x

x

Costrizione e induzione nella nuova legge anticorruzione: il recente dibattito giurisprudenziale

La modifica operata dal legislatore in tema di concussione con la legge 190 del 2012 ha prodotto lo “spacchettamento” tra le fattispecie di concussione per costrizione e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità.

La concussione per costrizione è disciplinata, come in passato, dall’articolo 317 del codice penale, mentre l’induzione è stata trasposta in un’apposita norma, quella dell’articolo 319-quater, rubricata “induzione indebita a dare o promettere utilità”.

Sulla differenziazione tra le due condotte nei recenti arresti della Corte di Cassazione sono state prospettate due differenti impostazioni.

La prima tesi (1) opera la distinzione tra le due fattispecie in base all’indagine sull’intensità della coartazione esercitata dal pubblico funzionario.

La seconda impostazione (2) invece, reinterpreta le nozioni di “induzione” e di “costrizione”, ritenendo che si versi in quest’ultimo caso nell’ipotesi in cui il privato sia vittima della minaccia di un male ingiusto da parte del funzionario pubblico.

La prima impostazione fa leva sul criterio della diversa intensità quantitativa della coazione, la quale si ricava dal diverso mezzo usato per la realizzazione dell’evento.

In particolare, secondo tale tesi, vi è concussione nel caso in cui il privato versi in stato di soggezione per effetto della condotta del pubblico funzionario e per tale motivo perda la propria libertà di scelta e la capacità di autodeterminarsi liberamente. Sicché, egli si determina a dare o promettere denaro o altra utilità in quanto costretto.

Nella concussione dunque, l’iniziativa del privato è più netta ed è finalizzata alla “coartazione psichica dell’altrui volontà, che pone l’interlocutore di fronte ad un aut-aut ed ha l’effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell’agente (voluit quia coactus)” (3).

L’induzione invece costituisce una blanda costrizione, che deriva da minacce implicite, ovvero meno gravi e rappresenta l’effetto di una “più tenue azione di pressione psichica sull’altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di “spingere” taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell’agente (coactus tamen voluit)” (4).

Al primo orientamento ha aderito la Cassazione nella pronuncia del 21 febbraio 2013, n. 8695, la quale sostiene che “l’unica differenza è nel mezzo usato per la realizzazione dell’evento, nel senso che la dazione o la promessa dell’indebito è nella «concussione» effetto del timore mediante l’esercizio della minaccia e, nella «induzione», invece, effetto delle forme più varie di attività persuasiva e di suggestione tacita e di atti ingannevoli” (5).

Tale impostazione è stata sottoposta a critiche, in quanto, secondo altra parte della giurisprudenza l’utilizzo del criterio distintivo tra costrizione e induzione che si fonda sul maggiore o minore grado di coartazione morale esporrebbe la norma a censura di illegittimità costituzionale per contrarietà con il principio di legalità, ed in specie di tassatività e determinatezza.

In particolare, un’altra parte della recente giurisprudenza di legittimità sostiene che il criterio del quale si discorre “ha creato in passato non poche difficoltà interpretative, talvolta tradottesi in una tendenza a dilatare la portata applicativa della previgente disposizione codicistica, che hanno portato la dottrina a dubitare della legittimità costituzionale di una norma apparentemente carente dei requisiti di tassatività nella descrizione della condotta” (6).

Proprio per superare le censure di illegittimità costituzionale che l’adesione a questa prima impostazione comporta, è stato prospettato un secondo orientamento, che si fonda sulla “qualità” di tale pressione: minaccia o no di un male ingiusto (7).

Il secondo filone interpretativo, al quale ha aderito altra parte dei giudici della Cassazione, nelle pronunce del 22 gennaio 2013, n. 3251 (Roscia), del 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori- Camilloni) e del 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi), ha fissato la linea di demarcazione sulla base dell’interpretazione dei termini “costringe” e “induce” contenuti nelle due disposizioni.

La Suprema Corte invero, è pervenuta all’elaborazione di una seconda tesi, che si fonda sull’indagine sul carattere ingiusto o meno del danno sulla base di un duplice argomento: letterale e sistematico.

