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Doveroso l’ascolto del minore nelle procedure che lo vedono coinvolto

1. Le massime

Al principio dell'ascolto del minore va riconosciuto valore fondamentale: l'audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano ed in ordine al loro affidamento ai genitori deve ritenersi obbligatoria a seguito della ratifica, operata dall’Italia con la Legge n. 77/2003, della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, per cui deve procedersi all’ascolto del minore in tutti i casi in cui ciò non arrechi danno al minore stesso (vista l'ampiezza del principio in esame, la Suprema Corte lo considera applicabile anche ai procedimenti - come quello sottopostole nella specie - di revisione delle condizioni di separazione, laddove implichino valutazioni e statuizioni direttamente incidenti sugli aspetti inerenti all'affidamento e alle scelte che ineriscono alla valutazione dell'interesse del minore).

L'operatività, in linea generale, del principio dell’ascolto del minore comporta l'insussistenza della necessità di motivare specificamente le ragioni della disposta audizione del minore; per converso, l’esclusione dell'ascolto va adeguatamente giustificata, in relazione ad ipotesi di manifesto contrasto dell’audizione rispetto agli interessi superiori del fanciullo. L'imprescindibilità dell'audizione, nei termini sopra delineati, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti "sostanziali" del procedimento, ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto. Naturalmente, le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l'interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi: al riguardo si ritiene sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore.

L’obbligatorietà dell’audizione del minore è normalmente riferita al solo giudizio di primo grado e la nullità della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate per la proposizione dell'appello (tale evenienza si è verificata nel caso di specie, avendo il ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, espressamente richiamato le doglianze, prospettate con il reclamo, inerenti alla violazione dell'obbligo di audizione da parte del tribunale).

Circa le modalità dell'audizione, va osservato che essa non costituisce un atto istruttorio tipico, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto; le modalità del suo espletamento sono, perciò, affidate alla discrezionalità del giudice, il quale deve ispirarsi al principio secondo cui l'audizione stessa deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Si ritiene in maniera quasi unanime, pur esprimendosi da più parti, anche in dottrina, preferenza per l'audizione diretta, che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richiedano, possa avvalersi di esperti, delegando agli stessi l'audizione del minore. Non è sufficiente, quindi, che il minore sia stato in qualche modo interpellato o esaminato da soggetti le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, essendo necessario che il soggetto che procede all'audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente, inerente al dovere di informarlo di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà (nella specie, il provvedimento impugnato, nella misura in cui fa riferimento a non meglio precisati contatti fra i servizi sociali e il minore, senza far alcun riferimento alla delega al riguardo rilasciata, non si è conformata ai principi sopra indicati, ragion per cui viene ad essere cassato, con rinvio alla Corte di appello territoriale, che, in diversa composizione, provvederà sul reclamo, applicando i principi richiamati).

2. Il caso

Tizio proponeva reclamo avverso il provvedimento emesso dal Tribunale territoriale con cui si disponeva, a seguito di domanda di revisione delle condizioni della separazione personale da lui stesso proposta, l’affidamento condiviso del figlio minore, collocato presso la madre, regolando gli incontri settimanali tra padre e figlio, nonché la sua permanenza nei periodi di vacanza. La Corte di Appello adita, in parziale riforma del provvedimento impugnato, stabiliva la possibilità del padre di incontrare il figlio durante i fine settimana, così ovviando ad una mancanza in cui era incorso il giudice di prime cure. Quanto alla doglianza mossa da Tizio, secondo cui era stata illegittimamente omessa l’audizione del minore, la Corte rilevava come lo stesso fosse stato esaminato dalla psicologa della locale ASL, la quale aveva steso apposita relazione, dai cui era evincibile come le valutazioni operate dal Tribunale corrispondessero all’interesse del minore.

Tizio, pertanto, proponeva ricorso per cassazione affidandosi a due motivi: 1) violazione del principio di diritto che impone l’audizione del minore nei procedimenti che lo riguardino, anche a fronte del fatto che, a più riprese, l’audizione fosse stata richiesta da Tizio e rigettata dal Tribunale; 2) vizio di motivazione in relazione alla suindicata questione, stante la natura meramente apparente delle ragioni addotte.

