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Riflessioni comparatistiche sulle Alternative Dispute Resolutions a seguito del D.Lgs. 28/2010 e del successivo Decreto del Fare

1. Le ADR in Italia: un’effettiva soluzione alle inefficienze dei tribunali?

La persistente inefficienza dei tribunali e l’eccessiva durata dei processi, tanto in Italia quanto all’estero, è una costante che da tempo ha alimentato critiche e lamentele da parte degli utenti della giustizia.

Il concetto di ragionevole durata del processo civile trova il proprio fondamento nell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo ed è ivi riconosciuto quale diritto fondamentale dell'individuo e garanzia tipica dell'equo processo. Tale principio, inoltre, è stato introdotto a livello nazionale nella Carta Costituzionale a seguito della riforma intervenuta con la Legge Costituzionale del 23 settembre 1999, n.2, divenendo cardine fondamentale del “giusto processo”.

Nonostante ciò, la situazione in Italia, soprattutto nell’ultimo decennio, è divenuta talmente grave da produrre un sistema nel quale un procedimento ordinario di primo grado riesce a prolungarsi per oltre10/12 anni, senza dimenticare che nell’ipotesi di impugnazione presso la Corte D’Appello, le prime udienze vengono differite di molto tempo.

Nemmeno la Legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta Legge Pinto) che prevede un equo indennizzo per tutti coloro i quali abbiano subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per via dell’irragionevole durata dei processi, ha sortito alcun effetto nei confronti degli operatori del diritto, producendo semmai un motivo di ulteriore esborso da parte dello Stato.

Per dirla in poche parole, in Italia vi sono troppi processi che durano troppo a lungo.

Svariate sono le cause che determinano tale situazione. In particolar modo l’eccessivo carico di lavoro a cui è sottoposta la magistratura. Basti pensare, ad esempio, che ogni giudice, da solo e senza alcun aiuto, si trova a gestire oltre 1000 cause contemporaneamente e, laddove riesca a smaltirne una buona parte, è costretto a farsi carico delle vertenze pendenti presso suoi colleghi meno zelanti. Tali poderosi carichi di lavoro producono, come è facilmente immaginabile, un vistoso allungamento dei tempi della giustizia.

Partendo dal presupposto che, vista la situazione in cui si trovano molti tribunali, l’intero sistema è ormai vicino ad un inevitabile collasso, due sono le alternative per sopperire a tale situazione: introdurre nel sistema processuale dei meccanismi diretti a semplificare ed alleggerire le procedure esistenti ovvero, in modo più radicale, creare nuove forme di risoluzione delle controversie per rendere effettiva la protezione dei diritti.

In questa seconda direzione si sono mossi alcuni Paesi con iniziative di Alternative Dispute Resolutions (di seguito ADR), sviluppate nell’ambito dei rapporti che sfuggono ai tradizionali rimedi processuali, proprio al fine di contenere sia i costi e sia la durata di risoluzione delle controversie.

In pratica, parte delle liti può essere risolta facendo ricorso a tali strumenti, consentendo così ai giudici di potersi concentrare sulle rimanenti, con evidenti vantaggi sia dal punto di vista temporale che qualitativo. Infatti la pendenza di un numero contenuto di cause, assicura, con maggior probabilità, trattazioni più scrupolose e approfondite. In tal modo evitando che la giustizia possa essere scambiata con una sorta di presunta legalità.

Una svolta molto importante è stata segnata dall’introduzione, con il Decreto Legislativo 4 marzo 2010 n.28, dell’istituto della “Mediazione Civile” il quale ha offerto un’ulteriore opportunità di diffondere la cultura del ricorso alle ADR, ossia a quegli strumenti diretti alla risoluzione delle controversie con modalità alternative rispetto alla via giudiziaria.

Il problema di fondo, però, è che tale nuovo istituto, dopo un breve periodo di applicazione, è venuto meno per via della Sentenza della Corte Costituzionale n. 272/12, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del Decreto Legislativo n. 28/2010 per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. In sostanza, nelle materie espressamente previste, la mediazione è divenuta facoltativa.

Oggi, con il Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69) si sta tentando di reintrodurre l’istituto della mediazione obbligatoria per molte materie quali: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi bancari e finanziari. Inoltre, sono previste delle novità sostanziali quali i costi contenuti in casi di obbligatorietà, la gratuità per i soggetti non abbienti, la riduzione della durata, la possibilità che la mediazione venga svolta dagli avvocati, ecc.. Ciò non è però il punto focale su cui ci si soffermerà.

Una domanda, però, può sorgere spontanea al lettore, e cioè se tale riforma potrà effettivamente produrre una deflazione del sistema giudiziario italiano rispetto al carico di arretrati accumulatosi soprattutto negli ultimi anni o, come ormai è prassi di questi tempi, si rivelerà un buco nell’acqua. Basti pensare, per esempio, al recente “Procedimento Sommario di Cognizione”, introdotto con la legge di riforma n. 69 del 18 giugno 2009, che, sebbene abbia creato un nuovo sistema diretto alla risoluzione in tempi rapidi delle controversie meno complesse, non ha sicuramente raggiunto l’obiettivo prefissato di una congrua riduzione della durata dei processi, sia a causa di un’errata prassi applicativa che di palesi lacune nella stesura del testo definito.

Sebbene solo l’esperienza potrà condurre ad una concreta risposta circa l’efficacia o meno della nuova riforma, bisogna però tenere in considerazione un dato fondamentale, e cioè che l’istituto della mediazione civile è già conosciuto ed applicato da molto tempo, peraltro con modalità molto simili alle nostre, sia negli Stati Uniti, sia in alcuni paesi europei tra i quali l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e la Germania, dove i problemi legati alla giustizia sono sempre stati particolarmente sentiti.

L’analisi degli effetti prodotti dallo sviluppo delle procedure ADR, a mio avviso, può sicuramente aiutarci non solo ad individuare eventuali elementi di contatto tra la nostra normativa e quella estera, ma anche a capire quali cambiamenti tale istituto potrà produrre all’interno del nostro ordinamento in relazione ad un concreto smaltimento delle cause.

2. Lo sviluppo delle procedure ADR negli U.S.A., in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Austria, Olanda e Belgio

L’origine delle procedure di ADR si può fa risalire all’esperienza statunitense dove, tra la seconda metà degli anni 60 ed i primi anni 70, la crescente litigiosità (litigation explosion), i rilevanti costi, l’incertezza del diritto, la durata dei processi e la rigidità del sistema avevano creato una situazione ormai insostenibile per gli utenti della giustizia.

Sebbene le procedure ADR fossero già conosciute anche antecedentemente a tale periodo, esse però subirono un mutamento dal punto di vista qualitativo, divenendo degli strumenti endo-processuali e, talvolta, necessari per lo svolgimento del processo ordinario, cioè delle vere e proprie condizioni di procedibilità per la successiva azione civile.

La svolta definitiva è avvenuta poi con l’approvazione della Civil Justice Reform Act nel 1990 (CJRA), fortemente voluta dall’allora presidente della Commissione Giustizia del Senato Joseph Biden, con cui è stato riformato l’intero sistema giudiziario civile degli Stati Uniti. Punti cardine di tale intervento sono stati, infatti, il divieto di promozione di un’efficace discovery senza previa esibizione di un’attestazione comprovante l’avvenuto tentativo delle parti di risolvere la controversia informalmente, rendendo così necessario un tentativo di conciliazione preventivo rispetto all’instaurazione della controversia, ed il rinvio delle cause idonee, da parte del giudice, ai vari procedimenti di risoluzione alternativa delle controversie, tra cui la mediation (conciliazione), il mini-trial (mini-processo) ed il summary jury trial (giudizio consultivo).

Sono state create, inoltre, una vasta schiera di ADR di cui è necessario, quanto meno, un accenno, e cioè la med-arb (conciliazione-arbitrato), l’arbitration (arbitrato), la quick arbitration (arbitrato rapido), l’high-low arbitration (arbitrato condizionato), il baseball last offer arbitration (arbitrato per offerta finale), il rent-a-judge (noleggio di un giudice), lo small claims resolution (risoluzione di piccole controversie), la dispute review board (collegio consultivo tecnico), il partnering dialogue (incontro di paternariato) ed il giudizio privato (private judging).

Da un punto di vista prettamente tecnico, però, la riforma del sistema americano aveva prodotto degli effetti solo parzialmente positivi in ordine alla diminuzione del carico della giustizia. Gli stessi studi di settore (condotti dalla società Rand) avevano confermato che la previsione sempre più frequente di queste forme alternative alla risoluzione delle controversie, in via giudiziale, aveva prodotto certamente una deflazione del carico di lavoro dei magistrati nonché un accrescimento della soddisfazione dei litiganti, ma non nella misura originariamente sperata.

