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Il regime di invalidità degli atti del funzionario di fatto

Sulla tematica del regime di invalidità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto, la giurisprudenza assolutamente prevalente – antecedente e successiva alla codificazione delle tipologie di invalidità provvedimentale operata dalla l. n. 15/2005 – afferma gli atti “medio tempore” adottati dal funzionario la cui nomina sia stata annullata sono da considerarsi efficaci, essendo irrilevante verso i terzi il rapporto fra la pubblica amministrazione e la persona fisica dell’organo che agisce (cfr., ex multiis, Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 1992, n. 4, in “Cons. Stato”, 1992, pt. I, p. 148; Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, in “Cons. Stato”, 1996, pt. I, p. 245; T.A.R. Lazio Latina, 10 luglio 2000, n. 656, in “Foro amm.”, 2001, p. 146; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2005, n. 992, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 12 gennaio 2007, n. 51, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 607, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3915, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 21 novembre 2011, n. 1380, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8 febbraio 2011, n. 402, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis, 14 febbraio 2011, n. 1379, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

Peraltro, la deroga alla regola della retroattività vale non per la totalità dei provvedimenti ma solo per quelli che, per natura e finalità, riguardano i terzi con efficacia immediata e diretta e solo per gli effetti ad essi favorevoli (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 1949, n. 145, in “Foro amm.”, 1949, pt. I, sez. 1, col. 299; Cons. giust. amm. reg. sic., 24 marzo 1960, n. 170, in “Cons. Stato”, 1960, pt. I, p. 527; Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 1962, n. 1160, in “Cons. Stato”, 1962, pt. I, p. 240; Cons. giust. amm. reg. sic., 28 ottobre 1966, n. 537, in “Cons. Stato”, 1966, pt. I, p. 1901. Più di recente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, in “Urb. e app.”, 2000, p. 428). Il principio del funzionario di fatto non può cioè essere invocato a danno del terzo che abbia inconsapevolmente fatto affidamento sulla provenienza dell’atto dalla pubblica amministrazione (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, in “Trib. amm. reg.”, 1991, pt. I, p. 1796).

Il fondamento giustificativo principale è nei principi di buona fede (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, cit.; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, cit.) e di legittimo affidamento (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 22 maggio 1993, n. 6, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, p. 593; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, cit.; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit.; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis, 14 febbraio 2011, n. 1379, cit.). E, anzi, dagli anni Trenta fino alla fine degli anni Cinquanta la tematica del funzionario di fatto è il solo terreno di applicazione della buona fede del privato nel diritto amministrativo sostanziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, in “Foro it.”, 1931, pt. III, col. 6; Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 1934, n. 581, in “Foro amm.”, pt. I, sez. 1, col. 16; Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 1949, n. 145, cit.). Si ammette cioè che – a tutela sia della buona fede dei privati che degli interessi dell’amministrazione stessa – la retroattività degli effetti dell’annullamento d’ufficio incontri un limite per gli atti posti in essere dal funzionario la cui nomina sia stata successivamente annullata, anche se in tal caso lo stato psicologico che rileva è quello non di chi agisce ma del soggetto nella cui sfera le vicende giuridiche vengono a prodursi. Infatti, l’esigenza di mantenere fermi gli effetti degli atti compiuti tutela la buona fede del pubblico che viene a contatto con il funzionario per necessità e non ha motivo di dubitare né è tenuto ad indagare sulla regolarità della sua nomina e la sua permanenza in servizio non impedita dall’autorità superiore (Cass. civ., sez. I, 10 luglio 1934, Ditta Roberto c. Società Arenella, in “Foro it.”, 1935, pt. I, col. 277). In altri termini, come nel diritto privato, a proposito della nullità degli atti, sussistono temperamenti derivanti da situazioni di fatto già verificatesi con il concorso della buona fede, così non potrebbero negarsi limiti alla retroattività nel diritto pubblico, dominato da principi fondamentali quali la tutela della buona fede, la presunzione di legittimità e l’esecutività degli atti amministrativi, i quali non possono non riflettersi nelle determinazione delle conseguenze giuridiche dell’annullamento d’ufficio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, cit.).

Un ruolo complementare assumono anche i principi di certezza del diritto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, cit.), di conservazione degli atti giuridici (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, cit.; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit. e T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, in cit.) e di continuità dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 1997, n. 565, in “Foro amm.”, 1997, 1404; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 marzo 1999, n. 907, in “Foro amm.”, 1999, p. 2655; Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1999, n. 749, in “Foro amm.”, 1999, p. 664; Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.). Il principio di continuità non è da intendersi però in senso assoluto, perché l’istituto del funzionario di fatto trova applicazione «solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia diretta ed immediata» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.). In tale tematica un’applicazione acritica del principio di continuità, che pure è una derivazione del principio costituzionale di buon andamento, risulta difficilmente conciliabile con il principio di legalità. La stessa Corte costituzionale ha negato che l’istituto della “prorogatio” di fatto, incerta nella sua durata, sia una regola valevole in via generale per gli organi amministrativi. Al contrario, «un'eventuale “prorogatio” di fatto “sine die” – demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario – violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonché quelli dell'imparzialità e del buon andamento» (Corte cost., 4 maggio 1992, n. 208, in http://www.cortecostituzionale.it, punto n. 4.6 del cons. in dir.).

Nell’ipotesi in cui l’atto lesivo sia stato adottato prima dell’annullamento dell’atto di nomina, la giurisprudenza ha chiarito che l’annullamento della nomina non travolge la generalità degli atti posti in essere ma solo quelli rispetto ai quali l’illegittimità della costituzione dell’organo sia stata dedotta come motivo di invalidità derivata, mediante un rituale ricorso (Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 1992, n. 4, cit.; T.A.R. Marche, 29 luglio 1999, n. 909, in “Foro amm.”, 2000, p. 1009; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.). Ove l’atto di nomina del funzionario avente competenza generale non sia stato annullato manca, infatti, un interesse qualificato e diretto ad impugnarlo in occasione dell’impugnazione degli atti da esso adottati. L'impugnazione congiunta del provvedimento lesivo e dell'atto di nomina può ipotizzarsi solo ove vi sia un nesso procedimentale fra i due, perché in tale ipotesi l'atto di nomina si atteggia come atto infraprocedimentale, costituendo quindi un antecedente logico e cronologico, rispetto all'emanazione dell'atto pregiudizievole, sul quale si trasmettono i vizi dell’atto di nomina. In tal caso, l’illegittimità di quest’ultimo potrà essere fatta valere, nell’ordinario termine di decadenza, solo da chi aveva interesse ad essere nominato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, cit.).

Laddove l’organo sia investito di funzioni di carattere generale, l’efficacia degli atti posti in essere deriva quindi dal fatto che il relativo procedimento di nomina ha una piena autonomia dal procedimento di emanazione degli atti. All’opposto, i vizi della nomina si riverberano sugli atti laddove l’organo sia investito di una specifica e determinata funzione, quale ad esempio lo svolgimento di un concorso pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, cit.; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, in http://www.giustizia-amministrativa.it). Similmente, nel caso di nomina di un commissario “ad acta” per il compimento di atti specifici, l’annullamento della nomina comporta la caducazione degli atti adottati dall’organo straordinario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 360, in “Foro amm., 1979, pt. I, p. 903).

Alla tematica in esame la giurisprudenza ha, in sostanza, applicato la distinzione tra invalidità ad effetto caducante, nella quale si ha un travolgimento automatico dell’atto consequenziale senza necessità di apposita impugnativa, ed invalidità ad effetto viziante, nella quale l’atto consequenziale resiste alla caducazione dell’atto presupposto, necessitando di una tempestiva impugnativa per la sua eliminazione (introdotta da Cons. Stato, Ad. plen., 19 ottobre 1955, n. 17, in “Cons. Stato”, 1955, pt. I, p. 999 e precisata compiutamente da Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 1970, n. 4, in “Cons. Stato”, 1970, pt. I, p. 1543: su tale distinzione cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 585, in http://www.giustizia-amministrativa.it). Il diverso modo di operare dell’illegittimità derivata nei due casi è legato alla diversa intensità del legame tra atto presupposto e atto consequenziale, perché nell’invalidità ad effetto caducante – diversamente che in quella ad effetto viziante – l’atto presupposto costituisce la sola base legittimante dell’atto consequenziale. In realtà, i casi riconducibili all’invalidità ad effetto caducante sono piuttosto rari, perché – oltre agli atti strettamente consequenziali, che si pongono appunto in rapporto immediato, diretto e necessario con l’atto presupposto – la giurisprudenza l’ha riconosciuta per gli atti esecutivi (cfr., ad esempio, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 1 dicembre 2011, n. 9438, in http://www.giustizia-amministrativa.it) e per gli atti confermativi (cfr., ad esempio, Cons. giust. amm. Reg. sic., 22 febbraio 2012, n. 195, in http://www.giustizia-amministrativa.it). L’invalidità ad effetto viziante viene invece ritenuta operante in tutti gli altri casi di annullamento dell’atto di nomina, nei quali l’atto consequenziale diviene invalido per vizio derivato ma resta efficace.

