo grado spetta all'organo che risulta competente all'adozione del provvedimento sui cui effetti si vuole intervenire indipendentemente dalla circostanza che l'atto sia stato adottato da tale organo, per cui, in caso di spostamento della rispettiva competenza ad altro organo, anche la competenza ad adottare il provvedimento di secondo grado si trasferisce; o la circostanza che gli atti di autotutela possono essere adottati anche dall'organo gerarchicamente superiore a quello che ha adottato il provvedimento di primo grado, la cui competenza include quella del primo.

Per l'opposta tesi si fanno valere esigenze di ordinato svolgimento della funzione amministrativa, perché il potere di provvedere in via esclusiva su determinati affari comprende necessariamente e coerentemente anche quello dell'adozione del contrarius actus, come misura di salvaguarda della riserva di competenza. Infatti, qualora codesto potere fosse esercitato da organo diverso sarebbe quest'ultimo e non l'organo di competenza primaria ad avere l'effettiva disponibilità della materia, venendosi a creare nel tempo stesso una concorrenza di poteri che sarebbe foriera soltanto di disordine amministrativo.

Oltre a ciò, a favore di essa sembrerebbero deporre anche le modifiche apportate dalla l. n. 80 del 2005 alla l. n. 241 del 1990, non modificate sotto questo aspetto dal d.lgs. n. 69 del 2009. Se, da un lato, infatti, nell'art. 19, 3° co., relativo alla dichiarazione di inizio attività, è stata inserita la previsione secondo cui «è fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies», dall'altro, nell'art. 20, 3° co., relativo al silenzio-assenso, è stata inserita la previsione secondo cui «nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Tanto per la revoca quanto per l'annullamento d'ufficio, quindi, il legislatore sembrerebbe aderire a quella concezione che configura l'autotutela non come il residuo storico di un privilegio dell'amministrazione ma come un potere normativamente attribuito e strettamente connesso a quello di amministrazione attiva.

Peraltro, di tale inciso è possibile anche un'interpretazione meno “ideologizzante”, nel senso che, lungi dal comportare un qualche riconoscimento del fondamento del potere di riesame, con il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies nell’art. 19 il legislatore non avrebbe fatto altro che adeguarsi al lessico corrente che riconduce l’annullamento e la revoca alla c.d. autotutela. Del resto, la giurisprudenza ha escluso che con essa il legislatore abbia inteso prendere posizione a favore del fondamento del potere di riesame (Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2009, n. 717, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

Anche l'art. 21-quinquies, nel qualificare l'effetto della revoca come determinazione dell'inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti, è parso confermare la ricostruzione per la quale la revoca consisterebbe in un mero effetto abrogativo derivante da una rimanifestazione dello stesso potere esercitato in primo grado.

Il fatto poi che la revoca e l'annullamento d'ufficio siano stati codificati è ritenuto un motivo che rende ormai inutile qualunque ricorso al concetto di autotutela per giustificarne pienamente la conformità con lo Stato di diritto e il principio di legalità. Anche sul punto, però, non è detto che l'introduzione degli artt. 21-quinquies e 21-nonies abbia tanto il significato di ancoraggio del potere di autotutela ad un fondamento normativo, quanto quello di ricondurre ai principi generali dell'azione amministrativa sanciti dall'art. 1 della l. n. 241 del 1990 i poteri di autotutela e le disposizioni in esame, senza necessità di riconoscere ad esse alcun rilievo autonomo e fondativo. Del resto, la portata tanto dell'art. 21-quinquies quanto dell'art. 21-nonies è limitata all'autotutela relativa a provvedimenti amministrativi, mentre la necessità di un fondamento normativo riemerge negli altri casi, in quanto la Cassazione esclude che la pubblica amministrazione possa invocare un siffatto potere nei rapporti contrattuali, in assenza di una normativa ad hoc.

Un aspetto centrale del rapporto tra procedimenti di secondo grado e tutela del legittimo affidamento è rappresentato dal fondamento del potere di riesame. Invero, si tratta di un tema pregno di notevoli implicazioni teoriche nel diritto amministrativo, ma che non è stato particolarmente trattato dalla dottrina, la quale si è concentrata piuttosto sui limiti alla ritirabilità, in considerazione delle conseguenze del ritiro sulle situazioni giuridiche soggettive originate dal provvedimento ritirando.