Quanto al primo, la Cassazione ha evidenziato come “il verbo costringere è verbo descrittivo di un’azione e del suo effetto, mentre indurre connota soltanto l’effetto e non connota minimamente il modo in cui questo effetto venga raggiunto” (8).

All’argomento di carattere letterale, si affianca quello sistematico; la Corte cita infatti altri articoli del codice penale nei quali si fa riferimento all’induzione ed alla costrizione, ed in particolare, gli articoli 377-bis, 507, 558 e 612 del codice.

La Cassazione sostiene che il differente significato dei termini “costringere” e “indurre” può evincersi dal richiamo ad altre fattispecie di reato disciplinate dal codice penale.

In specie, quanto all’induzione il giudice di legittimità rileva che “nell’art. 377-bis l’induzione si ottiene “con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità”, nell’art. 507 l’induzione si realizza mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, nell’art. 558 l’induzione al matrimonio avviene attraverso l’inganno e via dicendo. Violenza o minaccia o propaganda o inganno sono modi alternativi e a volte incompatibili fra loro, ma tutti percorribili per ottenere il medesimo risultato” (9).

Per quello che concerne la costrizione invece, la Corte sostiene che il termine ha carattere descrittivo e deve ritenersi che si riferisca alla minaccia, che “nel linguaggio giuridico è la prospettazione di un danno ingiusto, come sancisce l’articolo 612 del codice penale”. Il verbo costringere infatti, “corrisponde al fatto di chi impiega violenza o minaccia fisica o morale o, in altri termini, usa violenza o minaccia per piegare qualcuno a un’azione non gradita”, ma, poiché l’uso della violenza fisica eccede in maniera vistosa i poteri dell’agente… non si adatta al fenomeno dell’abuso di qualità o poteri, corrispondendo invece alla condotta punita dal diverso reato di estorsione aggravata dalla qualità dell’agente (10).

A questi due argomenti si affianca la necessità di operare un’interpretazione costituzionalmente orientata, e cioè, occorre interpretare le norme preferendo l’opzione ermeneutica che le ponga al riparo da censure di illegittimità costituzionale, in specie sotto il profilo della violazione del principio di legalità.

Ove si volesse operare la distinzione tra le condotte di costrizione e induzione sulla base di una supposta diversa intensità quantitativa della coazione, si dovrebbe ritenere che “l’interprete sia abilitato a costruire una gerarchia tra le minacce al di là del loro valore legale di minaccia come annunzio di danno iniura datum, sicché in definitiva simile lettura sarebbe di per sé lesiva del principio di legalità conferendo all’interprete un potere paranormativo diretto a tipizzare un precetto indeterminato (11).

E’ necessario dunque, integrare il tradizionale criterio di distinzione, valorizzando un elemento obiettivo, che conferisca ai due concetti un maggiore tasso di determinatezza, poiché il criterio che fa leva sull’esistenza o meno di un margine di libera scelta in capo al privato, risulta “spiccatamente soggettivo” (12) e piuttosto evanescente.

Sicché la Cassazione in diverse pronunce mostra adesione alla diversa tesi che identifica il criterio discretivo tra le due fattispecie nel tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità.

Il privato è vittima di costrizione se il pubblico agente, “pur senza l’impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all’alternativa ‘secca’ di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto” (13); egli dunque si determina a dare o promettere per evitare il pregiudizio minacciato.

Tale ricostruzione ermeneutica interpreta il termine “costringe” ricomprendendovi la sola violenza morale, relativa (e non quella assoluta, che integrerebbe altra fattispecie di reato), che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, la quale per definizione “si manifesta attraverso la prospettazione di un danno ingiusto” (14).

Al contrario, il privato è indotto e dunque, è punibile quale coautore nel reato “se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di una omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito: egli dunque non è vittima ma compartecipe… perché egli è stato “allettato” a soddisfare quella pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale della sua decisione” (15).

Integra il reato di induzione indebita, di cui all’articolo 319-quater, la condotta del pubblico ufficiale che “prospetti conseguenze sfavorevoli dall’applicazione della legge per ricevere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. Si tratta, cioè e pur sempre, della prospettazione di un male, ma nella specie, questo non è ingiusto” (16).