Il meccanismo di operatività dell’illegittimità derivata ad effetto viziante produce dunque i medesimi risultati di salvaguardia dell’atto adottato dal titolare apparente dell’ufficio ai quali è finalizzata la teoria del funzionario di fatto. Del resto, la distinzione tra i due tipi di invalidità derivata riecheggia talora la tematica dell’affidamento, perché, pur attenendo propriamente alla chiamata in causa dei c.d. controinteressati successivi, si è precisato che «l’annullamento dell’atto presupposto comporta l’automatica caducazione dell’atto consequenziale, ad eccezione del caso in cui con l’atto posteriore sia stato conferito un bene o una qualche utilità ad un soggetto che non è parte del giudizio, essendo in tal caso necessaria la chiamata in causa di tale soggetto e l’impugnazione dell’atto consequenziale» (Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 207, in http://www.giustizia-amministrativa.it; conf. Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2001, n. 5677, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2007, n. 1948, in http://www.giustizia-amministrativa.it; sul punto cfr. A. CALEGARI, “L’invalidità derivata nei rapporti tra atti amministrativi”, Padova, 2012, pp. 273 ss.).

Sul solco dell’anzidetta continuità, anche dopo la l. n. 15/2005 la giurisprudenza ha continuato a distinguere nella tematica in esame tra invalidità caducante e invalidità viziante, alla quale riconduce la generalità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto, sia prima che dopo l’annullamento della nomina (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 5 maggio 2005, n. 5410, in http://www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.). Si registra semmai una certa imprecisione quanto alla tipologia del vizio, perché la giurisprudenza talora parla di illegittimità per incompetenza (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.), mentre in altri casi si parla di invalidità senza specificare il vizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 11 giugno 1984, n. 285, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, p. 2028 e Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.).

Anche per gli atti adottati dal funzionario di fatto dopo l’annullamento dell’atto di nomina, la mancata tempestiva impugnazione rende inoppugnabile il provvedimento, non potendosi in proposito invocare la nullità per carenza di potere ma, al massimo, potrebbe parlarsi di carenza di potere in concreto, che, come è noto, rileva in termini di mera annullabilità dell’atto (cfr. T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit., che richiama Cons. Stato, Ad. plen., 22 maggio 1993, n. 6, cit.).

Naturalmente l’annullamento d’ufficio dell’atto di nomina travolge tutti gli effetti ad esso connessi, e «tra gli effetti retroattivamente travolti da un simile provvedimento in autotutela non possono non ascriversi, “in primis”, quelli propriamente ‘giuridici’ derivanti dall’annullato conferimento dell’incarico, e, segnatamente, la titolarità della funzione (illegittimamente) rivestita durante il periodo del suo esercizio di fatto: ove neppure tali effetti, oltre quelli irretrattabili e le spettanze economiche frattanto maturate, venissero meno “ab origine”, la stessa (incontroversa) efficacia “ex tunc” dell’annullamento d’ufficio resterebbe svuotata di significato» (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 11 giugno 2009, n. 3205, in http://www.giustizia-amministrativa.it)

Talora si è anche espressamente escluso che la codificazione delle ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo operata della l. n. 15/2005 abbia influito sull’istituto del funzionario di fatto, «rispetto al quale è del tutto ininfluente l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, che non ha diversamente disciplinato le conseguenze dell’annullamento dell’atto di investitura» (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, cit.). A ben vedere, è la stessa giurisprudenza applicativa dell’art. 21-septies che anche indirettamente lascia margini di operatività alla figura in esame, riconducendo la carenza di potere in astratto alla nullità per difetto assoluto di attribuzione e la carenza di potere in concreto all’annullabilità, (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 28 aprile 2005, n. 5025, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 9 febbraio 2006, n. 363, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 8 maggio 2006, n. 994, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 22 maggio 2007, n. 1414, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3 marzo 2009, n. 2192, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

In sostanza, i due soli limiti configurati dalla giurisprudenza all’applicabilità del principio del funzionario di fatto attengono alla circostanza che l’interessato insorga negando il potere di chi ha emesso l’atto, attraverso una tempestiva e rituale impugnazione, e alla sua invocabilità solo a vantaggio e non a danno del privato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit. e Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit.).

Il quadro, peraltro, non è del tutto omogeneo e non mancano pronunce che dalla nullità originaria dell’atto di nomina fanno discendere la nullità sia degli atti consequenziali posti in essere dall’organo inesistente che dell’atto di convalida della nomina dello stesso successivamente disposta dall’amministrazione. Più esattamente, in un caso nel quale era stata accertata l’assenza del titolo di investitura all’ufficio di presidente di seggio, da una parte si è affermato che tutta l’attività da esso compiuta «deve essere considerata come attività viziata da nullità, essendo stata posta in essere da un soggetto da ritenersi privo del necessario titolo di legittimazione e quindi in situazione di assoluta carenza di potere; nullità la quale – data l’evidente natura di collegio perfetto che riveste l’ufficio elettorale – è tale da invalidare tutta l’attività della sezione». In tal caso, l’applicazione della teoria del funzionario di fatto è stata esclusa proprio perché – come nel caso di specie – essa è inoperante quando l'interessato insorga negando il potere di chi ha emesso l’atto pregiudizievole e qualora si risolva a danno dello stesso, in contrasto l’esigenza di tutela della buona fede. Dall’altra, la rilevata inesistenza dell’atto di nomina si ripercuote sulla validità del provvedimento di convalida dello stesso successivamente adottato dall’amministrazione, la cui nullità – e non, dunque, quella degli atti dell’organo inesistente – è stata ricondotta espressamente alla previsione normativa della l. n. 241/1990. Infatti, «a parte ogni ulteriore considerazione, è assorbente al riguardo il rilievo che tale atto è nullo, ai sensi dell’art. 21-septies della l. n. 241/1990 nel testo vigente, in quanto lo stesso manca di uno degli elementi essenziali», ossia dell’oggetto, argomentando anche ex art. 1325 c.c., perché tale deve essere considerato un atto di convalida privo dell’atto da convalidare (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 15 marzo 2012, n. 2550, in http://www.giustizia-amministrativa.it; su tale pronuncia cfr. M.R. BONCOMPAGNI, “Funzionario di fatto e rilevabilità ex officio della nullità provvedimentale”, in Neldiritto, 2012, n. 4, pp. 630 ss. e M. COLAPINTO, “La nullità del provvedimento amministrativo: limiti e tutela del terzo sugli atti adottati dal funzionario di fatto”, in “Dir. e giur.”, 2012, n. 4, pp. 93 ss.).

Decisamente più articolato è il quadro della dottrina. Si distingue così l’ipotesi in cui chi ha agito difetti “ab initio” dell’atto di nomina o operi nonostante un titolo nullo o inefficace da quella di chi ha esercitato pubbliche funzioni in base ad un’investitura illegittima, suddividendo tale eventualità tra il caso in cui la nomina non sia stata annullata e quello invece in cui sia intervenuto un annullamento giurisdizionale o amministrativo, ipotesi ulteriormente diversificata tra quella in cui l’annullamento della nomina precede l’adozione del provvedimento e quella in cui l’annullamento è successivo.

Nella prima ipotesi, ossia in caso di atto adottato in difetto “ab initio” di nomina o operante in base ad un titolo nullo, una parte della dottrina ritiene che il regime di invalidità sia quello della nullità o comunque della totale inefficacia degli atti sfavorevoli, dal momento che sono stati posti in essere da un privato che non è mai stato investito del potere di agire in nome dell’ente pubblico e, pertanto, essi non rappresentano un’espressione della volontà dell’amministrazione (cfr. M. DE PALMA, “Sulla teoria del funzionario di fatto”, in “Urb. e app.”, 2000, pp. 429 ss., p. 432). Tale conclusione è confermata dalla formulazione dell’art. 21-septies della l. n. 241/1990, che sancisce la nullità del provvedimento per difetto degli elementi essenziali, tra i quali vi è appunto la volontà dell’amministrazione. La carenza del rapporto organico, originaria o determinata dall’annullamento “ex tunc” dell’investitura, fa sì che al soggetto pubblico non sia più imputabile alcuna volontà (cfr. A. Susca, “L'invalidità del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005”, Milano, 2005, pp. 590 s.).

