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Il miglio verde del telefax che scompare e riappare in un contesto giuridico disomogeneo

Premessa

Nell’iter di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto “decreto del fare”), il legislatore ha introdotto una disposizione che ha molto colpito l’immaginario collettivo. Si tratta dell’articolo 14, comma 1-bis, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che, novellando l’articolo 47, comma 2, lett. c), del Codice dell’amministrazione digitale (“CAD”), sancisce il divieto - addirittura assoluto (“in ogni caso”) - di utilizzo del fax nelle comunicazioni fra amministrazioni pubbliche.

Ora, nei corridoi degli uffici pubblici aleggia il telefax, divenuto suo malgrado una cartina di tornasole di una burocrazia in balìa di se stessa, tanto che la sua “fine” ha trovato, in tal senso, discreta eco anche nella stampa non specializzata.

Una fine, peraltro, annunciata, come abbiamo avuto modo di scrivere proprio dalle pagine di Filodiritto. Cerchiamo di comprendere, però, cosa realmente il legislatore abbia voluto regolamentare con l’introduzione di questa norma e cosa si possa intendere oggi, in modo giuridicamente appropriato, per “miglio verde del telefax”.

Il contesto normativo

Andiamo con ordine e riproponiamo integralmente il testo vigente dell’articolo 47 del CAD per suoi primi tre commi (1, 1-bis e 2):

D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82

art. 47

Trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica

tra le pubbliche amministrazioni

1. Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.

1-bis. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.

2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all'articolo 71. È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax;

d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

Va subito osservato come il legislatore abbia inteso, di recente, inasprire le censure ai danni delle amministrazioni inadempienti nei confronti della digitalizzazione della cosa pubblica. In questo senso, i primi a essere colpiti sono i dirigenti, tanto sul fronte del danno erariale, quanto sul fronte della responsabilità disciplinare. Il comma 1, infatti, era stato a suo tempo modificato dall'articolo 32, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235, mentre il comma 1-bis era stato novellato dall'articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (il cosiddetto “decreto Crescita 2.0”, poi convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221).

La disposizione, dunque, è coerente, almeno nelle intenzioni, con la ratio della normativa, perseguita pervicacemente dal legislatore negli ultimi anni, rivolta alla promozione della digitalizzazione dei pubblici uffici, quale strumento di elezione per il perseguimento dell’efficacia e, soprattutto, dell’economicità e dell’efficienza dell’agire pubblico.

Peraltro, anche la disposizione originaria dell’articolo 47 del CAD, risalente - si badi - al 2005, già prevedeva che “le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono di norma mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza”. L’ampia novella di tre anni fa al Codice, introdotta grazie al decreto legislativo 235/2010, ha poi eliminato, ulteriormente l’inciso “di norma”, a voler significare una decisa opzione esclusiva per il metodo informatico.

Di più, a rafforzare con la previsione di una specifica e pesante sanzione l’inosservanza, il legislatore è ritornato sull’argomento con l’articolo 6 del decreto legge 179/2012 (cosiddetto “decreto Crescita”), introducendo all’articolo 47 il comma 1-bis che così recita: “L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare”.

Infine, la disposizione in commento, al fine evidente di aver ragione anche delle più inveterate abitudini o residuali esigenze pratiche, scende nello specifico degli strumenti utilizzati nelle comunicazioni per bandirvi, “in ogni caso” il telefax.

Se si tratti dello strumento o del documento trasmesso, lo analizzeremo nei prossimi paragrafi.

Il telefax e il suo utilizzo nell’amministrazione pubblica: una relazione contrastata

Come noto, il telefax è un servizio per la trasmissione e per la ricezione di immagini fisse (tipicamente copie di documenti) attraverso l’utilizzo di un modem. Esso vanta una lunga storia: il primo test di invio di documenti tramite tecnologia fax fu effettuato nel 1842 dall’inventore franco-svizzero Puthomme che, il 27 maggio 1843, depositò il brevetto per la trasmissione di documenti scritti attraverso la rete telegrafica, utilizzando le sue conoscenze sui pendoli elettrici.

