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Assegno divorzile: a che serve e come si determina

1. Le massime

Il diritto del coniuge all'assegno divorzile deve essere accertato verificando la disponibilità, da parte del richiedente, di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata dei matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi.

L’inadeguatezza di mezzi a disposizione del richiedente - presupposto per il godimento dell’assegno divorzile - deve essere intesa non già come stato di bisogno, cioè mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui l’ex coniuge dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto.

2. Il caso

Con sentenza non definitiva, il Tribunale territoriale disponeva la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Tizio con Caia. Con successiva sentenza, il Tribunale affidava al padre il figlio minore della coppia, disciplinando il diritto di visita spettante alla madre e ponendo a carico di Tizio l’obbligo di contribuire al mantenimento di ambedue i figli, escludendo l’obbligo di corrispondere un assegno in favore di Caia.

La Corte di Appello competente, decidendo con sentenza sul gravame proposto da Caia, riformava il provvedimento da ultimo richiamato, ponendo a carico di Tizio l’obbligo di corrispondere all’ex coniuge un assegno mensile di cinquecento euro, soggetto a rivalutazione annuale secondo l’indice ISTAT. Il giudice di seconde cure, premesso che l’assegno divorzile ha carattere esclusivamente assistenziale e che la sua liquidazione deve essere effettuata in base ad una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge, rilevava che mentre Tizio era un noto ed affermato commercialista, Caia, quarantaseienne e titolare di un diplorna di scuola media superiore, era priva di una stabile occupazione. La Corte di Appello, pur osservando che la difficoltà di trovare un lavoro redditizio era dovuta alla vita movimentata della donna, già ristretta in carcere per reati di natura patrimoniale, riteneva che il bisogno dovesse ritenersi prevalente sulla colpa e che lo stesso giustificasse il riconoscimento del diritto all'assegno.

Avverso la predetta sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, dolendosi in particolare:

1) che la Corte d'Appello, dopo aver stigmatizzato la condotta tenuta da Caia, le ha ugualmente accordato l'assegno, conferendo prevalente rilievo allo stato di bisogno della donna, così attribuendo all'assegno natura alimentare, in contrasto con quella assistenziale prevista dalla legge, trascurando che, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, occorre valutare se l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente sia imputabile a quest'ultimo;

2) che ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno, la sentenza impugnata ha preso in considerazione elementi, quali l'età dei coniugi, il loro grado di scolarizzazione, la stabilità dell'occupazione ed i redditi, ai quali la legge conferisce rilevanza esclusivamente ai fini della liquidazione;

3) che, nel desumere la difficoltà di Caia a trovare una occupazione redditizia dalla sua vita movimentata, la Corte d'Appello è incorsa in contraddizione, oltre ad aver omesso di specificare l'iter logico che l'ha condotta a tale conclusione, essa ha ritenuto sussistente un divario economico tra le parti, senza previamente indagare in ordine al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e desumendo l'indisponibilità di mezzi adeguati da parte di Caia da elementi in sé neutri, quali l'età ed il grado d'istruzione, ed omettendo di verificare la stabilità e la redditività dell'attività svolta da Tizio. La Corte territoriale ha, infine, trascurato che l'appellante, la quale aveva ammesso di svolgere un'attività lavorativa, non aveva fornito una ricostruzione neppure sommaria delle proprie sostanze, avendo omesso di produrre le proprie dichiarazioni dei redditi e non avendo dedotto alcun mezzo di prova al riguardo;

4) che la Corte d'Appello si è astenuta dall'esporre l'iter logico seguito nella liquidazione dell'assegno, limitandosi a far riferimento all'età della richiedente, al suo grado d'istruzione ed all'instabilità della sua occupazione. ponendo la sua condizione a confronto con quella di esso ricorrente. senza procedere all'analisi dei rispettivi redditi e senza tener conto dell'esclusiva responsabilità i Caia nel fallimento dell'unione, nonché dell'esonero della stessa dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli;

5) che, nel riconoscere all’ex moglie l'assegno divorzile, la Corte d'Appello non ha tenuto conto della mancata prova da parte della richiedente del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e dell'indisponibilità da parte della stessa di mezzi adeguati, o comunque dell'impossibilità oggettiva di procurarseli.

3. La decisione

La Corte di Cassazione – procedendo ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, c.p.c., così come modificato da ultimo dall'art. 12 D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – rigetta il ricorso, ritenendo il dispositivo conforme a diritto e rettificando la sola motivazione.

Più in particolare, la Suprema Corte corregge la motivazione nella parte in cui ha subordinato il riconoscimento dell’assegno all’accertamento dello stato di bisogno dell’intimata e ad un giudizio di prevalenza dello stesso rispetto alla colpa dell’interessata. I giudici di legittimità rinvengono prova della natura assistenziale dell’assegno proprio nella legge n. 898 del 1970 e, più in particolare, nel disposto dell’art. 5, comma sesto, ove si dice <<Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive>>.