In realtà, nell’ipotesi di nullità dell’atto di nomina, riemerge la generale contrapposizione di orientamenti sull’ammissibilità o meno della nullità derivata, taluni ritenendo che essa non sia configurabile, perché la nullità dell’atto presupposto, fatta valere in via incidentale, determina la mera annullabilità dell’atto presupponente, e altri ammettendone la trasmissibilità. Nel primo senso, una parte della dottrina, in relazione alla problematica in esame, ammette la nullità derivata endoprocedimentale e non anche esoprocedimentale, escludendo quindi che la nullità possa comunicarsi al di fuori del procedimento di nomina del funzionario. Gli atti da esso adottati sono quindi annullabili per incompetenza, derivante dal difetto di legittimazione del titolare apparente dell’organo, da intendersi però come forma di invalidità derivata e non propria, essendo difficilmente contestabile che gli atti adottati dal funzionario la cui investitura sia nulla siano viziati in virtù del nesso di presupposizione che li lega all’atto presupposto. In tal senso, occorre distinguere un’illegittimità derivata, che si ha quando il vizio di legittimità dell’atto presupposto si trasmette all’atto presupponente, da un’invalidità derivata, che riflette sull’atto presupponente una patologia diversa da quella propria dell’atto presupposto (cfr. S. FANTINI, “Attività amministrativa del funzionario di fatto e invalidità derivata”, in B. Cavallo (a cura di), “Il funzionario di fatto”, Milano, 2005, pp. 67 ss., pp. 80 s.).

Per altra parte della dottrina, viceversa, la regola del funzionario di fatto priva la nullità dell’atto di nomina solo delle conseguenze sanzionatorie ordinarie che da essa discendono in virtù del principio dell’affidamento, senza incidere sull’imputabilità degli atti da esso adottati all’amministrazione. In tal senso, in base al principio del funzionario di fatto, un atto di investitura dichiarato nullo non è giuridicamente irrilevante e la presenza di una causa di nullità in esso non solo non impedisce di considerare il soggetto incardinato nell’ufficio come “munus”, ma non interrompe neppure il rapporto organico. Si determina invece un peculiare rapporto di fatto tra amministrazione e titolare dell’ufficio perché, in virtù del principio di affidamento, la nullità non opera né per l’atto di nomina né per gli atti che ne presuppongono l’esistenza e l’efficacia, atti che non dovrebbero invece essere imputati all’amministrazione proprio in applicazione delle conseguenze che l’ordinamento connette, di regola, alla nullità. La tutela dell’affidamento non crea, beninteso, una validità ed una efficacia “succedanee” degli atti adottati dal funzionario di fatto, ma incide solo sulla regola per la quale “quod nullum est nullum producit effectum”, fondandone un’eccezione per quanto riguarda l’imputazione, il che non impedisce la qualificazione dell’atto così adottato come invalido. Tanto nell’ipotesi in cui il provvedimento pregiudizievole sia adottato in difetto, “ab initio”, dell’atto di nomina quanto in quella in cui sia dichiarato nullo al momento dell’emanazione del provvedimento che lo presuppone, esso è, dunque, imputabile all’amministrazione in base al principio del funzionario di fatto, ed efficace o meno, a seconda non della sua pretesa favorevolezza per il privato, ma dell’intensità del nesso di presupposizione che lo lega alla nomina nulla. Ne deriva che, ove il rapporto tra atto presupponente e atto presupposto (nullo) sia di stretta dipendenza logico-formale, il primo sarà nullo, mentre sarà solo annullabile nelle altre ipotesi, secondo la tradizionale distinzione tra invalidità derivata viziante e caducante. Eccessiva e, perciò, criticabile risulta la posizione della giurisprudenza consolidata, che bipartisce in maniera ingiustificata il regime giuridico dell’efficacia degli atti in funzione della loro qualificazione in termini di favorevolezza o meno per il privato, senza affrontare il problema della loro imputabilità all’amministrazione. Applicando la teoria del funzionario di fatto come criterio di recupero non solo della validità degli atti ma anche della loro efficacia solo se gli effetti sono favorevoli al privato, l’eccezione alla regola dell’inefficacia degli atti nulli raggiunge il suo culmine, perché l’atto viene imputato comunque all’amministrazione anche in caso di radicale difformità dal paradigma di validità che dovrebbe rispettare, senza che vengano spiegate le ragioni di tale regime particolare (cfr. s.a., “Investitura e nullità nel rapporto di fatto”, in http://www.abbatescianni.eu, 9 giugno 2009).

Nella seconda ipotesi, ossia qualora l’atto pregiudizievole sia stato adottato in base ad un atto di nomina illegittimo ma efficace al momento dell’emanazione dell’atto consequenziale e non annullato in sede giurisdizionale o amministrativa, la soluzione adottata dalla giurisprudenza, che non consente di impugnare l’atto di nomina contestualmente all’impugnazione dell’atto applicativo pregiudizievole in assenza di uno specifico nesso procedimentale tra i due (per la quale cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, cit.), appare invece in consonanza con il principio di conservazione degli atti giuridicis, giustificandosi in ragione dell’esigenza pratica che il privato non rimetta in gioco l’assetto stabilizzato dell’esercizio dei pubblici poteri anche qualora sia trascorso molto tempo dalla concretizzazione del pregiudizio. In tal caso, l'esigenza di tutela dell'affidamento appare recessiva rispetto a quella di certezza e stabilità dell'azione amministrativa (cfr. DE PALMA, op. cit., pp. 432 s.; S. MAGRA, “Principio di conservazione del provvedimento amministrativo fra nullità, annullabilità e inesistenza”, in http://www.overlex.com, 2006; SUSCA, op. cit., p. 594).

Nella terza ipotesi, ossia qualora sia intervenuto un annullamento giurisdizionale o amministrativo dell’atto di nomina prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole – situazione che potrebbe integrare gli estremi del reato di usurpazione di funzioni pubbliche di cui all’art. 347 c.p., se il funzionario ormai decaduto continuasse ad assumere volontariamente la titolarità dell’ufficio nella consapevolezza dell’annullamento – , parte della dottrina propende per la nullità per carenza di potere, dato che l’atto è stato emanato da un soggetto privo di legittimazione ad agire. Una conferma di tale soluzione viene intravista negli artt. 3 e 6 della l. n. 444/1994, che, in tema di “prorogatio”, sanzionano espressamente con la nullità l’attività dell’organo che continua ad esercitare le sue funzioni oltre il termine per il quale gli sono state conferite, limitatamente agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, a quelli privi dei requisiti dell’urgenza e dell’indifferibilità adottati nel periodo di proroga e a tutti gli altri atti adottati oltre il termine. Analogamente, perciò, deve considerarsi nullo l’atto adottato dal funzionario privato della titolarità dell’ufficio non a causa alla scadenza del termine ma in base all’annullamento dell’atto di nomina (cfr. DE PALMA, op. cit., p. 433 e SUSCA, op. cit., pp. 591 s.).

Altra parte della dottrina propende invece per l’annullabilità (cfr. M.S. GIANNINI, “Diritto amministrativo”, II ed., Milano, 1988, vol. I, p. 287), perché se, dichiarata l’invalidità dell’atto di investitura, il titolare dell’ufficio resta nella carica ed emana ancora atti, questi sono invalidi, ma non “ope legis”: occorrerà provocarne l’annullamento, di difetto del quale l’atto inoppugnabile conserverà la sua efficacia.

Anche altra dottrina propende per la carenza di potere in concreto, che, come è noto, rileva come cattivo esercizio del potere e, dunque, come annullabilità. Non potrebbe invece parlarsi di carenza di potere in astratto, dato che esiste comunque un potere conferito per attribuzione normativa, difettando però il presupposto (l’investitura nell’ufficio) che condiziona l’esercizio, né più e né meno di quanto avviene allorché venga emanato un provvedimento espropriativo senza previa dichiarazione di pubblica utilità o dopo la scadenza del relativo termine (cfr. FANTINI, op. cit., pp. 76 s.).

La tesi dell’annullabilità è stata prospettata da taluni senza eccezioni, sia nel caso di mancanza di investitura che in quello di investitura viziata, perché in entrambe le ipotesi il regime di annullabilità per violazione di legge discende sempre dall’inosservanza delle norme che stabiliscono quali persone fisiche siano abilitate per legge ad agire per la pubblica amministrazione (cfr. E. CAPACCIOLI, “La gestione di affari in diritto amministrativo”, Padova, 1956, pp. 62 ss.).

Nella quarta ipotesi, infine, ossia qualora l’atto di nomina sia illegittimo ma efficace al momento dell’emanazione dell’atto consequenziale, e tuttavia annullato nel lasso di tempo tra l’adozione dell’atto e la proposizione del ricorso, la soluzione dell’illegittimità, propugnata da una parte della dottrina e della giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 11 giugno 1984, n. 285, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.) e talora espressamente qualificata per incompetenza (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.), pone senz’altro un problema di compatibilità con l’anzidetto indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’interesse ad impugnare l’atto di nomina di un organo a competenza generale non sussiste in assenza di uno stretto nesso di presupposizione dell’atto consequenziale rispetto ad esso, se il funzionario è a competenza generale, poiché in tal caso non vi è trasmissione del vizio dall’atto presupposto all’atto presupponente. A ritenere l’illegittimità per incompetenza dell’atto presupponente, bisogna necessariamente sostenere che il privato abbia intereresse ad impugnare anche l’atto presupposto, dato che il suo annullamento gli procurerebbe il vantaggio dell’invalidazione dell’atto presupponente pregiudizievole (cfr. DE PALMA, op. cit., p. 433 e SUSCA, op. cit., p. 595).