Nell’ambito dell’amministrazione pubblica, il telefax è stato, inizialmente, trattato con diffidenza, e soltanto quale sorta di “anticipazione” di documenti che, in ogni caso, ai fini della regolarità del procedimento amministrativo, avrebbero dovuto comunque pervenire in originale. “Si anticipa via fax, seguirà l’originale per posta” era la tipica espressione d’uso.

Si inseriva in questa ratio, infatti, la disposizione introdotta più di vent’anni fa dall’articolo 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (cosiddetta Finanziaria per il 1992) che, per la prima volta, ammise l’uso del telefax nelle comunicazioni tra amministrazioni pubbliche, a condizione di acquisire l’originale prima dell’atto finale del procedimento1.

Il telefax, quindi, trovava ingresso negli uffici pubblici soltanto a due condizioni: che le comunicazioni avvenissero fra amministrazioni pubbliche - per ironia della sorte quelle stesse che oggi ne rimangono escluse - e che, prima dell’adozione dell’atto finale, fosse acquisito agli atti il documento originale “qualora dalle comunicazioni nascessero diritti, doveri o legittime aspettative di terzi”. Cioè, sempre.

La norma in esame non è stata mai abrogata espressamente. Semmai, essa è stata superata da interventi normativi seriori. In particolare, dalla disposizione introdotta sei anni più tardi dall’articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 403/1998, poi confluita nell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 445/2000, in virtù della quale “i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”. Eravamo in un periodo di grandi riforme e di significative semplificazioni grazie alle cosiddette “leggi Bassanini”.

La novella, inserita con pressoché identica formulazione anche nell’articolo 45 del CAD, ha eliminato integralmente i vincoli posti all’utilizzo dello strumento, sia sotto il profilo soggettivo (“chiunque”), sia sotto quello della necessità dell’acquisizione del documento originale.

Controversa è stata, negli anni, anche la qualificazione del valore giuridico attribuito ai documenti inoltrati tramite telefax, nell’ambito di una dottrina e di una giurisprudenza oscillanti fra diverse posizioni e di una legislazione che non ha contribuito alla chiarezza sul valore probatorio da attribuire ai diversi vettori utilizzabili.

Da un lato, infatti, qualificatissima giurisprudenza ha ritenuto di parificare integralmente il fax all'e-mail semplice, riconducendolo quindi alle riproduzioni meccaniche e fotografiche, rubricate agli articoli 2712 e 2719 del Codice Civile2.

Dall’altro diverse pronunce hanno sottolineato - al contrario - che il telefax, in carenza di espresse prescrizioni che prevedano una forma particolare di notificazione, può rappresentare uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto “sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente, sia la ricezione in quello ricevente attraverso il così detto rapporto di trasmissione”, e affermandosi che “tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, ne fanno uno strumento idoneo a garantire l’effettività della comunicazione”3.

In questo contesto, la ratio legis intende eliminare la trasmissione di un documento via telefax oppure vuole eliminare dalle scrivanie delle amministrazioni pubbliche gli apparecchi telefax, considerati giustamente ormai obsoleti?

Infatti, un conto è la modalità di trasmissione, equiparabile oggi ai comuni sistemi di posta elettronica, ben altro è l'apparecchio telefonico, con tanto di stampante e scanner incorporati. Probabilmente, quando si novella l'eliminazione del telefax si intende, correttamente, avviare la progressiva dismissione delle apparecchiature e, cosa più immediata, bloccare ogni nuovo ulteriore acquisto. Si va, quindi, verso l'introduzione o l'ampliamento dei fax-server e, nell'eventualità di ricezione di telefax da parte dei cittadini (cosa tuttora ammessa dalla legge), la gestione e la tenuta esclusivamente con mezzi informatici, evitando l'ulteriore produzione di carta.

