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I diritti dei bambini leggendo tra le righe di una storia di resilienza

Abstract. L’Autrice scopre tra le righe di un romanzo autobiografico l’insegnamento dei valori più grandi che i bambini possano dare agli adulti e che trovano corrispondenza nelle carte normative internazionali.

Giacomo Fagiolini, romano, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili con una forma di schizofrenia, ha trovato la sua resilienza (capacità reattiva alle avversità) nell’incontro con padre Angelo Benolli che gli ha fatto scoprire la fede. Da allora il giovane è diventato volontario in Kenya ed impegnato nel settore sociale e ha riportato la sua esperienza in un libro autobiografico, «Sei tu – Iyie ake», di cui è interessante fare una lettura giuridica e metagiuridica.

Innanzitutto occorre precisare che Giacomo ha scoperto la vera fede, non come religione o religiosità o dogmatismo. Fede, da “legare”, in latino “fides”, che significava anche “corda, nervo di strumento musicale, cetra, lira, poesia”. Fede, pertanto, è essenzialmente un processo interiore, scoprire le proprie risorse, sentire la forza poetica e autopoietica della vita in se stessi, far vibrare le proprie fibre e mantenere le promesse con se stessi. Quella “fiducia nella vita” e “stima di sé” di cui si parla nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance (giugno 2007).

«Volevo vivere. Esigevo da ogni persona rispetto perché volevo avere esperienza di me e di me con gli altri. Ricordo momenti meravigliosi in cui mio padre mi insegnava a giocare a calcio, in porta come lui. Eravamo contenti perché lui mi trasmetteva una sua esperienza di vita e a me non solo piaceva, ma riusciva pure bene. Ricordo con gioia tutte le volte che si metteva la tuta e mi portava a “ascoltare i tuoni e vedere i fulmini” quando era brutto tempo. Ricordo che anche mia madre voleva che mi divertissi, e mi portava a saltare alle giostre, amavo saltare e, quando papà non c’era e io volevo giocare a calcio, mi faceva lei “i tiri in porta”. Purtroppo, però, questi erano episodi troppo sporadici» (da “Sei tu”). “Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita. Gli Stati parti si impegnano a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo” (articolo 6, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La vita è innata nei bambini, i bambini sono vita. Ai genitori, agli adulti e alle istituzioni tocca salvaguardare la sopravvivenza della loro vitalità e farla sviluppare con l’amore (dal latino “a mors”, non morte, vita). “Esigevo da ogni persona rispetto perché volevo avere esperienza di me e di me con gli altri”: il rispetto è la prima regola di vita e si basa ontologicamente sulla reciprocità (“rispetto” deriva dal verbo latino “respicere”, “guardare di nuovo, volgersi a guardare, guardare indietro”). Devono essere rispettati i diritti dei bambini (articolo 2, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori (articolo 4, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e i bambini devono essere educati al rispetto (articolo 29, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). È la vita stessa che esige rispetto.

«Mio padre in sostanza voleva una fede, ma aveva un mare di violenza dentro vissuta nel posto da dove veniva e dalla quale purtroppo si era dovuto difendere, così, spesso non riusciva ad avere un rapporto con me e finiva per imporre le cose» (da “Sei tu”). Sperma e speranza si possono far risalire alla stessa radice “sper”, spargere. Padre non è colui che dà lo sperma necessario al concepimento della vita, ma colui che dà continuamente il seme della speranza nella vita. Questo è uno dei possibili significati dell’espressione “ricerca della paternità” dell’articolo 30, comma 4, della Costituzione.