A tale constatazione seguono tuttavia soluzioni diversificate. Una parte della dottrina ritiene che in tale ipotesi, piuttosto che l’annullabilità per incompetenza o per violazione di legge, dovrebbe prospettarsi la nullità per “acompetenza”. Infatti, alla luce dell’efficacia retroattiva dell’atto di nomina, il soggetto che ha emanato l’atto ha agito in carenza di potere perché privo della qualifica di organo pubblico, risultando dunque esterno all’apparato organizzatorio per conto del quale ha agito, con la conseguenza che il provvedimento adottato andrebbe considerato radicalmente nullo. Si tratta, dunque, di un’ipotesi evidentemente più vicina all’incompetenza assoluta, risolventesi in nullità per carenza di potere, sebbene non in astratto ma in concreto. Ragionando in termini di nullità o di inefficacia, ne deriva anche – quale logico corollario – che, se l’atto di nomina non è stato annullato, il privato ha senz’altro interesse ad impugnarlo anche dopo che sia trascorso il termine di sessanta giorni dalla sua conoscenza, purché sia comunque rispettato il termine di sessanta giorni dalla notifica o piena conoscenza del provvedimento pregiudizievole. Per contro, l’adesione alla tesi dell’illegittimità comporta la necessità di ottenere, con un’impugnativa congiunta, l’annullamento dell’atto presupposto e di quello presupponente, dato che quest’ultimo, proprio perché semplicemente annullabile, sarebbe efficace fino all’eliminazione (cfr. DE PALMA, op. cit., pp. 433 s.).

Altra dottrina propende invece per l’illegittimità derivata, e dunque per l’annullabilità, conformemente alla soluzione giurisprudenziale che nega la sussistenza di uno specifico nesso procedimentale tra l’atto di investitura di un organo amministrativo, dotato di competenza generale, e l’atto emanato dall’organo stesso, nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali, che consenta la trasmissibilità del vizio dal primo al secondo (cfr. FANTINI, op. cit., p. 76).

Similmente, altra parte della dottrina accoglie la tesi dell’illegittimità, per violazione di legge o per incompetenza, respingendo l’ipotesi della nullità per acompetenza. In primo luogo, l’atto di nomina è comunque efficace al momento dell’adozione del provvedimento lesivo. Per contro, la tesi della nullità per acompetenza pone il problema della configurabilità di una causa di nullità che, per essere accolta, richiede la previa caducazione dell’atto di nomina. Quest’ultimo è però pienamente efficace al momento dell’emanazione dell’atto pregiudizievole, laddove la nullità postula l’inefficacia originaria ed intrinseca dell’atto. In secondo luogo, il carattere retroattivo dell’annullamento dell’atto di nomina pone solo un problema di caducabilità automatica o meno degli atti consequenziali, non già di nullità degli stessi, perché adottati appunto sulla base di un atto presupposto pienamente efficace (cfr. SUSCA, op. cit., p. 597). D’altra parte, se – quale logico corollario della nullità dell’atto presupponente – si ammette l’impugnabilità dell’atto presupposto anche dopo la decorrenza del termine di sessanta giorni dalla sua conoscenza, solo perché con l’emanazione dell’atto presupponente diviene attuale l’interesse del destinatario alla sua impugnazione, si finirebbe per consentire a qualsiasi soggetto, destinatario di un qualunque atto pregiudizievole, di impugnare l’atto di nomina illegittima a distanza anche di molto tempo dalla sua adozione, pregiudicando il principio di buon andamento dell’attività amministrative con la compromissione della stabilità dell’apparato pubblico. Inoltre, tutti gli atti sfavorevoli a terzi adottati nel periodo tra l’emanazione dell’atto presupposto e dell’atto presupponente verrebbero automaticamente travolti dalla caducazione del primo, senza il filtro di un annullamento giurisdizionale o amministrativo e in una situazione di totale inconvalidabilità degli atti consequenziali – appunto nulli – da parte dell’amministrazione. Ciò spiega perché la giurisprudenza limiti la possibilità di ritenere configurabile l’interesse a ricorrere contro l’atto di nomina qualora, al momento dell’impugnazione dell’atto pregiudizievole, sia decorso il termine di decadenza dalla conoscenza dell’invalidità dell’investitura e, soprattutto, qualifichi in termini di illegittimità e non di nullità gli atti consequenziali, così da conferire all’amministrazione una generale possibilità di convalida degli stessi e da contenere ai soli atti impugnati la trasmissione dell’effetto eliminatorio (id, p. 601).

Talora emergono soluzioni più radicali, secondo cui, dopo la codificazione delle ipotesi di nullità operata dalla l. n. 15/2005 con l’introduzione dell’art. 21-septies nella l. n. 241/1990, il regime di invalidità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto sarebbe sempre riconducibile alla nullità per carenza di uno degli elementi essenziali dell’atto. In tal senso, si argomenta che la caducazione con effetto retroattivo del “titulus”, fa venire meno uno degli elementi essenziali dell’atto, tra i quali, sebbene non indicati dalla disposizione in esame, va ricompresa la volontà dell’amministrazione procedente, ovvero l’imputabilità degli effetti del provvedimento ad una pubblica amministrazione (cfr. L. D'ANGELO, “La nullità del provvedimento amministrativo ex L. n. 15/2005: le esequie del funzionario di fatto”, in Giustamm.it, n. 4/2005, par. 3, su cui concorda A.M.R. LIUZZO, “Il funzionario di fatto e la tutela del legittimo affidamento dei privati”, in Giustamm.it, n. 11/2009, par. 8.). In quest’ottica la tesi dell’acompetenza, rivisitata dopo la l. n. 15/2005, avrebbe il pregio di armonizzarsi proprio con l’ipotesi della nullità per assenza di uno degli elementi essenziali, pur nella difficoltà di applicare la nozione di nullità ad un’ipotesi di provvedimento pienamente efficace al momento dell’emanazione (cfr. Magra, op. cit.). Né varrebbe argomentare in senso contrario che, poiché si tratta di “trasmissione” di vizi dall’atto presupposto all’atto presupponente, l’invalidità del primo potrebbe essere la mera annullabilità e non la nullità, cosicché nessuna nullità si riverberebbe sul secondo. Al contrario, è stato osservato che nell’illegittimità derivata «non si trasmettono né la natura del vizio dell’atto presupposto, né la conseguenza che l’ordinamento collega a quel vizio … Non è che l’atto precedente “trasmetta” alcunché all’atto successivo, ma è quest’ultimo che si fonda su una situazione illegittima, ed è, per tale motivo, illegittimo anch’esso» (D’ANGELO, op. cit., par. 3, che cita A. ROMANO, “Giurisdizione amministrativa e limiti alla giurisdizione ordinaria”, Milano, 1975, p. 190). Non diversa risulta, infine, la soluzione per gli atti adottati dal funzionario di fatto tale non per caducazione retroattiva del titolo ma per assoluta carenza di questa, dovendosi anche in tal caso propendersi per la nullità, sebbene non per carenza degli elementi essenziali dell’atto ma per difetto di attribuzione (D’ANGELO, op. cit., par. 4).

Emergono anche soluzioni dicotomiche, perché l’applicazione della nullità “tout court” determinerebbe una riduzione del livello di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione e una sostanziale frustrazione delle le esigenze di affidamento del privato nei confronti del corretto esercizio dei pubblici poteri, per cui occorre restringerne l’operatività ai soli atti sfavorevoli, mentre per gli atti favorevoli continuerebbe a valere l’ordinario regime di annullabilità (cfr. F. ALIOTTA, “La nullità del provvedimento amministrativo”, in http://www.diritto.it, 5 aprile 2007, par. 3).

In definitiva, al quadro sostanzialmente lineare dell’elaborazione giurisprudenziale si contrappone una compagine dottrinale estremamente eterogenea, che rispecchia le divergenze emerse in ordine all’ampiezza della nozione stessa di funzionario di fatto nella teoria generale. Mera sintesi verbale di una pluralità di figure, di essa la giurisprudenza ha dato una definizione omnicomprensiva – «tale dovendo considerarsi il titolare di funzioni pubbliche, il cui conferimento sia insussistente o annullato, in virtù dell’instaurazione del rapporto organico con la materiale assegnazione all’ufficio» (Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, in http://www.giustizia-amministrativa.it) – che non fa giustizia della «latitanza del legislatore» (V. GHERGHI, “Il funzionario di fatto. Analisi dell'istituto”, in “Nuova rass.”, 2002, pp. 777 ss., p. 786), «dato che in nessuna legge, né in alcun lavoro parlamentare di preparazione delle leggi, è rinvenibile la figura del “funzionario di fatto” o la sola intenzione di volervi fare, in qualche modo, riferimento» (P.G. SCARABINO-S. SCARABINO, “Il funzionario di fatto tra realtà e contraddizioni”, in Giust. amm., 2003, pt. III, pp. 607 ss., p. 612).