Ciò spiega dunque il motivo per il quale il privato viene ritenuto meritevole di pena.

La seconda impostazione prospettata dalla Cassazione sembra rispolverare il criterio interpretativo utilizzato da una parte della giurisprudenza al fine di distinguere tra concussione e corruzione, consistente nell’indagine espletata sull’intenzione perseguita dal privato che si determina a dare o promettere al funzionario pubblico denaro o altra utilità. Secondo tale tesi nella concussione il privato certat de damno vitando e cioè, effettua la promessa o la dazione al solo fine di evitare un danno ingiusto; nella corruzione, viceversa, il privato certat de lucro captando, cioè si determina alla dazione al fine di conseguire un vantaggio anche non patrimoniale, che si sostanzi nell’incremento del proprio patrimonio, inteso in senso lato, o nella minor spesa.

Ebbene, tale criterio viene riproposto da una parte della giurisprudenza di legittimità al diverso fine di differenziare la condotta di costrizione, nella quale il privato certat de damno vitando, da quella di induzione, in cui l’indotto certat de lucro captando, e cioè persegue un vantaggio in una logica “quasi negoziale” (17).

Dalla preferenza accordata a tale seconda teoria deriva quale conseguenza che la concussione ambientale, ricondotta dai fautori della prima impostazione senz’altro ad una forma di blanda costrizione, e dunque, all’induzione, può essere ricondotta invece, nell’ambito della condotta di costrizione e dunque nell’ambito della concussione di cui al nuovo articolo 317 del codice penale, poiché “la minaccia ben può essere anche implicita e posta in essere in modo indiretto, purché venga prospettato un danno ingiusto e il contegno sia in grado di coartare la volontà del soggetto passivo” (18).

Non è escluso che a dirimere la questione possa in futuro intervenire una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite.

(1) Cassazione 21 febbraio 2013, n. 8695, Nardi (Rel. Carcano), con nota di VIGANO’, La Cassazione torna sulla distinzione tra concussione e induzione indebita, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Cassazione 8 aprile 2013, n. 16154, Pierri; Cassazione 21 aprile 2013, n. 17285, Baccaro.

(2) Cassazione 22 gennaio 2013, n. 3251, Roscia (Rel. Paternò), commentata da CISTERNA, Il pubblico ufficiale è responsabile di concussione se la vittima è “costretta” e non “indotta” a pagare. Nella nuova figura prevista dal legislatore disposta anche la punizione del privato, in Guida al diritto, 7, 2013; Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495, Gori- Camilloni (Rel. Serpico), con nota di VIGANO’, Concussione e induzione indebita: il discrimine sta nell’ingiustizia del male prospettato al privato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it ; LEO, Le prime decisioni della Cassazione sulla riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione: il reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.), in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794, Melfi (Rel. Aprile), con nota di GATTA, Ancora sui rapporti tra concussione e induzione indebita a dare i promettere utilità, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, AMATO, La differenza tra concussione e induzione indebita è nel vantaggio avuto dal destinatario della pretesa. Il privato anche se non in condizione paritaria resta libero di accedere alla domanda illecita, in Guida al diritto, 19, 2013.

(3) In Cass. 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi), nella quale la Corte, sottopone a critica il criterio distintivo che si fonda sul maggiore o minore grado di coartazione morale, mostrando adesione all’impostazione contraria.

(4) Ivi.

(5) In Cass. 21 febbraio 2013, n. 8695 (Nardi).

(6) In Cass. 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(7) AMATO, La differenza tra concussione e induzione indebita è nel vantaggio avuto dal destinatario della pretesa. Il privato anche se non in condizione paritaria resta libero di accedere alla domanda illecita, cit. 

(8) Cassazione, 22 gennaio 2013, n. 3251 (Roscia).

(9) Ivi.

(10) Ivi

(11) Ivi.

(12) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(13) Ivi.

(14) Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori).

(15) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(16) Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori).

(17) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(18) Ivi.