Nel 1998, però, il sistema americano è stato nuovamente riformato tramite l’Alternative Dispute Resolution Act, con la quale è stato effettivamente imposto ai litiganti l’uso di procedure di risoluzione alternativa della controversia. Oggi, però, essa è soltanto facoltativa e il mediatore è una figura professionale indipendente, che può svolgere la sua attività esclusivamente online e che può diventare anche arbitro della stessa controversia in caso di mancata conciliazione.

A seguito di tutte le riforme appena esaminate, i tribunali degli U.S.A. vivono tutt’oggi una situazione certamente migliore della nostra, soprattutto per il fatto che molte controversie civili vengono risolte tramite procedure ADR, anche e soprattutto per la richiesta degli utenti, prima di giungere avanti alla giurisdizione ordinaria.

3. Lo sviluppo delle procedure ADR in Inghilterra e Galles

In Inghilterra, le procedure di ADR sono state introdotte tramite il progetto di riforma elaborato da Lord Woolf ed articolato in una Interim Report del 1995 ed in una Final Report del 1996, recepite entrambe, seppure con alcune modifiche, nelle definitiva Civil Procedure Rules (CPR) del 1998.

A seguito di ciò, nel sistema normativo inglese sono state introdotte varie forme di ADR che possono così essere classificate: larbitration, l’adjudication, l’evaluation, la mediation, la negotiation, la collaborative family law e l’ombudsman.

Tale introduzione ha prodotto in Inghilterra, ma anche in Galles, effetti positivi. In particolare, è un dato incoraggiante il sostanzioso calo delle controversie civili proporzionale all’aumento dell’utilizzazione delle procedure di risoluzione alternativa, tanto da risultare queste ultime come una parte fondamentale ed integrante del sistema giudiziario inglese.

4. Lo sviluppo delle procedure ADR in Francia

In Francia, primo ordinamento di civil law che si intende esaminare in questa trattazione, la questione dell’introduzione delle procedure ADR ha sempre sollevato non poco interesse. L’istituto della mediazione civile, però, è stato introdotto solamente nel 1996 e, per la precisione, con l’inserimento del titolo VI-bis nel Nouveau Code de Procedure Civile (Legge 8 febbraio 1995, entrata in vigore con il Decreto n. 96-652 del 22 luglio 1996).

Tale riforma, che rappresenta un punto di svolta nel sistema processuale francese, ha messo a disposizione dei giudici civili in ogni stato e grado del procedimento una risorsa fondamentale non soltanto per alleviare il carico del contenzioso a cui sono sottoposte le corti, ma anche per ridurre i considerevoli tempi della giustizia.

Anche in Francia l’introduzione delle ADR ha prodotto risultati positivi e, come era auspicabile, una consistente riduzione del carico della giustizia. Basti pensare, infatti, che ogni conciliatore, in media, tratta circa 150 casi ogni anno ed il costo della sua attività è totalmente gratuito, per non parlare poi del ricorso all’istituto di mediazione su richiesta del giudice.

Poche settimane dopo l’entrata in vigore della suddetta legge sulla mediazione è stato poi costituito a Parigi il Centre de Médiation et d’Arbitrage de Paris (frutto di un accordo di paternariato tra la Camera di Commercio ed Industria di Parigi, l’Ordine degli Avvocati di Parigi, il Tribunale Commerciale di Parigi, l’Associazione francese per l’Arbitrato ed il Comitato Nazionale francese della Camera di Commercio Internazionale) avente lo scopo di diffondere la conciliazione convenzionale e quella giudiziaria soprattutto per le controversie delle piccole e medie imprese.

L’entusiasmo dovuto ai buoni risultati prodotti dalle ADR, inoltre, ha condotto alla creazione del Mediateur Du Net, cioè di un servizio di mediazione informatica diretto alla risoluzione delle controversie connesse all’utilizzo di internet da parte di privati, per esempio, in materia di acquisti on-line, di errate transazioni tra acquirenti e venditori, di violazioni del diritto alla privacy e dei diritti d’autore, di ingiuria o diffamazione, di diritto al dominio delle imprese, ecc..

Da poco, poi, e precisamente con l’Ordinanza del 16 novembre 2011 in applicazione della legge del 17 maggio 2011 di “simplification et d’amélioration de la qualité du droit” (semplificazione e miglioramento della qualità del diritto), è stata recepita la Direttiva europea 2008/52/CE del 21 maggio 2008 sulla mediazione in materia civile e commerciale.

In questo modo, è stata colta un’ulteriore occasione per migliorare il regime generale della mediazione, nonostante la Francia già disponesse di un quadro giuridico idoneo a rispondere alle esigenze della Direttiva in materia di mediazione giudiziaria nonché per la conciliazione condotta da un operatore di giustizia .

In sostanza, a differenza del precedente regime dove il giudice poteva nominare un mediatore, oggi questo può essere fatto anche dalle parti.

5. Lo sviluppo delle procedure ADR in Spagna

Anche in Spagna, dove il problema dell’eccessiva durata dei processi e dell’inefficienza dei tribunali è da tempo particolarmente sentito, sono previsti varie forme di risoluzione alternativa delle controversie, quali la mediazione, la conciliazione e l’arbitrato.

Una premessa, però, è di fondamentale importanza. Nonostante la grave situazione a cui tutt’oggi sono sottoposti i tribunali iberici, è ancora preponderante fra gli utenti della giustizia la preferenza per i sistemi aggiudicativi e, di contro, una certa indifferenza nei confronti delle ADR.

Malgrado le buone intenzioni iniziali, come già anticipato, i sistemi ADR sin qui analizzati non sono stati sufficienti a migliorare la crisi del sistema giudiziario spagnolo e le cause a cui è addebitabile tale fallimento sono, in primo luogo, l’eccessivo carico della giustizia, dovuto soprattutto alle cause pregresse, nonché la scarsa utilizzazione dei modi di risoluzione alternativa delle controversie, per via della poca informazione offerta agli utenti.

In base ad un rapporto presentato dal Consejo General del Poder Judicial, nell’aprile 2006, relativo ad un sondaggio realizzato presso giudici e magistrati spagnoli in attivo, era emerso che il 71% degli intervistati affermava di svolgere una quantità di lavoro troppo elevata. In particolar modo l’81,5% dei giudici che svolgevano funzioni ad elevato contatto con i cittadini, come i giudici dei Tribunali di Primo Grado (Juzgados de Primera Instancia) riteneva eccessivo il carico di lavoro.

Dal lato opposto, in base ad un sondaggio del 2003 realizzato dal medesimo organismo e rivolto ai cittadini, ossia agli utenti dei servizi pubblici giudiziari, il 41% degli intervistati aveva sostenuto che la giustizia spagnola funzionasse male o molto male, mentre solo il 27% aveva espresso un parere favorevole o molto favorevole.

Pertanto, sebbene in Spagna siano stati fatti concreti sforzi per migliorare la qualità del servizio giudiziario, tuttavia il cittadino non si trova nella condizione di ottenere una tutela giudiziaria efficace e veloce. Ciò essenzialmente a causa di ragioni di carattere organizzativo, quale il sovraccarico di lavoro a cui sono sottoposti gli uffici competenti. A detta degli interessati, il malfunzionamento della giustizia spagnola sarebbe infatti dovuto alla carenza di personale e non alle procedure.

Prendendo in esame i vari sistemi ADR, ci si rende poi conto della loro complessità. La stessa figura del mediatore spagnolo, per esempio, è molto poco definita, soprattutto perché per l’abilitazione la normativa richiede requisiti diversi in ogni settore specifico. In aggiunta, sebbene in linea generale i requisiti dell’imparzialità e della formazione specifica nella materia del contendere costituiscano due elementi di fondamentale importanza, ogni Comunità autonoma può creare una normativa propria.

Per quanto riguarda inoltre le procedure adottate, anche in questo caso vi è una mancanza di omogeneità nella regolazione della mediazione. I diversi Ordini professionali, nel regolamentare con i propri statuti la mediazione, non hanno infatti seguito una linea omogenea e pertanto si sono verificate delle divergenze non solo tra gli Ordini professionali appartenenti a professioni diverse, ma anche tra gli Ordini delle diverse province anche se rappresentativi della medesima categoria professionale.

Tutti questi motivi hanno portato, a detta degli stessi utenti, ad un ordinamento nel quale è ancora predominante la preferenza verso i sistemi aggiudicativi di risoluzione delle controversie, proprio perché si ritiene che essi offrano una maggior tutela dei diritti. Bisogna tuttavia ricordare che a causa dei costi elevati del contenzioso, molti cittadini spagnoli si vedono costretti a rinunciare ai propri diritti invece di fare ricorso ai sistemi ADR, ovviamente con costi notevolmente inferiori rispetto a quelli della giurisdizione ordinaria.