Sulla tematica del regime di invalidità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto, la giurisprudenza assolutamente prevalente – antecedente e successiva alla codificazione delle tipologie di invalidità provvedimentale operata dalla l. n. 15/2005 – afferma gli atti “medio tempore” adottati dal funzionario la cui nomina sia stata annullata sono da considerarsi efficaci, essendo irrilevante verso i terzi il rapporto fra la pubblica amministrazione e la persona fisica dell’organo che agisce (cfr., ex multiis, Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 1992, n. 4, in “Cons. Stato”, 1992, pt. I, p. 148; Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, in “Cons. Stato”, 1996, pt. I, p. 245; T.A.R. Lazio Latina, 10 luglio 2000, n. 656, in “Foro amm.”, 2001, p. 146; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2005, n. 992, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 12 gennaio 2007, n. 51, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 607, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3915, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 21 novembre 2011, n. 1380, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8 febbraio 2011, n. 402, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis, 14 febbraio 2011, n. 1379, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

Peraltro, la deroga alla regola della retroattività vale non per la totalità dei provvedimenti ma solo per quelli che, per natura e finalità, riguardano i terzi con efficacia immediata e diretta e solo per gli effetti ad essi favorevoli (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 1949, n. 145, in “Foro amm.”, 1949, pt. I, sez. 1, col. 299; Cons. giust. amm. reg. sic., 24 marzo 1960, n. 170, in “Cons. Stato”, 1960, pt. I, p. 527; Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 1962, n. 1160, in “Cons. Stato”, 1962, pt. I, p. 240; Cons. giust. amm. reg. sic., 28 ottobre 1966, n. 537, in “Cons. Stato”, 1966, pt. I, p. 1901. Più di recente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, in “Urb. e app.”, 2000, p. 428). Il principio del funzionario di fatto non può cioè essere invocato a danno del terzo che abbia inconsapevolmente fatto affidamento sulla provenienza dell’atto dalla pubblica amministrazione (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, in “Trib. amm. reg.”, 1991, pt. I, p. 1796).

Il fondamento giustificativo principale è nei principi di buona fede (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, cit.; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, cit.) e di legittimo affidamento (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 22 maggio 1993, n. 6, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, p. 593; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, cit.; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit.; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis, 14 febbraio 2011, n. 1379, cit.). E, anzi, dagli anni Trenta fino alla fine degli anni Cinquanta la tematica del funzionario di fatto è il solo terreno di applicazione della buona fede del privato nel diritto amministrativo sostanziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, in “Foro it.”, 1931, pt. III, col. 6; Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 1934, n. 581, in “Foro amm.”, pt. I, sez. 1, col. 16; Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 1949, n. 145, cit.). Si ammette cioè che – a tutela sia della buona fede dei privati che degli interessi dell’amministrazione stessa – la retroattività degli effetti dell’annullamento d’ufficio incontri un limite per gli atti posti in essere dal funzionario la cui nomina sia stata successivamente annullata, anche se in tal caso lo stato psicologico che rileva è quello non di chi agisce ma del soggetto nella cui sfera le vicende giuridiche vengono a prodursi. Infatti, l’esigenza di mantenere fermi gli effetti degli atti compiuti tutela la buona fede del pubblico che viene a contatto con il funzionario per necessità e non ha motivo di dubitare né è tenuto ad indagare sulla regolarità della sua nomina e la sua permanenza in servizio non impedita dall’autorità superiore (Cass. civ., sez. I, 10 luglio 1934, Ditta Roberto c. Società Arenella, in “Foro it.”, 1935, pt. I, col. 277). In altri termini, come nel diritto privato, a proposito della nullità degli atti, sussistono temperamenti derivanti da situazioni di fatto già verificatesi con il concorso della buona fede, così non potrebbero negarsi limiti alla retroattività nel diritto pubblico, dominato da principi fondamentali quali la tutela della buona fede, la presunzione di legittimità e l’esecutività degli atti amministrativi, i quali non possono non riflettersi nelle determinazione delle conseguenze giuridiche dell’annullamento d’ufficio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, cit.).

Un ruolo complementare assumono anche i principi di certezza del diritto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, cit.), di conservazione degli atti giuridici (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3070, cit.; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit. e T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, in cit.) e di continuità dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 1997, n. 565, in “Foro amm.”, 1997, 1404; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 marzo 1999, n. 907, in “Foro amm.”, 1999, p. 2655; Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1999, n. 749, in “Foro amm.”, 1999, p. 664; Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.). Il principio di continuità non è da intendersi però in senso assoluto, perché l’istituto del funzionario di fatto trova applicazione «solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia diretta ed immediata» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.). In tale tematica un’applicazione acritica del principio di continuità, che pure è una derivazione del principio costituzionale di buon andamento, risulta difficilmente conciliabile con il principio di legalità. La stessa Corte costituzionale ha negato che l’istituto della “prorogatio” di fatto, incerta nella sua durata, sia una regola valevole in via generale per gli organi amministrativi. Al contrario, «un'eventuale “prorogatio” di fatto “sine die” – demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario – violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonché quelli dell'imparzialità e del buon andamento» (Corte cost., 4 maggio 1992, n. 208, in http://www.cortecostituzionale.it, punto n. 4.6 del cons. in dir.).

Nell’ipotesi in cui l’atto lesivo sia stato adottato prima dell’annullamento dell’atto di nomina, la giurisprudenza ha chiarito che l’annullamento della nomina non travolge la generalità degli atti posti in essere ma solo quelli rispetto ai quali l’illegittimità della costituzione dell’organo sia stata dedotta come motivo di invalidità derivata, mediante un rituale ricorso (Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 1992, n. 4, cit.; T.A.R. Marche, 29 luglio 1999, n. 909, in “Foro amm.”, 2000, p. 1009; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.). Ove l’atto di nomina del funzionario avente competenza generale non sia stato annullato manca, infatti, un interesse qualificato e diretto ad impugnarlo in occasione dell’impugnazione degli atti da esso adottati. L'impugnazione congiunta del provvedimento lesivo e dell'atto di nomina può ipotizzarsi solo ove vi sia un nesso procedimentale fra i due, perché in tale ipotesi l'atto di nomina si atteggia come atto infraprocedimentale, costituendo quindi un antecedente logico e cronologico, rispetto all'emanazione dell'atto pregiudizievole, sul quale si trasmettono i vizi dell’atto di nomina. In tal caso, l’illegittimità di quest’ultimo potrà essere fatta valere, nell’ordinario termine di decadenza, solo da chi aveva interesse ad essere nominato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, cit.).

Laddove l’organo sia investito di funzioni di carattere generale, l’efficacia degli atti posti in essere deriva quindi dal fatto che il relativo procedimento di nomina ha una piena autonomia dal procedimento di emanazione degli atti. All’opposto, i vizi della nomina si riverberano sugli atti laddove l’organo sia investito di una specifica e determinata funzione, quale ad esempio lo svolgimento di un concorso pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 luglio 2012, n. 333, cit.; T.A.R. Molise, sez. I, 7 dicembre 2012, n. 745, in http://www.giustizia-amministrativa.it). Similmente, nel caso di nomina di un commissario “ad acta” per il compimento di atti specifici, l’annullamento della nomina comporta la caducazione degli atti adottati dall’organo straordinario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 360, in “Foro amm., 1979, pt. I, p. 903).

Alla tematica in esame la giurisprudenza ha, in sostanza, applicato la distinzione tra invalidità ad effetto caducante, nella quale si ha un travolgimento automatico dell’atto consequenziale senza necessità di apposita impugnativa, ed invalidità ad effetto viziante, nella quale l’atto consequenziale resiste alla caducazione dell’atto presupposto, necessitando di una tempestiva impugnativa per la sua eliminazione (introdotta da Cons. Stato, Ad. plen., 19 ottobre 1955, n. 17, in “Cons. Stato”, 1955, pt. I, p. 999 e precisata compiutamente da Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 1970, n. 4, in “Cons. Stato”, 1970, pt. I, p. 1543: su tale distinzione cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 585, in http://www.giustizia-amministrativa.it). Il diverso modo di operare dell’illegittimità derivata nei due casi è legato alla diversa intensità del legame tra atto presupposto e atto consequenziale, perché nell’invalidità ad effetto caducante – diversamente che in quella ad effetto viziante – l’atto presupposto costituisce la sola base legittimante dell’atto consequenziale. In realtà, i casi riconducibili all’invalidità ad effetto caducante sono piuttosto rari, perché – oltre agli atti strettamente consequenziali, che si pongono appunto in rapporto immediato, diretto e necessario con l’atto presupposto – la giurisprudenza l’ha riconosciuta per gli atti esecutivi (cfr., ad esempio, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 1 dicembre 2011, n. 9438, in http://www.giustizia-amministrativa.it) e per gli atti confermativi (cfr., ad esempio, Cons. giust. amm. Reg. sic., 22 febbraio 2012, n. 195, in http://www.giustizia-amministrativa.it). L’invalidità ad effetto viziante viene invece ritenuta operante in tutti gli altri casi di annullamento dell’atto di nomina, nei quali l’atto consequenziale diviene invalido per vizio derivato ma resta efficace.

