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Prostituzione ed intervento penale: i percorsi non lineari della giurisprudenza

1. Le massime

Il discrimine tra lecito e illecito, avuto riguardo alla condotta di chi offra servizi in favore di soggetti che si prostituiscono, va individuato nella distinzione tra una prestazione di servizi “ordinari” e quella che potrebbe definirsi come la prestazione di un supporto aggiuntivo e personalizzato: soltanto nel secondo caso la condotta può ritenersi penalmente rilevante, atteso che le sanzioni penali recate dalla così detta legge Merlin debbono essere applicate solo a coloro che condizionino la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrano un contributo intenzionale alla attività di prostituzione eccedendo i limiti della ordinaria prestazione di servizi (nel caso deciso, la Suprema Corte ha ritenuto lecita la condotta degli imputati, essendo stato accertato che essi, facendo parte di una società e con una organizzazione ampiamente ramificata su base territoriale, si limitavano a raccogliere le inserzioni di persone dedite alla prostituzione per poi pubblicarle, secondo tariffe prestabilite e non eccedenti le normali tariffe pubblicitarie, in taluni casi realizzando dei fotoritocchi con strumenti informatici).

La pubblicazione di inserzioni pubblicitarie su siti web, al pari di quella sui tradizionali organi di informazione a mezzo stampa, deve essere considerata come un normale servizio in favore della persona, di modo che il reato di favoreggiamento della prostituzione non può dirsi integrato; è, di contro, integrato il lenocinio nell'ipotesi in cui non si proceda alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata, bensì vi sia una cooperazione tra soggetto e persona dedita alla prostituzione, che si esplichi nella realizzazione di servizi fotografici erotici a fini pubblicitari e nella collaborazione organizzativa volta a realizzare il contatto con la clientela, evidentemente, per rendere più allettante l’offerta e per facilitare l’approccio col maggior numero possibile di clienti.

2. Il caso

In sede di udienza preliminare era emerso che i soci di una società in nome collettivo, mediante la gestione di un sito internet, avevano ideato e organizzato, sin dal 2003, un sistema di annunci pubblicitari a pagamento in favore di persone che esercitavano la prostituzione. Tale sistema si avvaleva del contributo di promotori che in diverse città provvedevano a raccogliere le richieste di inserzione ed alla riscossione dei pagamenti mensili. Tizio e Caio, in particolare, operavano nell’ambito di una provincia del nord Italia, nel cui ambito gestivano gli annunci di un significativo numero di persone, come emerso anche dal materiale sequestrato. Il giudice dell’udienza preliminare separava le posizioni di numerosi coimputati che optavano per il rito abbreviato e dichiarava non doversi procedere nei confronti dei signori Tizio e Caio perché il fatto non costituisce reato con riferimento ai reati di associazione per delinquere e di favoreggiamento della prostituzione e perché il fatto non sussiste avuto riguardo al reato di sfruttamento della prostituzione.

Avverso tale decisione il Procuratore generale della Repubblica propone ricorso, con esclusione della decisione assolutoria circa l’ipotesi di sfruttamento della prostituzione, lamentando che: - il giudicante, dopo aver ritenuto sussistente l’associazione criminosa, avrebbe illogicamente escluso il ruolo di partecipi in capo ai due imputati, sull’assunto della sporadicità degli interventi di fotoritocco e dei servizi aggiuntivi, pure a fronte della loro piena consapevolezza delle attività svolte da chi richiedeva gli annunci, con adesione ai metodi di lavoro e alle tariffe imposte dai gestori del sito, condannati per associazione a delinquere; - l’ipotesi di “lenocinio” sussisterebbe sia quando si provvede a pubblicare una delle fotografie consegnate dalla persona interessata alla pubblicazione, sia, a maggior ragione, quando l’imputato si sia preoccupato di effettuare o far effettuare il servizio fotografico pubblicato; -  la predisposizione di servizi fotografici e le caratteristiche delle condotte contestate sono incompatibili con l’affermazione secondo cui gli imputati avrebbero inteso offrire servizi alla singola prostituta e non favorire la prostituzione e neppure assumerebbe rilievo il fatto che i servizi aggiuntivi non venissero offerti su sollecitazione, bensì solo se richiesti.