Una maggiore promozione e un più ampio uso di questi sistemi alternativi di risoluzione, potrebbe apportare alla società numerosi benefici in termini di pace sociale, incremento della fiducia per lo sviluppo, promozione delle attività economiche ed imprenditoriali nonché, non meno importante, un maggior grado di soddisfazione verso la giustizia in generale. I vantaggi dei sistemi ADR, anche nell’ordinamento spagnolo, potrebbero pertanto essere: inferiore costo rispetto alla giustizia ordinaria, autonomia delle parti nella costruzione della soluzione (che non viene imposta da un terzo poiché sono esse a decidere se raggiungere un accordo e in quali termini) e flessibilità delle procedure, tanto da permettere ad esse di adattarsi alle specifiche necessità delle parti.

Per sopperire alla scarsa recettività prodotta dai sistemi ADR tra i potenziali utenti, perciò, sarebbe necessario, oltre ad una semplificazione ed omogeneizzazione a livello procedurale, l’avvio di una efficace campagna d’informazione e promozione che ponga in risalto sia i vantaggi delle procedure ADR rispetto alla via giudiziaria che le modalità di utilizzo delle medesime.

Dal 6 luglio 2012, poi, la Spagna possiede una legge sulla mediazione civile e commerciale (Ley 5/2012, de 6 de Julio), la quale è entrata in vigore il 27 luglio 2012, abrogando il Real Decreto-ley 5/2012, de 5 de marzo; peraltro, una legge sulla mediazione era un passo obbligatorio non solo per attuare la direttiva comunitaria 52/08, ma in primo luogo, per ottemperare al dettato della terza disposizione finale della L. 8 luglio 2005, n. 5,

Devesi rilevare, comunque, che il modello di mediazione spagnola si basa sulla volontarietà e sulla libertà di scelta delle parti nonché sull’intervento attivo del mediatore, finalizzato a risolvere una controversia tra le parti stesse (la clausola contrattuale o compromesso di mediazione comporta però un obbligo di promuoverla).

Le regole contenute nella legge valorizzano poi la flessibilità, il rispetto dell’autonomia delle parti, il fatto che la volontà recepita da un accordo possa essere, se le parti lo desiderano, esternata in un atto pubblico avente efficacia di titolo esecutivo e la possibilità che la mediazione stessa venga svolta dagli ordini.

6. Lo sviluppo delle procedure ADR in Germania

Sebbene in Germania la situazione dei tribunali sia sempre risultata migliore rispetto a quella degli ordinamenti sino ad ora analizzati, un’attenzione particolare è stata comunque rivolta ai modi di risoluzione alternativa delle controversie. Nella legislazione tedesca sono infatti rinvenibili varie forme di ADR quali l’arbitrato, la conciliazione e la mediazione, sia civile che familiare.

In questo caso, però, salta subito all’occhio una certa disomogeneità del sistema delle ADR nel diritto tedesco, nonché l’inesistenza di una figura professionalmente uniforme in quanto i conciliatori ed i mediatori vengono assunti non solo fra i giuristi ma anche, ed in special modo, fra gli psicologi, i pedagoghi, gli esponenti del mondo degli affari ed i sociologi.

Nonostante la rilevata disomogeneità delle procedure ADR nel sistema giuridico tedesco, esse hanno prodotto un considerevole effetto deflattivo delle cause, in special modo nei settori del consumo (tutela dei consumatori), nelle controversie tra imprese, tra lavoratori e datori di lavoro nonché in ordine all’applicazione della normativa sui trasferimenti di fondi o sull’uso abusivo di carte di pagamento.

Per concludere, deve aggiungersi che nel 2012 è stata approvata una legge che, in applicazione della Direttiva comunitaria n. 52/08, ha introdotto la mediazione civile e commerciale (Mediationsgesets) quale ulteriore mezzo per la risoluzione stragiudiziale delle controversie

7. Lo sviluppo delle procedure ADR in Austria

Una situazione del tutto simile al sistema tedesco è quella dell’Austria, dove l’ottimo funzionamento del sistema giudiziario ha reso pressoché inesistente l’interesse riguardo a qualsiasi forma di risoluzione alternativa delle controversie.

In particolare, ancor prima di dare attuazione alla Direttiva comunitaria n. 52/08, che impone il recepimento della mediazione in ambito civile e commerciale all’interno degli ordinamenti dell’eurozona (lasciando peraltro impregiudicata la possibilità che ciascuno stato membro adotti le opportune misure normative o regolamentari per favorire il ricorso alla mediazione), in Austria hanno continuato a dare buoni esiti le fattispecie di mediazione obbligatoria già esistenti. Queste forme sono state introdotte dalla legge del 1° luglio 2004 per le liti inerenti questioni di vicinato e pari opportunità nei luoghi di lavoro.

Tra gli strumenti di risoluzione dei conflitti, poi, meritano di essere citate le transazioni denominate "Prätorischen Vergleiche" (accordi pretorili), attraverso le quali, pur senza definirsi con pronuncia giurisdizionale, si addiviene alla risoluzione della controversia con l’intervento del giudice il quale svolge il ruolo facilitatore dell’accordo tra le parti in lite.

Inoltre, un’altra possibilità di risoluzione stragiudiziale di una controversia, consiste nella redazione di un atto notarile dotato di forza esecutiva.

Nelle liti civili e commerciali, per concludere, la Direttiva n. 52/08 è stata attuata con la Legge federale su alcuni aspetti della mediazione transfrontaliera in materia civile e commerciale all’interno dell’Unione europea la quale modifica il Codice di Procedura Civile, la legge DPI ed il Substances Act del 28 aprile 2011, in vigore dal 1° maggio 2011.

8. Lo sviluppo delle procedure ADR in Olanda e Belgio

Per quanto riguarda l’Olanda, le ADR hanno cominciato a svilupparsi in seguito alla costituzione, nel 1995, dell’Istituto di Conciliazione Olandese a Rotterdam (NMI) nonché, nel 1997, alla conclusione del “Protocollo di Conciliazione” tra l’Ordine degli Avvocati di Amsterdam ed il Tribunale di Amsterdam, con il quale è stato promosso un esperimento pilota di “court-annexed mediation” (mediazione suggerita dalla Corte), senza però avere molto successo.

Caratteristica fondamentale dei Paesi Bassi, comunque, è il buon funzionamento del sistema giudiziario che non conosce alcun arretrato e, perciò, nemmeno la necessità di ricorrere alle ADR.

Anche in Belgio il Codice Civile, come molti altri, prevede la possibilità del giudice di tentare la conciliazione delle parti. Tuttavia, nonostante siano passati quasi quarant’anni, questa disposizione è rimasta perlopiù lettera morta. Solo recentemente, e cioè alla fine degli anni 90, gli Ordini francofoni e fiamminghi degli avvocati di Bruxelles e la Camera del Commercio e dell’Industria di Bruxelles hanno costituito il Business Mediation Center.

9. I risultati prodotti dalle ADR nei vari sistemi esaminati

Giunti a questo punto bisogna ora cercare di rispondere ad una domanda: le ADR hanno realmente prodotto una deflazione del carico della giustizia e, conseguentemente, una riduzione della durata dei processi?

Una premessa, però, è di fondamentale importanza. Le ADR non si sono sviluppate laddove, per via della situazione certamente favorevole della giustizia, non se ne è sentito il reale bisogno come, per esempio, in Olanda, Belgio ed Austria. Inoltre, come già anticipato nei precedenti paragrafi, sia negli Stati Uniti che in Francia ed in Inghilterra, le procedure ADR hanno sicuramente prodotto degli effetti favorevoli mentre in Spagna, al contrario, la situazione non è cambiata di molto, nonostante i recenti tentativi di reintroduzione.

Il punto di snodo, probabilmente, non sta tanto nei tipi di ordinamento in cui tali procedure vengono inserite, ma nel modo in cui esse vengono attuate e pubblicizzate.

A differenza di Inghilterra e Francia, dove i risultati si sono visti sin da subito, negli U.S.A., dopo un primo periodo di scarso utilizzo, le procedure ADR hanno subito un vistoso incremento nella loro utilizzazione ed hanno prodotto una notevole riduzione dei tempi di giudizio, soprattutto per via della loro imposizione ai litiganti. In Germania, invece, sebbene la procedure ADR siano state oggetto di una legislazione certamente poco unitaria, si deve comunque rilevare che esse abbiano apportato dei risultati positivi in molti settori, anche per via sia della situazione meno drammatica dei tribunali tedeschi che per una maggiore propensione mentale degli interessati a farvi ricorso.

In Spagna, in modo nettamente opposto, le procedure ADR sono state poco utilizzate ingenerando una preferenza espressa degli utenti della giustizia per i sistemi aggiudicativi di risoluzione delle controversie poiché, a loro opinione, essi offrono una tutela maggiore dei diritti soggettivi.

