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Parere Diritto Penale: stalking oppure maltrattamenti contro familiari o conviventi?

Parere n. 10 PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ - ATTI PERSECUTORI

 di Cataldina Caprara

tratto da M. Tocci, Prontuario di atti e pareri scelti per l'esame d'avvocato, Filodiritto Editore

Traccia

Tizio, non accettando la fine della relazione coniugale della moglie Caia e desideroso di continuare ad incontrarla, iniziava a porre in essere contegni scanditi da continue minacce e intimidazioni compiute sia per telefono sia recandosi sul posto di lavoro.

Nello specifico i comportamenti di Tizio consistevano in percosse, tentativi di suicidio volti a colpevolizzare la donna per la cessazione del matrimonio e atti di danneggiamento della nuova abitazione della donna.

A seguito di tali comportamenti, Caia era costretta a ricorrere all'intervento delle forze dell'ordine.  Gli episodi vessatori di Tizio spesso consistevano in contegni violenti per i quali Caia più volte è dovuta ricorrere alle cure mediche.

La donna, esasperata dalla situazione, decideva di sporgere querela contro Tizio.

Tizio, preoccupato, consulta il proprio legale di fiducia per conoscere le possibili conseguenze della propria condotta.

Il candidato, assunte le vesti del difensore di Tizio, rediga motivato parere, analizzando le fattispecie criminose sottese al caso di specie, illustrando in particolare il rapporto esistente tra l'art. 572 C. P.  e l'art.  612 bis C. P.

 

Giurisprudenza rilevante

Cassazione Penale, Sentenza n. 24575/2012

Svolgimento

Ai fini della individuazione dei profili di responsabilità penale presenti nel caso in esame, occorre in primis analizzare brevemente le due fattispecie di reato ex art. 572 c. p. e art. 612 bis, per poi tracciare quelle che sono le linee di confine tra le due norme giuridiche per capire quale delle due è applicabile al caso di specie.

Il delitto previsto e punito dall'art.  612 bis c. p. - reato di atti persecutori o meglio, comunemente detto, stalking - è caratterizzato dalla reiterazione di più condotte minacciose o moleste tali da ingenerare nella vittime uno stato di ansia o di timore per sé o per le persone care.

Il bene giuridico tutelato dalla norma è la libertà psichica o morale del soggetto passivo preservata da influenze intimidatrici estranee tali da ostacolare il formarsi in via autonoma della libertà di azione e di pensiero.

La norma mira a reprimere fatti di reiterata molestia idonei ad indurre nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura.  È un reato comune in quanto il soggetto attivo può essere chiunque.

Sul piano della condotta tipica, l'elemento oggettivo si sostanzia nell'agire con condotte reiterate di minaccia o molestia.  Per minaccia si intende qualunque comportamento idoneo ad incutere timore, a suscitare in altri la preoccupazione di un male ingiusto o che comunque offenda o diminuisca l'altrui libertà morale (Cass. Pen. n. 757/1999).

Per molestia si intende tutto ciò che viene ad alterare dolosamente l'atteggiamento psichico di una persona.

Trattasi quindi, di un reato a condotta libera in quanto l'effetto lesivo dell'altrui libertà morale o dell'incolumità individuale della vittima può avvenire con qualunque mezzo e modalità purché si presenti idonea a turbare o restringere la libertà del soggetto passivo.

Gli eventi descritti dalla norma in esame sono tre: perdurante e grave stato di ansia e paura; ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; costringimento ad alterare le proprie abitudini di vita.

Queste tre tipologie sono previste in forma tra loro alternativa dovendo ritenersi il reato consumato con il verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma (Cass.  Pen. 6417/2010).

Quanto all'elemento soggettivo, il reato è connaturato da dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere condotte seriali di minaccia o molestia suscettibili di ingenerare nella vittima uno stato psicologico di ansia, paura timore.