«[Mio padre] Per esempio io volevo giocare a calcio, invece per lui avrei dovuto fare nuoto e tennis perché “mi faceva bene”. Una volta presi il coraggio di dirglielo e lui divenne furibondo. Era molto volenteroso di vivere in fede e carità, ma realmente non aveva un’esperienza di questo, finiva per essere molto attaccato a noi e, quando qualcosa non gli andava, ripeteva sulla famiglia tutta la violenza che lui aveva subito» (da “Sei tu”). “Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o di chiunque altro se ne prenda cura” (articolo 19, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La violenza è abuso della propria forza contro la volontà e la persona altrui. I genitori, invece, devono recuperare l’autorità genitoriale e impegnarsi anche nell’educazione della volontà dei figli per spezzare ogni circolo vizioso di violenza giovanile o, al contrario, di abulia. “Il problema non è la violenza dei ragazzi, ma lo spegnimento completo della loro capacità di combattere. A ben pensare, infatti, la violenza non è segno di forza, ma di debolezza” (il pedagogista Pino Pellegrino).

«Mia madre aveva appena cominciato a ritrovare la sua persona e la sua espressione, dopo che nessuno l’aveva mai valutata, ma purtroppo mio papà non riusciva a valutarla e rispettarla e lei non era abbastanza forte e indipendente da lui e dagli altri per farsi rispettare: questo ha comportato che in quel periodo mia madre non me la ricordo, non c’era, perché era completamente sottomessa a mio padre. Di conseguenza da piccolo ero molto solo e sofferente, il volto della gioia in quei giorni non me lo ricordo» (da “Sei tu”). La genitorialità dovrebbe essere espressione dell’adultità dell’uomo e della donna e della coppia in modo tale che i figli non diventino “ricettacolo” di sofferenze e di insofferenze. Nell’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “Gli Stati parti debbano rispettare il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori”. Questo diritto dovrebbe essere tutelato sempre nel senso che i genitori dovrebbero superare ogni loro barriera caratteriale ed ogni crisi di coppia per entrare veramente in relazione e in contatto con i figli. I genitori non devono procurare inutili e dilanianti sofferenze ai figli né evitare ogni sofferenza ai figli, ma avere comprensione e abituarli alla comprensione (dal verbo latino “comprehendere”, “prendere insieme, contenere in sé”), come si ricava altresì dal Preambolo e dall’articolo 29, lettera d), della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

«Voglio sottolineare che i miei genitori avevano tutta la volontà razionale di amarsi e amarmi, parlavano spesso dell'importanza della famiglia e di fare missione, ma realmente il loro inconscio soffriva e si proiettavano l'un l'altro le sofferenze facendosi male, e tutto ricadde su di me» (da “Sei tu”). Il fanciullo ha diritto a conoscere i propri genitori (dall'articolo 7, Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). "Conoscere" ha un significato profondo, ben diverso da "sapere" ed è da intendere non solo nel senso giuridico. Conoscere, dal latino “cum nosco”, imparare con, è apprendere e ritenere con sé e con gli altri. Nel rapporto genitori-figli è un crescere come genitori e figli. Conoscenza, quindi, come percorso necessario per la costruzione dell’identità; infatti il diritto a conoscere i propri genitori (di cui all’articolo 7) è anteposto al diritto di conservare la propria identità (articolo 8, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

«Senza risolvere il nostro inconscio non saremo mai liberi, mai saremo felici, mai ameremo, mai, nessuno di noi» (da “Sei tu”). I bambini devono essere amati per amare. La misura dell’amore genitoriale è data dalla cura, infatti nell’articolo 7 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di diritto di essere accudito dai genitori. Accudimento che ha la stessa origine etimologica (da “battere”, cioè spingere, stimolare) e lo stesso significato di cura, tanto che nella Convenzione accanto ai genitori si parla di coloro che si prendono cura dei fanciulli (articoli 19, 23 e 27) proprio per sottolineare che è questo l’atteggiamento da riservare ai bambini. Da evitare, quindi, “ gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi” (IV Seminario Criminologico, Consiglio d’Europa, Strasburgo 1978). Da evitare, cioè, la patologia delle cure nelle forme di discuria (cure distorte), incuria (cure insufficienti) e ipercura (cure eccessive), che divengono causa di disturbi seri anche psichiatrici.