In realtà l’avversione mostrata in Spagna per le forme di risoluzione alternativa delle controversie deriva da diversi motivi, e cioè dalla disomogeneità della normativa posta a loro base, dalla scarsa informazione a cui sono stati sottoposti gli utenti della giustizia e dall’assenza di regolamentazione delle strutture preposte per lo svolgimento di queste procedure alternative.

Tutto ciò non fa che avvalorare la tesi che le ADR possono produrre certamente effetti favorevoli, ma solo laddove siano sorrette da disposizioni normative che ne incentivino l’utilizzo e che non le rendano scarsamente fruibili, soprattutto da un punto di vista conoscitivo, per coloro i quali se ne debbano servire.

È perciò necessario che le riforme che introducono gli ADR delineino tali sistemi di risoluzione non solo in modo da omogeneizzarsi ai sistemi giuridici in cui vengono inseriti, ma anche prevedano procedure semplici, strutture idonee che possano supportarli, nonché un’adeguata informazione diretta agli utenti della giustizia.

10. La “Mediazione Civile e Commerciale”: una previsione per il futuro

Giunti alla conclusione di questa trattazione, appare ora necessario tentare di dare una risposta al quesito proposto nell’introduzione e cioè se la mediazione civile delineata dal Decreto Legislativo n. 28/2010, ed oggi reintrodotta con il Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69), possa produrre effettivamente una deflazione del sistema giudiziario italiano rispetto al carico di arretrati accumulatosi negli anni, soprattutto in vista dell’obbligatorietà della stessa.

Sebbene le procedure ADR, nella maggior parte dei casi, abbiano apportato degli effetti favorevoli rispetto al sistema giudiziale dei paesi in cui esse sono state introdotte (come per esempio, negli U.S.A., in Inghilterra ed in Francia), probabilmente in Italia la mediazione civile, così come formulata, porterà a dei risultati assimilabili più che altro all’esperienza spagnola, dove la poca informazione degli utenti e la mancanza di omogeneità degli organi di mediazione costituiti presso gli ordini professionali hanno creato una sorta di diffidenza verso tutti quei mezzi che dovrebbero condurre alla riduzione del carico della giustizia.

In pratica, a mio parere, la riforma non ha prodotto, e sicuramente non produrrà gli effetti auspicati anche in seguito al decreto del “fare” per una serie di ragioni che ora tenterò di spiegare.

In primo luogo, la normativa non è stata supportata da apparati tali da poterla rendere effettiva. Si pensi, per esempio, agli organismi di mediazione che, in base agli articoli 18 e 19, dovrebbero essere costituiti presso gli ordini degli avvocati nei Tribunali o presso gli altri ordini professionali. Sebbene il legislatore ne abbia previsto la formazione, non ha ancora fatto nulla di concreto per poterne permettere un effettivo ed omogeneo funzionamento, cosa già vista sotto il precedente regime. Allo stesso modo, la figura del mediatore non è stata ancora ben definita a livello legislativo, non essendo state specificate le modalità, le procedure o i corsi da seguire per ottenere tale qualifica e dovendosi comunque scongiurare il pericolo che i vari ordini ritengano le capacità dei propri iscritti già di per se sufficienti per lo svolgimento dell’attività di mediazione.

In secondo luogo, non credo che l’aver posto a carico dell’avvocato l’obbligo di informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (o anche che l’esperimento del medesimo costituisca condizione di procedibilità della domanda in giudizio) sia un mezzo adeguato allo scopo prefissato dalla legge di riforma ed allo stesso tempo sufficiente ad ottenere e garantire un’effettiva conoscenza da parte degli utenti della giustizia della possibilità di risolvere la controversia in via stragiudiziale. Così facendo, il legislatore ha manifestato una “sorta” di presunzione di esclusiva responsabilità in capo agli avvocati per quelli che, in realtà, sono mali atavici della giustizia italiana, con radici che affondano essenzialmente nelle storture del sistema sociale e culturale, nonché in comportamenti individuali di alcuni operatori del diritto, non certo emblema di intere categorie. Addirittura, nei casi di conflittualità più accesa, l’obbligo della mediazione potrebbe produrre un ulteriore allungamento dei tempi processuali e, quindi, il venir meno della stessa ratio su cui esso si fonda.

Per finire, ritengo che non ci siano le basi culturali per far si che la mediazione civile possa produrre effetti nel nostro paese, e questo per via dell’avversione mostrata ad oltranza da non pochi avvocati che, invece di badare ai possibili minori guadagni, dovrebbero sostenere tale riforma, magari proponendone dei correttivi soprattutto per “curare” il disastrato sistema giudiziario del nostro paese (in questo caso, forse, più che avere tante cause sarebbe bene trattarne il giusto numero e nel modo migliore); e quelle poche pubblicità che si sono viste sulle reti nazionali non sono certamente sufficienti a indurre gli utenti della giustizia a poter pensare di adire un mediatore piuttosto che agire processualmente nei confronti delle controparti.

Significativo, a mio modo di vedere, è la posizione critica assunta (ovviamente in relazione alla prima applicazione della mediazione civile) del Prof. Guido Alpa, Presidente del Consiglio Nazionale Forense, in una circolare del 21 giugno 2010 (N. 18-C/2010) in cui egli precisa che l’avvocatura, alla quale si dovrebbe evitare di attribuire la colpa di un futuro fallimento della riforma, non è contraria al sistema previsto dalla normativa comunitaria, ma è contraria ad un sistema che, così come congegnato, non è in grado di funzionare e, se messo in atto senza i correttivi suggeriti, avrà un impatto sicuramente negativo sull’accesso alla giustizia. In particolare, dopo aver messo in luce alcuni punti cardine del recente Decreto Legislativo n. 28/2010, il Prof. Alpa poneva giustamente l’accento su alcune modifiche legislative opportune, alla luce delle insistenti critiche mosse sia dal C.N.F. che dagli Ordini e dalle Associazioni forensi, tra le quali, per esempio, l’abrogazione dell’obbligatorietà della mediazione (articolo 5, comma 1, Decreto Legislativo n. 28/2010) e la soppressione dell’efficacia invalidante della mancata informativa sul contratto di mandato (articolo 4, comma 3, Decreto Legislativo n. 28/2010), cose a distanza di qualche anno modificate.

In realtà, il problema principale della mediazione, così come strutturata, è proprio che questa viene avversata da una consistente frangia dell'avvocatura.

A parte che si dovrebbe, a mio modo di vedere, creare una normativa che permetta di predisporre degli organi di mediazione tali da sostenere il nuovo sistema che verrebbe a crearsi. Infatti, per evitare il riprodursi di una situazione simile a quella dell’ordinamento giuridico spagnolo, o di quanto già successo qualche anno fa, ritengo sia necessaria una omogeneizzazione sia a livello strutturale, con la creazione di appositi organi di mediazione non solo presso gli ordini degli avvocati (magari creando anche dei nuovi posti di lavoro anche per soggetti esterni alla categoria forense ma comunque laureati in materie giuridiche od economiche), che procedimentale, tramite la previsione di regole unitarie a livello nazionale, dell’intero sistema.

Infine, per completare il tutto, sarebbe anche necessario un controllo annuale, a livello ministeriale, delle controversie risolte tramite il procedimento di mediazione proprio per evitare che il tutto si risolva in un “nulla di fatto” per via delle inadempienze dei vari ordini professionali, cosa che è già avvenuta in passato.

Ma allora, ciò potrà veramente bastare affinché la mediazione giunga a dei risultati effettivi?

Il problema fondamentale è che, nonostante tutto, il sistema normativo non è comunque sufficiente, a mio modo di vedere, a risolvere i vizi precedentemente evidenziati.

Un’ultima considerazione, poi, mi sembra d’obbligo. Infatti, perché si riesca ad ottenere un’effettiva riduzione della durata dei processi non si può solo agire creando strumenti che permettano una deflazione del contenzioso, ma è necessario che si agisca soprattutto sulla normativa del codice di procedura civile, creando disposizioni tali da imporre, nei limiti del possibile, una riduzione dei tempi della giustizia tanto ai giudici quanto agli avvocati. Da questo punto di vista, iniziative simili a quella del “Procedimento Sommario di Cognizione”, introdotto con la legge di riforma n. 69 del 18 giugno 2009, senza giungere a mezzi di extrema ratio come la possibile pronuncia di inammissibilità in grado di appello, cioè il rinnovato articolo 342 ed il nuovo 348-bis del Codice di Procedura Civile, introdotti dal Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012, sono sicuramente di aiuto, ma è comunque necessario che queste vengano supportate da una normativa che ne renda effettivo l’utilizzo.