Presupposto per il godimento dell’assegno sono, pertanto l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.

I giudici della prima sezione precisano come l’inadeguatezza debba essere intesa non già come stato di bisogno, cioè mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto.

L'esigenza che l'indisponibilità di mezzi economici adeguati sia ricollegabile a ragioni obiettive non giustifica poi il bilanciamento compiuto dalla Corte territoriale tra lo stato di bisogno e la colpa della richiedente, non occorrendo, ai fini dell'attribuzione dell'assegno, un'indagine in ordine all'imputabilità delle circostanze che hanno condotto il coniuge istante al presente stato di ristrettezza eco­nomica, ma solo una valutazione in ordine alla sua attuale capacità di procurarsi ulteriori risorse, al fine di stabilire se l'inadeguatezza dei mezzi di cui dispone sia dovuta ad una sua colpevole inerzia.

Il diritto del coniuge all'assegno divorzile dev'essere accertato verificando la disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, dev'essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata dei matrimonio: 1) le condizioni dei coniugi; 2) le ragioni della decisione; 3) il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune; 4) il reddito di entrambi.

Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla Corte d'Appello.

La correttezza logico-giuridica di tale ragionamento non è in alcun modo pregiudicata dalla mancanza di uno specifico riferimento ai redditi dei coniugi ed al tenore di vita dagli stessi goduto in costanza di matrimonio, avendo la Corte d'Appello fatto espressa menzione dell'età delle parti, del loro grado di istruzione e della rispettiva occupazione, quali indici delle potenzialità economiche dei coniugi, che assumono rilievo non solo ai fini della commisurazione dell'assegno, ma anche per l'individuazione del livello economico-sociale dei nucleo familiare, in riferimento al quale dev'essere valutato l'eventuale deterioramento della situazione economica del richiedente, ove, come nella specie, non risulti che nel giudizio di merito sia stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza. Quanto alla prova dell'impossibilità di procurarsi mezzi economici adeguati, la sentenza impugnata, nonostante l'inappropriato bilanciamento tra lo stato di bisogno e la colpa dell'intimata, ha dato espressamente atto delle difficoltà incontrate da quest'ultima ai fini dell'inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto in dipendenza dei suoi precedenti penali, i quali, come si è detto, in questa sede vengono in considerazione non già come elemento di valutazione della condotta pregressa dell'istante, bensì nella loro oggettiva portata di circostanze ostative al pieno dispiegamento della sua capacità lavorativa.

Nessun rilievo, poi, ai fini della liquidazione dell'assegno, può assumere l'o­messa considerazione di circostanze ulteriori, quali la responsabilità dell'intimata nel fallimento dell'unione e l'esonero della stessa da obblighi di assistenza familia­re, dal momento che l'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, nell'assog­gettare la valutazione del giudice ad una pluralità di parametri. non richiede una puntuale considerazione di ciascuno degli elementi indicati, risultando sufficiente che la decisione appaia adeguatamente giustificata sulla base di un esame compa­rativo delle condizioni economiche delle parti.

Corretta pertanto negl'indicati sensi la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso è rigettato.

4. I precedenti

In senso conforme alla prima massima enunciata, si vedano Cassazione -  Sezione I, 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006. n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040; 27 settembre 2002, n. 14004.

Sulla nozione di inadeguatezza dei redditi propri ai fini dell’assegno divorzile, si vedano Cassazione -  Sezione I, 12 febbraio 2013. n. 3398; 5 dicembre 2002. n. 17246; 17 marzo 2000, n. 3101; Cassazione Sezione lavoro, 23 febbraio 2006, n. 4021.

Ai fini della distinzione tra stato di bisogno ed inadeguatezza dei mezzi disponibili si fa rinvio a Cassazione - Sezione I, 22 febbraio 2006, n. 3838; 16 luglio 2004. n. 13169; 29 gennaio 2003, n. 1342.

Ove non risulti che nel giudizio di merito sia stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza, il riferimento al livello economico-sociale del nucleo familiare deve costituire parametro per valutare se ricorra o meno il deterioramento della situazione del richiedente, così come statuito in Cassazione 12 luglio 2007, n. 15610; 4 settembre 2004, n. 17895; 7 maggio 2002, n. 6541.

Sulla non necessità di una puntuale motivazione giudiziale circa ciascuno dei parametri indicati dall'articolo 5, sesto comma, della Legge n. 898 del 1970, essendo necessario e sufficiente un esame compa­rativo delle condizioni economiche delle parti si fa rinvio a Cassazione Sezione I, 4 aprile 2011, n. 7601; 28 aprile 2006, n. 9876; 7 maggio 1998, n. 4617. 1. Le massime

Il diritto del coniuge all'assegno divorzile deve essere accertato verificando la disponibilità, da parte del richiedente, di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata dei matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi.