3. La decisione

La Suprema Corte prende le mosse da un punto fermo: il legislatore ha inteso considerare non vietata e, dunque, in sé lecita l’attività della persona che scambi la propria fisicità contro denaro. I giudici di legittimità sottolineano come si siano evolute, affinandosi, le decisioni circa le condotte di coloro che condividano la vita della persona che liberamente si prostituisce e di chi, a vario titolo, interagisca professionalmente con la persona dedita alla prostituzione. La Legge 20 febbraio 1958, n. 75, in ogni caso, ha inteso circoscrivere la risposta penale solo a coloro che condizionino la libertà della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrino per finalità di vantaggio e, infine a coloro che offrono un contributo intenzionale all’attività di prostituzione, eccedendo i limiti della ordinaria prestazione di servizi.

I giudici della terza sezione penale evidenziano come i percorsi seguiti nel dibattito giurisprudenziale non siano sempre stati lineari. Tuttavia, con specifico riguardo ai servizi pubblicitari messi a disposizione di persone che si prostituiscano, la corte ha affermato che: 1) la pubblicazione di inserzioni sul web o sulla stampa deve considerarsi come un normale servizio reso a favore della persona; 2) il favoreggiamento può, invece, ritenersi integrato ove alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, mirante a fini pubblicitari ed a facilitare l’approccio col maggior numero di clienti.

Applicando detti principi al caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, le condotte poste in essere dagli imputati consistevano nell’apportare fotoritocchi, attività peraltro conforme a quella operato da un comune pubblicitaria e comunque prestata in un numero contenuto di casi e, comunque, seguendo le tariffe di mercato.

Conclusivamente, ritenendo insussistenti le censure dedotte, la Corte rigetta il ricorso spiegato.

4. I precedenti

Con riferimento alle inserzioni pubblicitarie su siti web si vedano: Cass. Pen., sez. III, n. 26343 del 18 marzo 2009 e Cass., Sez. III, n. 4443 del 12 gennaio 2012.

Sull’interpretazione dell’art. 3, comma 1, n. 5 – il quale punisce “chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” – come norma intesa a tutelare la moralità pubblica ed a sanzionare l’attività di intermediazione diretta a favorire gli incontri tra cliente e prostituta e, quindi in definitiva a favorire la prostituzione, si vedano le sentenze Cass., Sez. III, n. 15275 del 20 febbraio 2007 e n. 38506 del 2012.

1. Le massime

Il discrimine tra lecito e illecito, avuto riguardo alla condotta di chi offra servizi in favore di soggetti che si prostituiscono, va individuato nella distinzione tra una prestazione di servizi “ordinari” e quella che potrebbe definirsi come la prestazione di un supporto aggiuntivo e personalizzato: soltanto nel secondo caso la condotta può ritenersi penalmente rilevante, atteso che le sanzioni penali recate dalla così detta legge Merlin debbono essere applicate solo a coloro che condizionino la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrano un contributo intenzionale alla attività di prostituzione eccedendo i limiti della ordinaria prestazione di servizi (nel caso deciso, la Suprema Corte ha ritenuto lecita la condotta degli imputati, essendo stato accertato che essi, facendo parte di una società e con una organizzazione ampiamente ramificata su base territoriale, si limitavano a raccogliere le inserzioni di persone dedite alla prostituzione per poi pubblicarle, secondo tariffe prestabilite e non eccedenti le normali tariffe pubblicitarie, in taluni casi realizzando dei fotoritocchi con strumenti informatici).

La pubblicazione di inserzioni pubblicitarie su siti web, al pari di quella sui tradizionali organi di informazione a mezzo stampa, deve essere considerata come un normale servizio in favore della persona, di modo che il reato di favoreggiamento della prostituzione non può dirsi integrato; è, di contro, integrato il lenocinio nell'ipotesi in cui non si proceda alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata, bensì vi sia una cooperazione tra soggetto e persona dedita alla prostituzione, che si esplichi nella realizzazione di servizi fotografici erotici a fini pubblicitari e nella collaborazione organizzativa volta a realizzare il contatto con la clientela, evidentemente, per rendere più allettante l’offerta e per facilitare l’approccio col maggior numero possibile di clienti.