Il meccanismo di operatività dell’illegittimità derivata ad effetto viziante produce dunque i medesimi risultati di salvaguardia dell’atto adottato dal titolare apparente dell’ufficio ai quali è finalizzata la teoria del funzionario di fatto. Del resto, la distinzione tra i due tipi di invalidità derivata riecheggia talora la tematica dell’affidamento, perché, pur attenendo propriamente alla chiamata in causa dei c.d. controinteressati successivi, si è precisato che «l’annullamento dell’atto presupposto comporta l’automatica caducazione dell’atto consequenziale, ad eccezione del caso in cui con l’atto posteriore sia stato conferito un bene o una qualche utilità ad un soggetto che non è parte del giudizio, essendo in tal caso necessaria la chiamata in causa di tale soggetto e l’impugnazione dell’atto consequenziale» (Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 207, in http://www.giustizia-amministrativa.it; conf. Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2001, n. 5677, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2007, n. 1948, in http://www.giustizia-amministrativa.it; sul punto cfr. A. CALEGARI, “L’invalidità derivata nei rapporti tra atti amministrativi”, Padova, 2012, pp. 273 ss.).

Sul solco dell’anzidetta continuità, anche dopo la l. n. 15/2005 la giurisprudenza ha continuato a distinguere nella tematica in esame tra invalidità caducante e invalidità viziante, alla quale riconduce la generalità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto, sia prima che dopo l’annullamento della nomina (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 5 maggio 2005, n. 5410, in http://www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit.). Si registra semmai una certa imprecisione quanto alla tipologia del vizio, perché la giurisprudenza talora parla di illegittimità per incompetenza (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.), mentre in altri casi si parla di invalidità senza specificare il vizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 11 giugno 1984, n. 285, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, p. 2028 e Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.).

Anche per gli atti adottati dal funzionario di fatto dopo l’annullamento dell’atto di nomina, la mancata tempestiva impugnazione rende inoppugnabile il provvedimento, non potendosi in proposito invocare la nullità per carenza di potere ma, al massimo, potrebbe parlarsi di carenza di potere in concreto, che, come è noto, rileva in termini di mera annullabilità dell’atto (cfr. T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III-ter, 14 febbraio 2006, n. 1073, cit., che richiama Cons. Stato, Ad. plen., 22 maggio 1993, n. 6, cit.).

Naturalmente l’annullamento d’ufficio dell’atto di nomina travolge tutti gli effetti ad esso connessi, e «tra gli effetti retroattivamente travolti da un simile provvedimento in autotutela non possono non ascriversi, “in primis”, quelli propriamente ‘giuridici’ derivanti dall’annullato conferimento dell’incarico, e, segnatamente, la titolarità della funzione (illegittimamente) rivestita durante il periodo del suo esercizio di fatto: ove neppure tali effetti, oltre quelli irretrattabili e le spettanze economiche frattanto maturate, venissero meno “ab origine”, la stessa (incontroversa) efficacia “ex tunc” dell’annullamento d’ufficio resterebbe svuotata di significato» (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 11 giugno 2009, n. 3205, in http://www.giustizia-amministrativa.it)

Talora si è anche espressamente escluso che la codificazione delle ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo operata della l. n. 15/2005 abbia influito sull’istituto del funzionario di fatto, «rispetto al quale è del tutto ininfluente l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, che non ha diversamente disciplinato le conseguenze dell’annullamento dell’atto di investitura» (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, cit.). A ben vedere, è la stessa giurisprudenza applicativa dell’art. 21-septies che anche indirettamente lascia margini di operatività alla figura in esame, riconducendo la carenza di potere in astratto alla nullità per difetto assoluto di attribuzione e la carenza di potere in concreto all’annullabilità, (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 28 aprile 2005, n. 5025, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 9 febbraio 2006, n. 363, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 8 maggio 2006, n. 994, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 22 maggio 2007, n. 1414, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3 marzo 2009, n. 2192, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

In sostanza, i due soli limiti configurati dalla giurisprudenza all’applicabilità del principio del funzionario di fatto attengono alla circostanza che l’interessato insorga negando il potere di chi ha emesso l’atto, attraverso una tempestiva e rituale impugnazione, e alla sua invocabilità solo a vantaggio e non a danno del privato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit. e Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit.).

Il quadro, peraltro, non è del tutto omogeneo e non mancano pronunce che dalla nullità originaria dell’atto di nomina fanno discendere la nullità sia degli atti consequenziali posti in essere dall’organo inesistente che dell’atto di convalida della nomina dello stesso successivamente disposta dall’amministrazione. Più esattamente, in un caso nel quale era stata accertata l’assenza del titolo di investitura all’ufficio di presidente di seggio, da una parte si è affermato che tutta l’attività da esso compiuta «deve essere considerata come attività viziata da nullità, essendo stata posta in essere da un soggetto da ritenersi privo del necessario titolo di legittimazione e quindi in situazione di assoluta carenza di potere; nullità la quale – data l’evidente natura di collegio perfetto che riveste l’ufficio elettorale – è tale da invalidare tutta l’attività della sezione». In tal caso, l’applicazione della teoria del funzionario di fatto è stata esclusa proprio perché – come nel caso di specie – essa è inoperante quando l'interessato insorga negando il potere di chi ha emesso l’atto pregiudizievole e qualora si risolva a danno dello stesso, in contrasto l’esigenza di tutela della buona fede. Dall’altra, la rilevata inesistenza dell’atto di nomina si ripercuote sulla validità del provvedimento di convalida dello stesso successivamente adottato dall’amministrazione, la cui nullità – e non, dunque, quella degli atti dell’organo inesistente – è stata ricondotta espressamente alla previsione normativa della l. n. 241/1990. Infatti, «a parte ogni ulteriore considerazione, è assorbente al riguardo il rilievo che tale atto è nullo, ai sensi dell’art. 21-septies della l. n. 241/1990 nel testo vigente, in quanto lo stesso manca di uno degli elementi essenziali», ossia dell’oggetto, argomentando anche ex art. 1325 c.c., perché tale deve essere considerato un atto di convalida privo dell’atto da convalidare (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 15 marzo 2012, n. 2550, in http://www.giustizia-amministrativa.it; su tale pronuncia cfr. M.R. BONCOMPAGNI, “Funzionario di fatto e rilevabilità ex officio della nullità provvedimentale”, in Neldiritto, 2012, n. 4, pp. 630 ss. e M. COLAPINTO, “La nullità del provvedimento amministrativo: limiti e tutela del terzo sugli atti adottati dal funzionario di fatto”, in “Dir. e giur.”, 2012, n. 4, pp. 93 ss.).

Decisamente più articolato è il quadro della dottrina. Si distingue così l’ipotesi in cui chi ha agito difetti “ab initio” dell’atto di nomina o operi nonostante un titolo nullo o inefficace da quella di chi ha esercitato pubbliche funzioni in base ad un’investitura illegittima, suddividendo tale eventualità tra il caso in cui la nomina non sia stata annullata e quello invece in cui sia intervenuto un annullamento giurisdizionale o amministrativo, ipotesi ulteriormente diversificata tra quella in cui l’annullamento della nomina precede l’adozione del provvedimento e quella in cui l’annullamento è successivo.

Nella prima ipotesi, ossia in caso di atto adottato in difetto “ab initio” di nomina o operante in base ad un titolo nullo, una parte della dottrina ritiene che il regime di invalidità sia quello della nullità o comunque della totale inefficacia degli atti sfavorevoli, dal momento che sono stati posti in essere da un privato che non è mai stato investito del potere di agire in nome dell’ente pubblico e, pertanto, essi non rappresentano un’espressione della volontà dell’amministrazione (cfr. M. DE PALMA, “Sulla teoria del funzionario di fatto”, in “Urb. e app.”, 2000, pp. 429 ss., p. 432). Tale conclusione è confermata dalla formulazione dell’art. 21-septies della l. n. 241/1990, che sancisce la nullità del provvedimento per difetto degli elementi essenziali, tra i quali vi è appunto la volontà dell’amministrazione. La carenza del rapporto organico, originaria o determinata dall’annullamento “ex tunc” dell’investitura, fa sì che al soggetto pubblico non sia più imputabile alcuna volontà (cfr. A. Susca, “L'invalidità del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005”, Milano, 2005, pp. 590 s.).