Senza dimenticare che l'autorità giudiziaria continua a ritenere il telefax una delle possibili modalità di comunicazione, ad esempio per l'articolo 136 del Codice di Procedura Civile. Ex multis, si veda la recentissima pronuncia della Cassazione civile, VI, 2 aprile 2013, n. 8013 e tutte le altre pronunce che in modo costante e coerente hanno equiparato il telefax a un sistema di posta elettronica: Cassazione civile, sezione III, 24 novembre 2005, n. 24814; Cassazione civile, sezione I, 14 giugno 2007, n. 13916, Cassazione civile, sezione lavoro, 20 marzo 2009, n. 6911, eccetera).

E senza dimenticare che lo stesso legislatore è intervenuto anche recentemente a equiparare il telefax non soltanto alla posta elettronica, ma addirittura alla PEC. Va in questo senso la disposizione contenuta nella legge 4 marzo 2012, n. 27, articolo 6, con la quale è stato introdotto l'articolo 140-bis, comma 3, al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che recita: «I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all’azione di classe, senza ministero di difensore anche tramite posta elettronica certificata e fax».

Un altro recentissimo intervento è contenuto nell'articolo 33, comma 1, lettera d-bis), del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, con il quale è stato modificato l'articolo 178, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che ora recita «I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale».

Inoltre, lo stesso articolo 47, nel momento in cui precisa che ai fini della verifica della provenienza è in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo telefax, ne conferma l’utilizzabilità per tutte quelle comunicazioni tra pubbliche amministrazioni che non comportino l’avvio di un procedimento amministrativo.

La trasmissione dei documenti fra amministrazioni pubbliche e fra amministrazioni e imprese: gli articoli 5 bis, 45 e 47 del CAD

A seguito della disposizione in commento, nessun dubbio può residuare relativamente alle corrette modalità di comunicazione tra amministrazioni, che non possono esulare dalle tassative previsioni di cui all’articolo 47 CAD, riportate all’inizio di questo commento.

In buona sostanza, la trasmissione di documenti fra uffici pubblici, ai fini dell’avvio di un procedimento amministrativo, è attualmente consentita:

  • attraverso un messaggio di posta elettronica semplice, a condizione che il documento sia firmato digitalmente, oppure sia dotato di segnatura di protocollo;
  • attraverso un messaggio di posta elettronica certificata;
  • mediante consultazione diretta degli archivi dell’altra amministrazione.

È evidente che, in questo raggio di possibilità, emerge, accanto alla firma digitale, come strumento di elezione, sia in chiave di certezza delle comunicazioni che di economicità dell’azione amministrativa, la posta elettronica certificata, in quanto vettore qualificato che garantisce, con adeguate ricevute informatiche opponibili a terzi, l’avvenuta trasmissione e ricezione, comprensive degli elementi temporali da data e ore cert(ificat)e4.

Tuttavia, la dematerializzazione delle comunicazioni fra gli uffici pubblici, nelle intenzioni del legislatore, si accompagna, come già ricordato, a una quanto mai decisa volontà di eliminare o ridurre la circolazione di documentazione cartacea.

In tal senso, non è ininfluente rammentare, a completezza del quadro espositivo, la disposizione contenuta nell’articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 luglio 2011, in virtù della quale “a decorrere dal 1° luglio 2013, le pubbliche amministrazioni non possono accettare o effettuare in forma cartacea le comunicazioni di cui all'articolo 5 bis, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale”, ossia le comunicazioni con le imprese.

Il decreto in parola stabilisce inoltre che, laddove non sia prevista una diversa modalità di trasmissione informatica, le comunicazioni potranno avvenire mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, facendo ancora una volta mostra di considerare la PEC lo strumento principe e generale anche per il colloquio imprese-pubblica amministrazione.