«Nonno non mi ha mai fatto tanti discorsi, ma è sempre stato un esempio di onestà e carattere, serietà e rispetto. Ricordo le gite in cui passeggiavamo ore e ore, e lui mi spiegava la storia di Roma e dell’Italia: oggi amo la storia e l’arte grazie a quelle passeggiate. Ricordo il suo biglietto di auguri per i miei 18 anni, lo ricordo a memoria: “Diventi uomo. Affronta il mondo come merita, con rispetto e serietà, con il sostegno che vorrai da tuo nonno Cesare”. Il sostegno di cui parlava l’ho sempre avuto» (da “Sei tu”). I bambini hanno diritto alla “nonnità” e non solo alla genitorialità. La “nonnità”, una delle “relazioni familiari” (articolo 8, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) necessarie per lo svolgimento della personalità (articolo 2, Costituzione).

«Io crebbi con una donna di servizio che mi faceva tutto e mi riempiva di panini; passai così giorni interi davanti alla tv a mangiare senza mai dovermi sudare nulla. Avevo tutto materialmente, ma le palle soffocavano e non venivano mai fuori né nella relazione né nell’aggressività» (da “Sei tu”). Genitori: non è dare i propri geni in un solo atto, ma essere continuamente generatori d’amore! “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia).

“L’esperienza è di una ricchezza enorme. Noi pensiamo più di quanto possiamo dire. Sentiamo più di quanto possiamo dire. Sentiamo più di quanto possiamo pensare. Viviamo più di quanto possiamo sentire. E c’è ancora molto di più” (il filosofo e psicoterapeuta Eugene T. Gendlin, teorico della tecnica del focusing). È questo che devono sperimentare e trasmettere genitori e educatori. “Ogni bambino ci dice a suo modo la bellezza e le ferite della vita e ci richiama anche alla nostra responsabilità” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance). La nostra responsabilità è la vita, è nella vita soprattutto dei bambini che ci vengono affidati. I bambini: la fede e la resilienza della vita stessa.

"Gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi", (come da definizione del IV Seminario Criminologico Consiglio d'Europa, Strasburgo 1978).

Abstract. L’Autrice scopre tra le righe di un romanzo autobiografico l’insegnamento dei valori più grandi che i bambini possano dare agli adulti e che trovano corrispondenza nelle carte normative internazionali.

Giacomo Fagiolini, romano, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili con una forma di schizofrenia, ha trovato la sua resilienza (capacità reattiva alle avversità) nell’incontro con padre Angelo Benolli che gli ha fatto scoprire la fede. Da allora il giovane è diventato volontario in Kenya ed impegnato nel settore sociale e ha riportato la sua esperienza in un libro autobiografico, «Sei tu – Iyie ake», di cui è interessante fare una lettura giuridica e metagiuridica.

Innanzitutto occorre precisare che Giacomo ha scoperto la vera fede, non come religione o religiosità o dogmatismo. Fede, da “legare”, in latino “fides”, che significava anche “corda, nervo di strumento musicale, cetra, lira, poesia”. Fede, pertanto, è essenzialmente un processo interiore, scoprire le proprie risorse, sentire la forza poetica e autopoietica della vita in se stessi, far vibrare le proprie fibre e mantenere le promesse con se stessi. Quella “fiducia nella vita” e “stima di sé” di cui si parla nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance (giugno 2007).