In sostanza, sarebbe necessario procedere ad una revisione, in parallelo, sia delle disposizioni del codice civile che del procedimento di mediazione stesso.

1. Le ADR in Italia: un’effettiva soluzione alle inefficienze dei tribunali?

La persistente inefficienza dei tribunali e l’eccessiva durata dei processi, tanto in Italia quanto all’estero, è una costante che da tempo ha alimentato critiche e lamentele da parte degli utenti della giustizia.

Il concetto di ragionevole durata del processo civile trova il proprio fondamento nell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo ed è ivi riconosciuto quale diritto fondamentale dell'individuo e garanzia tipica dell'equo processo. Tale principio, inoltre, è stato introdotto a livello nazionale nella Carta Costituzionale a seguito della riforma intervenuta con la Legge Costituzionale del 23 settembre 1999, n.2, divenendo cardine fondamentale del “giusto processo”.

Nonostante ciò, la situazione in Italia, soprattutto nell’ultimo decennio, è divenuta talmente grave da produrre un sistema nel quale un procedimento ordinario di primo grado riesce a prolungarsi per oltre10/12 anni, senza dimenticare che nell’ipotesi di impugnazione presso la Corte D’Appello, le prime udienze vengono differite di molto tempo.

Nemmeno la Legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta Legge Pinto) che prevede un equo indennizzo per tutti coloro i quali abbiano subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per via dell’irragionevole durata dei processi, ha sortito alcun effetto nei confronti degli operatori del diritto, producendo semmai un motivo di ulteriore esborso da parte dello Stato.

Per dirla in poche parole, in Italia vi sono troppi processi che durano troppo a lungo.

Svariate sono le cause che determinano tale situazione. In particolar modo l’eccessivo carico di lavoro a cui è sottoposta la magistratura. Basti pensare, ad esempio, che ogni giudice, da solo e senza alcun aiuto, si trova a gestire oltre 1000 cause contemporaneamente e, laddove riesca a smaltirne una buona parte, è costretto a farsi carico delle vertenze pendenti presso suoi colleghi meno zelanti. Tali poderosi carichi di lavoro producono, come è facilmente immaginabile, un vistoso allungamento dei tempi della giustizia.

Partendo dal presupposto che, vista la situazione in cui si trovano molti tribunali, l’intero sistema è ormai vicino ad un inevitabile collasso, due sono le alternative per sopperire a tale situazione: introdurre nel sistema processuale dei meccanismi diretti a semplificare ed alleggerire le procedure esistenti ovvero, in modo più radicale, creare nuove forme di risoluzione delle controversie per rendere effettiva la protezione dei diritti.

In questa seconda direzione si sono mossi alcuni Paesi con iniziative di Alternative Dispute Resolutions (di seguito ADR), sviluppate nell’ambito dei rapporti che sfuggono ai tradizionali rimedi processuali, proprio al fine di contenere sia i costi e sia la durata di risoluzione delle controversie.

In pratica, parte delle liti può essere risolta facendo ricorso a tali strumenti, consentendo così ai giudici di potersi concentrare sulle rimanenti, con evidenti vantaggi sia dal punto di vista temporale che qualitativo. Infatti la pendenza di un numero contenuto di cause, assicura, con maggior probabilità, trattazioni più scrupolose e approfondite. In tal modo evitando che la giustizia possa essere scambiata con una sorta di presunta legalità.

Una svolta molto importante è stata segnata dall’introduzione, con il Decreto Legislativo 4 marzo 2010 n.28, dell’istituto della “Mediazione Civile” il quale ha offerto un’ulteriore opportunità di diffondere la cultura del ricorso alle ADR, ossia a quegli strumenti diretti alla risoluzione delle controversie con modalità alternative rispetto alla via giudiziaria.

Il problema di fondo, però, è che tale nuovo istituto, dopo un breve periodo di applicazione, è venuto meno per via della Sentenza della Corte Costituzionale n. 272/12, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del Decreto Legislativo n. 28/2010 per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. In sostanza, nelle materie espressamente previste, la mediazione è divenuta facoltativa.

Oggi, con il Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69) si sta tentando di reintrodurre l’istituto della mediazione obbligatoria per molte materie quali: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi bancari e finanziari. Inoltre, sono previste delle novità sostanziali quali i costi contenuti in casi di obbligatorietà, la gratuità per i soggetti non abbienti, la riduzione della durata, la possibilità che la mediazione venga svolta dagli avvocati, ecc.. Ciò non è però il punto focale su cui ci si soffermerà.

Una domanda, però, può sorgere spontanea al lettore, e cioè se tale riforma potrà effettivamente produrre una deflazione del sistema giudiziario italiano rispetto al carico di arretrati accumulatosi soprattutto negli ultimi anni o, come ormai è prassi di questi tempi, si rivelerà un buco nell’acqua. Basti pensare, per esempio, al recente “Procedimento Sommario di Cognizione”, introdotto con la legge di riforma n. 69 del 18 giugno 2009, che, sebbene abbia creato un nuovo sistema diretto alla risoluzione in tempi rapidi delle controversie meno complesse, non ha sicuramente raggiunto l’obiettivo prefissato di una congrua riduzione della durata dei processi, sia a causa di un’errata prassi applicativa che di palesi lacune nella stesura del testo definito.

Sebbene solo l’esperienza potrà condurre ad una concreta risposta circa l’efficacia o meno della nuova riforma, bisogna però tenere in considerazione un dato fondamentale, e cioè che l’istituto della mediazione civile è già conosciuto ed applicato da molto tempo, peraltro con modalità molto simili alle nostre, sia negli Stati Uniti, sia in alcuni paesi europei tra i quali l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e la Germania, dove i problemi legati alla giustizia sono sempre stati particolarmente sentiti.

L’analisi degli effetti prodotti dallo sviluppo delle procedure ADR, a mio avviso, può sicuramente aiutarci non solo ad individuare eventuali elementi di contatto tra la nostra normativa e quella estera, ma anche a capire quali cambiamenti tale istituto potrà produrre all’interno del nostro ordinamento in relazione ad un concreto smaltimento delle cause.

2. Lo sviluppo delle procedure ADR negli U.S.A., in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Austria, Olanda e Belgio

L’origine delle procedure di ADR si può fa risalire all’esperienza statunitense dove, tra la seconda metà degli anni 60 ed i primi anni 70, la crescente litigiosità (litigation explosion), i rilevanti costi, l’incertezza del diritto, la durata dei processi e la rigidità del sistema avevano creato una situazione ormai insostenibile per gli utenti della giustizia.

Sebbene le procedure ADR fossero già conosciute anche antecedentemente a tale periodo, esse però subirono un mutamento dal punto di vista qualitativo, divenendo degli strumenti endo-processuali e, talvolta, necessari per lo svolgimento del processo ordinario, cioè delle vere e proprie condizioni di procedibilità per la successiva azione civile.

La svolta definitiva è avvenuta poi con l’approvazione della Civil Justice Reform Act nel 1990 (CJRA), fortemente voluta dall’allora presidente della Commissione Giustizia del Senato Joseph Biden, con cui è stato riformato l’intero sistema giudiziario civile degli Stati Uniti. Punti cardine di tale intervento sono stati, infatti, il divieto di promozione di un’efficace discovery senza previa esibizione di un’attestazione comprovante l’avvenuto tentativo delle parti di risolvere la controversia informalmente, rendendo così necessario un tentativo di conciliazione preventivo rispetto all’instaurazione della controversia, ed il rinvio delle cause idonee, da parte del giudice, ai vari procedimenti di risoluzione alternativa delle controversie, tra cui la mediation (conciliazione), il mini-trial (mini-processo) ed il summary jury trial (giudizio consultivo).

Sono state create, inoltre, una vasta schiera di ADR di cui è necessario, quanto meno, un accenno, e cioè la med-arb (conciliazione-arbitrato), l’arbitration (arbitrato), la quick arbitration (arbitrato rapido), l’high-low arbitration (arbitrato condizionato), il baseball last offer arbitration (arbitrato per offerta finale), il rent-a-judge (noleggio di un giudice), lo small claims resolution (risoluzione di piccole controversie), la dispute review board (collegio consultivo tecnico), il partnering dialogue (incontro di paternariato) ed il giudizio privato (private judging).

Da un punto di vista prettamente tecnico, però, la riforma del sistema americano aveva prodotto degli effetti solo parzialmente positivi in ordine alla diminuzione del carico della giustizia. Gli stessi studi di settore (condotti dalla società Rand) avevano confermato che la previsione sempre più frequente di queste forme alternative alla risoluzione delle controversie, in via giudiziale, aveva prodotto certamente una deflazione del carico di lavoro dei magistrati nonché un accrescimento della soddisfazione dei litiganti, ma non nella misura originariamente sperata.