In realtà, nell’ipotesi di nullità dell’atto di nomina, riemerge la generale contrapposizione di orientamenti sull’ammissibilità o meno della nullità derivata, taluni ritenendo che essa non sia configurabile, perché la nullità dell’atto presupposto, fatta valere in via incidentale, determina la mera annullabilità dell’atto presupponente, e altri ammettendone la trasmissibilità. Nel primo senso, una parte della dottrina, in relazione alla problematica in esame, ammette la nullità derivata endoprocedimentale e non anche esoprocedimentale, escludendo quindi che la nullità possa comunicarsi al di fuori del procedimento di nomina del funzionario. Gli atti da esso adottati sono quindi annullabili per incompetenza, derivante dal difetto di legittimazione del titolare apparente dell’organo, da intendersi però come forma di invalidità derivata e non propria, essendo difficilmente contestabile che gli atti adottati dal funzionario la cui investitura sia nulla siano viziati in virtù del nesso di presupposizione che li lega all’atto presupposto. In tal senso, occorre distinguere un’illegittimità derivata, che si ha quando il vizio di legittimità dell’atto presupposto si trasmette all’atto presupponente, da un’invalidità derivata, che riflette sull’atto presupponente una patologia diversa da quella propria dell’atto presupposto (cfr. S. FANTINI, “Attività amministrativa del funzionario di fatto e invalidità derivata”, in B. Cavallo (a cura di), “Il funzionario di fatto”, Milano, 2005, pp. 67 ss., pp. 80 s.).

Per altra parte della dottrina, viceversa, la regola del funzionario di fatto priva la nullità dell’atto di nomina solo delle conseguenze sanzionatorie ordinarie che da essa discendono in virtù del principio dell’affidamento, senza incidere sull’imputabilità degli atti da esso adottati all’amministrazione. In tal senso, in base al principio del funzionario di fatto, un atto di investitura dichiarato nullo non è giuridicamente irrilevante e la presenza di una causa di nullità in esso non solo non impedisce di considerare il soggetto incardinato nell’ufficio come “munus”, ma non interrompe neppure il rapporto organico. Si determina invece un peculiare rapporto di fatto tra amministrazione e titolare dell’ufficio perché, in virtù del principio di affidamento, la nullità non opera né per l’atto di nomina né per gli atti che ne presuppongono l’esistenza e l’efficacia, atti che non dovrebbero invece essere imputati all’amministrazione proprio in applicazione delle conseguenze che l’ordinamento connette, di regola, alla nullità. La tutela dell’affidamento non crea, beninteso, una validità ed una efficacia “succedanee” degli atti adottati dal funzionario di fatto, ma incide solo sulla regola per la quale “quod nullum est nullum producit effectum”, fondandone un’eccezione per quanto riguarda l’imputazione, il che non impedisce la qualificazione dell’atto così adottato come invalido. Tanto nell’ipotesi in cui il provvedimento pregiudizievole sia adottato in difetto, “ab initio”, dell’atto di nomina quanto in quella in cui sia dichiarato nullo al momento dell’emanazione del provvedimento che lo presuppone, esso è, dunque, imputabile all’amministrazione in base al principio del funzionario di fatto, ed efficace o meno, a seconda non della sua pretesa favorevolezza per il privato, ma dell’intensità del nesso di presupposizione che lo lega alla nomina nulla. Ne deriva che, ove il rapporto tra atto presupponente e atto presupposto (nullo) sia di stretta dipendenza logico-formale, il primo sarà nullo, mentre sarà solo annullabile nelle altre ipotesi, secondo la tradizionale distinzione tra invalidità derivata viziante e caducante. Eccessiva e, perciò, criticabile risulta la posizione della giurisprudenza consolidata, che bipartisce in maniera ingiustificata il regime giuridico dell’efficacia degli atti in funzione della loro qualificazione in termini di favorevolezza o meno per il privato, senza affrontare il problema della loro imputabilità all’amministrazione. Applicando la teoria del funzionario di fatto come criterio di recupero non solo della validità degli atti ma anche della loro efficacia solo se gli effetti sono favorevoli al privato, l’eccezione alla regola dell’inefficacia degli atti nulli raggiunge il suo culmine, perché l’atto viene imputato comunque all’amministrazione anche in caso di radicale difformità dal paradigma di validità che dovrebbe rispettare, senza che vengano spiegate le ragioni di tale regime particolare (cfr. s.a., “Investitura e nullità nel rapporto di fatto”, in http://www.abbatescianni.eu, 9 giugno 2009).

Nella seconda ipotesi, ossia qualora l’atto pregiudizievole sia stato adottato in base ad un atto di nomina illegittimo ma efficace al momento dell’emanazione dell’atto consequenziale e non annullato in sede giurisdizionale o amministrativa, la soluzione adottata dalla giurisprudenza, che non consente di impugnare l’atto di nomina contestualmente all’impugnazione dell’atto applicativo pregiudizievole in assenza di uno specifico nesso procedimentale tra i due (per la quale cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, cit.), appare invece in consonanza con il principio di conservazione degli atti giuridicis, giustificandosi in ragione dell’esigenza pratica che il privato non rimetta in gioco l’assetto stabilizzato dell’esercizio dei pubblici poteri anche qualora sia trascorso molto tempo dalla concretizzazione del pregiudizio. In tal caso, l'esigenza di tutela dell'affidamento appare recessiva rispetto a quella di certezza e stabilità dell'azione amministrativa (cfr. DE PALMA, op. cit., pp. 432 s.; S. MAGRA, “Principio di conservazione del provvedimento amministrativo fra nullità, annullabilità e inesistenza”, in http://www.overlex.com, 2006; SUSCA, op. cit., p. 594).

Nella terza ipotesi, ossia qualora sia intervenuto un annullamento giurisdizionale o amministrativo dell’atto di nomina prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole – situazione che potrebbe integrare gli estremi del reato di usurpazione di funzioni pubbliche di cui all’art. 347 c.p., se il funzionario ormai decaduto continuasse ad assumere volontariamente la titolarità dell’ufficio nella consapevolezza dell’annullamento – , parte della dottrina propende per la nullità per carenza di potere, dato che l’atto è stato emanato da un soggetto privo di legittimazione ad agire. Una conferma di tale soluzione viene intravista negli artt. 3 e 6 della l. n. 444/1994, che, in tema di “prorogatio”, sanzionano espressamente con la nullità l’attività dell’organo che continua ad esercitare le sue funzioni oltre il termine per il quale gli sono state conferite, limitatamente agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, a quelli privi dei requisiti dell’urgenza e dell’indifferibilità adottati nel periodo di proroga e a tutti gli altri atti adottati oltre il termine. Analogamente, perciò, deve considerarsi nullo l’atto adottato dal funzionario privato della titolarità dell’ufficio non a causa alla scadenza del termine ma in base all’annullamento dell’atto di nomina (cfr. DE PALMA, op. cit., p. 433 e SUSCA, op. cit., pp. 591 s.).

Altra parte della dottrina propende invece per l’annullabilità (cfr. M.S. GIANNINI, “Diritto amministrativo”, II ed., Milano, 1988, vol. I, p. 287), perché se, dichiarata l’invalidità dell’atto di investitura, il titolare dell’ufficio resta nella carica ed emana ancora atti, questi sono invalidi, ma non “ope legis”: occorrerà provocarne l’annullamento, di difetto del quale l’atto inoppugnabile conserverà la sua efficacia.

Anche altra dottrina propende per la carenza di potere in concreto, che, come è noto, rileva come cattivo esercizio del potere e, dunque, come annullabilità. Non potrebbe invece parlarsi di carenza di potere in astratto, dato che esiste comunque un potere conferito per attribuzione normativa, difettando però il presupposto (l’investitura nell’ufficio) che condiziona l’esercizio, né più e né meno di quanto avviene allorché venga emanato un provvedimento espropriativo senza previa dichiarazione di pubblica utilità o dopo la scadenza del relativo termine (cfr. FANTINI, op. cit., pp. 76 s.).

La tesi dell’annullabilità è stata prospettata da taluni senza eccezioni, sia nel caso di mancanza di investitura che in quello di investitura viziata, perché in entrambe le ipotesi il regime di annullabilità per violazione di legge discende sempre dall’inosservanza delle norme che stabiliscono quali persone fisiche siano abilitate per legge ad agire per la pubblica amministrazione (cfr. E. CAPACCIOLI, “La gestione di affari in diritto amministrativo”, Padova, 1956, pp. 62 ss.).

Nella quarta ipotesi, infine, ossia qualora l’atto di nomina sia illegittimo ma efficace al momento dell’emanazione dell’atto consequenziale, e tuttavia annullato nel lasso di tempo tra l’adozione dell’atto e la proposizione del ricorso, la soluzione dell’illegittimità, propugnata da una parte della dottrina e della giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 11 giugno 1984, n. 285, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853, cit.) e talora espressamente qualificata per incompetenza (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1991, n. 79, cit.), pone senz’altro un problema di compatibilità con l’anzidetto indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’interesse ad impugnare l’atto di nomina di un organo a competenza generale non sussiste in assenza di uno stretto nesso di presupposizione dell’atto consequenziale rispetto ad esso, se il funzionario è a competenza generale, poiché in tal caso non vi è trasmissione del vizio dall’atto presupposto all’atto presupponente. A ritenere l’illegittimità per incompetenza dell’atto presupponente, bisogna necessariamente sostenere che il privato abbia intereresse ad impugnare anche l’atto presupposto, dato che il suo annullamento gli procurerebbe il vantaggio dell’invalidazione dell’atto presupponente pregiudizievole (cfr. DE PALMA, op. cit., p. 433 e SUSCA, op. cit., p. 595).