3. La decisione

Numerose sono le norme che il genitore ricorrente adduce a sostegno delle proprie tesi, sia nazionali sia sovranazionali, sostenendone la violazione, oltre che l’inadeguata motivazione in relazione alle stesse da parte del giudice di seconde cure.

In aggiunta alle norme - anche costituzionali - relative alla libertà di opinione ed al giusto processo viene, anzitutto, richiamata la Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dell’infanzia – ratificata nel nostro ordinamento con Legge 27 maggio 1991, n. 176 – la quale prevede, all’art. 12, che il fanciullo capace di discernimento debba vedersi garantito il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, tenendo conto della sua età e del grado di maturità raggiunto oltre a prescrivere, più specificamente, che un simile diritto importa che il fanciullo debba essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, con modalità appropriate e nel rispetto delle regole processuali proprie di ciascuno Stato.

È, poi, denunciata la violazione dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77, ove si prevede che “Nelle procedure che interessano un fanciullo, l'autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione deve: a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell'interesse superiore del fanciullo e se del caso, ottenere informazioni supplementari in particolare da parte di coloro che hanno responsabilità di genitore; b) quando il fanciullo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, l'autorità giudiziaria: - si accerta che il fanciullo abbia ricevuto ogni informazione pertinente; - consulta personalmente il fanciullo, se del caso, e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata tenendo conto del discernimento del fanciullo, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso”.

La libertà di opinione del fanciullo è anche oggetto di tutela per opera della Carta di Nizza, del 7 dicembre 2000, il cui art. 24, par. 1, anch'esso richiamato dal ricorrente, il quale prevede che “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”.

È, inoltre, invocato dal ricorrente l'art. 23 del Reg. Ce n. 2001/2003, strumento abrogativo del precedente regolamento n. 1347/2000 e relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, ove – tra i motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale – si riconosce espresso rilievo all’ipotesi ostativa costituita dall’omessa audizione del minore, salvi i soli casi indifferibili per ragioni dettate dall’urgenza (art. 23, par. 1, lett. b).

Con riferimento alle norme interne è, poi, menzionato l’art. 155-sexies c.c., che prevede, nell’ambito del capo dedicato allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniuge, che “Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”; una previsione analoga era, dapprima, contenuta nella sola Legge sul divorzio (artt. 4, comma 8 e 6, comma 9, Legge 1° dicembre 1970, n. 898) e si è reso necessario introdurla, mediante l’art. 1, comma 2, della Legge 8 febbraio 2006, n. 54, proprio per uniformare il nostro ordinamento agli obblighi scaturenti dalla Convenzione di New York, oltre che alla più recente Convenzione di Strasburgo del 1996.

Tizio, in particolare, lamentava come il giudice di merito avesse rigettato la sua reiterata richiesta di audizione del minore, adducendo la circostanza che il minore fosse stato ascoltato dal personale del servizio sociale, sebbene in difetto di una specifica delega da parte del giudice e in mancanza di un’adeguata informazione del minore circa le istanze dei genitori che lo riguardavano.

La Corte accoglie il ricorso mediante l’esame congiunto dei due motivi addotti.

I giudici di legittimità riconoscono il valore fondamentale del principio dell’ascolto del minore, sancito dagli strumenti internazionali e recepiti nell’ordinamento interno, per cui si deve procedere all’ascolto in tutti i casi in cui una simile misura non arrechi danno al minore, salva l’ulteriore precisazione per la quale si ritiene normalmente obbligatorio procedere all’audizione solo nel giudizio di primo grado, con possibilità di far valere la nullità della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c., e, dunque, mediante proposizione dell'appello.

Circa le modalità dell'audizione, i giudici di legittimità rilevano che l’audizione non costituisce un atto istruttorio tipico, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e che le relative modalità sono, pertanto, affidate alla discrezionalità del giudice, il quale deve ispirarsi al principio secondo cui l'audizione stessa deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Si ritiene in maniera quasi unanime, pur esprimendosi da più parti, anche in dottrina, preferenza per l'audizione diretta, che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richiedano, possa avvalersi di esperti, delegando agli stessi l'audizione del minore.