Nel 1998, però, il sistema americano è stato nuovamente riformato tramite l’Alternative Dispute Resolution Act, con la quale è stato effettivamente imposto ai litiganti l’uso di procedure di risoluzione alternativa della controversia. Oggi, però, essa è soltanto facoltativa e il mediatore è una figura professionale indipendente, che può svolgere la sua attività esclusivamente online e che può diventare anche arbitro della stessa controversia in caso di mancata conciliazione.

A seguito di tutte le riforme appena esaminate, i tribunali degli U.S.A. vivono tutt’oggi una situazione certamente migliore della nostra, soprattutto per il fatto che molte controversie civili vengono risolte tramite procedure ADR, anche e soprattutto per la richiesta degli utenti, prima di giungere avanti alla giurisdizione ordinaria.

3. Lo sviluppo delle procedure ADR in Inghilterra e Galles

In Inghilterra, le procedure di ADR sono state introdotte tramite il progetto di riforma elaborato da Lord Woolf ed articolato in una Interim Report del 1995 ed in una Final Report del 1996, recepite entrambe, seppure con alcune modifiche, nelle definitiva Civil Procedure Rules (CPR) del 1998.

A seguito di ciò, nel sistema normativo inglese sono state introdotte varie forme di ADR che possono così essere classificate: larbitration, l’adjudication, l’evaluation, la mediation, la negotiation, la collaborative family law e l’ombudsman.

Tale introduzione ha prodotto in Inghilterra, ma anche in Galles, effetti positivi. In particolare, è un dato incoraggiante il sostanzioso calo delle controversie civili proporzionale all’aumento dell’utilizzazione delle procedure di risoluzione alternativa, tanto da risultare queste ultime come una parte fondamentale ed integrante del sistema giudiziario inglese.

4. Lo sviluppo delle procedure ADR in Francia

In Francia, primo ordinamento di civil law che si intende esaminare in questa trattazione, la questione dell’introduzione delle procedure ADR ha sempre sollevato non poco interesse. L’istituto della mediazione civile, però, è stato introdotto solamente nel 1996 e, per la precisione, con l’inserimento del titolo VI-bis nel Nouveau Code de Procedure Civile (Legge 8 febbraio 1995, entrata in vigore con il Decreto n. 96-652 del 22 luglio 1996).

Tale riforma, che rappresenta un punto di svolta nel sistema processuale francese, ha messo a disposizione dei giudici civili in ogni stato e grado del procedimento una risorsa fondamentale non soltanto per alleviare il carico del contenzioso a cui sono sottoposte le corti, ma anche per ridurre i considerevoli tempi della giustizia.

Anche in Francia l’introduzione delle ADR ha prodotto risultati positivi e, come era auspicabile, una consistente riduzione del carico della giustizia. Basti pensare, infatti, che ogni conciliatore, in media, tratta circa 150 casi ogni anno ed il costo della sua attività è totalmente gratuito, per non parlare poi del ricorso all’istituto di mediazione su richiesta del giudice.

Poche settimane dopo l’entrata in vigore della suddetta legge sulla mediazione è stato poi costituito a Parigi il Centre de Médiation et d’Arbitrage de Paris (frutto di un accordo di paternariato tra la Camera di Commercio ed Industria di Parigi, l’Ordine degli Avvocati di Parigi, il Tribunale Commerciale di Parigi, l’Associazione francese per l’Arbitrato ed il Comitato Nazionale francese della Camera di Commercio Internazionale) avente lo scopo di diffondere la conciliazione convenzionale e quella giudiziaria soprattutto per le controversie delle piccole e medie imprese.

L’entusiasmo dovuto ai buoni risultati prodotti dalle ADR, inoltre, ha condotto alla creazione del Mediateur Du Net, cioè di un servizio di mediazione informatica diretto alla risoluzione delle controversie connesse all’utilizzo di internet da parte di privati, per esempio, in materia di acquisti on-line, di errate transazioni tra acquirenti e venditori, di violazioni del diritto alla privacy e dei diritti d’autore, di ingiuria o diffamazione, di diritto al dominio delle imprese, ecc..

Da poco, poi, e precisamente con l’Ordinanza del 16 novembre 2011 in applicazione della legge del 17 maggio 2011 di “simplification et d’amélioration de la qualité du droit” (semplificazione e miglioramento della qualità del diritto), è stata recepita la Direttiva europea 2008/52/CE del 21 maggio 2008 sulla mediazione in materia civile e commerciale.

In questo modo, è stata colta un’ulteriore occasione per migliorare il regime generale della mediazione, nonostante la Francia già disponesse di un quadro giuridico idoneo a rispondere alle esigenze della Direttiva in materia di mediazione giudiziaria nonché per la conciliazione condotta da un operatore di giustizia .

In sostanza, a differenza del precedente regime dove il giudice poteva nominare un mediatore, oggi questo può essere fatto anche dalle parti.

5. Lo sviluppo delle procedure ADR in Spagna

Anche in Spagna, dove il problema dell’eccessiva durata dei processi e dell’inefficienza dei tribunali è da tempo particolarmente sentito, sono previsti varie forme di risoluzione alternativa delle controversie, quali la mediazione, la conciliazione e l’arbitrato.

Una premessa, però, è di fondamentale importanza. Nonostante la grave situazione a cui tutt’oggi sono sottoposti i tribunali iberici, è ancora preponderante fra gli utenti della giustizia la preferenza per i sistemi aggiudicativi e, di contro, una certa indifferenza nei confronti delle ADR.

Malgrado le buone intenzioni iniziali, come già anticipato, i sistemi ADR sin qui analizzati non sono stati sufficienti a migliorare la crisi del sistema giudiziario spagnolo e le cause a cui è addebitabile tale fallimento sono, in primo luogo, l’eccessivo carico della giustizia, dovuto soprattutto alle cause pregresse, nonché la scarsa utilizzazione dei modi di risoluzione alternativa delle controversie, per via della poca informazione offerta agli utenti.

In base ad un rapporto presentato dal Consejo General del Poder Judicial, nell’aprile 2006, relativo ad un sondaggio realizzato presso giudici e magistrati spagnoli in attivo, era emerso che il 71% degli intervistati affermava di svolgere una quantità di lavoro troppo elevata. In particolar modo l’81,5% dei giudici che svolgevano funzioni ad elevato contatto con i cittadini, come i giudici dei Tribunali di Primo Grado (Juzgados de Primera Instancia) riteneva eccessivo il carico di lavoro.

Dal lato opposto, in base ad un sondaggio del 2003 realizzato dal medesimo organismo e rivolto ai cittadini, ossia agli utenti dei servizi pubblici giudiziari, il 41% degli intervistati aveva sostenuto che la giustizia spagnola funzionasse male o molto male, mentre solo il 27% aveva espresso un parere favorevole o molto favorevole.

Pertanto, sebbene in Spagna siano stati fatti concreti sforzi per migliorare la qualità del servizio giudiziario, tuttavia il cittadino non si trova nella condizione di ottenere una tutela giudiziaria efficace e veloce. Ciò essenzialmente a causa di ragioni di carattere organizzativo, quale il sovraccarico di lavoro a cui sono sottoposti gli uffici competenti. A detta degli interessati, il malfunzionamento della giustizia spagnola sarebbe infatti dovuto alla carenza di personale e non alle procedure.

Prendendo in esame i vari sistemi ADR, ci si rende poi conto della loro complessità. La stessa figura del mediatore spagnolo, per esempio, è molto poco definita, soprattutto perché per l’abilitazione la normativa richiede requisiti diversi in ogni settore specifico. In aggiunta, sebbene in linea generale i requisiti dell’imparzialità e della formazione specifica nella materia del contendere costituiscano due elementi di fondamentale importanza, ogni Comunità autonoma può creare una normativa propria.

Per quanto riguarda inoltre le procedure adottate, anche in questo caso vi è una mancanza di omogeneità nella regolazione della mediazione. I diversi Ordini professionali, nel regolamentare con i propri statuti la mediazione, non hanno infatti seguito una linea omogenea e pertanto si sono verificate delle divergenze non solo tra gli Ordini professionali appartenenti a professioni diverse, ma anche tra gli Ordini delle diverse province anche se rappresentativi della medesima categoria professionale.

Tutti questi motivi hanno portato, a detta degli stessi utenti, ad un ordinamento nel quale è ancora predominante la preferenza verso i sistemi aggiudicativi di risoluzione delle controversie, proprio perché si ritiene che essi offrano una maggior tutela dei diritti. Bisogna tuttavia ricordare che a causa dei costi elevati del contenzioso, molti cittadini spagnoli si vedono costretti a rinunciare ai propri diritti invece di fare ricorso ai sistemi ADR, ovviamente con costi notevolmente inferiori rispetto a quelli della giurisdizione ordinaria.