La modifica operata dal legislatore in tema di concussione con la legge 190 del 2012 ha prodotto lo “spacchettamento” tra le fattispecie di concussione per costrizione e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità.

La concussione per costrizione è disciplinata, come in passato, dall’articolo 317 del codice penale, mentre l’induzione è stata trasposta in un’apposita norma, quella dell’articolo 319-quater, rubricata “induzione indebita a dare o promettere utilità”.

Sulla differenziazione tra le due condotte nei recenti arresti della Corte di Cassazione sono state prospettate due differenti impostazioni.

La prima tesi (1) opera la distinzione tra le due fattispecie in base all’indagine sull’intensità della coartazione esercitata dal pubblico funzionario.

La seconda impostazione (2) invece, reinterpreta le nozioni di “induzione” e di “costrizione”, ritenendo che si versi in quest’ultimo caso nell’ipotesi in cui il privato sia vittima della minaccia di un male ingiusto da parte del funzionario pubblico.

La prima impostazione fa leva sul criterio della diversa intensità quantitativa della coazione, la quale si ricava dal diverso mezzo usato per la realizzazione dell’evento.

In particolare, secondo tale tesi, vi è concussione nel caso in cui il privato versi in stato di soggezione per effetto della condotta del pubblico funzionario e per tale motivo perda la propria libertà di scelta e la capacità di autodeterminarsi liberamente. Sicché, egli si determina a dare o promettere denaro o altra utilità in quanto costretto.

Nella concussione dunque, l’iniziativa del privato è più netta ed è finalizzata alla “coartazione psichica dell’altrui volontà, che pone l’interlocutore di fronte ad un aut-aut ed ha l’effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell’agente (voluit quia coactus)” (3).

L’induzione invece costituisce una blanda costrizione, che deriva da minacce implicite, ovvero meno gravi e rappresenta l’effetto di una “più tenue azione di pressione psichica sull’altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di “spingere” taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell’agente (coactus tamen voluit)” (4).

Al primo orientamento ha aderito la Cassazione nella pronuncia del 21 febbraio 2013, n. 8695, la quale sostiene che “l’unica differenza è nel mezzo usato per la realizzazione dell’evento, nel senso che la dazione o la promessa dell’indebito è nella «concussione» effetto del timore mediante l’esercizio della minaccia e, nella «induzione», invece, effetto delle forme più varie di attività persuasiva e di suggestione tacita e di atti ingannevoli” (5).

Tale impostazione è stata sottoposta a critiche, in quanto, secondo altra parte della giurisprudenza l’utilizzo del criterio distintivo tra costrizione e induzione che si fonda sul maggiore o minore grado di coartazione morale esporrebbe la norma a censura di illegittimità costituzionale per contrarietà con il principio di legalità, ed in specie di tassatività e determinatezza.

In particolare, un’altra parte della recente giurisprudenza di legittimità sostiene che il criterio del quale si discorre “ha creato in passato non poche difficoltà interpretative, talvolta tradottesi in una tendenza a dilatare la portata applicativa della previgente disposizione codicistica, che hanno portato la dottrina a dubitare della legittimità costituzionale di una norma apparentemente carente dei requisiti di tassatività nella descrizione della condotta” (6).

Proprio per superare le censure di illegittimità costituzionale che l’adesione a questa prima impostazione comporta, è stato prospettato un secondo orientamento, che si fonda sulla “qualità” di tale pressione: minaccia o no di un male ingiusto (7).

Il secondo filone interpretativo, al quale ha aderito altra parte dei giudici della Cassazione, nelle pronunce del 22 gennaio 2013, n. 3251 (Roscia), del 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori- Camilloni) e del 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi), ha fissato la linea di demarcazione sulla base dell’interpretazione dei termini “costringe” e “induce” contenuti nelle due disposizioni.

La Suprema Corte invero, è pervenuta all’elaborazione di una seconda tesi, che si fonda sull’indagine sul carattere ingiusto o meno del danno sulla base di un duplice argomento: letterale e sistematico.

