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Retroattività o non retroattività? Il nuovo dilemma della politica italiana

Senza entrare nel merito dei pareri espressi in questi giorni di fine estate da autorevoli giuristi e costituzionalisti sull'asfissiante questione della irretroattività delle norme limitanti il diritto di elettorato passivo contenute sul Decreto Legislativo n. 235/2012, e in disparte la decisione finale che sarà presa nei prossimi giorni dalla competente Giunta per le elezioni del Senato della Repubblica in ordine alla sopravvenuta incandidabilità del Senatore Silvio Berlusconi, vorrei qui solamente evidenziare che il Consiglio di Stato, con la Sentenza 6 febbraio 2013, n. 695, ha già affrontato la questione, ritenendo la novella normativa conforme sia all'ordinamento interno che a quello comunitario.

I Giudici del massimo organo della giustizia amministrativa italiana, sostenendo che “La preclusione in esame, infatti, non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale dettata dall'articolo 11 delle preleggi sull'efficacia della legge nel tempo, regola naturaliter le procedure amministrative che si dispieghino in un arco di tempo successivo”, hanno escluso la violazione dell’articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di misure lato sensu sanzionatorie.

È stato altresì affermato che le deroghe alle disposizioni della legge Severino sono state espressamente previste e riguardano solamente le ipotesi di applicazione della pena su accordo delle parti, ex art. 444 del codice di procedura penale, confermando il diverso regime temporale applicabile solamente con riguardo alle sentenze di condanna. Corollario di questa previsione è che non sono ammissibili ulteriori deroghe se non quelle espressamente previste nel testo di legge.

In tale contesto è stata esclusa anche la violazione dei parametri costituzionali sottesi agli articoli 3 e 51 della Costituzione, costituendo infatti, “…frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa”(così Corte Cost., Sent. n. 118/1994).

Il Consiglio di Stato conclude quindi sostenendo che “Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, irragionevole la prevista incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens: costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa” (così Corte Cost., Sent. n. 118/1994).

Sic stantibus rebus, possiamo anche pensare di non aderire alle argomentazioni contenute nella citata sentenza del Consiglio di Stato, così come nessun brivido sulla pelle accuseremmo nel caso di una decisione della Giunta per le elezioni favorevole alle tesi del Sen. Berlusconi (attesa – a nostro avviso - la natura non giurisdizionale dell’organo parlamentare), ma omettere l’esistenza di un siffatto ragionamento giuridico, come risulta dalla lettura di tutti i pareri resi a conforto delle ragioni del Sen. Berlusconi, oltre ad essere poco corretto sul piano scientifico è sintomo di poca disponibilità al confronto non solo giuridico.

Senza entrare nel merito dei pareri espressi in questi giorni di fine estate da autorevoli giuristi e costituzionalisti sull'asfissiante questione della irretroattività delle norme limitanti il diritto di elettorato passivo contenute sul Decreto Legislativo n. 235/2012, e in disparte la decisione finale che sarà presa nei prossimi giorni dalla competente Giunta per le elezioni del Senato della Repubblica in ordine alla sopravvenuta incandidabilità del Senatore Silvio Berlusconi, vorrei qui solamente evidenziare che il Consiglio di Stato, con la Sentenza 6 febbraio 2013, n. 695, ha già affrontato la questione, ritenendo la novella normativa conforme sia all'ordinamento interno che a quello comunitario.

I Giudici del massimo organo della giustizia amministrativa italiana, sostenendo che “La preclusione in esame, infatti, non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale dettata dall'articolo 11 delle preleggi sull'efficacia della legge nel tempo, regola naturaliter le procedure amministrative che si dispieghino in un arco di tempo successivo”, hanno escluso la violazione dell’articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di misure lato sensu sanzionatorie.

È stato altresì affermato che le deroghe alle disposizioni della legge Severino sono state espressamente previste e riguardano solamente le ipotesi di applicazione della pena su accordo delle parti, ex art. 444 del codice di procedura penale, confermando il diverso regime temporale applicabile solamente con riguardo alle sentenze di condanna. Corollario di questa previsione è che non sono ammissibili ulteriori deroghe se non quelle espressamente previste nel testo di legge.

In tale contesto è stata esclusa anche la violazione dei parametri costituzionali sottesi agli articoli 3 e 51 della Costituzione, costituendo infatti, “…frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa”(così Corte Cost., Sent. n. 118/1994).

Il Consiglio di Stato conclude quindi sostenendo che “Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, irragionevole la prevista incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens: costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa” (così Corte Cost., Sent. n. 118/1994).

Sic stantibus rebus, possiamo anche pensare di non aderire alle argomentazioni contenute nella citata sentenza del Consiglio di Stato, così come nessun brivido sulla pelle accuseremmo nel caso di una decisione della Giunta per le elezioni favorevole alle tesi del Sen. Berlusconi (attesa – a nostro avviso - la natura non giurisdizionale dell’organo parlamentare), ma omettere l’esistenza di un siffatto ragionamento giuridico, come risulta dalla lettura di tutti i pareri resi a conforto delle ragioni del Sen. Berlusconi, oltre ad essere poco corretto sul piano scientifico è sintomo di poca disponibilità al confronto non solo giuridico.