Delle due principali figure di riesame, la questione del fondamento e dei limiti del potere dell'amministrazione di eliminare o mutare i propri atti è stata riferita dalla dottrina quasi esclusivamente alla figura della revoca, mentre la discussione ha solo sfiorato l'annullamento d'ufficio, in ragione di argomentazioni che ribadiscono o riecheggiano la tesi, espressa tra i primi da Cammeo, secondo cui l'illegittimità dell'atto amministrativo è di ostacolo alla nascita di diritti.

Ora, anche se non mancano posizioni che diversificano il fondamento del potere di riesame a seconda del tipo di riesame (nel senso che solo l'annullamento d'ufficio – a differenza della revoca – costituisca espressione di un privilegio, riconducibile all'indistinzione delle funzioni pubbliche che caratterizzava lo Stato assoluto, nel quale l'amministrazione poteva farsi giustizia da sé, cfr. B.G. MATTARELLA, “L'imperatività del provvedimento amministrativo. Saggio critico”, Padova, 2000, pp. 414 ss.), la dottrina tende in genere a considerare unitariamente la questione in relazione all'insieme dei provvedimenti di secondo grado.

Secondo l'opinione tradizionale – generalmente riconosciuta come prevalente – il potere di riesame è una manifestazione di autotutela, intesa quest'ultima nel senso di ragion fattasi, e quindi come privilegio, espressione di una potestà rimediale o paragiurisdizionale autonoma rispetto al potere in base al quale è stato emanato il provvedimento di primo grado (per tale tesi cfr., fra i tanti, F. BENVENUTI, voce “Autotutela (dir. amm.)”, in “Enc. dir.”, vol. V, Milano, 1959, pp. 537 ss., p. 541; F. CAMMEO, “Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa”, vol. I, “Ricorsi amministrativi, giudice ordinario”, Milano, s.d. (ma 1910), pp. 450 ss.; E. CANNADA-BARTOLI, voce “Annullabilità e annullamento”, in “Enc. dir.”, vol. II, Milano, 1958, pp. 484 ss., p. 486; G. CODACCI-PISANELLI, “L'annullamento degli atti amministrativi”, Milano, 1939, p. 108; S. FANTINI, “Art. 21-quinquies, l. n. 241/1990”, in A. Bartolini-S. Fantini-G. Ferrari (a cura di), “Codice dell'azione amministrativa e delle responsabilità”, Roma, 2010, pp. 558 ss., p. 560; V. CERULLI IRELLI, “Lineamenti di diritto amministrativo”, Torino, 2006, pp. 488 ss.; M.S. GIANNINI, “Diritto amministrativo”, Milano, 3a ed., Milano, vol. II, 1993, p. 552; M. NIGRO, “Questioni di giurisdizione in tema di legittimità di atti amministrativi di annullamento «ex officio» (1952)”, ora in “Scritti giuridici”, Milano, 1996, t. I, pp. 147 ss., p. 156, nt. 24; P. SALVATORE, voce “Revoca degli atti”, III) “Revoca degli atti amministrativi”, in “Enc. giur.”, vol. XXVII, Roma, 1991, p. 1; G. ZANOBINI, “Corso di diritto amministrativo”, 7a ed., Milano, 1954, vol. I, p. 320).

Riconducendo la revocabilità degli atti amministrativi al loro carattere autoritativo, questa concezione muove in generale dal loro accostamento alle sentenze. Quale manifestazione del potere dell'amministrazione di “farsi giustizia da se”, i provvedimenti di riesame sono quindi un residuo della funzione giurisdizionale attribuita un tempo alla pubblica amministrazione, perché ciò che qualifica questi atti è la loro natura materialmente giurisdizionale e cioè la loro natura a soddisfare in caso di conflitto l'interesse del loro autore attraverso l'assicurazione dei risultati perseguiti dai suoi atti o garantiti dalle norme che lo riguardano.

In sostanza, la pubblica amministrazione, seppure giuridicamente si avvale dell'autotutela per il perseguimento primario dei suoi fini particolari e pertanto con atti che sono esercizio di funzione sostanzialmente esecutiva e non giurisdizionale, tuttavia, tenendo conto che in essi, sia pure con finalità strumentali, la attuazione delle norme giuridiche nel caso concreto assume un profilo di particolare obbiettività (e che esiste la tendenza a fare dell'Amministrazione, in questa veste, sempre più «organo di giustizia»), sembra giustificato sia dire che le decisioni sono esercizio di una funzione materiale giurisdizionale, sia fare ad esse un posto a parte nella considerazione dei provvedimenti amministrativi.