Il reato previsto e punito dall'art. 572 c. p. tutela genericamente l'assistenza familiare intesa in senso lato, in quanto trascende i rapporti familiari strictu sensu intesi, per ricomprendere anche i rapporti di istruzione, cura, lavoro.  È un reato abituale, richiedendo una pluralità di condotte protratte nel tempo, a forma libera in quanto può essere commesso con qualunque tipo di condotta sia commissiva che omissiva fermo restando il requisito dell'abitualità delle condotte.

Il maltrattamento può consistere nella inflizione non solo di sofferenze fisiche ma anche morali, tali da recare nella vittima umiliazioni, disprezzo o asservimento.  L'elemento soggettivo del reato è il dolo generico.  Nonostante la lettera della norma faccia riferimento quale soggetto attivo dei maltrattamenti a “ chiunque”, è un reato proprio potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (genitore- coniuge- figlio) o una posizione di autorità o peculiare affidamento nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'art. 572 (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Il reato può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate.

Dottrina e giurisprudenza tradizionali propendevano per una interpretazione restrittiva del concetto di famiglia comprendente coniuge, affini, adottanti ed adottati. L'opinione più moderna, invece, accoglie una nozione allargata in cui possono rientrare persone legate da qualsiasi rapporto di parentela purché conviventi. Da parte della giurisprudenza si è avuto un restyling del concetto di famiglia adeguandolo alle esigenze del divenire temporale.

Pertanto, secondo il consolidato orientamento, per famiglia deve intendersi non solo il tradizionale consorzio di persone avvinte da vincoli di parentela naturale o civile, ma anche una unione di persone, tra le quali, per intime relazioni e consuetudine di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza, protezione e solidarietà (Cass. n. 24688/2010). All'ampio genus del concetto di famiglia come sopra delineato, tale da ricomprendere molteplici varianti di rapporti relazionali, accomunati dal comune denominatore della discendenza di obblighi reciproci e solidali, soprattutto se in presenza di figli, sono riscontrabili nell'ambito delle convivenze di fatto, le quali a prescindere da una predefinita durata, siano state istituite “in una prospettiva di stabilità” derivante da strette relazioni e consuetudini di vita (Cass.  Pen. n. 44262/2005; Cass. Pen. n. 20647/2008; Cass. Pen. n. 24688/2010).

Avallando tale orientamento, i maltrattamenti ex art. 572 c. p. sono annoverabili anche quando la convivenza sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi il cui regime giuridico lascia integro il dovere di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà, nascenti dal rapporto coniugale.

Preso atto di come la giurisprudenza di legittimità e di merito conservino la concezione familiare anche in presenza di regime di separazione personale resta da chiedersi quando cessa allora tale relazione affettiva, in altre parole quando non si può più parlare di famiglia nella accezione di cui all'art. 572 c. p.

La risposta a tale quesito ci aiuta anche a ricomprendere la condotta posta in essere da Tizio nell'una o nell'altra fattispecie di reato di cui in esame.

Dall'esame di cui sopra delle norme, vengono alla luce quelle che sono le differenze tra i due reati previsti e puniti dall'art. 572 c.p. e 612 bis c.p.

Si può facilmente constatare che l'oggettività giuridica è diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, anche se le condotte materiali dei reati appaiono omologabili per modalità esecutive e tipologia lesiva.  Difatti il reato ex art.  572 c.p. è un reato contro la famiglia intesa latu sensu e l'oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica.

Nell'art. 612 bis c.p. invece, l'oggetto tutelato dalla norma, è quello della libertà morale che va ricondotta al concetto di autodeterminazione ossia di esplicazione della propria libertà senza alcun limite o condizione e non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche.

Tra i due reati esiste un rapporto di sussidiarietà prevista dall'art. 612 bis comma 1 c.p. “ salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che rende applicabile il reato di maltrattamenti più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella forma generale di cui all’art. 612 bis comma 1 c.p.  Solo la forma aggravata prevista nel comma 2 recupera ambiti legati alla comunità della famiglia (intesa però in senso stretto con esclusione delle altre comunità assimilate), quando il soggetto attivo sia un coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa.

Sostanzialmente con la novella, i comportamenti sanzionati vengono assunti al di fuori di un contesto familiare o para-familiare.