Non è, quindi, ritenuto sufficiente che, come sembra ritenere la Corte territoriale, il minore sia stato in qualche modo interpellato o esaminato da soggetti (peraltro, nel caso di specie, non si precisano le circostanze sottese alle relazioni dei servizi sociali che avrebbero proceduto a un non meglio definito esame) le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, essendo necessario che il soggetto che procede all'audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente, inerente al dovere di informarlo di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà.

La Corte cassa, perciò, con rinvio la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione perché statuisca in modo conforme ai principi enunciati.

4. I precedenti

Il valore fondamentale del principio dell'ascolto del minore, quale pendant del principio del contraddittorio e del giusto processo, era già stato affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con sent. n. 22238/2009.

Il riconoscimento del carattere di obbligatorietà delll'audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori, divenuta comunque obbligatoria con l'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996, era già stato riconosciuto dalle sentenze Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18 marzo 2006 n. 6081.

Sulla non necessità di motivazione specifica del provvedimento con cui sia disposta l'audizione, a differenza del provvedimento che ritenga di non disporla, si vedano le sentenze Cass., 26 aprile 2007, n. 9094 e Cass., 11 agosto 2011, n. 17201.

Sulla possibilità che il giudice, nell'obiettivo di realizzare l'interesse del minore, si discosti dalle opinioni espresse dal minore in sede di audizione si veda la sent. Cedu 9 agosto 2006, in ric. n. 18249/02; sullo stesso tema, poi, si è espressa Cass., 17 maggio 2012, n. 7773, ritenendo sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore.

Quanto alla possibilità di far valere in appello la nullità della sentenza emessa per la mancata audizione del minore si veda la sent. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1251.

Circa le modalità dell'audizione e la correlata discrezionalità dell'autorità giudicante si veda le sentenze Cass., 26 gennaio 2011, n. 1838 Cass. e Cass., 26 marzo 2010, n. 7282.

1. Le massime

Al principio dell'ascolto del minore va riconosciuto valore fondamentale: l'audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano ed in ordine al loro affidamento ai genitori deve ritenersi obbligatoria a seguito della ratifica, operata dall’Italia con la Legge n. 77/2003, della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, per cui deve procedersi all’ascolto del minore in tutti i casi in cui ciò non arrechi danno al minore stesso (vista l'ampiezza del principio in esame, la Suprema Corte lo considera applicabile anche ai procedimenti - come quello sottopostole nella specie - di revisione delle condizioni di separazione, laddove implichino valutazioni e statuizioni direttamente incidenti sugli aspetti inerenti all'affidamento e alle scelte che ineriscono alla valutazione dell'interesse del minore).

L'operatività, in linea generale, del principio dell’ascolto del minore comporta l'insussistenza della necessità di motivare specificamente le ragioni della disposta audizione del minore; per converso, l’esclusione dell'ascolto va adeguatamente giustificata, in relazione ad ipotesi di manifesto contrasto dell’audizione rispetto agli interessi superiori del fanciullo. L'imprescindibilità dell'audizione, nei termini sopra delineati, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti "sostanziali" del procedimento, ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto. Naturalmente, le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l'interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi: al riguardo si ritiene sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore.

L’obbligatorietà dell’audizione del minore è normalmente riferita al solo giudizio di primo grado e la nullità della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate per la proposizione dell'appello (tale evenienza si è verificata nel caso di specie, avendo il ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, espressamente richiamato le doglianze, prospettate con il reclamo, inerenti alla violazione dell'obbligo di audizione da parte del tribunale).

