x

x

Il licenziamento del lavoratore e il congedo parentale

Abstract

Nella causa C7/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Augstākās tiesas Senāts (Lettonia), con decisione del 27 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 4 gennaio 2012, nel procedimento Nadežda Riežniece contro Zemkopības ministrija e Lauku atbalsta dienests, vertente sulla valutazione di legittimità (o meno) del criterio di scelta adottato dalla PA nell’individuazione delle posizioni da sopprimere in caso di riduzione dei posti di lavoro per difficoltà economiche nazionali, distinguendo tra beneficiari di congedi parentali e lavoratori che non ne usufruiscono.

Con la sentenza in rassegna, la CGCE ha statuito che integra discriminazione indiretta la scelta, tra le posizioni da sopprimere in una fattispecie di riduzione di personale nell’ambito di rapporto di pubblico impiego, della lavoratrice che ha fruito dei congedi parentali rispetto ai lavoratori che non ne beneficiano.

Nella specie, l’intervento della CGCE è stato sollecitato nell’ambito di giudizio promosso innanzi all’Autorità giudiziaria lettone dalla sig.ra Riežniece avverso la decisione del Ministero dell’Agricoltura (Zemkopības ministrija) che aveva confermato la decisione del Servizio di Sostegno all’Ambiente Rurale (Lauku atbalsta dienests) di cessazione del suo rapporto d’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione per soppressione del posto di lavoro presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione.

Dalla decisione di rinvio alla CGCE si evince che il 14 novembre 2005 la sig.ra Riežniece era stata nominata consulente principale nell’ambito della sezione giuridica del dipartimento amministrativo del Servizio lettone di Sostegno all’Ambiente Rurale.

Nel 2006, come gli altri colleghi, la Riežniece era stata sottoposta a valutazione professionale. Quindi, dal 14 novembre 2007 al 6 maggio 2009 ha usufruito di congedo parentale. In tale contesto, nel 2009, l’ufficio cui la ricorrente era preposta ha proceduto ad una riorganizzazione implicante la soppressione di una, tra 4, delle posizioni di consulente principale.

Nell’individuare il soggetto da licenziare, la PA ha proceduto alla valutazione dei 4 dipendenti aventi stessa qualifica della Riežniece adottando, nel 2009, criteri in parte diversi ed in parte ulteriori rispetto a quelli adottati nell’ambito della valutazione del 2006. In tal guisa, la Riežniece ha ottenuto, nel 2009, un punteggio complessivo inferiore a quello attribuitole nell’ultima valutazione del 2006, ed è risultata all’ultimo posto della graduatoria dei lavoratori interessati dalla procedura.

Pertanto, con provvedimento del 7 maggio 2009 adottato dal Servizio di Sostegno all’Ambiente Rurale, e confermato dal Ministero dell’Ambiente il successivo 26 maggio 2009, la parte datoriale pubblica ha comunicato alla Riežniece la cessazione del suo rapporto di impiego.

Il Giudice amministrativo lettone, pronunciandosi sulla domanda della lavoratrice tesa all’annullamento delle decisione espulsiva e alla condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni per l’effetto patiti, con pronuncia del 21 ottobre 2009 ha parzialmente accolto il ricorso. La decisione è stata riformata dal Giudice dell’appello che ha ritenuto obiettivo il criterio di valutazione adottato dalla PA nell’individuazione del lavoratore da licenziare. La sig.ra Riežniece ha, dunque, proposto gravame contro la sentenza del Giudice di secondo grado innanzi al Senato della Corte Suprema (Augstākās tiesas Senāts) sostenendo che, ai sensi del diritto comunitario, i lavoratori che beneficiano di congedo parentale hanno diritto, finito il congedo, a essere riassegnati al proprio posto di lavoro o a posto equivalente. Inoltre, secondo la ricorrente, il Giudice dell’appello avrebbe errato nella misura in cui non ha rilevato la discriminazione operata dall’Amministrazione laddove ha proceduto al suo licenziamento tenendo presente la maggiore professionalità conseguita dai suoi colleghi in servizio durante il periodo in cui lei era in congedo. Al cospetto di ciò, il Senato della Corte Suprema lettone ha sottoposto alla CGCE le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se le disposizioni della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 e quelle dell’accordo quadro concluso il 14 dicembre 1995 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/ CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a qualsiasi azione intrapresa dal datore di lavoro (in particolare la valutazione del dipendente effettuata in sua assenza) che abbia come risultato che una donna in congedo parentale, dopo essere rientrata al lavoro, possa perdere il suo posto; 2) Se la risposta alla precedente questione sarebbe diversa qualora il motivo di tale azione del datore di lavoro fosse da rinvenire nel fatto che, a causa della recessione economica dello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato si è provveduto all’ottimizzazione dell’organico e alla soppressione di posti di lavoro; 3) Se debba considerarsi discriminazione indiretta la valutazione del lavoro e dei meriti di una lavoratrice che tenga conto della sua ultima valutazione annuale, dello svolgimento delle sue mansioni di funzionaria, e dei risultati da lei ottenuti prima del congedo parentale, rispetto alla valutazione, effettuata in base a nuovi criteri, del lavoro e dei meriti di altri funzionari rimasti in servizio attivo e che hanno usufruito peraltro della possibilità di aumentare i propri meriti.”