Sia le disposizioni dell’articolo 47 che dell’articolo 5-bis sono sorrette da un impianto sanzionatorio alquanto rigoroso: l’attuazione e l’osservanza di entrambe sono rilevanti, oltre sotto il profilo disciplinare, anche ai fini della misurazione e della valutazione della performance organizzativa e di quella individuale dei dirigenti. Pertanto, possono comportare, secondo quanto disposto dall’articolo 21 del decreto legislativo 165/2001, la revoca o l’impossibilità di rinnovo dell’incarico.

A completare il quadro delle censure previste dalle norme positive in materia, va ricordato che l’inosservanza delle disposizioni contenute nell’articolo 47 del CAD sono causa anche di danno erariale.

A ben vedere, non si tratta di una novità assoluta, perché il legislatore aveva già iniziato a concentrare le proprie attenzioni sull'eliminazione del telefax. Infatti, con la riforma del CAD, in virtù dell'articolo 31, comma 1, del decreto legislativo 235/2010, erano state espunte dall'articolo 45 del CAD le parole «ivi compreso il fax». Allora si trattò di un'equiparazione del telefax ai normali sistemi di posta elettronica semplice e quindi avrebbe stonato come un pleonasmo arcaico continuare a citare il fax come strumento di "moderna tecnologia di comunicazione", com'era stato salutato agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. A ben vedere, quell’intervento normativo sembrava già preludere alla volontà del legislatore di non voler (non poter) più considerare il telefax (nella sua nuova etimologia di server-fax) quale strumento tecnologicamente idoneo ad accertare la fonte di provenienza della trasmissione di documenti tra pubbliche amministrazioni, equiparandolo, correttamente, a un comune sistema di posta elettronica5.

Infine, ci permettiamo una considerazione più generale: lo spreco o l'inefficienza sono problemi che ancora attanagliano la pubblica amministrazione italiana. I cambiamenti imposti dal CAD e dall’Agenda Digitale Italiana indubbiamente preannunciano una svolta positiva verso l’efficienza, la razionalizzazione, l’economicità, ma tali obiettivi non si raggiungeranno, a nostro parere, semplicemente condannando all’oblio uno strumento tecnologico. In particolare, quando si tratta, come nel caso del telefax, di mezzi che risultano essere (a torto o a ragione) ancora molto utilizzati nel vivere quotidiano e che permettono così un’interazione semplice tra il cittadino/impresa e la PA e tra le stesse PA, è necessaria molta cautela.

Varrebbe forse la pena di cambiare, piuttosto, l’utilizzo tradizionale del telefax e, soprattutto, cambiare prospettiva in un futuro che per una pubblica amministrazione non può che essere sempre più multicanale. Anziché pensare, quindi, di eliminare il telefax non sarebbe forse stato più utile suggerire che i documenti delle pubbliche amministrazioni vengano sempre e comunque acquisiti dal sistema documentale nel loro formato immagine direttamente sul fax server, senza essere più stampati su carta da apparecchi oggettivamente obsoleti?

1 Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?”

2 Cfr. Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005, n. 24814; Cassazione civile, sez. I, 14 giugno 2007, n. 13916; Cassazione civile, sez. lav., 20 marzo 2009, n. 6911

3 Cfr Tar Lazio sez II quater n. 8233/2008; CdS sez VI n. 2951/2007; Tar Lazio III quater 1254/2008;Tar Sicilia Palermo sez II n. 197/2008; Tar Lazio sez III bis n. 238/2008; Tar Lazio sez I bis n. 17353/2004;Tar Piemonte n. 1190/2002

4 Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?”, cit.

