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Lo stato di adottabilità: un rimedio estremo, nell’esclusivo interesse del minore

1. Le massime

Il minore ha il diritto di rimanere nella propria famiglia di origine ed il ricorso allo stato di adottabilità deve ritenersi una soluzione estrema, da adottarsi solo quando ogni altro rimedio appaia ormai inadeguato. L’esigenza che il genitore acquisti o recuperi la propria capacità genitoriale non può essere trascurata, anche a fronte del legame affettivo che corre tra genitori e figli, ma deve avvenire in tempi compatibili con l’esigenza del minore a godere di uno stabile contesto familiare.

Devono ritenersi irrilevanti le mere espressioni di buona volontà del genitore, ove le buone intenzioni esternate siano prive di ogni concreta prospettiva e, quindi, inidonee al superamento dello stato di abbandono (nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, sebbene fossero emerse condizioni di estrema carenza delle capacità genitoriali, quale il fatto che la prole fosse costretta a mendicare, in un primo momento, il giudice di merito aveva disposto il collocamento dei minori in comunità, senza pronunciarne lo stato di abbandono, soluzione – quest’ultima – che si rendeva, in seguito, doverosa a fronte del permanere di una situazione intollerabile per lo sviluppo armonico dei bambini).

La pronuncia dello stato di adottabilità del minore è indipendente da una valutazione in termini di colpevolezza delle condotte genitoriali, posto che lo stato di adottabilità non ha natura sanzionatoria, ma viene dichiarato nell’esclusivo interesse del minore e sulla base di circostanze obiettive (nella specie, i giudici di merito riscontravano una significativa e non transitoria inidoneità dei genitori, indipendentemente dalla loro volontà, alla cura ed all’educazione della prole, adeguatamente accertata e di intensità tale da provocare danni gravi ed irreversibili alla crescita ed allo sviluppo psico-fisico della prole).

Il principio secondo cui il minore deve essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano è stabilito in via generale nelle convenzioni sui diritti fondamentali del fanciullo (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/89 ratificata con L. n. 176 del 1991; Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 ratificata con L. n. 77 del 2003) ed è sancito, in materia di adozione, dalla L. n. 184 del 1983, il cui art. 15, comma 2, prevede l'audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità; una simile disposizione, tuttavia, impone l’audizione del minore soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice d'appello.

2. Il caso

I minori Tizio e Caio venivano segnalati dal locale commissariato perché intenti a mendicare ed in condizioni generali piuttosto precarie. Più in particolare, risultava che gli stessi non mangiavano regolarmente, non godevano di adeguata igiene, erano affetti da pediculosi ed erano dediti al turpiloquio. Essi, inoltre, mostravano una scarsa capacità di autocontrollo e deficit sul piano cognitivo. In ragione di tanto, ne veniva disposto il ricovero in una comunità, dove essi mostravano un grave disagio psicologico, oltre che formativo.

Emergeva, poi, l’incapacità di entrambi i genitori di assolvere i propri compiti, anche con riferimento ad un clima particolarmente violento che improntava la vita familiare. Dapprima, il Tribunale per i minorenni, pure escludendo che i minori potessero ritornare in famiglia, aveva dichiarato il non luogo a provvedere sullo stato di adottabilità, considerando sia il forte legame affettivo che legava genitori e figli sia le possibilità di recupero delle capacità genitoriali da parte di ambedue i genitori. Nel periodo di osservazione che ne era seguito, tuttavia, si era constatato il complessivo peggioramento della situazione, degenerata al punto da sfociare nella condotta violenta del padre, il quale feriva con un coltello il figlio Tizio. Un simile stato di cose induceva il Tribunale per i minorenni a dichiarare lo stato di adottabilità di Tizio e Caio.

Entrambi i genitori spiegavano appello. Il giudice di seconde cure confermava la valutazione positiva circa lo stato di adottabilità, anche alla luce delle relazioni aggiornate offerte dai servizi sociali, da cui si evinceva come il temperamento violento del padre costituisse fonte di pericolo per la stessa incolumità fisica dei minori, non solo per la loro formazione. La madre, poi, non contrastava in modo adeguato le intemperanze paterne. Le manifestazioni di affetto, pur presenti, non venivano ritenute indici di una seria e concreta capacità genitoriale, a fronte di quanto emerso, reputata irreversibilmente carente.

Per la cassazione di tale decisione proponevano distinti ricorsi i due genitori, i quali ponevano la questione inerente ai criteri valutativi sottesi all'accertamento dello stato di abbandono della prole. Resisteva – con distinti controricorsi – la curatrice speciale dei minori.

3. La decisione

La Corte osserva che il minore ha certamente, in via di principio, il diritto di rimanere nella propria famiglia di origine e che il ricorso allo stato di adottabilità si atteggia come soluzione estrema, esperibile quando ogni altro rimedio appaia ormai inadeguato. I genitori, proprio in ragione dei principi enunciati, devono essere posti in condizione di recuperare o acquistare la capacità genitoriale, purché un simile percorso non si traduca in mere dichiarazioni di buona volontà ed avvenga con tempi che siano compatibili con l’esigenza del minore di godere di uno stabile contesto familiare.