Quanto al primo, la Cassazione ha evidenziato come “il verbo costringere è verbo descrittivo di un’azione e del suo effetto, mentre indurre connota soltanto l’effetto e non connota minimamente il modo in cui questo effetto venga raggiunto” (8).

All’argomento di carattere letterale, si affianca quello sistematico; la Corte cita infatti altri articoli del codice penale nei quali si fa riferimento all’induzione ed alla costrizione, ed in particolare, gli articoli 377-bis, 507, 558 e 612 del codice.

La Cassazione sostiene che il differente significato dei termini “costringere” e “indurre” può evincersi dal richiamo ad altre fattispecie di reato disciplinate dal codice penale.

In specie, quanto all’induzione il giudice di legittimità rileva che “nell’art. 377-bis l’induzione si ottiene “con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità”, nell’art. 507 l’induzione si realizza mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, nell’art. 558 l’induzione al matrimonio avviene attraverso l’inganno e via dicendo. Violenza o minaccia o propaganda o inganno sono modi alternativi e a volte incompatibili fra loro, ma tutti percorribili per ottenere il medesimo risultato” (9).

Per quello che concerne la costrizione invece, la Corte sostiene che il termine ha carattere descrittivo e deve ritenersi che si riferisca alla minaccia, che “nel linguaggio giuridico è la prospettazione di un danno ingiusto, come sancisce l’articolo 612 del codice penale”. Il verbo costringere infatti, “corrisponde al fatto di chi impiega violenza o minaccia fisica o morale o, in altri termini, usa violenza o minaccia per piegare qualcuno a un’azione non gradita”, ma, poiché l’uso della violenza fisica eccede in maniera vistosa i poteri dell’agente… non si adatta al fenomeno dell’abuso di qualità o poteri, corrispondendo invece alla condotta punita dal diverso reato di estorsione aggravata dalla qualità dell’agente (10).

A questi due argomenti si affianca la necessità di operare un’interpretazione costituzionalmente orientata, e cioè, occorre interpretare le norme preferendo l’opzione ermeneutica che le ponga al riparo da censure di illegittimità costituzionale, in specie sotto il profilo della violazione del principio di legalità.

Ove si volesse operare la distinzione tra le condotte di costrizione e induzione sulla base di una supposta diversa intensità quantitativa della coazione, si dovrebbe ritenere che “l’interprete sia abilitato a costruire una gerarchia tra le minacce al di là del loro valore legale di minaccia come annunzio di danno iniura datum, sicché in definitiva simile lettura sarebbe di per sé lesiva del principio di legalità conferendo all’interprete un potere paranormativo diretto a tipizzare un precetto indeterminato (11).

E’ necessario dunque, integrare il tradizionale criterio di distinzione, valorizzando un elemento obiettivo, che conferisca ai due concetti un maggiore tasso di determinatezza, poiché il criterio che fa leva sull’esistenza o meno di un margine di libera scelta in capo al privato, risulta “spiccatamente soggettivo” (12) e piuttosto evanescente.

Sicché la Cassazione in diverse pronunce mostra adesione alla diversa tesi che identifica il criterio discretivo tra le due fattispecie nel tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità.

Il privato è vittima di costrizione se il pubblico agente, “pur senza l’impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all’alternativa ‘secca’ di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto” (13); egli dunque si determina a dare o promettere per evitare il pregiudizio minacciato.

Tale ricostruzione ermeneutica interpreta il termine “costringe” ricomprendendovi la sola violenza morale, relativa (e non quella assoluta, che integrerebbe altra fattispecie di reato), che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, la quale per definizione “si manifesta attraverso la prospettazione di un danno ingiusto” (14).

Al contrario, il privato è indotto e dunque, è punibile quale coautore nel reato “se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di una omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito: egli dunque non è vittima ma compartecipe… perché egli è stato “allettato” a soddisfare quella pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale della sua decisione” (15).

Integra il reato di induzione indebita, di cui all’articolo 319-quater, la condotta del pubblico ufficiale che “prospetti conseguenze sfavorevoli dall’applicazione della legge per ricevere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. Si tratta, cioè e pur sempre, della prospettazione di un male, ma nella specie, questo non è ingiusto” (16).