Circa le modalità dell'audizione, va osservato che essa non costituisce un atto istruttorio tipico, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto; le modalità del suo espletamento sono, perciò, affidate alla discrezionalità del giudice, il quale deve ispirarsi al principio secondo cui l'audizione stessa deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Si ritiene in maniera quasi unanime, pur esprimendosi da più parti, anche in dottrina, preferenza per l'audizione diretta, che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richiedano, possa avvalersi di esperti, delegando agli stessi l'audizione del minore. Non è sufficiente, quindi, che il minore sia stato in qualche modo interpellato o esaminato da soggetti le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, essendo necessario che il soggetto che procede all'audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente, inerente al dovere di informarlo di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà (nella specie, il provvedimento impugnato, nella misura in cui fa riferimento a non meglio precisati contatti fra i servizi sociali e il minore, senza far alcun riferimento alla delega al riguardo rilasciata, non si è conformata ai principi sopra indicati, ragion per cui viene ad essere cassato, con rinvio alla Corte di appello territoriale, che, in diversa composizione, provvederà sul reclamo, applicando i principi richiamati).

2. Il caso

Tizio proponeva reclamo avverso il provvedimento emesso dal Tribunale territoriale con cui si disponeva, a seguito di domanda di revisione delle condizioni della separazione personale da lui stesso proposta, l’affidamento condiviso del figlio minore, collocato presso la madre, regolando gli incontri settimanali tra padre e figlio, nonché la sua permanenza nei periodi di vacanza. La Corte di Appello adita, in parziale riforma del provvedimento impugnato, stabiliva la possibilità del padre di incontrare il figlio durante i fine settimana, così ovviando ad una mancanza in cui era incorso il giudice di prime cure. Quanto alla doglianza mossa da Tizio, secondo cui era stata illegittimamente omessa l’audizione del minore, la Corte rilevava come lo stesso fosse stato esaminato dalla psicologa della locale ASL, la quale aveva steso apposita relazione, dai cui era evincibile come le valutazioni operate dal Tribunale corrispondessero all’interesse del minore.

Tizio, pertanto, proponeva ricorso per cassazione affidandosi a due motivi: 1) violazione del principio di diritto che impone l’audizione del minore nei procedimenti che lo riguardino, anche a fronte del fatto che, a più riprese, l’audizione fosse stata richiesta da Tizio e rigettata dal Tribunale; 2) vizio di motivazione in relazione alla suindicata questione, stante la natura meramente apparente delle ragioni addotte.

3. La decisione

Numerose sono le norme che il genitore ricorrente adduce a sostegno delle proprie tesi, sia nazionali sia sovranazionali, sostenendone la violazione, oltre che l’inadeguata motivazione in relazione alle stesse da parte del giudice di seconde cure.

In aggiunta alle norme - anche costituzionali - relative alla libertà di opinione ed al giusto processo viene, anzitutto, richiamata la Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dell’infanzia – ratificata nel nostro ordinamento con Legge 27 maggio 1991, n. 176 – la quale prevede, all’art. 12, che il fanciullo capace di discernimento debba vedersi garantito il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, tenendo conto della sua età e del grado di maturità raggiunto oltre a prescrivere, più specificamente, che un simile diritto importa che il fanciullo debba essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, con modalità appropriate e nel rispetto delle regole processuali proprie di ciascuno Stato.

È, poi, denunciata la violazione dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77, ove si prevede che “Nelle procedure che interessano un fanciullo, l'autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione deve: a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell'interesse superiore del fanciullo e se del caso, ottenere informazioni supplementari in particolare da parte di coloro che hanno responsabilità di genitore; b) quando il fanciullo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, l'autorità giudiziaria: - si accerta che il fanciullo abbia ricevuto ogni informazione pertinente; - consulta personalmente il fanciullo, se del caso, e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata tenendo conto del discernimento del fanciullo, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso”.

La libertà di opinione del fanciullo è anche oggetto di tutela per opera della Carta di Nizza, del 7 dicembre 2000, il cui art. 24, par. 1, anch'esso richiamato dal ricorrente, il quale prevede che “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”.

È, inoltre, invocato dal ricorrente l'art. 23 del Reg. Ce n. 2001/2003, strumento abrogativo del precedente regolamento n. 1347/2000 e relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, ove – tra i motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale – si riconosce espresso rilievo all’ipotesi ostativa costituita dall’omessa audizione del minore, salvi i soli casi indifferibili per ragioni dettate dall’urgenza (art. 23, par. 1, lett. b).