La Suprema Corte ritiene conforme ai criteri enunciati l’iter seguito nel giudizio di merito, ove, in un primo momento, si era proceduto ad una cauta sperimentazione e, soltanto in seguito, constatata l’irreversibilità di un quadro ambientale a tinte fosche, veniva pronunciata l’adottabilità. I giudici di legittimità evidenziano, peraltro, come neppure possa rilevare l’eventuale minor grado di “colpevolezza” della madre rispetto alla situazione determinatasi, atteso che la dichiarazione di adottabilità ha per presupposto circostanze obiettive e viene pronunciata nell'esclusivo interesse del minore. Le circostanze acquisite al giudizio avevano, infatti, evidenziato come la madre si fosse rivelata inadeguata alla tutela della prole. Ella non aveva neppure mostrato di percepire in modo adeguato la situazione pregiudizievole in cui i figli versavano.

Da ultimo, quanto alla lamentata mancata audizione del minore, la Suprema Corte rileva che, se il principio dell’audizione del minore nei procedimenti che lo riguardano è sancito nelle convenzioni internazionali (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/89 ratificata con L. n. 176 del 1991; Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 ratificata con L. n. 77 del 2003), per quanto concerne la materia dell’adozione la L. n. 184 del 1983, all’art. 15, comma 2, prevede la doverosa audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice dell’appello.

La Corte rigetta integralmente i ricorsi e compensa per giusti motivi le spese processuali relative al giudizio di legittimità, in considerazione della buona fede (correlata all’erronea convinzione di recupero delle capacità genitoriali da parte dei ricorrenti).

4. I precedenti

Sulla necessità di non disattendere l'esigenza dell'acquisto o di un recupero della capacità genitoriale in tempi compatibili con l'esigenza del minore di uno stabile contesto familiare si vedano: Cass., 14 giugno 2012, n. 9769; Cass., 26 gennaio 2011, n. 1839.

Sulla irrilevanza, invece, delle mere espressioni di volontà da parte dei genitori, ove esse siano prive di qualsiasi concreta prospettiva e quindi non idonee al superamento dello stato di abbandono si vedano: Cass., 17 luglio 2008 n. 16795; Cass., 24 febbraio 2010, n. 4545; Cass., 17 luglio 2009, n. 16795.

Sull'orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ art. 15, comma 2, L. n. 184 del 1983, prevede l'audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice d'appello si vedano: Cass., 31 marzo 2010, n. 7959; Cass., 14 giugno 2010, n. 14216.

1. Le massime

Il minore ha il diritto di rimanere nella propria famiglia di origine ed il ricorso allo stato di adottabilità deve ritenersi una soluzione estrema, da adottarsi solo quando ogni altro rimedio appaia ormai inadeguato. L’esigenza che il genitore acquisti o recuperi la propria capacità genitoriale non può essere trascurata, anche a fronte del legame affettivo che corre tra genitori e figli, ma deve avvenire in tempi compatibili con l’esigenza del minore a godere di uno stabile contesto familiare.

Devono ritenersi irrilevanti le mere espressioni di buona volontà del genitore, ove le buone intenzioni esternate siano prive di ogni concreta prospettiva e, quindi, inidonee al superamento dello stato di abbandono (nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, sebbene fossero emerse condizioni di estrema carenza delle capacità genitoriali, quale il fatto che la prole fosse costretta a mendicare, in un primo momento, il giudice di merito aveva disposto il collocamento dei minori in comunità, senza pronunciarne lo stato di abbandono, soluzione – quest’ultima – che si rendeva, in seguito, doverosa a fronte del permanere di una situazione intollerabile per lo sviluppo armonico dei bambini).

La pronuncia dello stato di adottabilità del minore è indipendente da una valutazione in termini di colpevolezza delle condotte genitoriali, posto che lo stato di adottabilità non ha natura sanzionatoria, ma viene dichiarato nell’esclusivo interesse del minore e sulla base di circostanze obiettive (nella specie, i giudici di merito riscontravano una significativa e non transitoria inidoneità dei genitori, indipendentemente dalla loro volontà, alla cura ed all’educazione della prole, adeguatamente accertata e di intensità tale da provocare danni gravi ed irreversibili alla crescita ed allo sviluppo psico-fisico della prole).

Il principio secondo cui il minore deve essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano è stabilito in via generale nelle convenzioni sui diritti fondamentali del fanciullo (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/89 ratificata con L. n. 176 del 1991; Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 ratificata con L. n. 77 del 2003) ed è sancito, in materia di adozione, dalla L. n. 184 del 1983, il cui art. 15, comma 2, prevede l'audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità; una simile disposizione, tuttavia, impone l’audizione del minore soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice d'appello.

2. Il caso

I minori Tizio e Caio venivano segnalati dal locale commissariato perché intenti a mendicare ed in condizioni generali piuttosto precarie. Più in particolare, risultava che gli stessi non mangiavano regolarmente, non godevano di adeguata igiene, erano affetti da pediculosi ed erano dediti al turpiloquio. Essi, inoltre, mostravano una scarsa capacità di autocontrollo e deficit sul piano cognitivo. In ragione di tanto, ne veniva disposto il ricovero in una comunità, dove essi mostravano un grave disagio psicologico, oltre che formativo.