«Volevo vivere. Esigevo da ogni persona rispetto perché volevo avere esperienza di me e di me con gli altri. Ricordo momenti meravigliosi in cui mio padre mi insegnava a giocare a calcio, in porta come lui. Eravamo contenti perché lui mi trasmetteva una sua esperienza di vita e a me non solo piaceva, ma riusciva pure bene. Ricordo con gioia tutte le volte che si metteva la tuta e mi portava a “ascoltare i tuoni e vedere i fulmini” quando era brutto tempo. Ricordo che anche mia madre voleva che mi divertissi, e mi portava a saltare alle giostre, amavo saltare e, quando papà non c’era e io volevo giocare a calcio, mi faceva lei “i tiri in porta”. Purtroppo, però, questi erano episodi troppo sporadici» (da “Sei tu”). “Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita. Gli Stati parti si impegnano a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo” (articolo 6, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La vita è innata nei bambini, i bambini sono vita. Ai genitori, agli adulti e alle istituzioni tocca salvaguardare la sopravvivenza della loro vitalità e farla sviluppare con l’amore (dal latino “a mors”, non morte, vita). “Esigevo da ogni persona rispetto perché volevo avere esperienza di me e di me con gli altri”: il rispetto è la prima regola di vita e si basa ontologicamente sulla reciprocità (“rispetto” deriva dal verbo latino “respicere”, “guardare di nuovo, volgersi a guardare, guardare indietro”). Devono essere rispettati i diritti dei bambini (articolo 2, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori (articolo 4, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e i bambini devono essere educati al rispetto (articolo 29, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). È la vita stessa che esige rispetto.

«Mio padre in sostanza voleva una fede, ma aveva un mare di violenza dentro vissuta nel posto da dove veniva e dalla quale purtroppo si era dovuto difendere, così, spesso non riusciva ad avere un rapporto con me e finiva per imporre le cose» (da “Sei tu”). Sperma e speranza si possono far risalire alla stessa radice “sper”, spargere. Padre non è colui che dà lo sperma necessario al concepimento della vita, ma colui che dà continuamente il seme della speranza nella vita. Questo è uno dei possibili significati dell’espressione “ricerca della paternità” dell’articolo 30, comma 4, della Costituzione.

«[Mio padre] Per esempio io volevo giocare a calcio, invece per lui avrei dovuto fare nuoto e tennis perché “mi faceva bene”. Una volta presi il coraggio di dirglielo e lui divenne furibondo. Era molto volenteroso di vivere in fede e carità, ma realmente non aveva un’esperienza di questo, finiva per essere molto attaccato a noi e, quando qualcosa non gli andava, ripeteva sulla famiglia tutta la violenza che lui aveva subito» (da “Sei tu”). “Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o di chiunque altro se ne prenda cura” (articolo 19, paragrafo 1, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La violenza è abuso della propria forza contro la volontà e la persona altrui. I genitori, invece, devono recuperare l’autorità genitoriale e impegnarsi anche nell’educazione della volontà dei figli per spezzare ogni circolo vizioso di violenza giovanile o, al contrario, di abulia. “Il problema non è la violenza dei ragazzi, ma lo spegnimento completo della loro capacità di combattere. A ben pensare, infatti, la violenza non è segno di forza, ma di debolezza” (il pedagogista Pino Pellegrino).

«Mia madre aveva appena cominciato a ritrovare la sua persona e la sua espressione, dopo che nessuno l’aveva mai valutata, ma purtroppo mio papà non riusciva a valutarla e rispettarla e lei non era abbastanza forte e indipendente da lui e dagli altri per farsi rispettare: questo ha comportato che in quel periodo mia madre non me la ricordo, non c’era, perché era completamente sottomessa a mio padre. Di conseguenza da piccolo ero molto solo e sofferente, il volto della gioia in quei giorni non me lo ricordo» (da “Sei tu”). La genitorialità dovrebbe essere espressione dell’adultità dell’uomo e della donna e della coppia in modo tale che i figli non diventino “ricettacolo” di sofferenze e di insofferenze. Nell’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “Gli Stati parti debbano rispettare il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori”. Questo diritto dovrebbe essere tutelato sempre nel senso che i genitori dovrebbero superare ogni loro barriera caratteriale ed ogni crisi di coppia per entrare veramente in relazione e in contatto con i figli. I genitori non devono procurare inutili e dilanianti sofferenze ai figli né evitare ogni sofferenza ai figli, ma avere comprensione e abituarli alla comprensione (dal verbo latino “comprehendere”, “prendere insieme, contenere in sé”), come si ricava altresì dal Preambolo e dall’articolo 29, lettera d), della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