In considerazione di tutto quanto finora premesso, occorre verificare se nel caso di specie la condotta di Tizio integra il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. oppure quello previsto dall'art. 572 c.p.

Al riguardo si evince dalla traccia che Tizio era separato ma non anche divorziato da Caia. È pacifico che durante la fase della separazione personale tra i coniugi, che ancora non hanno chiesto la cessazione degli effetti civili del matrimonio o comunque non hanno ancora ottenuto la sentenza di divorzio, i coniugi sono tenuti agli obblighi di fedeltà, doveri di reciproco rispetto e di assistenza familiare e solidarietà tutti scaturenti dal rapporto matrimoniale come più volte espresso dalla giurisprudenza ( Cass. Pen.  n. 3570/1999; Cass. Pen. n. 26571/2008).

Di conseguenza, anche alla luce del recente intervento della Cassazione con la sentenza n. 24575 del 2012, la condotta tipica di Tizio rientra nella fattispecie astratta di cui all'art. 572 c.p. Infatti, gli ermellini ribadiscono che laddove vi è una famiglia non può prospettarsi il reato di stalking.  La Cassazione, in sostanza, ha delimitato la linea di demarcazione tra le fattispecie in esame. L’art. 612 bis c.p. non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche; il reato di maltrattamenti proprio può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di aggregazioni familiari, può essere commesso solo da chi ricopre un ruolo nel contesto della famiglia o delle aggregazioni similari.

Pertanto, concludendo, si può affermare che il discrimine di la dal quale non si può più parlare di maltrattamenti in famiglia coincide con la cessazione del vincolo familiare nell'ambito del quale si pongono in essere le condotte delittuose, ossia nel caso di divorzio ovvero quando la relazione affettiva e continuativa cessi definitivamente.

Detto ciò, Tizio e Caia all'epoca dei fatti erano ancora legati dal vincolo derivante dalla famiglia, o meglio, erano separati ma gli effetti civili del matrimonio non erano ancora cessati.  Di conseguenza si può affermare che gli atti compiuti da Tizio, in danno della moglie, sono da ricomprendere nella fattispecie astratta di reato prevista e punita dall'art. 572 c.p.

 

Parere n. 10 PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ - ATTI PERSECUTORI

 di Cataldina Caprara

tratto da M. Tocci, Prontuario di atti e pareri scelti per l'esame d'avvocato, Filodiritto Editore

Traccia

Tizio, non accettando la fine della relazione coniugale della moglie Caia e desideroso di continuare ad incontrarla, iniziava a porre in essere contegni scanditi da continue minacce e intimidazioni compiute sia per telefono sia recandosi sul posto di lavoro.

Nello specifico i comportamenti di Tizio consistevano in percosse, tentativi di suicidio volti a colpevolizzare la donna per la cessazione del matrimonio e atti di danneggiamento della nuova abitazione della donna.

A seguito di tali comportamenti, Caia era costretta a ricorrere all'intervento delle forze dell'ordine.  Gli episodi vessatori di Tizio spesso consistevano in contegni violenti per i quali Caia più volte è dovuta ricorrere alle cure mediche.

La donna, esasperata dalla situazione, decideva di sporgere querela contro Tizio.

Tizio, preoccupato, consulta il proprio legale di fiducia per conoscere le possibili conseguenze della propria condotta.

Il candidato, assunte le vesti del difensore di Tizio, rediga motivato parere, analizzando le fattispecie criminose sottese al caso di specie, illustrando in particolare il rapporto esistente tra l'art. 572 C. P.  e l'art.  612 bis C. P.

 

Giurisprudenza rilevante

Cassazione Penale, Sentenza n. 24575/2012

Svolgimento

Ai fini della individuazione dei profili di responsabilità penale presenti nel caso in esame, occorre in primis analizzare brevemente le due fattispecie di reato ex art. 572 c. p. e art. 612 bis, per poi tracciare quelle che sono le linee di confine tra le due norme giuridiche per capire quale delle due è applicabile al caso di specie.

Il delitto previsto e punito dall'art.  612 bis c. p. - reato di atti persecutori o meglio, comunemente detto, stalking - è caratterizzato dalla reiterazione di più condotte minacciose o moleste tali da ingenerare nella vittime uno stato di ansia o di timore per sé o per le persone care.