5 A proposito della verifica della provenienza, quale presupposto ineludibile ai fini del valido avvio di un procedimento amministrativo, è utile ricordare qui di seguito che, ai sensi dell’art. 44 1° comma del CAD «Il sistema di conservazione dei documenti informatici assicura: a) l'identificazione certa del soggetto che ha formato il documento e dell'amministrazione o dell'area organizzativa omogenea di riferimento di cui all'articolo 50, comma 4, del decreto del

Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; […]». Premessa

Nell’iter di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto “decreto del fare”), il legislatore ha introdotto una disposizione che ha molto colpito l’immaginario collettivo. Si tratta dell’articolo 14, comma 1-bis, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che, novellando l’articolo 47, comma 2, lett. c), del Codice dell’amministrazione digitale (“CAD”), sancisce il divieto - addirittura assoluto (“in ogni caso”) - di utilizzo del fax nelle comunicazioni fra amministrazioni pubbliche.

Ora, nei corridoi degli uffici pubblici aleggia il telefax, divenuto suo malgrado una cartina di tornasole di una burocrazia in balìa di se stessa, tanto che la sua “fine” ha trovato, in tal senso, discreta eco anche nella stampa non specializzata.

Una fine, peraltro, annunciata, come abbiamo avuto modo di scrivere proprio dalle pagine di Filodiritto. Cerchiamo di comprendere, però, cosa realmente il legislatore abbia voluto regolamentare con l’introduzione di questa norma e cosa si possa intendere oggi, in modo giuridicamente appropriato, per “miglio verde del telefax”.

Il contesto normativo

Andiamo con ordine e riproponiamo integralmente il testo vigente dell’articolo 47 del CAD per suoi primi tre commi (1, 1-bis e 2):

D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82

art. 47

Trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica

tra le pubbliche amministrazioni

1. Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.

1-bis. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.

2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all'articolo 71. È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax;

d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

Va subito osservato come il legislatore abbia inteso, di recente, inasprire le censure ai danni delle amministrazioni inadempienti nei confronti della digitalizzazione della cosa pubblica. In questo senso, i primi a essere colpiti sono i dirigenti, tanto sul fronte del danno erariale, quanto sul fronte della responsabilità disciplinare. Il comma 1, infatti, era stato a suo tempo modificato dall'articolo 32, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235, mentre il comma 1-bis era stato novellato dall'articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (il cosiddetto “decreto Crescita 2.0”, poi convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221).

La disposizione, dunque, è coerente, almeno nelle intenzioni, con la ratio della normativa, perseguita pervicacemente dal legislatore negli ultimi anni, rivolta alla promozione della digitalizzazione dei pubblici uffici, quale strumento di elezione per il perseguimento dell’efficacia e, soprattutto, dell’economicità e dell’efficienza dell’agire pubblico.

Peraltro, anche la disposizione originaria dell’articolo 47 del CAD, risalente - si badi - al 2005, già prevedeva che “le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono di norma mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza”. L’ampia novella di tre anni fa al Codice, introdotta grazie al decreto legislativo 235/2010, ha poi eliminato, ulteriormente l’inciso “di norma”, a voler significare una decisa opzione esclusiva per il metodo informatico.

Di più, a rafforzare con la previsione di una specifica e pesante sanzione l’inosservanza, il legislatore è ritornato sull’argomento con l’articolo 6 del decreto legge 179/2012 (cosiddetto “decreto Crescita”), introducendo all’articolo 47 il comma 1-bis che così recita: “L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare”.

Infine, la disposizione in commento, al fine evidente di aver ragione anche delle più inveterate abitudini o residuali esigenze pratiche, scende nello specifico degli strumenti utilizzati nelle comunicazioni per bandirvi, “in ogni caso” il telefax.

Se si tratti dello strumento o del documento trasmesso, lo analizzeremo nei prossimi paragrafi.

Il telefax e il suo utilizzo nell’amministrazione pubblica: una relazione contrastata

Come noto, il telefax è un servizio per la trasmissione e per la ricezione di immagini fisse (tipicamente copie di documenti) attraverso l’utilizzo di un modem. Esso vanta una lunga storia: il primo test di invio di documenti tramite tecnologia fax fu effettuato nel 1842 dall’inventore franco-svizzero Puthomme che, il 27 maggio 1843, depositò il brevetto per la trasmissione di documenti scritti attraverso la rete telegrafica, utilizzando le sue conoscenze sui pendoli elettrici.