L’inadeguatezza di mezzi a disposizione del richiedente - presupposto per il godimento dell’assegno divorzile - deve essere intesa non già come stato di bisogno, cioè mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui l’ex coniuge dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto.

2. Il caso

Con sentenza non definitiva, il Tribunale territoriale disponeva la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Tizio con Caia. Con successiva sentenza, il Tribunale affidava al padre il figlio minore della coppia, disciplinando il diritto di visita spettante alla madre e ponendo a carico di Tizio l’obbligo di contribuire al mantenimento di ambedue i figli, escludendo l’obbligo di corrispondere un assegno in favore di Caia.

La Corte di Appello competente, decidendo con sentenza sul gravame proposto da Caia, riformava il provvedimento da ultimo richiamato, ponendo a carico di Tizio l’obbligo di corrispondere all’ex coniuge un assegno mensile di cinquecento euro, soggetto a rivalutazione annuale secondo l’indice ISTAT. Il giudice di seconde cure, premesso che l’assegno divorzile ha carattere esclusivamente assistenziale e che la sua liquidazione deve essere effettuata in base ad una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge, rilevava che mentre Tizio era un noto ed affermato commercialista, Caia, quarantaseienne e titolare di un diplorna di scuola media superiore, era priva di una stabile occupazione. La Corte di Appello, pur osservando che la difficoltà di trovare un lavoro redditizio era dovuta alla vita movimentata della donna, già ristretta in carcere per reati di natura patrimoniale, riteneva che il bisogno dovesse ritenersi prevalente sulla colpa e che lo stesso giustificasse il riconoscimento del diritto all'assegno.

Avverso la predetta sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, dolendosi in particolare:

1) che la Corte d'Appello, dopo aver stigmatizzato la condotta tenuta da Caia, le ha ugualmente accordato l'assegno, conferendo prevalente rilievo allo stato di bisogno della donna, così attribuendo all'assegno natura alimentare, in contrasto con quella assistenziale prevista dalla legge, trascurando che, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, occorre valutare se l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente sia imputabile a quest'ultimo;

2) che ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno, la sentenza impugnata ha preso in considerazione elementi, quali l'età dei coniugi, il loro grado di scolarizzazione, la stabilità dell'occupazione ed i redditi, ai quali la legge conferisce rilevanza esclusivamente ai fini della liquidazione;

3) che, nel desumere la difficoltà di Caia a trovare una occupazione redditizia dalla sua vita movimentata, la Corte d'Appello è incorsa in contraddizione, oltre ad aver omesso di specificare l'iter logico che l'ha condotta a tale conclusione, essa ha ritenuto sussistente un divario economico tra le parti, senza previamente indagare in ordine al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e desumendo l'indisponibilità di mezzi adeguati da parte di Caia da elementi in sé neutri, quali l'età ed il grado d'istruzione, ed omettendo di verificare la stabilità e la redditività dell'attività svolta da Tizio. La Corte territoriale ha, infine, trascurato che l'appellante, la quale aveva ammesso di svolgere un'attività lavorativa, non aveva fornito una ricostruzione neppure sommaria delle proprie sostanze, avendo omesso di produrre le proprie dichiarazioni dei redditi e non avendo dedotto alcun mezzo di prova al riguardo;

4) che la Corte d'Appello si è astenuta dall'esporre l'iter logico seguito nella liquidazione dell'assegno, limitandosi a far riferimento all'età della richiedente, al suo grado d'istruzione ed all'instabilità della sua occupazione. ponendo la sua condizione a confronto con quella di esso ricorrente. senza procedere all'analisi dei rispettivi redditi e senza tener conto dell'esclusiva responsabilità i Caia nel fallimento dell'unione, nonché dell'esonero della stessa dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli;

5) che, nel riconoscere all’ex moglie l'assegno divorzile, la Corte d'Appello non ha tenuto conto della mancata prova da parte della richiedente del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e dell'indisponibilità da parte della stessa di mezzi adeguati, o comunque dell'impossibilità oggettiva di procurarseli.

3. La decisione

La Corte di Cassazione – procedendo ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, c.p.c., così come modificato da ultimo dall'art. 12 D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – rigetta il ricorso, ritenendo il dispositivo conforme a diritto e rettificando la sola motivazione.

Più in particolare, la Suprema Corte corregge la motivazione nella parte in cui ha subordinato il riconoscimento dell’assegno all’accertamento dello stato di bisogno dell’intimata e ad un giudizio di prevalenza dello stesso rispetto alla colpa dell’interessata. I giudici di legittimità rinvengono prova della natura assistenziale dell’assegno proprio nella legge n. 898 del 1970 e, più in particolare, nel disposto dell’art. 5, comma sesto, ove si dice <<Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive>>.