«Voglio sottolineare che i miei genitori avevano tutta la volontà razionale di amarsi e amarmi, parlavano spesso dell'importanza della famiglia e di fare missione, ma realmente il loro inconscio soffriva e si proiettavano l'un l'altro le sofferenze facendosi male, e tutto ricadde su di me» (da “Sei tu”). Il fanciullo ha diritto a conoscere i propri genitori (dall'articolo 7, Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). "Conoscere" ha un significato profondo, ben diverso da "sapere" ed è da intendere non solo nel senso giuridico. Conoscere, dal latino “cum nosco”, imparare con, è apprendere e ritenere con sé e con gli altri. Nel rapporto genitori-figli è un crescere come genitori e figli. Conoscenza, quindi, come percorso necessario per la costruzione dell’identità; infatti il diritto a conoscere i propri genitori (di cui all’articolo 7) è anteposto al diritto di conservare la propria identità (articolo 8, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

«Senza risolvere il nostro inconscio non saremo mai liberi, mai saremo felici, mai ameremo, mai, nessuno di noi» (da “Sei tu”). I bambini devono essere amati per amare. La misura dell’amore genitoriale è data dalla cura, infatti nell’articolo 7 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di diritto di essere accudito dai genitori. Accudimento che ha la stessa origine etimologica (da “battere”, cioè spingere, stimolare) e lo stesso significato di cura, tanto che nella Convenzione accanto ai genitori si parla di coloro che si prendono cura dei fanciulli (articoli 19, 23 e 27) proprio per sottolineare che è questo l’atteggiamento da riservare ai bambini. Da evitare, quindi, “ gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi” (IV Seminario Criminologico, Consiglio d’Europa, Strasburgo 1978). Da evitare, cioè, la patologia delle cure nelle forme di discuria (cure distorte), incuria (cure insufficienti) e ipercura (cure eccessive), che divengono causa di disturbi seri anche psichiatrici.

«Nonno non mi ha mai fatto tanti discorsi, ma è sempre stato un esempio di onestà e carattere, serietà e rispetto. Ricordo le gite in cui passeggiavamo ore e ore, e lui mi spiegava la storia di Roma e dell’Italia: oggi amo la storia e l’arte grazie a quelle passeggiate. Ricordo il suo biglietto di auguri per i miei 18 anni, lo ricordo a memoria: “Diventi uomo. Affronta il mondo come merita, con rispetto e serietà, con il sostegno che vorrai da tuo nonno Cesare”. Il sostegno di cui parlava l’ho sempre avuto» (da “Sei tu”). I bambini hanno diritto alla “nonnità” e non solo alla genitorialità. La “nonnità”, una delle “relazioni familiari” (articolo 8, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) necessarie per lo svolgimento della personalità (articolo 2, Costituzione).

«Io crebbi con una donna di servizio che mi faceva tutto e mi riempiva di panini; passai così giorni interi davanti alla tv a mangiare senza mai dovermi sudare nulla. Avevo tutto materialmente, ma le palle soffocavano e non venivano mai fuori né nella relazione né nell’aggressività» (da “Sei tu”). Genitori: non è dare i propri geni in un solo atto, ma essere continuamente generatori d’amore! “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia).

“L’esperienza è di una ricchezza enorme. Noi pensiamo più di quanto possiamo dire. Sentiamo più di quanto possiamo dire. Sentiamo più di quanto possiamo pensare. Viviamo più di quanto possiamo sentire. E c’è ancora molto di più” (il filosofo e psicoterapeuta Eugene T. Gendlin, teorico della tecnica del focusing). È questo che devono sperimentare e trasmettere genitori e educatori. “Ogni bambino ci dice a suo modo la bellezza e le ferite della vita e ci richiama anche alla nostra responsabilità” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance). La nostra responsabilità è la vita, è nella vita soprattutto dei bambini che ci vengono affidati. I bambini: la fede e la resilienza della vita stessa.

"Gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi", (come da definizione del IV Seminario Criminologico Consiglio d'Europa, Strasburgo 1978).