Ciò spiega dunque il motivo per il quale il privato viene ritenuto meritevole di pena.

La seconda impostazione prospettata dalla Cassazione sembra rispolverare il criterio interpretativo utilizzato da una parte della giurisprudenza al fine di distinguere tra concussione e corruzione, consistente nell’indagine espletata sull’intenzione perseguita dal privato che si determina a dare o promettere al funzionario pubblico denaro o altra utilità. Secondo tale tesi nella concussione il privato certat de damno vitando e cioè, effettua la promessa o la dazione al solo fine di evitare un danno ingiusto; nella corruzione, viceversa, il privato certat de lucro captando, cioè si determina alla dazione al fine di conseguire un vantaggio anche non patrimoniale, che si sostanzi nell’incremento del proprio patrimonio, inteso in senso lato, o nella minor spesa.

Ebbene, tale criterio viene riproposto da una parte della giurisprudenza di legittimità al diverso fine di differenziare la condotta di costrizione, nella quale il privato certat de damno vitando, da quella di induzione, in cui l’indotto certat de lucro captando, e cioè persegue un vantaggio in una logica “quasi negoziale” (17).

Dalla preferenza accordata a tale seconda teoria deriva quale conseguenza che la concussione ambientale, ricondotta dai fautori della prima impostazione senz’altro ad una forma di blanda costrizione, e dunque, all’induzione, può essere ricondotta invece, nell’ambito della condotta di costrizione e dunque nell’ambito della concussione di cui al nuovo articolo 317 del codice penale, poiché “la minaccia ben può essere anche implicita e posta in essere in modo indiretto, purché venga prospettato un danno ingiusto e il contegno sia in grado di coartare la volontà del soggetto passivo” (18).

Non è escluso che a dirimere la questione possa in futuro intervenire una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite.

(1) Cassazione 21 febbraio 2013, n. 8695, Nardi (Rel. Carcano), con nota di VIGANO’, La Cassazione torna sulla distinzione tra concussione e induzione indebita, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Cassazione 8 aprile 2013, n. 16154, Pierri; Cassazione 21 aprile 2013, n. 17285, Baccaro.

(2) Cassazione 22 gennaio 2013, n. 3251, Roscia (Rel. Paternò), commentata da CISTERNA, Il pubblico ufficiale è responsabile di concussione se la vittima è “costretta” e non “indotta” a pagare. Nella nuova figura prevista dal legislatore disposta anche la punizione del privato, in Guida al diritto, 7, 2013; Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495, Gori- Camilloni (Rel. Serpico), con nota di VIGANO’, Concussione e induzione indebita: il discrimine sta nell’ingiustizia del male prospettato al privato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it ; LEO, Le prime decisioni della Cassazione sulla riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione: il reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.), in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794, Melfi (Rel. Aprile), con nota di GATTA, Ancora sui rapporti tra concussione e induzione indebita a dare i promettere utilità, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, AMATO, La differenza tra concussione e induzione indebita è nel vantaggio avuto dal destinatario della pretesa. Il privato anche se non in condizione paritaria resta libero di accedere alla domanda illecita, in Guida al diritto, 19, 2013.

(3) In Cass. 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi), nella quale la Corte, sottopone a critica il criterio distintivo che si fonda sul maggiore o minore grado di coartazione morale, mostrando adesione all’impostazione contraria.

(4) Ivi.

(5) In Cass. 21 febbraio 2013, n. 8695 (Nardi).

(6) In Cass. 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(7) AMATO, La differenza tra concussione e induzione indebita è nel vantaggio avuto dal destinatario della pretesa. Il privato anche se non in condizione paritaria resta libero di accedere alla domanda illecita, cit. 

(8) Cassazione, 22 gennaio 2013, n. 3251 (Roscia).

(9) Ivi.

(10) Ivi

(11) Ivi.

(12) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(13) Ivi.

(14) Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori).

(15) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(16) Cassazione 15 febbraio 2013, n. 7495 (Gori).

(17) Cassazione 12 marzo 2013, n. 11794 (Melfi).

(18) Ivi.