Nell’ambito dell’amministrazione pubblica, il telefax è stato, inizialmente, trattato con diffidenza, e soltanto quale sorta di “anticipazione” di documenti che, in ogni caso, ai fini della regolarità del procedimento amministrativo, avrebbero dovuto comunque pervenire in originale. “Si anticipa via fax, seguirà l’originale per posta” era la tipica espressione d’uso.

Si inseriva in questa ratio, infatti, la disposizione introdotta più di vent’anni fa dall’articolo 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (cosiddetta Finanziaria per il 1992) che, per la prima volta, ammise l’uso del telefax nelle comunicazioni tra amministrazioni pubbliche, a condizione di acquisire l’originale prima dell’atto finale del procedimento1.

Il telefax, quindi, trovava ingresso negli uffici pubblici soltanto a due condizioni: che le comunicazioni avvenissero fra amministrazioni pubbliche - per ironia della sorte quelle stesse che oggi ne rimangono escluse - e che, prima dell’adozione dell’atto finale, fosse acquisito agli atti il documento originale “qualora dalle comunicazioni nascessero diritti, doveri o legittime aspettative di terzi”. Cioè, sempre.

La norma in esame non è stata mai abrogata espressamente. Semmai, essa è stata superata da interventi normativi seriori. In particolare, dalla disposizione introdotta sei anni più tardi dall’articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 403/1998, poi confluita nell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 445/2000, in virtù della quale “i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”. Eravamo in un periodo di grandi riforme e di significative semplificazioni grazie alle cosiddette “leggi Bassanini”.

La novella, inserita con pressoché identica formulazione anche nell’articolo 45 del CAD, ha eliminato integralmente i vincoli posti all’utilizzo dello strumento, sia sotto il profilo soggettivo (“chiunque”), sia sotto quello della necessità dell’acquisizione del documento originale.

Controversa è stata, negli anni, anche la qualificazione del valore giuridico attribuito ai documenti inoltrati tramite telefax, nell’ambito di una dottrina e di una giurisprudenza oscillanti fra diverse posizioni e di una legislazione che non ha contribuito alla chiarezza sul valore probatorio da attribuire ai diversi vettori utilizzabili.

Da un lato, infatti, qualificatissima giurisprudenza ha ritenuto di parificare integralmente il fax all'e-mail semplice, riconducendolo quindi alle riproduzioni meccaniche e fotografiche, rubricate agli articoli 2712 e 2719 del Codice Civile2.

Dall’altro diverse pronunce hanno sottolineato - al contrario - che il telefax, in carenza di espresse prescrizioni che prevedano una forma particolare di notificazione, può rappresentare uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto “sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente, sia la ricezione in quello ricevente attraverso il così detto rapporto di trasmissione”, e affermandosi che “tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, ne fanno uno strumento idoneo a garantire l’effettività della comunicazione”3.

In questo contesto, la ratio legis intende eliminare la trasmissione di un documento via telefax oppure vuole eliminare dalle scrivanie delle amministrazioni pubbliche gli apparecchi telefax, considerati giustamente ormai obsoleti?

Infatti, un conto è la modalità di trasmissione, equiparabile oggi ai comuni sistemi di posta elettronica, ben altro è l'apparecchio telefonico, con tanto di stampante e scanner incorporati. Probabilmente, quando si novella l'eliminazione del telefax si intende, correttamente, avviare la progressiva dismissione delle apparecchiature e, cosa più immediata, bloccare ogni nuovo ulteriore acquisto. Si va, quindi, verso l'introduzione o l'ampliamento dei fax-server e, nell'eventualità di ricezione di telefax da parte dei cittadini (cosa tuttora ammessa dalla legge), la gestione e la tenuta esclusivamente con mezzi informatici, evitando l'ulteriore produzione di carta.