In definitiva, l'idea di partenza è che il potere di riesame sia espressione di un privilegio pubblicistico, retaggio degli Stati assoluti, perché, mentre in linea generale, e salvo casi eccezionali, i privati hanno l'onere di ricorrere al giudice per risolvere le controversie e affermare i loro diritti, viceversa la pubblica amministrazione, per la particolare rilevanza dell'interesse pubblico, e per l'imparzialità che la caratterizza, nonché per la necessità di speditezza dell'azione amministrativa, può, per così dire, farsi giustizia da sé, e risolvere tutte le controversie attuali e potenziali che derivano dai suoi provvedimenti o dalle sue pretese, senza necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria.

In realtà, il tratto forse più caratterizzante di tale orientamento – ancor più che la convinzione circa la natura di privilegio tradizionale dell'amministrazione degli istituti di autotutela – è l'eterogeneità dei poteri e degli interessi posti a base dei provvedimenti di primo e secondo grado. In quest'ottica, i procedimenti di secondo grado sono concepiti come manifestazione di potestà generali che l'amministrazione possiede per dare ordine alla proprie attività, ossia di potestà che non sono volte alla cura di questo o quell'interesse pubblico positivo, bensì alla cura di quell'interesse di ambito generale, che l'amministrazione ha in ordine ad un corretto, ordinato e pertinente svolgimento della propria attività. È, anzi, proprio sulla diversità degli interessi perseguiti con i provvedimenti di primo e secondo grado che abitualmente si fa leva per supportare concettualmente l'assunto condiviso.

Mentre il potere estrinsecatosi nell'atto di primo grado rinverrebbe il suo motivo di manifestazione, la sua causa se si vuole, nei fini di rilievo collettivo specificamente indicati dalla norma attributiva, il potere che genera l'atto di secondo grado viceversa si spiegherebbe in virtù della sua preordinazione strumentale al soddisfacimento di un interesse in definitiva diverso e proprio dell'Amministrazione, ed individuabile in sostanza nell'opportunità che siano mantenute in vita decisioni non rispondenti alle esigenze dell'agire amministrativo quali discrezionalmente apprezzate dall'autorità procedente.

Talora le posizioni sono più sfumate, ammettendosi la diversità dei poteri ma l'identità degli interessi perseguiti dai provvedimenti di primo e secondo grado (cfr. R. ALESSI, voce “Revoca (dir. amm.)”, in “Noviss. dig. it.”, vol. XV, Torino, 1976, pp. 802 ss., pp. 804 ss.), o ritenendo che l'annullamento d'ufficio sia insieme funzione mista di amministrazione attiva e di controllo (cfr. G. MIELE, “In tema di annullamento d’ufficio di atti amministrativi illegittimi”, in “Giur. comp. Cass. civ.”, 1947, pt. I, pp. 1132 ss.), o ancora riconoscendo che il potere di annullamento d'ufficio sia un privilegio della pubblica amministrazione ma senza pregiudicare la risoluzione dell'altro e diverso problema se il fondamento del potere di annullare sia lo stesso di quello che ha giustificato l'adozione del provvedimento annullando (cfr. M. ALÌ, “Osservazioni sull’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi”, in “Riv. trim. dir. pubbl.”, 1966, pp. 527 ss., p. 529 e G. PERICU, “Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa”, pt. II, Milano, 1971, p. 289, nt. 276).