Presupposto per il godimento dell’assegno sono, pertanto l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.

I giudici della prima sezione precisano come l’inadeguatezza debba essere intesa non già come stato di bisogno, cioè mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto.

L'esigenza che l'indisponibilità di mezzi economici adeguati sia ricollegabile a ragioni obiettive non giustifica poi il bilanciamento compiuto dalla Corte territoriale tra lo stato di bisogno e la colpa della richiedente, non occorrendo, ai fini dell'attribuzione dell'assegno, un'indagine in ordine all'imputabilità delle circostanze che hanno condotto il coniuge istante al presente stato di ristrettezza eco­nomica, ma solo una valutazione in ordine alla sua attuale capacità di procurarsi ulteriori risorse, al fine di stabilire se l'inadeguatezza dei mezzi di cui dispone sia dovuta ad una sua colpevole inerzia.

Il diritto del coniuge all'assegno divorzile dev'essere accertato verificando la disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, dev'essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata dei matrimonio: 1) le condizioni dei coniugi; 2) le ragioni della decisione; 3) il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune; 4) il reddito di entrambi.

Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla Corte d'Appello.

La correttezza logico-giuridica di tale ragionamento non è in alcun modo pregiudicata dalla mancanza di uno specifico riferimento ai redditi dei coniugi ed al tenore di vita dagli stessi goduto in costanza di matrimonio, avendo la Corte d'Appello fatto espressa menzione dell'età delle parti, del loro grado di istruzione e della rispettiva occupazione, quali indici delle potenzialità economiche dei coniugi, che assumono rilievo non solo ai fini della commisurazione dell'assegno, ma anche per l'individuazione del livello economico-sociale dei nucleo familiare, in riferimento al quale dev'essere valutato l'eventuale deterioramento della situazione economica del richiedente, ove, come nella specie, non risulti che nel giudizio di merito sia stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza. Quanto alla prova dell'impossibilità di procurarsi mezzi economici adeguati, la sentenza impugnata, nonostante l'inappropriato bilanciamento tra lo stato di bisogno e la colpa dell'intimata, ha dato espressamente atto delle difficoltà incontrate da quest'ultima ai fini dell'inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto in dipendenza dei suoi precedenti penali, i quali, come si è detto, in questa sede vengono in considerazione non già come elemento di valutazione della condotta pregressa dell'istante, bensì nella loro oggettiva portata di circostanze ostative al pieno dispiegamento della sua capacità lavorativa.

Nessun rilievo, poi, ai fini della liquidazione dell'assegno, può assumere l'o­messa considerazione di circostanze ulteriori, quali la responsabilità dell'intimata nel fallimento dell'unione e l'esonero della stessa da obblighi di assistenza familia­re, dal momento che l'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, nell'assog­gettare la valutazione del giudice ad una pluralità di parametri. non richiede una puntuale considerazione di ciascuno degli elementi indicati, risultando sufficiente che la decisione appaia adeguatamente giustificata sulla base di un esame compa­rativo delle condizioni economiche delle parti.

Corretta pertanto negl'indicati sensi la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso è rigettato.

4. I precedenti

In senso conforme alla prima massima enunciata, si vedano Cassazione -  Sezione I, 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006. n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040; 27 settembre 2002, n. 14004.

Sulla nozione di inadeguatezza dei redditi propri ai fini dell’assegno divorzile, si vedano Cassazione -  Sezione I, 12 febbraio 2013. n. 3398; 5 dicembre 2002. n. 17246; 17 marzo 2000, n. 3101; Cassazione Sezione lavoro, 23 febbraio 2006, n. 4021.

Ai fini della distinzione tra stato di bisogno ed inadeguatezza dei mezzi disponibili si fa rinvio a Cassazione - Sezione I, 22 febbraio 2006, n. 3838; 16 luglio 2004. n. 13169; 29 gennaio 2003, n. 1342.

Ove non risulti che nel giudizio di merito sia stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza, il riferimento al livello economico-sociale del nucleo familiare deve costituire parametro per valutare se ricorra o meno il deterioramento della situazione del richiedente, così come statuito in Cassazione 12 luglio 2007, n. 15610; 4 settembre 2004, n. 17895; 7 maggio 2002, n. 6541.

Sulla non necessità di una puntuale motivazione giudiziale circa ciascuno dei parametri indicati dall'articolo 5, sesto comma, della Legge n. 898 del 1970, essendo necessario e sufficiente un esame compa­rativo delle condizioni economiche delle parti si fa rinvio a Cassazione Sezione I, 4 aprile 2011, n. 7601; 28 aprile 2006, n. 9876; 7 maggio 1998, n. 4617.