Senza dimenticare che l'autorità giudiziaria continua a ritenere il telefax una delle possibili modalità di comunicazione, ad esempio per l'articolo 136 del Codice di Procedura Civile. Ex multis, si veda la recentissima pronuncia della Cassazione civile, VI, 2 aprile 2013, n. 8013 e tutte le altre pronunce che in modo costante e coerente hanno equiparato il telefax a un sistema di posta elettronica: Cassazione civile, sezione III, 24 novembre 2005, n. 24814; Cassazione civile, sezione I, 14 giugno 2007, n. 13916, Cassazione civile, sezione lavoro, 20 marzo 2009, n. 6911, eccetera).

E senza dimenticare che lo stesso legislatore è intervenuto anche recentemente a equiparare il telefax non soltanto alla posta elettronica, ma addirittura alla PEC. Va in questo senso la disposizione contenuta nella legge 4 marzo 2012, n. 27, articolo 6, con la quale è stato introdotto l'articolo 140-bis, comma 3, al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che recita: «I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all’azione di classe, senza ministero di difensore anche tramite posta elettronica certificata e fax».

Un altro recentissimo intervento è contenuto nell'articolo 33, comma 1, lettera d-bis), del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, con il quale è stato modificato l'articolo 178, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che ora recita «I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale».

Inoltre, lo stesso articolo 47, nel momento in cui precisa che ai fini della verifica della provenienza è in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo telefax, ne conferma l’utilizzabilità per tutte quelle comunicazioni tra pubbliche amministrazioni che non comportino l’avvio di un procedimento amministrativo.

La trasmissione dei documenti fra amministrazioni pubbliche e fra amministrazioni e imprese: gli articoli 5 bis, 45 e 47 del CAD

A seguito della disposizione in commento, nessun dubbio può residuare relativamente alle corrette modalità di comunicazione tra amministrazioni, che non possono esulare dalle tassative previsioni di cui all’articolo 47 CAD, riportate all’inizio di questo commento.

In buona sostanza, la trasmissione di documenti fra uffici pubblici, ai fini dell’avvio di un procedimento amministrativo, è attualmente consentita:

  • attraverso un messaggio di posta elettronica semplice, a condizione che il documento sia firmato digitalmente, oppure sia dotato di segnatura di protocollo;
  • attraverso un messaggio di posta elettronica certificata;
  • mediante consultazione diretta degli archivi dell’altra amministrazione.

È evidente che, in questo raggio di possibilità, emerge, accanto alla firma digitale, come strumento di elezione, sia in chiave di certezza delle comunicazioni che di economicità dell’azione amministrativa, la posta elettronica certificata, in quanto vettore qualificato che garantisce, con adeguate ricevute informatiche opponibili a terzi, l’avvenuta trasmissione e ricezione, comprensive degli elementi temporali da data e ore cert(ificat)e4.

Tuttavia, la dematerializzazione delle comunicazioni fra gli uffici pubblici, nelle intenzioni del legislatore, si accompagna, come già ricordato, a una quanto mai decisa volontà di eliminare o ridurre la circolazione di documentazione cartacea.

In tal senso, non è ininfluente rammentare, a completezza del quadro espositivo, la disposizione contenuta nell’articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 luglio 2011, in virtù della quale “a decorrere dal 1° luglio 2013, le pubbliche amministrazioni non possono accettare o effettuare in forma cartacea le comunicazioni di cui all'articolo 5 bis, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale”, ossia le comunicazioni con le imprese.

Il decreto in parola stabilisce inoltre che, laddove non sia prevista una diversa modalità di trasmissione informatica, le comunicazioni potranno avvenire mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, facendo ancora una volta mostra di considerare la PEC lo strumento principe e generale anche per il colloquio imprese-pubblica amministrazione.