Secondo un'altra opinione, invece, il riesame è istituto di amministrazione attiva, espressione dello stesso potere esercitato con l'adozione dell'atto riesaminando e che non si esaurisce con questo ma gli sopravvive (per tale tesi cfr., fra i tanti, R. ALESSI, “Sistema istituzionale del diritto amministrativo italiano”, 3a ed., Milano, 1960, p. 389; M. ALÌ, “Annullamento d'ufficio, analogo procedimento e principi costituzionali”, in “Foro amm.”, 1966, pp. 152 ss., pp. 154 ss.; F. BELLOMO, “Manuale di diritto amministrativo”, vol. II, Attività, Padova, 2009, p. 852; A. CONTIERI, “Il riesame del provvedimento amministrativo alla luce della legge n. 15 del 2005. Prime riflessioni”, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), “La nuova disciplina dell'attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento”, Torino, 2005, pp. 215 ss., pp. 217 ss.; G. CORAGGIO, voce “Autotutela”, in “Enc. giur.”, Roma, 1988, vol. IV, pp. 4 s.; G. CORSO, “Manuale di diritto amministrativo”, 5a ed., Milano, 2010, pp. 285 ss.; M. D'ARIENZO, “Limiti all'esercizio del potere di autotutela sul consenso prestato in sede di conferenza di servizi”, in “GiustAmm.it”, n. 11/2009, par. 2; G. GALLI, “Diritto amministrativo”, 5a ed., Padova, 2011, vol. II, pp. 1199 e 1204 ss.; G. GHETTI, “Brevi note intorno alla revoca dell'atto amministrativo”, in AA.VV., “Scritti in memoria di Aldo Piras”, Milano, 1996, pp. 302 ss., p. 308; M. IMMORDINO, “Articolo 21-quinquies: revoca del provvedimento”, in N. PAOLANTONI-A. POLICE-A. ZITO (a cura di), “La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005”, Torino, 2005, pp. 485 ss., pp. 487 s.; G. LIGUGNANA, “Profili evolutivi dell'autotutela amministrativa”, Padova, 2004, pp. 116 ss.; MATTARELLA, “L'imperatività”, cit., p. 417; F. MERUSI, “Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “Trenta” all'“Alternanza””, Milano, 2001, p. 142; M. MIRABELLA, “L'invalidità degli atti amministrativi”, in M. Mirabella-M. Di Stefano-A. Altieri, “Corso di diritto amministrativo”, Milano, 2009, pp. 395 ss., p. 417; A. PAPARELLA, voce “Revoca (dir. amm.)”, in “Enc. dir.”, vol. XL, Milano, 1989, pp. 204 ss., pp. 212 s.; M. PROTTO, “Il rapporto amministrativo”, Milano, 2008, p. 260; M. RAGAZZO, “L'autotutela amministrativa. Principi operativi ed ambiti applicativi”, Milano, 2006, p. 48; S. ROMANO, voce “Annullamento degli atti amministrativi” (agg. da G. MIELE), in “Noviss. dig. it.”, Torino, 1957, vol. I, pp. 642 ss.; G. ROSSI, “Diritto amministrativo. I principi”, Milano, 2005, pp. 370 ss.; A. SANDULLI, “Manuale di diritto amministrativo”, 14a ed., Napoli, 1989, p. 720; D. SORACE, “Diritto delle amministrazioni pubbliche”, 3a ed., Bologna, 2005, pp. 259 ss.; D. SORACE-C. MARZUOLI, voce “Concessioni amministrative”, in “Dig. disc. pubbl.”, vol. III, Torino, 1989, pp. 280 ss., p. 296; R. VILLATA, “L'atto amministrativo”, in L. Mazzarolli-G. Pericu-A. Romano-F.A. Roversi Monaco-F.G. Scoca (a cura di), “Diritto amministrativo”, 4a ed., Bologna, 2005, vol. II, pp. 767 ss., p. 869).

In sostanza, nel nostro ordinamento, a differenza che nell'esperienza di altri paesi (ad es. Francia), l'autotutela non costituisce una specie di giustizia domestica ritenuta dall'amministrazione in parallelo all'annullamento giurisdizionale, ma rappresenta l'esercizio di una tipica funzione amministrativa volta alla tutela di specifici interessi pubblici in relazione alla situazione concreta. L'identità di natura tra i due poteri esercitati in primo e in secondo grado deriva dall'identità degli interessi perseguiti da entrambi, per cui si respinge l'idea che nell'annullamento d'ufficio – diversamente che nella revoca – l'interesse pubblico non sia configurabile in positivo ma solo in negativo, come «ciò che residua al negativo esperimento di un'indagine diretta a porre in rilievo interessi con esso contrastanti» (S. STAMMATI, “La revoca degli atti amministrativi. Struttura e limiti: linee dell'evoluzione, con una parentesi sull'annullamento d'ufficio”, in AA.VV., “Studi in memoria di Vittorio Bachelet”, Milano, 1987, vol. II, pp. 597 ss., p. 610).

Al contrario, esso «presenta una sua dimensione positiva, quella, appunto dell'interesse pubblico perseguito con il provvedimento originario» (LIGUGNANA, op. cit., p. 89, nt. 116). Accogliendo tale tesi, poi, il problema della compatibilità con il principio di legalità del potere di riesame non si pone, dato che esso costituisce un'espressione temporalmente successiva dell'originario potere di provvedere, che include in sé anche il potere di provvedere nuovamente, in un momento posteriore, sul medesimo oggetto. Poiché, dunque, è la norma attributiva del potere di emanazione del provvedimento originario che conferisce implicitamente il potere di ritornare sullo stesso, anche il principio di legalità risulta rispettato.