La Corte, precisando che vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (v., in particolare, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, C1/95, Racc. pag. I5253, punto 30, e del 20 ottobre 2011, Brachner, C123/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56), ha disposto che la direttiva 76/207/CEE del Consiglio e l’accordo quadro sul congedo parentale, devono essere interpretati nel senso di ostare a che: – ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e, – una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.

Abstract

Nella causa C7/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Augstākās tiesas Senāts (Lettonia), con decisione del 27 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 4 gennaio 2012, nel procedimento Nadežda Riežniece contro Zemkopības ministrija e Lauku atbalsta dienests, vertente sulla valutazione di legittimità (o meno) del criterio di scelta adottato dalla PA nell’individuazione delle posizioni da sopprimere in caso di riduzione dei posti di lavoro per difficoltà economiche nazionali, distinguendo tra beneficiari di congedi parentali e lavoratori che non ne usufruiscono.

Con la sentenza in rassegna, la CGCE ha statuito che integra discriminazione indiretta la scelta, tra le posizioni da sopprimere in una fattispecie di riduzione di personale nell’ambito di rapporto di pubblico impiego, della lavoratrice che ha fruito dei congedi parentali rispetto ai lavoratori che non ne beneficiano.

Nella specie, l’intervento della CGCE è stato sollecitato nell’ambito di giudizio promosso innanzi all’Autorità giudiziaria lettone dalla sig.ra Riežniece avverso la decisione del Ministero dell’Agricoltura (Zemkopības ministrija) che aveva confermato la decisione del Servizio di Sostegno all’Ambiente Rurale (Lauku atbalsta dienests) di cessazione del suo rapporto d’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione per soppressione del posto di lavoro presso la sezione per lo sviluppo dei sistemi informativi del dipartimento per l’informazione.

Dalla decisione di rinvio alla CGCE si evince che il 14 novembre 2005 la sig.ra Riežniece era stata nominata consulente principale nell’ambito della sezione giuridica del dipartimento amministrativo del Servizio lettone di Sostegno all’Ambiente Rurale.

Nel 2006, come gli altri colleghi, la Riežniece era stata sottoposta a valutazione professionale. Quindi, dal 14 novembre 2007 al 6 maggio 2009 ha usufruito di congedo parentale. In tale contesto, nel 2009, l’ufficio cui la ricorrente era preposta ha proceduto ad una riorganizzazione implicante la soppressione di una, tra 4, delle posizioni di consulente principale.

Nell’individuare il soggetto da licenziare, la PA ha proceduto alla valutazione dei 4 dipendenti aventi stessa qualifica della Riežniece adottando, nel 2009, criteri in parte diversi ed in parte ulteriori rispetto a quelli adottati nell’ambito della valutazione del 2006. In tal guisa, la Riežniece ha ottenuto, nel 2009, un punteggio complessivo inferiore a quello attribuitole nell’ultima valutazione del 2006, ed è risultata all’ultimo posto della graduatoria dei lavoratori interessati dalla procedura.

Pertanto, con provvedimento del 7 maggio 2009 adottato dal Servizio di Sostegno all’Ambiente Rurale, e confermato dal Ministero dell’Ambiente il successivo 26 maggio 2009, la parte datoriale pubblica ha comunicato alla Riežniece la cessazione del suo rapporto di impiego.