Il bene giuridico tutelato dalla norma è la libertà psichica o morale del soggetto passivo preservata da influenze intimidatrici estranee tali da ostacolare il formarsi in via autonoma della libertà di azione e di pensiero.

La norma mira a reprimere fatti di reiterata molestia idonei ad indurre nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura.  È un reato comune in quanto il soggetto attivo può essere chiunque.

Sul piano della condotta tipica, l'elemento oggettivo si sostanzia nell'agire con condotte reiterate di minaccia o molestia.  Per minaccia si intende qualunque comportamento idoneo ad incutere timore, a suscitare in altri la preoccupazione di un male ingiusto o che comunque offenda o diminuisca l'altrui libertà morale (Cass. Pen. n. 757/1999).

Per molestia si intende tutto ciò che viene ad alterare dolosamente l'atteggiamento psichico di una persona.

Trattasi quindi, di un reato a condotta libera in quanto l'effetto lesivo dell'altrui libertà morale o dell'incolumità individuale della vittima può avvenire con qualunque mezzo e modalità purché si presenti idonea a turbare o restringere la libertà del soggetto passivo.

Gli eventi descritti dalla norma in esame sono tre: perdurante e grave stato di ansia e paura; ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; costringimento ad alterare le proprie abitudini di vita.

Queste tre tipologie sono previste in forma tra loro alternativa dovendo ritenersi il reato consumato con il verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma (Cass.  Pen. 6417/2010).

Quanto all'elemento soggettivo, il reato è connaturato da dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere condotte seriali di minaccia o molestia suscettibili di ingenerare nella vittima uno stato psicologico di ansia, paura timore.

Il reato previsto e punito dall'art. 572 c. p. tutela genericamente l'assistenza familiare intesa in senso lato, in quanto trascende i rapporti familiari strictu sensu intesi, per ricomprendere anche i rapporti di istruzione, cura, lavoro.  È un reato abituale, richiedendo una pluralità di condotte protratte nel tempo, a forma libera in quanto può essere commesso con qualunque tipo di condotta sia commissiva che omissiva fermo restando il requisito dell'abitualità delle condotte.

Il maltrattamento può consistere nella inflizione non solo di sofferenze fisiche ma anche morali, tali da recare nella vittima umiliazioni, disprezzo o asservimento.  L'elemento soggettivo del reato è il dolo generico.  Nonostante la lettera della norma faccia riferimento quale soggetto attivo dei maltrattamenti a “ chiunque”, è un reato proprio potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (genitore- coniuge- figlio) o una posizione di autorità o peculiare affidamento nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'art. 572 (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Il reato può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate.

Dottrina e giurisprudenza tradizionali propendevano per una interpretazione restrittiva del concetto di famiglia comprendente coniuge, affini, adottanti ed adottati. L'opinione più moderna, invece, accoglie una nozione allargata in cui possono rientrare persone legate da qualsiasi rapporto di parentela purché conviventi. Da parte della giurisprudenza si è avuto un restyling del concetto di famiglia adeguandolo alle esigenze del divenire temporale.

Pertanto, secondo il consolidato orientamento, per famiglia deve intendersi non solo il tradizionale consorzio di persone avvinte da vincoli di parentela naturale o civile, ma anche una unione di persone, tra le quali, per intime relazioni e consuetudine di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza, protezione e solidarietà (Cass. n. 24688/2010). All'ampio genus del concetto di famiglia come sopra delineato, tale da ricomprendere molteplici varianti di rapporti relazionali, accomunati dal comune denominatore della discendenza di obblighi reciproci e solidali, soprattutto se in presenza di figli, sono riscontrabili nell'ambito delle convivenze di fatto, le quali a prescindere da una predefinita durata, siano state istituite “in una prospettiva di stabilità” derivante da strette relazioni e consuetudini di vita (Cass.  Pen. n. 44262/2005; Cass. Pen. n. 20647/2008; Cass. Pen. n. 24688/2010).