Con riferimento alle norme interne è, poi, menzionato l’art. 155-sexies c.c., che prevede, nell’ambito del capo dedicato allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniuge, che “Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”; una previsione analoga era, dapprima, contenuta nella sola Legge sul divorzio (artt. 4, comma 8 e 6, comma 9, Legge 1° dicembre 1970, n. 898) e si è reso necessario introdurla, mediante l’art. 1, comma 2, della Legge 8 febbraio 2006, n. 54, proprio per uniformare il nostro ordinamento agli obblighi scaturenti dalla Convenzione di New York, oltre che alla più recente Convenzione di Strasburgo del 1996.

Tizio, in particolare, lamentava come il giudice di merito avesse rigettato la sua reiterata richiesta di audizione del minore, adducendo la circostanza che il minore fosse stato ascoltato dal personale del servizio sociale, sebbene in difetto di una specifica delega da parte del giudice e in mancanza di un’adeguata informazione del minore circa le istanze dei genitori che lo riguardavano.

La Corte accoglie il ricorso mediante l’esame congiunto dei due motivi addotti.

I giudici di legittimità riconoscono il valore fondamentale del principio dell’ascolto del minore, sancito dagli strumenti internazionali e recepiti nell’ordinamento interno, per cui si deve procedere all’ascolto in tutti i casi in cui una simile misura non arrechi danno al minore, salva l’ulteriore precisazione per la quale si ritiene normalmente obbligatorio procedere all’audizione solo nel giudizio di primo grado, con possibilità di far valere la nullità della sentenza per la violazione dell'obbligo di audizione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c., e, dunque, mediante proposizione dell'appello.

Circa le modalità dell'audizione, i giudici di legittimità rilevano che l’audizione non costituisce un atto istruttorio tipico, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e che le relative modalità sono, pertanto, affidate alla discrezionalità del giudice, il quale deve ispirarsi al principio secondo cui l'audizione stessa deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Si ritiene in maniera quasi unanime, pur esprimendosi da più parti, anche in dottrina, preferenza per l'audizione diretta, che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richiedano, possa avvalersi di esperti, delegando agli stessi l'audizione del minore.

Non è, quindi, ritenuto sufficiente che, come sembra ritenere la Corte territoriale, il minore sia stato in qualche modo interpellato o esaminato da soggetti (peraltro, nel caso di specie, non si precisano le circostanze sottese alle relazioni dei servizi sociali che avrebbero proceduto a un non meglio definito esame) le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, essendo necessario che il soggetto che procede all'audizione sia investito di una specifica delega da parte del giudice competente, inerente al dovere di informarlo di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà.

La Corte cassa, perciò, con rinvio la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione perché statuisca in modo conforme ai principi enunciati.

4. I precedenti

Il valore fondamentale del principio dell'ascolto del minore, quale pendant del principio del contraddittorio e del giusto processo, era già stato affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con sent. n. 22238/2009.

Il riconoscimento del carattere di obbligatorietà delll'audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori, divenuta comunque obbligatoria con l'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996, era già stato riconosciuto dalle sentenze Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18 marzo 2006 n. 6081.

Sulla non necessità di motivazione specifica del provvedimento con cui sia disposta l'audizione, a differenza del provvedimento che ritenga di non disporla, si vedano le sentenze Cass., 26 aprile 2007, n. 9094 e Cass., 11 agosto 2011, n. 17201.

Sulla possibilità che il giudice, nell'obiettivo di realizzare l'interesse del minore, si discosti dalle opinioni espresse dal minore in sede di audizione si veda la sent. Cedu 9 agosto 2006, in ric. n. 18249/02; sullo stesso tema, poi, si è espressa Cass., 17 maggio 2012, n. 7773, ritenendo sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore.

Quanto alla possibilità di far valere in appello la nullità della sentenza emessa per la mancata audizione del minore si veda la sent. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1251.

Circa le modalità dell'audizione e la correlata discrezionalità dell'autorità giudicante si veda le sentenze Cass., 26 gennaio 2011, n. 1838 Cass. e Cass., 26 marzo 2010, n. 7282.