Una maggiore promozione e un più ampio uso di questi sistemi alternativi di risoluzione, potrebbe apportare alla società numerosi benefici in termini di pace sociale, incremento della fiducia per lo sviluppo, promozione delle attività economiche ed imprenditoriali nonché, non meno importante, un maggior grado di soddisfazione verso la giustizia in generale. I vantaggi dei sistemi ADR, anche nell’ordinamento spagnolo, potrebbero pertanto essere: inferiore costo rispetto alla giustizia ordinaria, autonomia delle parti nella costruzione della soluzione (che non viene imposta da un terzo poiché sono esse a decidere se raggiungere un accordo e in quali termini) e flessibilità delle procedure, tanto da permettere ad esse di adattarsi alle specifiche necessità delle parti.

Per sopperire alla scarsa recettività prodotta dai sistemi ADR tra i potenziali utenti, perciò, sarebbe necessario, oltre ad una semplificazione ed omogeneizzazione a livello procedurale, l’avvio di una efficace campagna d’informazione e promozione che ponga in risalto sia i vantaggi delle procedure ADR rispetto alla via giudiziaria che le modalità di utilizzo delle medesime.

Dal 6 luglio 2012, poi, la Spagna possiede una legge sulla mediazione civile e commerciale (Ley 5/2012, de 6 de Julio), la quale è entrata in vigore il 27 luglio 2012, abrogando il Real Decreto-ley 5/2012, de 5 de marzo; peraltro, una legge sulla mediazione era un passo obbligatorio non solo per attuare la direttiva comunitaria 52/08, ma in primo luogo, per ottemperare al dettato della terza disposizione finale della L. 8 luglio 2005, n. 5,

Devesi rilevare, comunque, che il modello di mediazione spagnola si basa sulla volontarietà e sulla libertà di scelta delle parti nonché sull’intervento attivo del mediatore, finalizzato a risolvere una controversia tra le parti stesse (la clausola contrattuale o compromesso di mediazione comporta però un obbligo di promuoverla).

Le regole contenute nella legge valorizzano poi la flessibilità, il rispetto dell’autonomia delle parti, il fatto che la volontà recepita da un accordo possa essere, se le parti lo desiderano, esternata in un atto pubblico avente efficacia di titolo esecutivo e la possibilità che la mediazione stessa venga svolta dagli ordini.

6. Lo sviluppo delle procedure ADR in Germania

Sebbene in Germania la situazione dei tribunali sia sempre risultata migliore rispetto a quella degli ordinamenti sino ad ora analizzati, un’attenzione particolare è stata comunque rivolta ai modi di risoluzione alternativa delle controversie. Nella legislazione tedesca sono infatti rinvenibili varie forme di ADR quali l’arbitrato, la conciliazione e la mediazione, sia civile che familiare.

In questo caso, però, salta subito all’occhio una certa disomogeneità del sistema delle ADR nel diritto tedesco, nonché l’inesistenza di una figura professionalmente uniforme in quanto i conciliatori ed i mediatori vengono assunti non solo fra i giuristi ma anche, ed in special modo, fra gli psicologi, i pedagoghi, gli esponenti del mondo degli affari ed i sociologi.

Nonostante la rilevata disomogeneità delle procedure ADR nel sistema giuridico tedesco, esse hanno prodotto un considerevole effetto deflattivo delle cause, in special modo nei settori del consumo (tutela dei consumatori), nelle controversie tra imprese, tra lavoratori e datori di lavoro nonché in ordine all’applicazione della normativa sui trasferimenti di fondi o sull’uso abusivo di carte di pagamento.

Per concludere, deve aggiungersi che nel 2012 è stata approvata una legge che, in applicazione della Direttiva comunitaria n. 52/08, ha introdotto la mediazione civile e commerciale (Mediationsgesets) quale ulteriore mezzo per la risoluzione stragiudiziale delle controversie

7. Lo sviluppo delle procedure ADR in Austria

Una situazione del tutto simile al sistema tedesco è quella dell’Austria, dove l’ottimo funzionamento del sistema giudiziario ha reso pressoché inesistente l’interesse riguardo a qualsiasi forma di risoluzione alternativa delle controversie.

In particolare, ancor prima di dare attuazione alla Direttiva comunitaria n. 52/08, che impone il recepimento della mediazione in ambito civile e commerciale all’interno degli ordinamenti dell’eurozona (lasciando peraltro impregiudicata la possibilità che ciascuno stato membro adotti le opportune misure normative o regolamentari per favorire il ricorso alla mediazione), in Austria hanno continuato a dare buoni esiti le fattispecie di mediazione obbligatoria già esistenti. Queste forme sono state introdotte dalla legge del 1° luglio 2004 per le liti inerenti questioni di vicinato e pari opportunità nei luoghi di lavoro.

Tra gli strumenti di risoluzione dei conflitti, poi, meritano di essere citate le transazioni denominate "Prätorischen Vergleiche" (accordi pretorili), attraverso le quali, pur senza definirsi con pronuncia giurisdizionale, si addiviene alla risoluzione della controversia con l’intervento del giudice il quale svolge il ruolo facilitatore dell’accordo tra le parti in lite.

Inoltre, un’altra possibilità di risoluzione stragiudiziale di una controversia, consiste nella redazione di un atto notarile dotato di forza esecutiva.

Nelle liti civili e commerciali, per concludere, la Direttiva n. 52/08 è stata attuata con la Legge federale su alcuni aspetti della mediazione transfrontaliera in materia civile e commerciale all’interno dell’Unione europea la quale modifica il Codice di Procedura Civile, la legge DPI ed il Substances Act del 28 aprile 2011, in vigore dal 1° maggio 2011.

8. Lo sviluppo delle procedure ADR in Olanda e Belgio

Per quanto riguarda l’Olanda, le ADR hanno cominciato a svilupparsi in seguito alla costituzione, nel 1995, dell’Istituto di Conciliazione Olandese a Rotterdam (NMI) nonché, nel 1997, alla conclusione del “Protocollo di Conciliazione” tra l’Ordine degli Avvocati di Amsterdam ed il Tribunale di Amsterdam, con il quale è stato promosso un esperimento pilota di “court-annexed mediation” (mediazione suggerita dalla Corte), senza però avere molto successo.

Caratteristica fondamentale dei Paesi Bassi, comunque, è il buon funzionamento del sistema giudiziario che non conosce alcun arretrato e, perciò, nemmeno la necessità di ricorrere alle ADR.

Anche in Belgio il Codice Civile, come molti altri, prevede la possibilità del giudice di tentare la conciliazione delle parti. Tuttavia, nonostante siano passati quasi quarant’anni, questa disposizione è rimasta perlopiù lettera morta. Solo recentemente, e cioè alla fine degli anni 90, gli Ordini francofoni e fiamminghi degli avvocati di Bruxelles e la Camera del Commercio e dell’Industria di Bruxelles hanno costituito il Business Mediation Center.

9. I risultati prodotti dalle ADR nei vari sistemi esaminati

Giunti a questo punto bisogna ora cercare di rispondere ad una domanda: le ADR hanno realmente prodotto una deflazione del carico della giustizia e, conseguentemente, una riduzione della durata dei processi?

Una premessa, però, è di fondamentale importanza. Le ADR non si sono sviluppate laddove, per via della situazione certamente favorevole della giustizia, non se ne è sentito il reale bisogno come, per esempio, in Olanda, Belgio ed Austria. Inoltre, come già anticipato nei precedenti paragrafi, sia negli Stati Uniti che in Francia ed in Inghilterra, le procedure ADR hanno sicuramente prodotto degli effetti favorevoli mentre in Spagna, al contrario, la situazione non è cambiata di molto, nonostante i recenti tentativi di reintroduzione.

Il punto di snodo, probabilmente, non sta tanto nei tipi di ordinamento in cui tali procedure vengono inserite, ma nel modo in cui esse vengono attuate e pubblicizzate.

A differenza di Inghilterra e Francia, dove i risultati si sono visti sin da subito, negli U.S.A., dopo un primo periodo di scarso utilizzo, le procedure ADR hanno subito un vistoso incremento nella loro utilizzazione ed hanno prodotto una notevole riduzione dei tempi di giudizio, soprattutto per via della loro imposizione ai litiganti. In Germania, invece, sebbene la procedure ADR siano state oggetto di una legislazione certamente poco unitaria, si deve comunque rilevare che esse abbiano apportato dei risultati positivi in molti settori, anche per via sia della situazione meno drammatica dei tribunali tedeschi che per una maggiore propensione mentale degli interessati a farvi ricorso.

In Spagna, in modo nettamente opposto, le procedure ADR sono state poco utilizzate ingenerando una preferenza espressa degli utenti della giustizia per i sistemi aggiudicativi di risoluzione delle controversie poiché, a loro opinione, essi offrono una tutela maggiore dei diritti soggettivi.