Avallando tale orientamento, i maltrattamenti ex art. 572 c. p. sono annoverabili anche quando la convivenza sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi il cui regime giuridico lascia integro il dovere di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà, nascenti dal rapporto coniugale.

Preso atto di come la giurisprudenza di legittimità e di merito conservino la concezione familiare anche in presenza di regime di separazione personale resta da chiedersi quando cessa allora tale relazione affettiva, in altre parole quando non si può più parlare di famiglia nella accezione di cui all'art. 572 c. p.

La risposta a tale quesito ci aiuta anche a ricomprendere la condotta posta in essere da Tizio nell'una o nell'altra fattispecie di reato di cui in esame.

Dall'esame di cui sopra delle norme, vengono alla luce quelle che sono le differenze tra i due reati previsti e puniti dall'art. 572 c.p. e 612 bis c.p.

Si può facilmente constatare che l'oggettività giuridica è diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, anche se le condotte materiali dei reati appaiono omologabili per modalità esecutive e tipologia lesiva.  Difatti il reato ex art.  572 c.p. è un reato contro la famiglia intesa latu sensu e l'oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica.

Nell'art. 612 bis c.p. invece, l'oggetto tutelato dalla norma, è quello della libertà morale che va ricondotta al concetto di autodeterminazione ossia di esplicazione della propria libertà senza alcun limite o condizione e non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche.

Tra i due reati esiste un rapporto di sussidiarietà prevista dall'art. 612 bis comma 1 c.p. “ salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che rende applicabile il reato di maltrattamenti più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella forma generale di cui all’art. 612 bis comma 1 c.p.  Solo la forma aggravata prevista nel comma 2 recupera ambiti legati alla comunità della famiglia (intesa però in senso stretto con esclusione delle altre comunità assimilate), quando il soggetto attivo sia un coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa.

Sostanzialmente con la novella, i comportamenti sanzionati vengono assunti al di fuori di un contesto familiare o para-familiare.

In considerazione di tutto quanto finora premesso, occorre verificare se nel caso di specie la condotta di Tizio integra il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. oppure quello previsto dall'art. 572 c.p.

Al riguardo si evince dalla traccia che Tizio era separato ma non anche divorziato da Caia. È pacifico che durante la fase della separazione personale tra i coniugi, che ancora non hanno chiesto la cessazione degli effetti civili del matrimonio o comunque non hanno ancora ottenuto la sentenza di divorzio, i coniugi sono tenuti agli obblighi di fedeltà, doveri di reciproco rispetto e di assistenza familiare e solidarietà tutti scaturenti dal rapporto matrimoniale come più volte espresso dalla giurisprudenza ( Cass. Pen.  n. 3570/1999; Cass. Pen. n. 26571/2008).

Di conseguenza, anche alla luce del recente intervento della Cassazione con la sentenza n. 24575 del 2012, la condotta tipica di Tizio rientra nella fattispecie astratta di cui all'art. 572 c.p. Infatti, gli ermellini ribadiscono che laddove vi è una famiglia non può prospettarsi il reato di stalking.  La Cassazione, in sostanza, ha delimitato la linea di demarcazione tra le fattispecie in esame. L’art. 612 bis c.p. non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche; il reato di maltrattamenti proprio può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di aggregazioni familiari, può essere commesso solo da chi ricopre un ruolo nel contesto della famiglia o delle aggregazioni similari.

Pertanto, concludendo, si può affermare che il discrimine di la dal quale non si può più parlare di maltrattamenti in famiglia coincide con la cessazione del vincolo familiare nell'ambito del quale si pongono in essere le condotte delittuose, ossia nel caso di divorzio ovvero quando la relazione affettiva e continuativa cessi definitivamente.

Detto ciò, Tizio e Caia all'epoca dei fatti erano ancora legati dal vincolo derivante dalla famiglia, o meglio, erano separati ma gli effetti civili del matrimonio non erano ancora cessati.  Di conseguenza si può affermare che gli atti compiuti da Tizio, in danno della moglie, sono da ricomprendere nella fattispecie astratta di reato prevista e punita dall'art. 572 c.p.