A tale constatazione seguono tuttavia soluzioni diversificate. Una parte della dottrina ritiene che in tale ipotesi, piuttosto che l’annullabilità per incompetenza o per violazione di legge, dovrebbe prospettarsi la nullità per “acompetenza”. Infatti, alla luce dell’efficacia retroattiva dell’atto di nomina, il soggetto che ha emanato l’atto ha agito in carenza di potere perché privo della qualifica di organo pubblico, risultando dunque esterno all’apparato organizzatorio per conto del quale ha agito, con la conseguenza che il provvedimento adottato andrebbe considerato radicalmente nullo. Si tratta, dunque, di un’ipotesi evidentemente più vicina all’incompetenza assoluta, risolventesi in nullità per carenza di potere, sebbene non in astratto ma in concreto. Ragionando in termini di nullità o di inefficacia, ne deriva anche – quale logico corollario – che, se l’atto di nomina non è stato annullato, il privato ha senz’altro interesse ad impugnarlo anche dopo che sia trascorso il termine di sessanta giorni dalla sua conoscenza, purché sia comunque rispettato il termine di sessanta giorni dalla notifica o piena conoscenza del provvedimento pregiudizievole. Per contro, l’adesione alla tesi dell’illegittimità comporta la necessità di ottenere, con un’impugnativa congiunta, l’annullamento dell’atto presupposto e di quello presupponente, dato che quest’ultimo, proprio perché semplicemente annullabile, sarebbe efficace fino all’eliminazione (cfr. DE PALMA, op. cit., pp. 433 s.).

Altra dottrina propende invece per l’illegittimità derivata, e dunque per l’annullabilità, conformemente alla soluzione giurisprudenziale che nega la sussistenza di uno specifico nesso procedimentale tra l’atto di investitura di un organo amministrativo, dotato di competenza generale, e l’atto emanato dall’organo stesso, nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali, che consenta la trasmissibilità del vizio dal primo al secondo (cfr. FANTINI, op. cit., p. 76).

Similmente, altra parte della dottrina accoglie la tesi dell’illegittimità, per violazione di legge o per incompetenza, respingendo l’ipotesi della nullità per acompetenza. In primo luogo, l’atto di nomina è comunque efficace al momento dell’adozione del provvedimento lesivo. Per contro, la tesi della nullità per acompetenza pone il problema della configurabilità di una causa di nullità che, per essere accolta, richiede la previa caducazione dell’atto di nomina. Quest’ultimo è però pienamente efficace al momento dell’emanazione dell’atto pregiudizievole, laddove la nullità postula l’inefficacia originaria ed intrinseca dell’atto. In secondo luogo, il carattere retroattivo dell’annullamento dell’atto di nomina pone solo un problema di caducabilità automatica o meno degli atti consequenziali, non già di nullità degli stessi, perché adottati appunto sulla base di un atto presupposto pienamente efficace (cfr. SUSCA, op. cit., p. 597). D’altra parte, se – quale logico corollario della nullità dell’atto presupponente – si ammette l’impugnabilità dell’atto presupposto anche dopo la decorrenza del termine di sessanta giorni dalla sua conoscenza, solo perché con l’emanazione dell’atto presupponente diviene attuale l’interesse del destinatario alla sua impugnazione, si finirebbe per consentire a qualsiasi soggetto, destinatario di un qualunque atto pregiudizievole, di impugnare l’atto di nomina illegittima a distanza anche di molto tempo dalla sua adozione, pregiudicando il principio di buon andamento dell’attività amministrative con la compromissione della stabilità dell’apparato pubblico. Inoltre, tutti gli atti sfavorevoli a terzi adottati nel periodo tra l’emanazione dell’atto presupposto e dell’atto presupponente verrebbero automaticamente travolti dalla caducazione del primo, senza il filtro di un annullamento giurisdizionale o amministrativo e in una situazione di totale inconvalidabilità degli atti consequenziali – appunto nulli – da parte dell’amministrazione. Ciò spiega perché la giurisprudenza limiti la possibilità di ritenere configurabile l’interesse a ricorrere contro l’atto di nomina qualora, al momento dell’impugnazione dell’atto pregiudizievole, sia decorso il termine di decadenza dalla conoscenza dell’invalidità dell’investitura e, soprattutto, qualifichi in termini di illegittimità e non di nullità gli atti consequenziali, così da conferire all’amministrazione una generale possibilità di convalida degli stessi e da contenere ai soli atti impugnati la trasmissione dell’effetto eliminatorio (id, p. 601).

Talora emergono soluzioni più radicali, secondo cui, dopo la codificazione delle ipotesi di nullità operata dalla l. n. 15/2005 con l’introduzione dell’art. 21-septies nella l. n. 241/1990, il regime di invalidità degli atti posti in essere dal funzionario di fatto sarebbe sempre riconducibile alla nullità per carenza di uno degli elementi essenziali dell’atto. In tal senso, si argomenta che la caducazione con effetto retroattivo del “titulus”, fa venire meno uno degli elementi essenziali dell’atto, tra i quali, sebbene non indicati dalla disposizione in esame, va ricompresa la volontà dell’amministrazione procedente, ovvero l’imputabilità degli effetti del provvedimento ad una pubblica amministrazione (cfr. L. D'ANGELO, “La nullità del provvedimento amministrativo ex L. n. 15/2005: le esequie del funzionario di fatto”, in Giustamm.it, n. 4/2005, par. 3, su cui concorda A.M.R. LIUZZO, “Il funzionario di fatto e la tutela del legittimo affidamento dei privati”, in Giustamm.it, n. 11/2009, par. 8.). In quest’ottica la tesi dell’acompetenza, rivisitata dopo la l. n. 15/2005, avrebbe il pregio di armonizzarsi proprio con l’ipotesi della nullità per assenza di uno degli elementi essenziali, pur nella difficoltà di applicare la nozione di nullità ad un’ipotesi di provvedimento pienamente efficace al momento dell’emanazione (cfr. Magra, op. cit.). Né varrebbe argomentare in senso contrario che, poiché si tratta di “trasmissione” di vizi dall’atto presupposto all’atto presupponente, l’invalidità del primo potrebbe essere la mera annullabilità e non la nullità, cosicché nessuna nullità si riverberebbe sul secondo. Al contrario, è stato osservato che nell’illegittimità derivata «non si trasmettono né la natura del vizio dell’atto presupposto, né la conseguenza che l’ordinamento collega a quel vizio … Non è che l’atto precedente “trasmetta” alcunché all’atto successivo, ma è quest’ultimo che si fonda su una situazione illegittima, ed è, per tale motivo, illegittimo anch’esso» (D’ANGELO, op. cit., par. 3, che cita A. ROMANO, “Giurisdizione amministrativa e limiti alla giurisdizione ordinaria”, Milano, 1975, p. 190). Non diversa risulta, infine, la soluzione per gli atti adottati dal funzionario di fatto tale non per caducazione retroattiva del titolo ma per assoluta carenza di questa, dovendosi anche in tal caso propendersi per la nullità, sebbene non per carenza degli elementi essenziali dell’atto ma per difetto di attribuzione (D’ANGELO, op. cit., par. 4).

Emergono anche soluzioni dicotomiche, perché l’applicazione della nullità “tout court” determinerebbe una riduzione del livello di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione e una sostanziale frustrazione delle le esigenze di affidamento del privato nei confronti del corretto esercizio dei pubblici poteri, per cui occorre restringerne l’operatività ai soli atti sfavorevoli, mentre per gli atti favorevoli continuerebbe a valere l’ordinario regime di annullabilità (cfr. F. ALIOTTA, “La nullità del provvedimento amministrativo”, in http://www.diritto.it, 5 aprile 2007, par. 3).

In definitiva, al quadro sostanzialmente lineare dell’elaborazione giurisprudenziale si contrappone una compagine dottrinale estremamente eterogenea, che rispecchia le divergenze emerse in ordine all’ampiezza della nozione stessa di funzionario di fatto nella teoria generale. Mera sintesi verbale di una pluralità di figure, di essa la giurisprudenza ha dato una definizione omnicomprensiva – «tale dovendo considerarsi il titolare di funzioni pubbliche, il cui conferimento sia insussistente o annullato, in virtù dell’instaurazione del rapporto organico con la materiale assegnazione all’ufficio» (Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861, in http://www.giustizia-amministrativa.it) – che non fa giustizia della «latitanza del legislatore» (V. GHERGHI, “Il funzionario di fatto. Analisi dell'istituto”, in “Nuova rass.”, 2002, pp. 777 ss., p. 786), «dato che in nessuna legge, né in alcun lavoro parlamentare di preparazione delle leggi, è rinvenibile la figura del “funzionario di fatto” o la sola intenzione di volervi fare, in qualche modo, riferimento» (P.G. SCARABINO-S. SCARABINO, “Il funzionario di fatto tra realtà e contraddizioni”, in Giust. amm., 2003, pt. III, pp. 607 ss., p. 612).