In effetti, una delle principali preoccupazioni alla base della tesi dell'amministrazione attiva è proprio la necessità di evitare un contrasto insanabile tra riesame e principio di legalità. Il problema del rapporto con il principio di legalità è presente anche nel primo orientamento, ma viene risolto facendo riferimento agli aspetti funzionali dei poteri di autotutela, perché essi non mirano «alla restaurazione obiettiva dell'ordine giuridico violato» ma «a soddisfare un interesse concreto e immediato dell'amministrazione» (BENVENUTI, voce “Autotutela (dir. amm.)”, cit., p. 544).

A suffragio della prima tesi sono stati addotti il fatto che l'emanazione del provvedimento di secondo grado spetta all'organo che risulta competente all'adozione del provvedimento sui cui effetti si vuole intervenire indipendentemente dalla circostanza che l'atto sia stato adottato da tale organo, per cui, in caso di spostamento della rispettiva competenza ad altro organo, anche la competenza ad adottare il provvedimento di secondo grado si trasferisce; o la circostanza che gli atti di autotutela possono essere adottati anche dall'organo gerarchicamente superiore a quello che ha adottato il provvedimento di primo grado, la cui competenza include quella del primo.

Per l'opposta tesi si fanno valere esigenze di ordinato svolgimento della funzione amministrativa, perché il potere di provvedere in via esclusiva su determinati affari comprende necessariamente e coerentemente anche quello dell'adozione del contrarius actus, come misura di salvaguarda della riserva di competenza. Infatti, qualora codesto potere fosse esercitato da organo diverso sarebbe quest'ultimo e non l'organo di competenza primaria ad avere l'effettiva disponibilità della materia, venendosi a creare nel tempo stesso una concorrenza di poteri che sarebbe foriera soltanto di disordine amministrativo.

Oltre a ciò, a favore di essa sembrerebbero deporre anche le modifiche apportate dalla l. n. 80 del 2005 alla l. n. 241 del 1990, non modificate sotto questo aspetto dal d.lgs. n. 69 del 2009. Se, da un lato, infatti, nell'art. 19, 3° co., relativo alla dichiarazione di inizio attività, è stata inserita la previsione secondo cui «è fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies», dall'altro, nell'art. 20, 3° co., relativo al silenzio-assenso, è stata inserita la previsione secondo cui «nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Tanto per la revoca quanto per l'annullamento d'ufficio, quindi, il legislatore sembrerebbe aderire a quella concezione che configura l'autotutela non come il residuo storico di un privilegio dell'amministrazione ma come un potere normativamente attribuito e strettamente connesso a quello di amministrazione attiva.

Peraltro, di tale inciso è possibile anche un'interpretazione meno “ideologizzante”, nel senso che, lungi dal comportare un qualche riconoscimento del fondamento del potere di riesame, con il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies nell’art. 19 il legislatore non avrebbe fatto altro che adeguarsi al lessico corrente che riconduce l’annullamento e la revoca alla c.d. autotutela. Del resto, la giurisprudenza ha escluso che con essa il legislatore abbia inteso prendere posizione a favore del fondamento del potere di riesame (Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2009, n. 717, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

Anche l'art. 21-quinquies, nel qualificare l'effetto della revoca come determinazione dell'inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti, è parso confermare la ricostruzione per la quale la revoca consisterebbe in un mero effetto abrogativo derivante da una rimanifestazione dello stesso potere esercitato in primo grado.

Il fatto poi che la revoca e l'annullamento d'ufficio siano stati codificati è ritenuto un motivo che rende ormai inutile qualunque ricorso al concetto di autotutela per giustificarne pienamente la conformità con lo Stato di diritto e il principio di legalità. Anche sul punto, però, non è detto che l'introduzione degli artt. 21-quinquies e 21-nonies abbia tanto il significato di ancoraggio del potere di autotutela ad un fondamento normativo, quanto quello di ricondurre ai principi generali dell'azione amministrativa sanciti dall'art. 1 della l. n. 241 del 1990 i poteri di autotutela e le disposizioni in esame, senza necessità di riconoscere ad esse alcun rilievo autonomo e fondativo. Del resto, la portata tanto dell'art. 21-quinquies quanto dell'art. 21-nonies è limitata all'autotutela relativa a provvedimenti amministrativi, mentre la necessità di un fondamento normativo riemerge negli altri casi, in quanto la Cassazione esclude che la pubblica amministrazione possa invocare un siffatto potere nei rapporti contrattuali, in assenza di una normativa ad hoc.