In realtà l’avversione mostrata in Spagna per le forme di risoluzione alternativa delle controversie deriva da diversi motivi, e cioè dalla disomogeneità della normativa posta a loro base, dalla scarsa informazione a cui sono stati sottoposti gli utenti della giustizia e dall’assenza di regolamentazione delle strutture preposte per lo svolgimento di queste procedure alternative.

Tutto ciò non fa che avvalorare la tesi che le ADR possono produrre certamente effetti favorevoli, ma solo laddove siano sorrette da disposizioni normative che ne incentivino l’utilizzo e che non le rendano scarsamente fruibili, soprattutto da un punto di vista conoscitivo, per coloro i quali se ne debbano servire.

È perciò necessario che le riforme che introducono gli ADR delineino tali sistemi di risoluzione non solo in modo da omogeneizzarsi ai sistemi giuridici in cui vengono inseriti, ma anche prevedano procedure semplici, strutture idonee che possano supportarli, nonché un’adeguata informazione diretta agli utenti della giustizia.

10. La “Mediazione Civile e Commerciale”: una previsione per il futuro

Giunti alla conclusione di questa trattazione, appare ora necessario tentare di dare una risposta al quesito proposto nell’introduzione e cioè se la mediazione civile delineata dal Decreto Legislativo n. 28/2010, ed oggi reintrodotta con il Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69), possa produrre effettivamente una deflazione del sistema giudiziario italiano rispetto al carico di arretrati accumulatosi negli anni, soprattutto in vista dell’obbligatorietà della stessa.

Sebbene le procedure ADR, nella maggior parte dei casi, abbiano apportato degli effetti favorevoli rispetto al sistema giudiziale dei paesi in cui esse sono state introdotte (come per esempio, negli U.S.A., in Inghilterra ed in Francia), probabilmente in Italia la mediazione civile, così come formulata, porterà a dei risultati assimilabili più che altro all’esperienza spagnola, dove la poca informazione degli utenti e la mancanza di omogeneità degli organi di mediazione costituiti presso gli ordini professionali hanno creato una sorta di diffidenza verso tutti quei mezzi che dovrebbero condurre alla riduzione del carico della giustizia.

In pratica, a mio parere, la riforma non ha prodotto, e sicuramente non produrrà gli effetti auspicati anche in seguito al decreto del “fare” per una serie di ragioni che ora tenterò di spiegare.

In primo luogo, la normativa non è stata supportata da apparati tali da poterla rendere effettiva. Si pensi, per esempio, agli organismi di mediazione che, in base agli articoli 18 e 19, dovrebbero essere costituiti presso gli ordini degli avvocati nei Tribunali o presso gli altri ordini professionali. Sebbene il legislatore ne abbia previsto la formazione, non ha ancora fatto nulla di concreto per poterne permettere un effettivo ed omogeneo funzionamento, cosa già vista sotto il precedente regime. Allo stesso modo, la figura del mediatore non è stata ancora ben definita a livello legislativo, non essendo state specificate le modalità, le procedure o i corsi da seguire per ottenere tale qualifica e dovendosi comunque scongiurare il pericolo che i vari ordini ritengano le capacità dei propri iscritti già di per se sufficienti per lo svolgimento dell’attività di mediazione.

In secondo luogo, non credo che l’aver posto a carico dell’avvocato l’obbligo di informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (o anche che l’esperimento del medesimo costituisca condizione di procedibilità della domanda in giudizio) sia un mezzo adeguato allo scopo prefissato dalla legge di riforma ed allo stesso tempo sufficiente ad ottenere e garantire un’effettiva conoscenza da parte degli utenti della giustizia della possibilità di risolvere la controversia in via stragiudiziale. Così facendo, il legislatore ha manifestato una “sorta” di presunzione di esclusiva responsabilità in capo agli avvocati per quelli che, in realtà, sono mali atavici della giustizia italiana, con radici che affondano essenzialmente nelle storture del sistema sociale e culturale, nonché in comportamenti individuali di alcuni operatori del diritto, non certo emblema di intere categorie. Addirittura, nei casi di conflittualità più accesa, l’obbligo della mediazione potrebbe produrre un ulteriore allungamento dei tempi processuali e, quindi, il venir meno della stessa ratio su cui esso si fonda.

Per finire, ritengo che non ci siano le basi culturali per far si che la mediazione civile possa produrre effetti nel nostro paese, e questo per via dell’avversione mostrata ad oltranza da non pochi avvocati che, invece di badare ai possibili minori guadagni, dovrebbero sostenere tale riforma, magari proponendone dei correttivi soprattutto per “curare” il disastrato sistema giudiziario del nostro paese (in questo caso, forse, più che avere tante cause sarebbe bene trattarne il giusto numero e nel modo migliore); e quelle poche pubblicità che si sono viste sulle reti nazionali non sono certamente sufficienti a indurre gli utenti della giustizia a poter pensare di adire un mediatore piuttosto che agire processualmente nei confronti delle controparti.

Significativo, a mio modo di vedere, è la posizione critica assunta (ovviamente in relazione alla prima applicazione della mediazione civile) del Prof. Guido Alpa, Presidente del Consiglio Nazionale Forense, in una circolare del 21 giugno 2010 (N. 18-C/2010) in cui egli precisa che l’avvocatura, alla quale si dovrebbe evitare di attribuire la colpa di un futuro fallimento della riforma, non è contraria al sistema previsto dalla normativa comunitaria, ma è contraria ad un sistema che, così come congegnato, non è in grado di funzionare e, se messo in atto senza i correttivi suggeriti, avrà un impatto sicuramente negativo sull’accesso alla giustizia. In particolare, dopo aver messo in luce alcuni punti cardine del recente Decreto Legislativo n. 28/2010, il Prof. Alpa poneva giustamente l’accento su alcune modifiche legislative opportune, alla luce delle insistenti critiche mosse sia dal C.N.F. che dagli Ordini e dalle Associazioni forensi, tra le quali, per esempio, l’abrogazione dell’obbligatorietà della mediazione (articolo 5, comma 1, Decreto Legislativo n. 28/2010) e la soppressione dell’efficacia invalidante della mancata informativa sul contratto di mandato (articolo 4, comma 3, Decreto Legislativo n. 28/2010), cose a distanza di qualche anno modificate.

In realtà, il problema principale della mediazione, così come strutturata, è proprio che questa viene avversata da una consistente frangia dell'avvocatura.

A parte che si dovrebbe, a mio modo di vedere, creare una normativa che permetta di predisporre degli organi di mediazione tali da sostenere il nuovo sistema che verrebbe a crearsi. Infatti, per evitare il riprodursi di una situazione simile a quella dell’ordinamento giuridico spagnolo, o di quanto già successo qualche anno fa, ritengo sia necessaria una omogeneizzazione sia a livello strutturale, con la creazione di appositi organi di mediazione non solo presso gli ordini degli avvocati (magari creando anche dei nuovi posti di lavoro anche per soggetti esterni alla categoria forense ma comunque laureati in materie giuridiche od economiche), che procedimentale, tramite la previsione di regole unitarie a livello nazionale, dell’intero sistema.

Infine, per completare il tutto, sarebbe anche necessario un controllo annuale, a livello ministeriale, delle controversie risolte tramite il procedimento di mediazione proprio per evitare che il tutto si risolva in un “nulla di fatto” per via delle inadempienze dei vari ordini professionali, cosa che è già avvenuta in passato.

Ma allora, ciò potrà veramente bastare affinché la mediazione giunga a dei risultati effettivi?

Il problema fondamentale è che, nonostante tutto, il sistema normativo non è comunque sufficiente, a mio modo di vedere, a risolvere i vizi precedentemente evidenziati.

Un’ultima considerazione, poi, mi sembra d’obbligo. Infatti, perché si riesca ad ottenere un’effettiva riduzione della durata dei processi non si può solo agire creando strumenti che permettano una deflazione del contenzioso, ma è necessario che si agisca soprattutto sulla normativa del codice di procedura civile, creando disposizioni tali da imporre, nei limiti del possibile, una riduzione dei tempi della giustizia tanto ai giudici quanto agli avvocati. Da questo punto di vista, iniziative simili a quella del “Procedimento Sommario di Cognizione”, introdotto con la legge di riforma n. 69 del 18 giugno 2009, senza giungere a mezzi di extrema ratio come la possibile pronuncia di inammissibilità in grado di appello, cioè il rinnovato articolo 342 ed il nuovo 348-bis del Codice di Procedura Civile, introdotti dal Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012, sono sicuramente di aiuto, ma è comunque necessario che queste vengano supportate da una normativa che ne renda effettivo l’utilizzo.

In sostanza, sarebbe necessario procedere ad una revisione, in parallelo, sia delle disposizioni del codice civile che del procedimento di mediazione stesso.