Sia le disposizioni dell’articolo 47 che dell’articolo 5-bis sono sorrette da un impianto sanzionatorio alquanto rigoroso: l’attuazione e l’osservanza di entrambe sono rilevanti, oltre sotto il profilo disciplinare, anche ai fini della misurazione e della valutazione della performance organizzativa e di quella individuale dei dirigenti. Pertanto, possono comportare, secondo quanto disposto dall’articolo 21 del decreto legislativo 165/2001, la revoca o l’impossibilità di rinnovo dell’incarico.

A completare il quadro delle censure previste dalle norme positive in materia, va ricordato che l’inosservanza delle disposizioni contenute nell’articolo 47 del CAD sono causa anche di danno erariale.

A ben vedere, non si tratta di una novità assoluta, perché il legislatore aveva già iniziato a concentrare le proprie attenzioni sull'eliminazione del telefax. Infatti, con la riforma del CAD, in virtù dell'articolo 31, comma 1, del decreto legislativo 235/2010, erano state espunte dall'articolo 45 del CAD le parole «ivi compreso il fax». Allora si trattò di un'equiparazione del telefax ai normali sistemi di posta elettronica semplice e quindi avrebbe stonato come un pleonasmo arcaico continuare a citare il fax come strumento di "moderna tecnologia di comunicazione", com'era stato salutato agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. A ben vedere, quell’intervento normativo sembrava già preludere alla volontà del legislatore di non voler (non poter) più considerare il telefax (nella sua nuova etimologia di server-fax) quale strumento tecnologicamente idoneo ad accertare la fonte di provenienza della trasmissione di documenti tra pubbliche amministrazioni, equiparandolo, correttamente, a un comune sistema di posta elettronica5.

Infine, ci permettiamo una considerazione più generale: lo spreco o l'inefficienza sono problemi che ancora attanagliano la pubblica amministrazione italiana. I cambiamenti imposti dal CAD e dall’Agenda Digitale Italiana indubbiamente preannunciano una svolta positiva verso l’efficienza, la razionalizzazione, l’economicità, ma tali obiettivi non si raggiungeranno, a nostro parere, semplicemente condannando all’oblio uno strumento tecnologico. In particolare, quando si tratta, come nel caso del telefax, di mezzi che risultano essere (a torto o a ragione) ancora molto utilizzati nel vivere quotidiano e che permettono così un’interazione semplice tra il cittadino/impresa e la PA e tra le stesse PA, è necessaria molta cautela.

Varrebbe forse la pena di cambiare, piuttosto, l’utilizzo tradizionale del telefax e, soprattutto, cambiare prospettiva in un futuro che per una pubblica amministrazione non può che essere sempre più multicanale. Anziché pensare, quindi, di eliminare il telefax non sarebbe forse stato più utile suggerire che i documenti delle pubbliche amministrazioni vengano sempre e comunque acquisiti dal sistema documentale nel loro formato immagine direttamente sul fax server, senza essere più stampati su carta da apparecchi oggettivamente obsoleti?

1 Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?”

2 Cfr. Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005, n. 24814; Cassazione civile, sez. I, 14 giugno 2007, n. 13916; Cassazione civile, sez. lav., 20 marzo 2009, n. 6911

3 Cfr Tar Lazio sez II quater n. 8233/2008; CdS sez VI n. 2951/2007; Tar Lazio III quater 1254/2008;Tar Sicilia Palermo sez II n. 197/2008; Tar Lazio sez III bis n. 238/2008; Tar Lazio sez I bis n. 17353/2004;Tar Piemonte n. 1190/2002

4 Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?”, cit.

5 A proposito della verifica della provenienza, quale presupposto ineludibile ai fini del valido avvio di un procedimento amministrativo, è utile ricordare qui di seguito che, ai sensi dell’art. 44 1° comma del CAD «Il sistema di conservazione dei documenti informatici assicura: a) l'identificazione certa del soggetto che ha formato il documento e dell'amministrazione o dell'area organizzativa omogenea di riferimento di cui all'articolo 50, comma 4, del decreto del

Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; […]».