Emergeva, poi, l’incapacità di entrambi i genitori di assolvere i propri compiti, anche con riferimento ad un clima particolarmente violento che improntava la vita familiare. Dapprima, il Tribunale per i minorenni, pure escludendo che i minori potessero ritornare in famiglia, aveva dichiarato il non luogo a provvedere sullo stato di adottabilità, considerando sia il forte legame affettivo che legava genitori e figli sia le possibilità di recupero delle capacità genitoriali da parte di ambedue i genitori. Nel periodo di osservazione che ne era seguito, tuttavia, si era constatato il complessivo peggioramento della situazione, degenerata al punto da sfociare nella condotta violenta del padre, il quale feriva con un coltello il figlio Tizio. Un simile stato di cose induceva il Tribunale per i minorenni a dichiarare lo stato di adottabilità di Tizio e Caio.

Entrambi i genitori spiegavano appello. Il giudice di seconde cure confermava la valutazione positiva circa lo stato di adottabilità, anche alla luce delle relazioni aggiornate offerte dai servizi sociali, da cui si evinceva come il temperamento violento del padre costituisse fonte di pericolo per la stessa incolumità fisica dei minori, non solo per la loro formazione. La madre, poi, non contrastava in modo adeguato le intemperanze paterne. Le manifestazioni di affetto, pur presenti, non venivano ritenute indici di una seria e concreta capacità genitoriale, a fronte di quanto emerso, reputata irreversibilmente carente.

Per la cassazione di tale decisione proponevano distinti ricorsi i due genitori, i quali ponevano la questione inerente ai criteri valutativi sottesi all'accertamento dello stato di abbandono della prole. Resisteva – con distinti controricorsi – la curatrice speciale dei minori.

3. La decisione

La Corte osserva che il minore ha certamente, in via di principio, il diritto di rimanere nella propria famiglia di origine e che il ricorso allo stato di adottabilità si atteggia come soluzione estrema, esperibile quando ogni altro rimedio appaia ormai inadeguato. I genitori, proprio in ragione dei principi enunciati, devono essere posti in condizione di recuperare o acquistare la capacità genitoriale, purché un simile percorso non si traduca in mere dichiarazioni di buona volontà ed avvenga con tempi che siano compatibili con l’esigenza del minore di godere di uno stabile contesto familiare.

La Suprema Corte ritiene conforme ai criteri enunciati l’iter seguito nel giudizio di merito, ove, in un primo momento, si era proceduto ad una cauta sperimentazione e, soltanto in seguito, constatata l’irreversibilità di un quadro ambientale a tinte fosche, veniva pronunciata l’adottabilità. I giudici di legittimità evidenziano, peraltro, come neppure possa rilevare l’eventuale minor grado di “colpevolezza” della madre rispetto alla situazione determinatasi, atteso che la dichiarazione di adottabilità ha per presupposto circostanze obiettive e viene pronunciata nell'esclusivo interesse del minore. Le circostanze acquisite al giudizio avevano, infatti, evidenziato come la madre si fosse rivelata inadeguata alla tutela della prole. Ella non aveva neppure mostrato di percepire in modo adeguato la situazione pregiudizievole in cui i figli versavano.

Da ultimo, quanto alla lamentata mancata audizione del minore, la Suprema Corte rileva che, se il principio dell’audizione del minore nei procedimenti che lo riguardano è sancito nelle convenzioni internazionali (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/89 ratificata con L. n. 176 del 1991; Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 ratificata con L. n. 77 del 2003), per quanto concerne la materia dell’adozione la L. n. 184 del 1983, all’art. 15, comma 2, prevede la doverosa audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice dell’appello.

La Corte rigetta integralmente i ricorsi e compensa per giusti motivi le spese processuali relative al giudizio di legittimità, in considerazione della buona fede (correlata all’erronea convinzione di recupero delle capacità genitoriali da parte dei ricorrenti).

4. I precedenti

Sulla necessità di non disattendere l'esigenza dell'acquisto o di un recupero della capacità genitoriale in tempi compatibili con l'esigenza del minore di uno stabile contesto familiare si vedano: Cass., 14 giugno 2012, n. 9769; Cass., 26 gennaio 2011, n. 1839.

Sulla irrilevanza, invece, delle mere espressioni di volontà da parte dei genitori, ove esse siano prive di qualsiasi concreta prospettiva e quindi non idonee al superamento dello stato di abbandono si vedano: Cass., 17 luglio 2008 n. 16795; Cass., 24 febbraio 2010, n. 4545; Cass., 17 luglio 2009, n. 16795.

Sull'orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ art. 15, comma 2, L. n. 184 del 1983, prevede l'audizione del minore nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità soltanto nel giudizio di primo grado che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni e non anche davanti al giudice d'appello si vedano: Cass., 31 marzo 2010, n. 7959; Cass., 14 giugno 2010, n. 14216.