2. Il caso

In sede di udienza preliminare era emerso che i soci di una società in nome collettivo, mediante la gestione di un sito internet, avevano ideato e organizzato, sin dal 2003, un sistema di annunci pubblicitari a pagamento in favore di persone che esercitavano la prostituzione. Tale sistema si avvaleva del contributo di promotori che in diverse città provvedevano a raccogliere le richieste di inserzione ed alla riscossione dei pagamenti mensili. Tizio e Caio, in particolare, operavano nell’ambito di una provincia del nord Italia, nel cui ambito gestivano gli annunci di un significativo numero di persone, come emerso anche dal materiale sequestrato. Il giudice dell’udienza preliminare separava le posizioni di numerosi coimputati che optavano per il rito abbreviato e dichiarava non doversi procedere nei confronti dei signori Tizio e Caio perché il fatto non costituisce reato con riferimento ai reati di associazione per delinquere e di favoreggiamento della prostituzione e perché il fatto non sussiste avuto riguardo al reato di sfruttamento della prostituzione.

Avverso tale decisione il Procuratore generale della Repubblica propone ricorso, con esclusione della decisione assolutoria circa l’ipotesi di sfruttamento della prostituzione, lamentando che: - il giudicante, dopo aver ritenuto sussistente l’associazione criminosa, avrebbe illogicamente escluso il ruolo di partecipi in capo ai due imputati, sull’assunto della sporadicità degli interventi di fotoritocco e dei servizi aggiuntivi, pure a fronte della loro piena consapevolezza delle attività svolte da chi richiedeva gli annunci, con adesione ai metodi di lavoro e alle tariffe imposte dai gestori del sito, condannati per associazione a delinquere; - l’ipotesi di “lenocinio” sussisterebbe sia quando si provvede a pubblicare una delle fotografie consegnate dalla persona interessata alla pubblicazione, sia, a maggior ragione, quando l’imputato si sia preoccupato di effettuare o far effettuare il servizio fotografico pubblicato; -  la predisposizione di servizi fotografici e le caratteristiche delle condotte contestate sono incompatibili con l’affermazione secondo cui gli imputati avrebbero inteso offrire servizi alla singola prostituta e non favorire la prostituzione e neppure assumerebbe rilievo il fatto che i servizi aggiuntivi non venissero offerti su sollecitazione, bensì solo se richiesti.

3. La decisione

La Suprema Corte prende le mosse da un punto fermo: il legislatore ha inteso considerare non vietata e, dunque, in sé lecita l’attività della persona che scambi la propria fisicità contro denaro. I giudici di legittimità sottolineano come si siano evolute, affinandosi, le decisioni circa le condotte di coloro che condividano la vita della persona che liberamente si prostituisce e di chi, a vario titolo, interagisca professionalmente con la persona dedita alla prostituzione. La Legge 20 febbraio 1958, n. 75, in ogni caso, ha inteso circoscrivere la risposta penale solo a coloro che condizionino la libertà della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrino per finalità di vantaggio e, infine a coloro che offrono un contributo intenzionale all’attività di prostituzione, eccedendo i limiti della ordinaria prestazione di servizi.

I giudici della terza sezione penale evidenziano come i percorsi seguiti nel dibattito giurisprudenziale non siano sempre stati lineari. Tuttavia, con specifico riguardo ai servizi pubblicitari messi a disposizione di persone che si prostituiscano, la corte ha affermato che: 1) la pubblicazione di inserzioni sul web o sulla stampa deve considerarsi come un normale servizio reso a favore della persona; 2) il favoreggiamento può, invece, ritenersi integrato ove alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, mirante a fini pubblicitari ed a facilitare l’approccio col maggior numero di clienti.

Applicando detti principi al caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, le condotte poste in essere dagli imputati consistevano nell’apportare fotoritocchi, attività peraltro conforme a quella operato da un comune pubblicitaria e comunque prestata in un numero contenuto di casi e, comunque, seguendo le tariffe di mercato.

Conclusivamente, ritenendo insussistenti le censure dedotte, la Corte rigetta il ricorso spiegato.

4. I precedenti

Con riferimento alle inserzioni pubblicitarie su siti web si vedano: Cass. Pen., sez. III, n. 26343 del 18 marzo 2009 e Cass., Sez. III, n. 4443 del 12 gennaio 2012.

Sull’interpretazione dell’art. 3, comma 1, n. 5 – il quale punisce “chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” – come norma intesa a tutelare la moralità pubblica ed a sanzionare l’attività di intermediazione diretta a favorire gli incontri tra cliente e prostituta e, quindi in definitiva a favorire la prostituzione, si vedano le sentenze Cass., Sez. III, n. 15275 del 20 febbraio 2007 e n. 38506 del 2012.