Il Giudice amministrativo lettone, pronunciandosi sulla domanda della lavoratrice tesa all’annullamento delle decisione espulsiva e alla condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni per l’effetto patiti, con pronuncia del 21 ottobre 2009 ha parzialmente accolto il ricorso. La decisione è stata riformata dal Giudice dell’appello che ha ritenuto obiettivo il criterio di valutazione adottato dalla PA nell’individuazione del lavoratore da licenziare. La sig.ra Riežniece ha, dunque, proposto gravame contro la sentenza del Giudice di secondo grado innanzi al Senato della Corte Suprema (Augstākās tiesas Senāts) sostenendo che, ai sensi del diritto comunitario, i lavoratori che beneficiano di congedo parentale hanno diritto, finito il congedo, a essere riassegnati al proprio posto di lavoro o a posto equivalente. Inoltre, secondo la ricorrente, il Giudice dell’appello avrebbe errato nella misura in cui non ha rilevato la discriminazione operata dall’Amministrazione laddove ha proceduto al suo licenziamento tenendo presente la maggiore professionalità conseguita dai suoi colleghi in servizio durante il periodo in cui lei era in congedo. Al cospetto di ciò, il Senato della Corte Suprema lettone ha sottoposto alla CGCE le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se le disposizioni della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 e quelle dell’accordo quadro concluso il 14 dicembre 1995 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/ CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a qualsiasi azione intrapresa dal datore di lavoro (in particolare la valutazione del dipendente effettuata in sua assenza) che abbia come risultato che una donna in congedo parentale, dopo essere rientrata al lavoro, possa perdere il suo posto; 2) Se la risposta alla precedente questione sarebbe diversa qualora il motivo di tale azione del datore di lavoro fosse da rinvenire nel fatto che, a causa della recessione economica dello Stato, in tutte le amministrazioni dello Stato si è provveduto all’ottimizzazione dell’organico e alla soppressione di posti di lavoro; 3) Se debba considerarsi discriminazione indiretta la valutazione del lavoro e dei meriti di una lavoratrice che tenga conto della sua ultima valutazione annuale, dello svolgimento delle sue mansioni di funzionaria, e dei risultati da lei ottenuti prima del congedo parentale, rispetto alla valutazione, effettuata in base a nuovi criteri, del lavoro e dei meriti di altri funzionari rimasti in servizio attivo e che hanno usufruito peraltro della possibilità di aumentare i propri meriti.”

La Corte, precisando che vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisce un numero molto più alto di donne che di uomini (v., in particolare, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, C1/95, Racc. pag. I5253, punto 30, e del 20 ottobre 2011, Brachner, C123/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56), ha disposto che la direttiva 76/207/CEE del Consiglio e l’accordo quadro sul congedo parentale, devono essere interpretati nel senso di ostare a che: – ai fini della valutazione dei lavoratori nel contesto della soppressione di posti di dipendenti pubblici per difficoltà economiche a livello nazionale, un lavoratore che ha fruito di un congedo parentale sia valutato in sua assenza sulla base di principi e criteri di valutazione che lo pongano in una situazione svantaggiosa rispetto ai lavoratori che non hanno fruito di un congedo del genere; per verificare che ciò non sia avvenuto, il giudice nazionale deve sincerarsi in particolare del fatto che la valutazione riguardi l’insieme dei lavoratori potenzialmente coinvolti dalla misura della soppressione del posto di lavoro, che essa sia fondata su criteri rigorosamente identici a quelli che si applicano ai lavoratori in servizio attivo e che per l’applicazione di tali criteri non sia necessaria la presenza fisica dei lavoratori in congedo parentale, e, – una lavoratrice, che è stata trasferita su un altro posto di lavoro al termine del suo congedo parentale e in esito a tale valutazione, sia licenziata perché questo nuovo posto di lavoro viene soppresso, qualora per il datore di lavoro non fosse impossibile farla tornare sul suo precedente posto di lavoro o qualora il lavoro assegnatole non fosse equivalente o analogo e corrispondente al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, in particolare per il fatto che, al momento del trasferimento, il datore di lavoro sapeva che il nuovo posto di lavoro era destinato a essere soppresso, circostanza che spetta al giudice nazionale appurare.